Il viaggio di Sascha pt.1

Io sono Sascha Stinson.

Un diciottenne mezzo islandese e mezzo napoletano. Non italiano, non mi hanno mai dato la cittadinanza, nonostante abiti lì sin dai miei primi giorni, probabilmente.

La mia famiglia adottiva mi trovò fuori la porta di casa che avevo pochi giorni, quindi è possibile che ci sia addirittura nato in quel paese.

Ma non ci sono prove cartacee.

Ho sempre vissuto con loro a Napoli, con frequenti viaggi per l’Islanda, luogo di nascita di tutti gli altri membri della mia famiglia.

 Abbiamo sempre avuto un bel legame, mi hanno sempre fatto sentire a casa, sono sempre stati premurosi e comprensivi.

Io non ero, tutt'ora non sono, un tipo semplice. 

Sono molto intelligente, sono anche sportivo, nonostante il fisico esile possa far sembrare il contrario, ho un carattere abbastanza riservato. Molte volte, infatti, per la mia famiglia era difficile capire come stessi veramente, la colpa era pure mia, in effetti stavo sempre con il sorriso davanti a loro.

Mi sono sempre considerato diverso rispetto agli altri, cosa che, ancora oggi, non so dire se sia un pregio o un difetto.

Poi c'è stato quel 16 agosto.

Cosa più strana non poteva accadermi.

~~

«Ero in una classe con tredici ragazze» raccontavo, in un inglese che possiamo definire “inglish”, al simpatico uomo irlandese dai folti capelli grigi che era seduto di fianco a me sull’aereo. «La gente proprio non si spiegava come fosse possibile che io non ne approfittassi.»

«Che posso dirti, giovane amico» mi disse con fare comprensivo. «L’essere umano è fatto così.»

Come mio solito, mi spostavo continuamente il ciuffo biondo dalla fronte. In certi giorni, come quello, si formava un ricciolo nel mezzo che ricorda quello di Clark Kent.

«Se non ti droghi, bevi e fumi, se non vai con diciassette ragazze a settimana, sei stupido, anormale» mi lamentavo con lui. Cosa che, stranamente, mi venne abbastanza naturale, forse erano i suoi modi affabili.

«Anche io ho passato qualcosa di simile, il mio amore era la scienza. Spesso venivo preso in giro perché non uscivo con le ragazze. Ah… avevo pochi amici, tu li hai degli amici, ragazzo?»

«Sì, pochi ovviamente. Ma riguardo a questo, non sono mai stato preso di mira. Nonostante le diversità mi hanno sempre rispettato tutti. Forse è perché sono troppo carino per essere odiato.»

Lo scienziato scoppiò a ridere.

«Sa… certe volte invidio gli stupidi, sono sempre così felici…»

«L’infelicità è il prezzo da pagare per essere intelligenti.»

Il nostro chiacchiericcio venne interrotto dalla voce del comandante che avvertiva che stavamo per arrivare a Londra.

I miei piccoli, e stupendi, e meravigliosi, occhi azzurri andarono sul biglietto dello scienziato al mio fianco. Riconobbi lo strano simbolo della compagnia che aveva creato il concorso che mi aveva fatto vincere quella vacanza.

«Anche lei ha partecipato al concorso?»

«Io? No, non ho partecipato a nessun concorso, ma ho comunque vinto un viaggio per uno. Non so bene come, ma ho accettato questa improvvisa vittoria. Sai, in questi giorni ci sarà una riunione tra scienziati.»

“Nel bel mezzo di agosto?” mi domandai.

«Tu invece hai partecipato a un concorso?»

«Sì, e ho incredibilmente vinto» cosa che mi aveva sorpreso e non poco.

Ripensai a tutte quelle volte che provai a vincere una maglietta del Napoli, una crociera, un biglietto per andare allo stadio a vedere il Napoli, una maglietta firmata dai giocatori del Napoli.

«Come trascorrerai questa vacanza?» mi domandò lo scienziato.

«Visiterò la città: cultura, stadi di calcio…»

«E una volta a casa invece? Hai qualcosa a cui aspiri, adesso che sei diplomato?»

Non sapevo bene come rispondere, ci pensai un attimo. 

«Non… non so, vorrei fare tante cose. Non lo dico tanto per dire, come fanno certi… tutti, ma vorrei davvero fare qualcosa che possa cambiare il mondo, che possa migliorarlo, o anche distruggerlo. Ma…»

«Non sai da dove cominciare.»

Annuii alla sua ipotesi.

«D’altronde quelli della mia generazione non sono molto d’aiuto per quelli come te. Sono tutti avari, mentre il pianeta finisce. Chi lo sa? Magari scoprirai qui ciò che sei destinato ad essere.»

Alzai le spalle mentre presi un pacchetto di patatine dallo zaino.

~~

L'aereo atterrò, e io venni accompagnato dal taxi privato del concorso all'hotel dove dovevo alloggiare, un hotel in cui mai sarei potuta andare a mie spese, con la mia attuale situazione economica.

Giunsi a destinazione.

Rimasi veramente compiaciuto alla vista dell'hotel: sia esterna, sia interna. Era maestoso, grandissimo, niente in confronto agli hotel che avevo visitato fino a quel momento.

Impressionato, andai a fare il check in, mi feci dare le chiavi della camera e poi salii a posare i bagagli.

Sul letto in camera notai un cartellino e un foglio.

Il foglio era una semplice lettera di benvenuto con le congratulazioni per essere stato scelto come uno dei vincitori del concorso. 

«Vincitore “Diciassette”, wow.»

Il cartellino serviva per entrare a una festa che si sarebbe tenuta quella sera, all'Hyde Park. 

Misi un po' in ordine la mia roba, non cacciai tutto dalla valigia, solo lo spazzolino, lo shampoo, il sapone e il caricatore del telefono. Mi armai di igienizzanti per le mani e fazzoletti, e uscii a fare un piccolo giro nei dintorni prima dell’evento di stasera.

Per quanto possano sembrare inutili, sono oggetti per me vitali. L’igienizzante perché mi fa quasi tutto schifo. I fazzoletti per colpa del raffreddore cronico.

Nessuno mi crederebbe se dicessi quanti chilometri feci a piedi in quella breve ora di gita turistica, soprattutto considerando che non mostravo un briciolo di stanchezza.

Figurati se dicessi quanti chilometri riesco a fare adesso a piedi, in un'ora.

Dopo la passeggiata non vedevo l’ora di mangiare ciò che avrei trovato alla festa, al contrario di ciò che possono far pensare i miei quarantacinque chili, mangiavo davvero molto, troppo.

Le tante visite mediche non avevano mai saputo spiegare quella sorta di anomalia nel mio corpo.

Prima di salire in camera andai alla grande vetrata per fare qualche foto da tenere come ricordo o magari da postare sui social, anche se non è che li usassi molto.

Un'altra persona ebbe la stessa idea, una ragazza.

Si avvicinava mentre si sistemava i suoi mossi capelli a caschetto, color castani. Piccoli occhi verdi nei quali mi persi nel preciso istante in cui la vidi.

Anche lei, come me, era fisicamente molto piccola, circa sul metro e sessanta, esile.

Incrociai sorridente il suo sguardo. 

Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso.

Le mani mi iniziarono a sudare e il cuore pareva aver accelerato il battito. A na’ certa pensavo che mi stesse venendo qualcosa.

Ci guardammo ancora una volta, poi, timidamente, lei si avvicinò.

«Bello il panorama da qui, vero?» esordì con un inglese quasi perfetto.

Un tantino impacciato, confermai. 

«Io sono Vanya» si presentò. E ovviamente ricambiai.

«Sei uno di quelli del concorso?» domandò lei. «Anche io. Una vera fortuna riuscire a vincere, sai in quanti ci avranno provato?»

«Già… Di… di dove sei?»

«Francoforte, in Germania e tu?» 

«Napoli» pensai un attimo a cosa avrei potuto dirle. «Non abitiamo così lontani.»

Un grosso sorriso spuntò sul suo viso grazie a quella stupida battutina. Avrei voluto dire qualcosa di più intelligente, ma non mi uscì.

Fissammo, l’uno a fianco all’altra, il bel panorama della città mentre il sole scendeva dietro i palazzi e il cielo diventava rosso, finché lei non si voltò a vedere l'ora sul telefono.

«Adesso devo andare a prepararmi. Ci sarai alla festa di stasera?» 

«Sì, ci sarò» le risposi sorridente. 

«Bene... Anche io ci sarò. Ma questo probabilmente te lo avevo già fatto capire.» 

«Ci vediamo lì, allora. Appena ti vedo vengo a salutarti, se vuoi.» 

«Sì, mi farebbe piacere» arretrò e andò verso le scale. 

I miei occhi si staccarono solo quando non mi fu più possibile vederla. 

~~

Arrivai alla festa grazie al taxi privato che mi faceva sentire come una di quelle star di Hollywood.

Ritrovai Martin, lo scienziato dell’aereo.

Dialogai un po' con lui, ci raccontammo come passammo la giornata.

I presenti sembravano molto felici e divertiti.

Mi chiedevo, abbastanza interdetto, come poteva essere possibile che così tanta gente avesse vinto, gente poi così diversa.

“Vabbè” rinunciai a trovare una spiegazione.

Ero abbastanza contento, una bella festa all'aperto circondato da tanta gente nuova, da paesi diversi, potevo provare a fare nuove amicizie, in qualche modo.

Più in là vidi Vanya che, timidamente, provava a socializzare. Poi vide me, interruppe il ragazzo che parlava con lei, non un bel soggetto in apparenza, e iniziò ad avvicinarsi.

Quando la vidi, il battito del cuore iniziò ad accelerare, tutto intorno a sembrò fermarsi, eccetto lei.

Iniziai ad avvertire una strana sensazione di bruciore agli occhi.

Le andai incontro ma, nel mentre, successe qualcosa. 

Numerose luci stavano comparendo nel cielo di Londra.  

Esteticamente era un bello spettacolo, luci di vario colore che riempivano il cielo scuro, insieme alle stelle.

Almeno credo, io in realtà non riuscii a vedere niente.

Ci furono dei rumori fortissimi, tutto tremava, delle persone urlavano.

I presenti alla festa erano confusi, poi alzammo lo sguardo al cielo. 

Strani cosi stavano atterrando davanti ai nostri occhi. Non volevo crederci, ma poi entrarono in campo gli alieni, e lì dovetti crederci.

Io, non sapevo cosa fare, mi guardai intorno, non riuscivo a muovermi.

E così stetti per cinque minuti, più o meno.

Poi, improvvisamente, iniziai a sentirmi un po' strano, mi venne un forte mal di testa e mi sembrava di vedere tutto a rallentatore. 

Una delle navi stava atterrando lì.

Esplose durante la discesa a terra.

Io ero vicinissimo, e l'esplosione mi fece fare un bel volo… di qualche metro.

A seguito dell'impatto, svenni. 

E non è finita, eh.

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