Capitolo 7

7 settembre 1944. Sascha e gli altri erano in viaggio, nel cuore della notte.

Avevano rubato una macchina che apparteneva a Bruno, una Volkswagen a quattro porte di colore marrone.

Avanti erano seduti Rudi e Hans, con il biondino tedesco alla guida e il mezzo francese che cercava di riposare.

Dietro, le due ragazze, Greta e Helene, e Sascha provavano a fare la stessa cosa.

«In che direzione andiamo?» li interruppe, però, Hans.

«Non lo so» gli rispose, assonnato, Sascha. 

«Quale strategia potrebbe essere la migliore, per passare inosservati tra i nazisti?» domandò, ancora, Hans.

Attese per qualche secondo una risposta da parte di qualcuno. «Idee?»

«Muoverci il più veloce possibile, così che non ci vedano?» propose, poco seriamente, Helene.

«Servirebbe qualcosa di più concreto» disse Hans.

«Tu non hai niente in mente?» gli domandò Greta. «Non eri il più ferrato, quello che sapeva molte cose?» continuò con tono di rimprovero.

Intervenne poi Sascha, sempre con voce addormentata. «Perché non passiamo per Berlino?»

Hans, inizialmente, pensava che stesse scherzando.

«Chi mai si aspetterebbe di trovare dei nemici nella capitale. Solo dei folli suicidi lo farebbero.»

Si voltò di lato e chiuse gli occhi.

Hans scambiò degli sguardi incerti con Greta dallo specchietto. Alzò le spalle e tornò a concentrarsi sulla strada.

~~

«Amico?» disse Rudi.

«Ho visto. Ho visto, tranquillo, ho fatto questa strada apposta» lo rassicurò Hans.

Rudi tenne i nervi saldi e si mise appoggiato al sediolino mentre si avvicinavano al posto di blocco.

«Documenti, per favore.»

«Certo» disse Hans, con un insolito sorriso.

Il soldato controllò il documento, poi si abbassò per vedere meglio la figura.

«Il piccolo Hans? Quanto tempo. Che ci fai da queste parti?»

Hans strinse i denti e mostrò un’espressione esausta. «Viaggiamo da molto per tornare in patria. Io e i miei amici dormiglioni abbiamo provato a fare la nostra parte, forse non ne siamo in grado.»

«Non dire così, giovanotto, siete giovani, dovete solo fare esperienza. Come diceva sempre tuo nonno? “Gli sbagli ti fanno imparare”.»

«Forse hai ragione» gli sorrise Hans.

«Vai, andate» concesse il passaggio il soldato. «Salutami tuo padre se lo vedi.»

«Grazie, lo farò senz’altro.»

~~

Sascha si svegliò qualche ora dopo, un po’ acciaccato, per la poca comodità. Si mise in una posizione migliore, poi si guardò intorno. Greta ed Helene si stavano, anche loro, svegliando. Alla guida adesso c’era Rudi, e Hans, di fianco, gli dava le indicazioni.

«Dove siamo?» domandò Sascha, mentre cercava di tenere gli occhi aperti.

«A Berlino» rispose Hans.

La risposta fece svegliare, completamente, Sascha. Puntò, allibito, gli occhi verso il finestrino, poi tornò da Hans. «Berlino? Perché siamo a Berlino?»

«Tu avevi detto che era una buona idea. “Chi mai si aspetterebbe di trovare dei nemici nella capitale. Solo dei folli suicidi lo farebbero”.»

«Che in questo caso siamo noi» sottolineò Sascha, abbastanza alterato.

«Ormai siamo qui» si intromise Helene a calmare subito gli animi. «Troviamo un posto dove fermarci, facciamo provviste e sbrigandoci, magari, fuggiamo dalla capitale nazista. Prima di essere ammazzati. Senza fare casini, Hans e Sascha.»

«Perché lo dici proprio a noi?» domandò Hans.

«Già» disse Sascha. «Perché proprio a noi?»

Fecero benzina, poi fermarono la macchina in un angolo buio alle spalle di un palazzo molto alto.

Quella via era poco trafficata, vedendone lo stato dedussero che non era solo una casualità. Quella piccola strada era piena di spazzatura, macchine rotte.

Sascha sentì degli odori che mai aveva sentito in vita sua. In quel momento rimpianse che i poteri gli avessero tolto il raffredore.

«C’è il rischio che la trovino» scuoteva la testa Rudi. «E che vengano a sapere di noi.»

«Dici che qualcuno metterà piede qui dentro?» rifletté Hans. «Ci credo poco.»

Ma, per sicurezza, la coprirono con un telo trovato lì.

«Adesso fatevi seri» disse Greta. «Recuperiamo cose utili per il viaggio. Senza farci scoprire.»

«Rimaniamo uniti» disse Helene, inconsapevole di ciò che era già accaduto.

«Dov’è Sascha?» domandò Rudi.

Tutti si guardarono attorno. Del piccoletto nessuna traccia.

«Bene» disse, dunque, Greta, sorridendo per il nervosismo. «Mentre facciamo tutte queste cose, cerchiamo anche Sascha.»

~~

Sascha, intanto, si era già incamminato per le strade di quella vecchia Berlino.

Si sentiva stranamente attratto, non sapeva bene da cosa.

Entrò in un ristorante e, velocemente, ne uscì con della roba da mangiare.

Camminava tranquillo, quasi come se si fosse dimenticato dei problemi e delle difficoltà. L'unica cosa a cui dava attenzione, in quel momento, era l'architettura della città, inaspettata e meravigliosa, ai suoi occhi.

«Nei libri non viene descritta così.»

~~

Helene e Greta iniziarono a vagare per la città, erano guardinghe, attente, nascondendo la paura sotto una maschera che le faceva sembrare, apparentemente, sicure e coraggiose, senza preoccupazioni.

Osservavano le persone che avevano intorno, delle volte le sorridevano pure, erano costrette, dovevano tenere la copertura, dovevano essere gelide e spietate tedesche naziste, davanti agli occhi dei nemici.

Entrarono in un supermercato e si misero a girovagare per gli scaffali.

Helene si avvicinò a Greta per posare qualcosa nel carrello che l’ebrea stava trasportando.

«Non ti viene voglia di fargli qualcosa?» bisbigliò l’austriaca.

«Che intendi?» domandò Greta, cercando di capire le intenzioni della ragazza.

«Proprio ciò che hai capito, Greta» rispose mostrando un leggero ghigno. «Sarebbe così facile fare fuori gli sporchi nazisti presenti in questo posto. Nemmeno se ne accorgerebbero.»

Per quanto una piccola parte di sé fosse stata attratta da quella folle idea, Greta credeva che sarebbe stato meglio non scatenare conflitti. «Meglio se agiamo nell'ombra.»

Helene colse al volo il consiglio. Prese delle cose dallo scaffale di fianco e le nascose nei vestiti.

«Helene…» la guardò Greta, con le guance arrossate dalla vergogna.

Helene la rispose con un sorriso e un occhiolino.

Camminarono tra gli scaffali, nella testa di Greta frullava un unico pensiero. Volle togliersi quel peso.

«Davvero li uccideresti tutti?»

«Senza pietà» disse seria Helene.

Calò lo sguardo verso il viso cupo della ragazza ebrea.

«Tu non lo faresti alle persone che ti hanno tolto la famiglia?»

Greta, di primo impatto, avrebbe voluto dire di sì, ma era la risposta giusta? C’era una risposta giusta?

«Funziona rispondere allo stesso modo, con altra violenza?»

«Non ci stiamo comportando come loro, Greta. Ci difendiamo, ci ribelliamo. Tu faresti mai del male ad un innocente?»

«Mai.»

«Ti sei data la risposta.»

~~

Hans e Rudi si diedero come obbiettivo principale quello di trovare Sascha.

«Credi che Helene sia pronta per avere una relazione?» domandò Rudi, mentre camminava con gli occhi rivolti al cielo, pensando alla ragazza austriaca.

«Dove sarà finito quel nanetto?» si scervellava Hans. «Prima di ripartire penso ci servano dei documenti falsi per lui. E per le ragazze, se non li hanno.»

«Pensi che si sia accorta di me?» domandò, ancora, Rudi, senza ricevere risposta. «Chi prendo in giro, sono anche più basso di lei. E poi, le piacciono anche le ragazze, perché dovrebbe preferire un ragazzo. I corpi femminili sono nettamente migliori, più belli, più sensuali.»

«Dove andrei se fossi…» rifletteva Hans, si accorse, però, di non sapere molto su Sascha, d’altronde si conoscevano da poco tempo. «Cavolo.»

«Non ho speranze» disse Rudi, rassegnandosi. «Non ho speranze.»

«Rudi» provò a dargli coraggio il tedesco. «Non ti preoccupare, lo troveremo Sascha.»

Durante la ricerca, però, Hans svoltò improvvisamente verso un'altra strada.

Rudi lo guardò stranito, alzò le spalle e lo seguì. 

Hans scavalcò una recensione e si mise a studiare qualcosa da dietro un muretto di cemento.

Rudi arrivò poco dopo, abbastanza confuso dalle mosse dell'amico e preoccupato. Hans si muoveva per la capitale tedesca quasi incurante del pericolo.

«Dovremmo muoverci, Hans» disse calandosi al suo fianco. «Siamo in una zona pericolosa, rischiamo la morte da un momento all’altro.»

Hans subito lo invitò a stare zitto.

Rudi si mise, dunque, ad osservare insieme ad Hans, l'ignoto.

Dopo qualche secondo riuscì a vedere due persone, due militari che stavano parlando. Non riusciva, però, a sentire in modo chiaro ciò che stavano dicendo, al contrario di Hans, che, a quanto pare, sentiva quasi perfettamente.

Dopo circa un minuto i due soldati se ne andarono.

Hans picchiettò sulla spalla di Rudi e gli disse di seguirlo.

Scavalcarono il muro e andarono nello spazio dove prima c'erano i soldati.

Rudi si guardò intorno, non c'era niente di che, solo tre auto vecchie.

«Che diavolo dobbiamo fare qui?» riuscì, finalmente, a domandare Rudi. Con voce molto bassa.

«Non hai visto i soldati? I nazisti?»

«Certo» rispose Rudi, non molto convinto.

«Li avrai anche sentiti.»

«Certo» rispose, di nuovo, Rudi, stavolta per niente convinto. «Ma parliamone di ciò che hanno detto, no?»

«Non c'è tempo» disse Hans che pareva molto frettoloso. «Dobbiamo trovare Sascha.»

«Hai ragione» disse Rudi, portando le mani ai fianchi e annuendo con la testa, mentre studiava l'amico che si muoveva guardingo in quell'area. «E mettiamoci a fare… quello che dobbiamo fare.»

«Già, sbrigati» dal tono sembrava proprio un ordine.

Ignaro, Rudi si affiancò ad Hans nella ricerca di qualcosa, o qualcuno. Vide il biondo molto concentrato e determinato, provò a fare lo stesso, ma proprio non comprendeva le intenzioni del compagno.

Gli occhi di Hans vennero attirati lontano. «Sascha?»

Rudi si era deciso a chiedere all'amico cosa stessero facendo, cosa stessero cercando, sempre se davvero l'obiettivo era quello di cercare. Si era deciso a rivelargli che non aveva capito niente di quello che stavano facendo.

Ma non lo trovò. Era scomparso anche lui.

~~

Sascha si guardava intorno, abbastanza meravigliato. Di certo non si aspettava di trovare una cosa del genere. Una città così avanzata, per quel tempo. Una Berlino, possiamo dire, futuristica.

Batté un po' di volte le palpebre, si strofinò gli occhi, si grattò il campo mentre, con un viso concentrato, scrutava ciò che aveva lì davanti a lui. Si aspettava una città distrutta, non completamente, ma in buona parte. Invece, Berlino era perfetta, un sogno. Gli effetti dei bombardamenti erano inesistenti, o, magari, già riparati. Veniva da chiedersi se davvero Berlino avesse ricevuto dei bombardamenti.

«La guerra deve fargli bene» pensò, mentre cercava spiegazioni del perché non si fosse mai parlato, da nessuna parte, di quel posto così avanzato.

La cosa che più attirò la sua attenzione fu la linea dei tram che passava, ad un'altezza di circa venti metri, fra gli edifici più importanti della capitale. Gli ricordava molto quella che vide in un film di Batman.

Lentamente iniziò a camminare, tenendo gli occhi fissi sulla ferrovia, piuttosto che sulla macchina parcheggiata davanti a lui, ma fortunatamente, in modo del tutto involontario, ci passò attraverso. Ciò lo riportò alla realtà. Si guardava mentre era lì immobile, come un fantasma, in quella macchina, poi uscì del tutto, tornando ad avere uno stato solido.

In lontananza vide un'altra cosa davvero particolare.

Si avvicinò all'entrata di un edificio, che, dal tipo di persone che ci entravano, gli pareva essere un edificio governativo. Alcune di quelle persone pareva usassero dei dispositivi di comunicazione senza fili, o senza apparecchiatura di supporto.

«Strano» commentò Sascha, guardando quelle persone in modo inquieto.

Calmo, e attento, si allontanò.

Visioni insolite continuarono, in quel di Berlino.

Continuando a vagare senza meta per la capitale, seguendo esclusivamente il cuore, Sascha arrivò, senza accorgersene, in una zona militare.

Ad attirare la sua attenzione furono degli strani robot, alti circa mezzo metro, colorati di un grigio metallico, che molto assomigliavano ad una versione nazista di R2-D2, grazie alle svastiche ai lati delle braccia.

“Potrei portarmene uno a casa?”

Andando più avanti le sorprese non finirono.

Riuscì, senza farsi vedere, grazie alle sue abilità, ad entrare in una zona ad alto livello di sorveglianza e, sempre senza attirare l’attenzione di nessuno, si avvicinò ad un aereo.

Era gigantesco, sembrava una nave da crociera con le ali. Il corpo aveva la metà di sotto colorato di un grigio scuro, aveva delle piccole finestrelle, oblò, la metà di sopra, invece, aveva anche finestre più grandi, più illuminate, dei balconi che si potevano trovare nelle moderne navi da crociera. In alto, nel centro della fusoliera vide una grande cupola in vetro, ma non riuscì a vedere, però, cosa ci fosse all’interno.

Ogni lato aveva due ali mastodontiche, l’una sopra l’altra, e sotto di esse c’erano cinque motori. Con un totale di dieci motori per lato e un totale, complessivo, di venti motori.

Così come le parti antecedenti, anche gli stabilizzatori erano enormi. All’estremità della coda c’era un disco, con una vetrata panoramica che gli girava tutto intorno.

«Aereo da crociera» lesse dubbioso Sascha.

Si strofinò il mento, si grattò la fronte, sbadigliò e si rimise a camminare, senza essere infastidito, in quel luogo vietato.

«Uè» salutò una guardia che gli passò di fianco.

«Salve» rispose la guardia, come se fosse ipnotizzata da quel ragazzo.

«Sempre così cordiali le persone nel passato.»

Sempre seguendo unicamente il suo cuore, e il suo spirito avventuriero, entrò in uno degli edifici.

Quando gli era passato davanti, si era sentito, in un certo senso, attratto. Qualcosa dentro di lui, lo spinse ad entrarci.

Non trovò niente di che, solo uno strano aggeggio di forma rotonda, a metà perlomeno, la parte superiore era aperta, di un materiale che non sapeva ben definire. Ma, dopo aver provato a colpirlo con le nocche, poté sicuramente affermare che fosse duro.

«Ahia» accompagnò l'esclamazione ad una smorfia di dolore.

Guardò dentro… quel coso.

Vide un oggetto rotondo. Non capiva bene cos’era, ma si sentiva rapito, sentiva una sensazione che non riusciva a decifrare, era come se l’oggetto lo chiamasse.

Allungò il braccio verso di esso. Con fatica, data la bassa lunghezza del braccio, riuscì ad arrivare a toccarlo.

Quando ciò accadde, però, non successe niente. 

Sascha ritirò il braccio, un po’ deluso, e se lo guardò, tutto normale, eccetto uno strano bagliore che vide passargli lungo tutto il braccio. Un riflesso o un’illusione ottica, pensò.

Alzò le spalle e si diresse all’uscita.

~~

Fuori dalla zona militare, si fece uno spuntino e riprese a camminare, stavolta con una missione precisa, ritrovare i suoi amici.

«The Little Sascha» disse una voce alle sue spalle.

Sascha si voltò verso la voce e vide un uomo, seduto sullo schienale di una panchina, dalla carnagione chiara, con dei corti capelli neri, vestito con un abito nero elegante, forse poco moderno, per il ventesimo secolo.

«Ci conosciamo?» domandò il piccoletto, mentre diede un morso al suo pranzo.

«Non proprio, giovane Stinson» rispose l’uomo, con finta affabilità. «Ti piace qui? È un bel posto, non trovi? Colmo di opportunità, se capisci che intendo.»

Sascha non capì. «Certo…» rispose annuendo.

«Ma…» il viso dell’uomo si fece serio, pensieroso, «questo non è il tuo posto. Non è vero, Stinson?»

Una persona urtò Sascha alle spalle. Si voltò per scusarsi poi tornò dall’uomo, ma non c’era più.

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