Capitolo 8
Sascha, ancora un tantino confuso dall’improvvisa apparizione di quell’uomo, e della sua stessa improvvisa scomparsa, riprese l’esplorazione.
Si stava allontanando dai palazzi governativi. Si fermò un attimo a riflettere.
«E se uccidessi Hitler?»
Mentre lo disse, vide una strana donna dai capelli rossi che lo guardava. La osservò meglio, era la stessa donna che vide dopo aver fatto esplodere il carro armato, quando arrivarono in Germania.
Una persone gli passò davanti e, in un batter d’occhio, la donna non c’era più.
Riprese a camminare e dopo pochi passi venne fermato da una donna. Era bassa, quasi quanto lui, indossava una giacca ed una gonna eleganti, sembrava una donna d’affari, una cosa che sembrava impossibile per quell’epoca.
«Signor Stinson.»
Sascha la guardò stranito.
«Se vuole seguirmi?»
Sascha non fece obiezioni, e seguì la donna.
~~
Rudi, pensieroso, si grattava la fronte corrugata, era ancora in cerca dell’amico, in quel posto ambiguo in cui lo aveva lasciato.
Non si sentiva molto al sicuro, non sapeva perché erano lì, ma aveva capito che Hans stava spiando dei nemici, prima della sua scomparsa. Il bello era che lui non più vedeva nemmeno i nemici.
Si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare, tornarsene alla macchina, oppure restare lì a fare ciò che aveva in mente di fare Hans? O restare ed aspettare che Hans facesse ritorno, sempre se lo avesse fatto. Ma, di preciso, che intenzioni aveva Hans? Era una domanda a cui non avrebbe trovato risposta.
I nemici, però, una cosa la sapevano, ovvero che lui era lì. Due soldati erano nascosti dietro un muro per osservare il dubbioso e spaesato ragazzo.
Si scambiarono un’occhiata, presero i fucili da dietro le spalle. Caricarono. Puntarono. E spararono.
~~
Helene e Greta riuscirono a racimolare un po’ di scorte. Le portarono immediatamente alla macchina, ben attente a non farsi seguire da nessuno.
Posarono tutto nel cofano e, con discrezione, ricoprirono la macchina.
Si scambiarono sguardi soddisfatti, poi tornarono serie e pensarono sul da farsi.
«Credi che quei due abbiano trovato Sascha?» domandò Helene.
«Ah…» sospirò Greta. «Credo proprio di no.»
«Sai cosa sarebbe comodo» disse improvvisamente Helene. «Un bel dispositivo di comunicazione senza fili, poco ingombrante, magari tascabile, che possa raggiungere altri dispositivi da qualsiasi distanza.»
«Sarebbe in effetti una bella invenzione» convenne Greta, «anche molto comoda.»
Helene fissò Greta, aveva un’espressione cupa in volto. Forse era preoccupata per Sascha, o forse era dovuto al fatto che Helene le avesse riportato alla memoria ciò che accadde alla famiglia. O erano entrambe.
«Scusami se prima sono stata un po’ troppo dura.»
«Non ti preoccupare» rispose l’ebrea, accennando un sorriso.
«Te la senti di raccontare?»
Greta abbassò lo sguardo, sbuffò, ma prese coraggio e iniziò a raccontare.
«Ci sentivamo al sicuro in quella casa, nessuno sapeva che eravamo ebrei. Ma lo scoprirono. Me li ricordo ancora i volti dei soldati che vennero a prenderci, le loro espressioni, le loro camminate, i loro sorrisi. Ricordo tutto.
«Mio padre ci urlò di scappare, mentre li affrontava. Sentimmo lo sparo, ma non vedemmo niente. Mamma ci fece uscire da una porta che solo lei conosceva, a quanto pare. Lei rimase dentro, affrontò due di quei mostri. Uno lo uccise, l’altro...
«Scappai con le mie sorelle, ma le catturarono. Mi urlavano di scappare, non sapevo cosa fare…»
«E sei scappata» la aiutò a concludere Helene.
Greta non riuscì a trattenere le lacrime, ne asciugò qualcuna con la manica della giacca che aveva indosso.
«Io ero con la mia… amica. Che io sappia, siamo state le prime due donne ad imbracciare un fucile in guerra. Eravamo cadute in una trappola, ci stavamo nascondendo dai nazisti, aspettando che i nostri compagni ci venissero a soccorrere. Passammo due giorni lì dentro. Capii di amarla.
«A lei diedi il mio primo bacio, con lei ebbi la mia prima volta. Il terzo giorno ci trovarono e la giustiziarono davanti ai miei occhi. Come un simpatico scherzo del destino, due secondi dopo arrivarono i nostri compagni.»
Helene riuscì a rimanere calma, quasi fredda, non versò nemmeno una lacrima.
«Mi dispiace, Helene» le disse Greta, ancora con gli occhi lucidi.
«Dispiace anche a me, Greta.»
Helene le si avvicinò e la prese in un abbraccio.
«Avremo vendetta, mia piccola amica.»
~~
Sascha seguì la donna fino ad uno degli altissimi palazzi del centro.
La donna aprì la porta per far entrare prima lui, poi riprese a fargli da guida.
«Lei è una politica tedesca?» domandò imbarazzato, Sascha, stranamente quieto, non sentiva una sorta di preoccupazione. Anche dall’esterno riceveva solo vibrazioni tranquille. Non sapeva spiegarselo.
«No» rispose lei, secca.
«Come fa a conoscermi?» domandò il piccoletto, per la seconda volta in quella giornata. «È amica di un tizio che veste elegante, alto, capelli scuri… ?»
Ma non ricevette risposta.
Presero l’ascensore e salirono molto in alto.
Sascha seguì la donna fuori, nel mentre, guardava imbambolato ciò che vedeva dalle grandi vetrate che c’erano su quel piano.
Il palazzo di fronte aveva una struttura, a dir poco, spettacolare. Il tetto aveva dei pezzi, di chissà di che materiale potente, che lo collegavano ad un altro edificio gotico sospeso nell’aria, dal colore grigio, come le nuvole che passavano.
Smise, per un attimo, di seguire la donna ed uscì fuori, su un piccolo balcone, per guardare meglio quella meraviglia architettonica che aveva davanti.
Per un breve secondo guardò in basso. Era altissimo, non era mai stato così lontano dal terreno, nemmeno quando da piccolo andava in crociera. Sotto di lui vide anche un gigantesco dirigibile metallico, forse era per uso bellico, o semplicemente doveva essere in pendant con l'architettura e l’umore locale.
«Vieni» lo richiamò la donna.
Entrarono in una stanza buia, che percorsero interamente, fino ad arrivare alla porta dall’altro lato. Entrarono, dunque, in un’altra stanza, e di nuovo andarono fino alla porta al lato opposto. Entrarono in quell’altra stanza, e fecero la stessa cosa. Entrarono, dunque, in un’altra nuova stanza, e ripeterono lo schema. Entrarono in quella nuova stanza e, fortunatamente, cambiarono scena. La donna mosse strane marchingegni che svelarono un passaggio segreto.
Camminarono per circa un minuto per un lungo corridoio buio. Alla fine c’era una lucina e, non un’altra semplice porta, ma una di quelle porte che si vedono nei caveau delle banche.
Sascha mostrò un’espressione compiaciuta e meravigliata.
La donna aprì e lo fece entrare.
Dinanzi ai suoi occhi trovò un gruppo di persone, vestite in abiti eleganti, neri, blu, sedute in una particolare composizione piramidale, quattro persone alla base, tre sopra, altre tre sopra ancora, tra cui la donna che lo aveva accompagnato, e due in cima.
«Il piccolo Sascha Stinson» esordì una giovane donna seduta al lato sinistro della seconda fila, partendo dal basso. «Finalmente lo incontriamo.»
Andando a guardare al suo fianco, Sascha vide l’uomo che aveva incontrato poco prima.
«Il cosiddetto Re, il Capitano, il Flagello, il Malaticcio» continuò un uomo seduto al lato destro della terza fila.
«Dunque, mi conoscete tutti qui. Il grande pittore austriaco sa già di me?»
«Noi non siamo del Reich, Stinson» disse la donna che lo aveva accompagnato lì.
«Siete Alleati? O di altre nazioni dell’Asse?» domandò allora, Sascha, cercando di capire chi avesse davanti a sé, e quanti guai avesse procurato facendosi scoprire nel passato.
«Nessuno dei due» disse un uomo anziano dai capelli grigi, seduto in cima.
«Siamo solo dei semplici viaggiatori, Stinson» disse il giovane uomo che affiancava l’anziano. «Proprio come te.»
«Come me?» domandò Sascha, facendo varie ipotesi sul possibile significato di quelle parole. Ne aveva uno preciso in mente, ma voleva essere sicuro prima di sparare sentenze.
«Siamo qui per avvisarti, Stinson.»
«Avvisarmi?» disse, sperando di ottenere precise delucidazioni. Sembrava volessero essere appositamente vaghi.
«Sappiamo che questo non è il tuo tempo» disse l’uomo incontrato prima.
«Anche noi siamo qui da un’epoca futura» rivelò una donna bionda seduta al lato destro della prima fila. «Più avanti, rispetto alla tua. Siamo venuti qui per te, per accertarci che tu non faccia cose che possano recare danni alla linea temporale.»
La prima cosa che pensò Sascha, fu che, al principio, aveva avuto una giusta teoria, riguardo ai possibili rischi di cambiare il futuro. Poi rifletté sul fatto che anche loro venissero dal futuro.
«E come ci siete arrivati?»
«Queste sono informazioni che non possiamo divulgare» disse l’uomo anziano seduto in cima. «Nemmeno a te.»
«Sapete io come sono arrivato?»
Tutti si guardarono, Sascha leggeva indecisione sui loro visi, stavano forse pensando a che risposta dargli? Sapevano come fosse arrivato lì ma non volevano dirglielo?
Alla fine, l’uomo anziano rispose. «Se lo sapessimo, non potremmo comunque dirtelo.»
Sperava di avere una risposta, almeno a quello.
«Scusate, se vi preoccupa che faccia casini, perché non mi riportate voi nel mio tempo?»
Di nuovo, avevano le facce incerte.
«Perché hanno paura» sentì sussurrare Sascha. Sott’occhio vide una figura rossa muoversi nell’ombra, ma quando si voltò non vide nessuno.
«Dovrai imparare da solo. Dovrai trovare un modo per tornare al presente, e in fretta, senza fare danni alla linea temporale» la donna che gli aveva fatto da guida fece una pausa, deglutì e con voce tremante continuò. «Altrimenti ci saranno conseguenze.»
«Conseguenze?» domandò l’islandese, mentre gli interrogatori videro nei suoi occhi apparire una scarica di fulmini che li fece intimorire. «Farò di tutto per non cambiare la linea temporale, lo stavo già facendo, in effetti.»
«Bene» concluse il vecchio. «Noi ti terremo d’occhio, Velocista Folle.»
Sascha annuì.
«Adesso corri via» gli disse, facendo anche un gesto con la mano, l’uomo seduto di fianco all’anziano.
Sascha li guardò un attimo perplesso, davvero poteva tranquillamente andarsene?
Ma non se lo fece ripetere, girò i tacchi e, un millesimo di secondo dopo, non lo videro più e sperarono di non rivederlo un’altra volta, o che almeno fosse ancora l’innocente e ingenuo Sascha che avevano appena visto.
~~
In seguito al forte rumore udito, Rudi si guardò intorno, avvertendo una strana sensazione alla tempia destra. Si tastò, guardò la mano e vide che stava perdendo sangue.
«Che diavolo mi è successo?» si domandava confuso.
«Prendiamo quel nero!» urlò, intanto, uno dei soldati nazisti che lo stavano guardando.
Rudi emise un urlo di spavento, dopo aver improvvisamente visto una decina di soldati armati diretti verso di lui. Non ci pensò due volte, girò i tacchi e iniziò a correre, ma inciampò, in qualcosa che non vide, sbattendo la faccia a terra. Il labbro inferiore portava il segno di quella caduta.
In fretta, si rimise in piedi, e riprese a correre come un forsennato per la capitale nazista. Era così concentrato a muovere le gambe, il più velocemente possibile, che nemmeno si accorgeva dove andasse. Probabilmente, durante la fuga, era anche passato davanti ad Hitler, o ad uno che gli assomigliava davvero tanto.
Svoltò in una stradina e, sperando che non lo avessero visto, si fermò per riprendere fiato, respirando affannosamente.
Dopo qualche secondo, però, un soldato lo raggiunse.
«Mi dai un attimo?» chiese Rudi appena lo vide. «No? E va bene.»
Gli abbassò il cappello sulla faccia, gli diede un calcio negli stinchi e poi riprese a correre, ma venne fermato da un avambraccio di un alto uomo nazista.
«Dove vai, sporco africano?»
«In realtà sarei nato e cresciuto in Francia, pezzo di merda» lo corresse Rudi, scatenando la furia del soldato.
L’uomo fece per dargli un calcio, ma Rudi fu repentino nel rotolare e scansarlo.
Si rimise in piedi e scelse di affrontare i due nemici.
Attendeva con i pugni alzati le loro mosse.
Arrivò la prima, un tentativo di pugno da parte del primo, che Rudi scansò. Schivò anche un secondo ed un terzo.
«Avanti, ammazziamo questo sporco negro.»
Preso da quella parola, Rudi non riuscì a schivare il prossimo pugno, che gli fece colare un po’ di sangue dal naso. Si riprese subito, però, dando una bella testata al soldato, che cadde a terra dolorante, col naso completamente rotto.
«Ti sistemo io» disse il secondo soldato, mentre alzava le maniche. «Poi ti farò andare in uno di quei campi, a morire insieme alla tua gente e agli altri sporchi bastardi.»
Rudi andò, deciso, contro di lui. Gli assestò due pugni in faccia, che gli fecero perdere l’equilibrio. Rudi lo prese per le spalle e lo tirò su, solo per servirgli un’altra dose di pugni. L’ultimo, colpì preciso la mascella. Il soldato dondolò, poi, si infranse a terra.
«Nazisti bianchi bastardi» disse, guardando con enorme disprezzo quei due soldati.
Diede qualche calcio ai corpi inermi dei soldati.
Si accorse delle urla che provenivano da lontano, stavano arrivando gli altri. Si coprì a dovere, e riprese a scappare.
~~
Tornato in strada, Sascha riprese a passeggiare, mentre cercava ancora di metabolizzare, mentre rifletteva sull’incontro che si era da poco concluso.
D’improvviso, però, incontrò Hans.
«Sascha?» quasi non ci credeva il tedesco.
«Hans, mi stavi seguendo?»
Si batterono le mani.
«Amico, mi sei scomparso davanti due volte» spiegò Hans, con un velato tono di rimprovero.
Gli diede uno schiaffo sul petto, ma poi lo prese e lo abbracciò, contento di rivederlo vivo.
«Sei un idiota, amico. Per quanto sia sicura Berlino è piena di nazisti. Ci siamo messi a cercare, ero con Rudi… cazzo, Rudi. Ti avevo visto di sfuggita e ti sono corso dietro, ma ti avevo perso di nuovo.»
«Capisco…» rispose così Sascha. «Mi… volevo esplorare. Non ti è sembrata strana Berlino?»
«No» rispose Hans, confuso dalla domanda. «Che intendi? È normale. Bella, nonostante il marcio che nasconde» Hans alzò la testa verso lo spettacolo architettonico che offriva quella parte della città. «La colpa non è del posto, ma di chi lo governa.»
Sascha annuì, ma, comunque, per quello che aveva studiato, era tutto tranne che normale.
«Si potrebbe quasi dire che è uno spettacolo» disse il tedesco mentre vedeva il grosso dirigibile passare in contemporanea al tram. «Qualcosa da raccontare?»
«Niente, amico, tutto a posto» disse, senza mostrare fatica nel non dire ciò che era davvero accaduto.
«Dai, andiamo» lo tirò via il tedesco, vedendolo perso.
~~
Helene e Greta attendevano vicino alla macchina.
La loro attenzione venne attirata da una strana vecchietta con la gobba e con un cappuccio che le copriva interamente il volto.
«Si è persa signora?» le si avvicinò Helene.
«Shh…» la figura si alzò di un po’ e calò frettolosamente il cappuccio, facendo sobbalzare la ragazze.
«Rudi?» rimase sbigottita Helene.
«Che diavolo stai facendo?» intervenne Greta.
«Mi sto mimetizzando» disse senza dare troppe spiegazioni.
«Certo…»
«Ti sei fatto scoprire?» domandò Helene scuotendo la testa.
«È colpa di Hans che è scomparso all’improvviso mentre cercava qualcosa senza spiegarmi niente» spiegò, abbastanza alterato.
In mente già pensava a come colpire l’amico appena lo avrebbe rivisto.
Proprio in quel momento apparvero Hans e Sascha.
«Sascha!» esclamarono le ragazze.
«Hans!» esclamò Rudi.
Greta andò subito verso il piccoletto islandese, dandogli uno schiaffo sul piccolo petto. «Dove eri andato?»
«Mi sono fatto un giro» rispose tranquillamente. «Non ho notato niente di strano» ci tenne a sottolineare, nonostante qualsiasi cosa avesse visto l’avesse considerata, appunto, strana.
«Hans!» esclamò, di nuovo, Rudi. «Per colpa tua sono dovuto fuggire da un branco di nazisti infuriati.»
«E perché?» lo interruppe.
«Perché mi avevi lasciato solo mentre cercavi chissà che cosa.»
«Cercavamo Sascha, poi ho visto i nazisti ed ero semplicemente attento a non farci scoprire» fece una breve interruzione. «Tu ti sei fatto scoprire?» scosse la testa e sorrise con l'intento di deridere l’amico.
«Ho rischiato di morire» si lamentò il francese.
«Che facciamo adesso, ci rimettiamo in marcia?» domandò Greta.
«Oh, sì» riprese la parola Hans. «Mi ero dimenticato. Quando ero lì con Rudi, avevo anche trovato un sistema per raggiungere la prossima destinazione abbastanza in sicurezza.»
Si voltò verso il francese con un finto sorriso. «Lo avrebbe potuto spiegare anche qualcun altro, se non avesse la testa tra le nuvole.»
«Come?» domandò Sascha poco convinto, speranzoso, ancora, che cambiassero idea, ma senza avere il coraggio di dirlo stesso lui di non andare in quel campo di concentramento, di cui non aveva mai sentito parlare.
Era anche abbastanza distratto da ciò che gli avevano detto quelle persone che, a detta loro, venivano da un futuro ancora più lontano del suo.
«Con un treno» spiegò Hans.
Sascha non ascoltò con attenzione, perché non potevano aiutarlo a tornare a casa? Aveva ragione la voce a dire che avevano paura di lui?
Forse era arrivato il momento di trovare il modo per rientrare.
Doveva.
Una volta finito a Rudzica avrebbe dovuto riprovare a correre nel tempo.
Ma c’erano tutti quei dubbi sulle sorti del suo presente.
Quante cose lo aspettavano a casa, quanti problemi?
E, soprattutto, chi non lo avrebbe aspettato?
Nessuna Greta, nessun Hans, ma anche nessun Rudi e nessuna Helene.
Nessuna Greta, nessuna persona da amare.
Nel pensare alla solitudine, gli tornò in mente il ricordo di quella tragica notte di quando aveva sette anni.
«Semplice, no?»
La voce di Hans lo riportò alla realtà.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top