Capitolo 3
4 agosto 1944. Sascha osservava dall’alto ciò che stava accadendo alle persone con cui aveva convissuto in quegli ultimi tre giorni.
La Gestapo aveva ormai preso tutti, li stavano portando via, verso un triste destino che lui aveva già letto.
Vedere quella scena gli fece provare molta rabbia, però, nonostante ciò, non provò a salvarli. Forse, se l'avesse fatto, avrebbe potuto cambiare il futuro e provocare danni alla linea temporale.
Non era una cosa certa, dato che non era un esperto in viaggi nel tempo, ma preferiva non rischiare.
Rimase lì, addolorato, ad osservare, fino a quando i soldati non se ne andarono.
Tante volte aveva studiato ciò che accadeva in quei tempi. Viverlo, però, ero totalmente un'altra cosa.
Dopo l'accaduto si mise a vagare pensieroso e triste per le strade olandesi del ‘44.
Mani nelle tasche, testa bassa, passo lento. Aveva degli abiti nuovi, donatogli dagli “amici” ormai persi, un pantalone verde scuro e una camicia bianca.
Scrutava silenziosamente la quotidianità di quegli anni.
Dentro di sé, sentiva tanto la mancanza della sua città, della sua famiglia.
Avrebbe potuto tentare di viaggiare di nuovo nel tempo, ma non aveva la forza mentale per provarci, non aveva la forza di affrontare un’altra possibile delusione. Già due volte ci aveva provato ed entrambe erano andate male. La prima era colpa della stanchezza derivata dal grande consumo di energia che richiedevano i suoi poteri, la seconda, invece, non sapeva spiegarsela.
Forse non ne era semplicemente in grado?
O, forse, non era pronto per tornare?
Lo attendeva l’ignoto.
Invasione aliena o alieni che avevano già conquistato la terra? E i suoi poteri? E se li avesse dovuti usare contro gli alieni? L’umanità si sarebbe affidata a lui? Sarebbe stato all’altezza delle aspettative?
Un piccolo ragazzo, quasi anoressico, probabilmente albino, con una vasta varietà di problemi in, quasi, tutto il corpo? Senza dimenticare le sue “particolarità” caratteriali.
Fino al risveglio nel passato, doveva camminare sempre con un pacco di fazzoletti, alla peggio due, nelle tasche, per il raffreddore, presenza costante nella sua vita, almeno una volta al mese aveva la febbre, l’orticaria cronica, era asmatico, senza gli occhiali da sole quasi non poteva uscire di casa, per giunta era anche daltonico.
Il destino del mondo in mano sua?
Dopo un po' sentì delle urla.
Delle persone gli passarono a fianco correndo. Voltandosi, si accorse della presenza di altri soldati nazisti, stavano inseguendo dei ragazzi.
Due furono presi dai proiettili, morti all’istante, solo una fuggiva ancora, una giovane ragazza.
Studiò immobile la situazione, immaginando ciò che sarebbe potuto succedere a quella ragazza una volta che sarebbe stata raggiunta dai nazisti.
Non pensò affatto di muoversi da lì, il corpo e la mente erano concentrati su di lei, su un’altra persona che sarebbe stata presa e privata della propria vita, davanti ai suoi occhi.
«Corri» un sussurro gli arrivò alle orecchie.
Un fulmine si accese nei suoi occhi, e corse verso la ragazza. La prese, la portò via e si nascosero dietro un edificio e, passando attraverso il muro, ci entrarono dentro. Il tutto, nel giro di un secondo.
Sascha tappò la bocca della ragazza e attese silenziosamente che i nazisti si allontanassero.
Rimasero un po' di minuti in quella posizione. Una volta appreso che se ne erano andati via, la lasciò.
Molto sorpreso, il ragazzo analizzò ciò che aveva appena fatto. «Wow! Sono passato attraverso un muro! Hai... hai visto? È… è una bella sensazione.»
Mentre lui tastava il muro attraverso il quale era appena passato, la ragazza era palesemente confusa e spaventata.
«C… Come hai...» provava a parlare mentre tremava come una foglia.
«Incredibile vero?» Sascha provò a darsi una spiegazione. «Il mio corpo si è mosso così velocemente da permettermi di passare attraverso un oggetto solido.»
La ragazza cercò di capire cosa stesse accadendo. Quasi non le sembrava reale, quel ragazzo aveva fatto una specie di… magia?
«Chi… chi sei tu?»
«Io… Io sono Sascha» rispose lui, molto gentilmente. «E tu?»
La ragazza, anche se un po' dubbiosa, si presentò. «Io… sono Greta.»
Sascha le allungò la mano.
La ragazza deglutì e, non senza timori, ricambiò.
Quando entrarono in contatto lei sentì come una scossa che le corse lungo tutto il corpo.
Greta si guardò la mano, poi guardò lui. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma non aveva più paura. Era, sì, confusa, stranita, voleva tenere le distanze, ma in qualche modo, ora sapeva che poteva stare tranquilla.
Sascha, intanto, si spalmò dell'igienizzante sulle mani, per via del contatto con la ragazza.
«Tutto a posto, Greta, è passato. Se ne sono andati.»
«Perché mi hai aiutato... non sei uno di loro?»
«Beh sì, a parte l'altezza, potrei sembrare il perfetto prototipo di razza ariana. Ma non sono tedesco.»
Greta annuì.
«Almeno credo. Ci sono molti dubbi riguardo la mia nascita.»
Guardò con molta attenzione il ragazzo davanti a lei e di nuovo gli domandò perché l'avesse salvata.
Sascha dimenticò per un attimo l'incredibile passaggio attraverso il muro e ripensò, amaramente, a ciò che era accaduto prima che arrivasse in quella strada e a quel sussurro che lo aveva spinto ad agire.
«Non lo so, forse non potevo accettare che prendessero un'altra persona in mia presenza.»
Seguì qualche secondo di silenzio.
«Hai famiglia? Dove sono…?»
Il ragazzo notò che questa domanda non piacque tanto a Greta.
«Chiedilo ai soldati» rispose, infatti, risentita.
«Quindi... non hai nemmeno una casa?»
«L'ho persa da giorni, la casa» disse con molta rabbia. Se ne accorse, si sentiva bollire all’interno, sentiva un fuoco nel petto. Non sapeva spiegarsi il perché, dopo aver represso i sentimenti per giorni, ne stesse parlando con quello strano tizio.
«Stessa cosa per i miei genitori. Sono morti, e le mie sorelle, non si sa se le hanno solo rapite, se le hanno stuprate o le hanno uccise. Ormai per loro noi ebrei siamo solo spazzatura.»
Sascha provò ad essere compassionevole. «Mi dispiace Greta. Nessuno dovrebbe subire queste cose.»
«Quei nazisti lo meriterebbero.»
In un certo senso, in un veloce pensiero, Sascha si trovò d’accordo con quelle parole.
«Hai un posto dove andare?» domandò il ragazzo, per sincerarsi che la ragazza avesse un luogo sicuro.
«Sì, qui vicino ho una specie di nascondiglio.»
«Hai cibo e acqua sufficienti fino ad apr... fino ad... suff… sufficienti per un bel periodo di tempo?»
«No, non lo so. La guerra potrebbe anche finire fra dieci anni. Adesso devo tornare al mio bellissimo rifugio» disse voltandosi verso la porta. «Grazie ancora e ciao.»
«Non devi ringraziarmi…» disse il ragazzo, con il morale che gli era sceso fino ai piedi.
La ragazza stava per andarsene, ormai era già vicina alla porta di quel palazzo, Sascha, però, per qualche motivo, sentì che avrebbe dovuto provare a darle una mano. Era una ragazza ebrea rimasta sola in uno dei periodi più orrendi della storia.
«Aspetta!» la bloccò afferrandola per il braccio. «È pericoloso. Hai visto di cosa sono capace. Potrei aiutarti per un po' di giorni.»
«Non ho bisogno di aiuto» affermò con molta convinzione Greta.
«Invece penso che tu ne abbia bisogno» insisté Sascha.
«Hai un secondo fine?» domandò lei, cercando di studiare quel ragazzo, che gli stava davanti con lo stesso sguardo che avrebbe un cucciolo abbandonato.
«Che fine dovrei avere?» rispose, non capendo cosa potesse intendere la ragazza. «Voglio solo aiutare. Non voglio rimanere con le mani in mano mentre la gente soffre. Non questa volta.»
Greta ci rifletté un attimo, posò i suoi occhi su quelli azzurri del ragazzo. Osservandolo attentamente, iniziò a pensare che, forse, fosse più lui ad avere bisogno di aiuto.
«Pochi giorni?»
«Sì, pochi giorni» promise il ragazzo.
Greta fece un sospiro. «Spero di non pentirmene. Seguimi.»
Il nascondiglio non era molto accogliente.
«Per me basta e avanza» disse la ragazza mostrandolo al nuovo ospite.
Appena entrati dalla porta c'era una stanza che faceva da salone, cucina e camera da letto tutti insieme. Più in là c'era uno spazietto, di nemmeno un metro quadrato, che veniva usato come bagno e in un angolo vide la presenza di numerose dosi di cibo e acqua.
Un inferno per Sascha, ed era rimasta solo l’ultimo dei quattro igienizzanti che si era trovato nelle tasche quando si svegliò nella Rivoluzione Francese.
“Chissà perché l’igienizzante è arrivato nel passato, ma il telefono e i fazzoletti no?”
«Ti ho preparato il letto… una specie di letto» disse la ragazza, mostrando il capolavoro. «Adesso preparo qualcosa da mangiare.»
Sascha la osservava e si domandava come mai la ragazza non fosse nel nascondiglio poco prima. Perché era all’esterno a rischiare la propria vita se aveva già il necessario per circa un mese, forse due o addirittura tre?
«Cercavo di recuperare delle cose personali. Niente di cui preoccuparti.»
Dopo aver mangiato, Greta si mise subito a dormire nel suo scomodo letto.
Sascha rimase ancora un po' sveglio.
Si guardò intorno, poi guardò Greta, e pensò a tutto ciò che stava passando la povera ragazza. Aveva perso i genitori. E le sorelle? Chissà che fine orribile gli era toccata. Aveva perso tutta. Ammirava, però, il suo coraggio, la sua forza, quella ragazza stava sopravvivendo nonostante tutto, cosa per niente semplice da fare.
In effetti, era un po’ quello che stava facendo Sascha. Anche lui stava sopravvivendo dopo aver perso tutto. Certo, per lui non era definitivo, aveva ancora un modo per riavere tutto, ma la cosa non sembrava affatto semplice. E poi, chi gli dava la certezza che al suo ritorno sarebbe stato tutto come prima? E se gli alieni avessero già ucciso i suoi cari?
Prima di addormentarsi si voltò ancora a guardare, dispiaciuto, la povera Greta, non sapeva precisamente come, ma avrebbe voluto in qualche modo aiutarla a passare quel brutto periodo, avrebbe tanto voluto farla stare meglio.
~~
Alle prime luci dell'alba, Greta, era già sveglia per preparare una leggerissima colazione, usando ciò che aveva.
Dato il rumore, anche il ragazzo si svegliò.
«Buongiorno» lo salutò lei, accennando anche un piccolo sorriso.
«Buongiorno» rispose lui timido.
«Vieni, ti ho preparato qualcosa» lo invitò a quel pezzo di legno che usava come tavolo, mostrandosi ancora un po' diffidente.
«Non dovevi disturbarti» disse un tantino imbarazzato.
«Tranquillo, nessun disturbo, e poi voi maschi non siete molto abituati a mettervi in cucina.»
«Che tu ci creda o meno, da dove vengo io, molti maschi cucinano per loro e anche bene. Se mia madre aveva bisogno, io cucinavo.»
«Carino come posto.»
Si sedettero, dunque, a mangiare.
Greta guardava Sascha, incuriosita, mentre si spalmava l’amuchina sulle mani in quella maniera così precisa, con quell’espressione così concentrata.
«Immagino sia abbastanza noioso stare tutto il tempo qui da sola, non è vero?» domandò Sascha, provando a rompere il silenzio.
«Lo è, ma purtroppo…»
Sascha pensò ancora all'incontro con lei, pensava che non avrebbe potuto rischiare di farsi arrestare, o uccidere, per questioni stupide, cibo e acqua ne aveva a vagonate, forse cercava di recuperare qualcosa di importante. La osservava sott’occhio, avvertiva la sua preoccupazione, il suo spavento.
“Vorrei tanto aiutarla ad avere risposta sulle sue sorelle.”
Ma avvertì anche qualcos’altro, un'altra mancanza, quella possibile cosa che voleva recuperare? Ne era abbastanza sicuro.
«Cosa volevi prendere ieri?»
«Niente, te l'ho già detto, era una sciocchezza» rispose Greta con aria rassegnata.
«E tu avresti rischiato la vita per una sciocchezza?» poco ci credeva il ragazzo. «Era qualcosa di importante, della tua famiglia?»
Greta sembrava non voler rispondere. Portò lo sguardo nel vuoto e scosse la testa. «Posso farne a meno.»
Sascha notò gli occhi di Greta diventare lucidi, forse avrebbe voluto piangere, ma data la sua presenza si tratteneva.
~~
Passarono giorni, che sembrarono un’eternità.
All’inizio, per la maggior parte del tempo dormivano.
Per provare a combattere la noia, Sascha portò al rifugio una televisione, rubata a qualche nazista.
Non le piegò il contorto modo con il quale riusciva a darle energia e grazie al quale riuscivano a vedere un gran diversità di canali.
I suoi poteri potevano fare molto di più di ciò che pensava.
Un dubbio, però, gli era fisso nella mente.
“Da quel che ricordo le televisioni non erano così evolute…”
Con l’arrivo della televisione, la situazione divenne meno tesa. Entrambi iniziarono a sciogliersi, a diventare più aperti con l’altro. Tanto che Greta, offrì a Sascha i libri che aveva nascosto nelle pareti.
Data la grande quantità di tempo libero, l’islandese mostrò e spiegò a Greta alcuni suoi poteri. Senza andare troppo sui dettagli scientifici, non era materia di sua competenza.
Omise, però, il fatto di venire dal futuro.
Preferì non rivelare quell’informazione.
Intanto, continuava a domandarsi a cosa mirasse Greta il giorno in cui si erano incontrati.
Non sapeva come spiegarlo, era come se riuscisse a leggerle la mente. Ogni giorno, sentiva lei pensare a quella cosa. La desiderava, qualunque cosa fosse.
Non si arrese, nonostante avesse ricevuto già tre risposte negative, capiva che si trattava di una cosa che aveva valore per lei.
«La prenderò io» le disse sicuro di sé stesso e dei suoi mezzi, forse in modo esagerato.
«È troppo pericoloso» ribatté lei.
«Non per me. Posso recuperarla. Andiamo a riprendere ciò che ti appartiene.»
«Sei pazzo?» disse lei, in tono di rimprovero. «Se ti vedono, se ti prendono…» trattenne le parole, come se non volesse dirle. «Non posso nemmeno immaginare il male che ti farebbero per studiarti.»
«Ce la posso fare» la afferrò per le spalle e fissò i suoi occhi azzurri su quelli verdi della ragazza. «Fidati.»
Greta lo guardava fisso. Dopo i giorni trascorsi insieme, quel ragazzo le era diventato quasi simpatico. C’era, ora, una sorta di affetto. Le ultime giornate, soprattutto le avevano trascorse divertendosi a guardare film in televisione, a volte anche piangendo, dipendeva dal finale del film.
Rilassò le spalle e mise da parte le preoccupazioni. Decise di rassegnarsi e provare a dare fiducia al ragazzo.
I due arrivarono a quella che, fino a poco tempo fa, era la casa di Greta, la casa della sua famiglia.
La strada era libera, c'erano poche persone in giro.
Greta cercava ancora, invano, di convincere Sascha ad abbandonare quella folle missione. «Sei sicuro di volerlo fare? Non devi per forza, non sentirti obbligato.»
«Sono, sicurissimo» come dimostrava il suo atteggiamento, non stava un secondo fermo. «Poi non credo che sarà difficile. Allora… cos'è che devo prendere?»
Greta, non molto convinta, spiegò che, nel primo cassetto a destra della scrivania dell'ufficio, avrebbe dovuto trovare una collanina d'oro. Stava per dirgli anche altro, ma Sascha corse subito dentro. Lei intanto si mise ben nascosta ad aspettarlo, non senza preoccupazioni.
«Idiota» ed era intenta a dirglielo anche quando sarebbe tornato. «Gli ho detto mezza cosa e subito è corso via.»
Tirò uno schiaffo al muro dietro il quale era nascosta.
«Idiota.»
Sascha era nella casa, era tutto sottosopra e c’erano sparse varie macchie di sangue.
“Chissà cos’è successo?”
Nei giorni trascorsi insieme, entrambi non trovarono il coraggio di chiedere cosa fosse accaduto prima del loro incontro. In un certo senso, tutti e due sentivano che l’altro non ne avrebbero parlato apertamente.
Riuscì a trovare l'ufficio, dopo aver aperto tutte le porte che esistevano nella casa, piano terra e primo piano. Nella stanza di Greta e delle sorelle ci era rimasto per ben cinque minuti, credendo che fosse quello l’ufficio.
“Forse sarebbe stato meglio rimanere ad ascoltare ancora un po’ Greta.”
Fortunatamente la collana era ancora lì, dove aveva detto la ragazza. Corse via, ma per la fretta gli cadde dalle mani, tornò e, velocemente, corse indietro a riprenderla.
Sascha ammirava il viso speranzoso di lei, appena lo vide tornare.
Le porse la collana.
Fu contento nel vederla sorridere per la prima volta da quando l'aveva incontrata.
Con enorme gioia lei la aprì.
«È la tua famiglia?» domandò timido il ragazzo.
«Sì» rispose molto emozionata. «Grazie Sascha.»
Sentirono un rumore, si voltarono. Stavano arrivando dei soldati nazisti.
Sascha, per non correre rischi, avrebbe voluto stenderli. Greta, però, non era d'accordo, il ragazzo aveva dei poteri straordinari, sì, ma a guardarlo comprese che anche una mosca avrebbe potuto fargli male.
Sascha, molto sicuro di sé, stava per correre, ma la ragazza fu, non si sa bene come, più veloce, lo prese e lo strinse forte a sé.
E menomale, in tutta la sua vita non aveva ucciso nemmeno un insetto, con le sue mani.
Per un lungo e silenzioso minuto i loro visi, le loro labbra e i loro occhi erano molto vicini. Il cuore di Sascha batteva ad una velocità incredibile, e Greta se ne accorse, calò gli occhi proprio sul piccolo petto del ragazzo. Era incredibile la velocità con cui quel cuore pompava. Alzò il volto, e i suoi occhi andarono su quelli azzurri e confusi del ragazzo. Lo guardava curiosa, affascinata.
Quel ragazzo rompeva qualsiasi regola scientifica, e lo faceva con tale leggerezza.
I soldati se ne andarono, i due rimasero ancora qualche secondo a guardarsi negli occhi, poi si lasciarono e imboccarono la strada del ritorno.
Un tantino imbarazzati da ciò che era appena accaduto.
Prima, però, Sascha si mise l’ultima goccia di disinfettante che gli rimaneva.
Se la godette.
Dopo quella non sapeva come poter fare per la sua ossessione.
Improvvisamente, però, ci fu un altro contrattempo.
Un ragazzo veniva verso di loro. Perfetto prototipo di razza ariana: alto, biondo, occhi azzurri, muscoloso.
A passo svelto si incamminava verso i due, aveva una strana luce negli occhi, dal viso sembrava un po' sconvolto, incredulo, come se avesse visto un fantasma.
Sascha non sapeva cosa fare, piuttosto che agire preferì rimanere fermo e aspettare l'evolversi degli eventi.
«Io ti ho visto… Ho visto cosa hai fatto.»
La preoccupazione, in Sascha e Greta, salì.
«Chi sei tu? Voi... chi siete?» chiedeva quel tedesco confuso, incuriosito, forse spaventato.
Sascha, non in modo convincente, provò a confonderlo. «Ehi, ehi, guardami bello... tu… tu, tu stai sognando.»
Greta si aspettava un altro tipo di risposta, una risposta molto, molto più intelligente. Ma soprattutto si aspettava che la dicesse in modo convinto, non balbettando per l’ansia, forse addirittura più spaventato di lei.
«No. Ti ho visto fare... quella cosa... tu eri lì poi sei corso qui, e tu... tu sei ebrea? Una volta credo di averti vista.»
«Te l'avevo detto che era pericoloso» sussurrò la ragazza, innervosita.
Sascha si mise davanti a lei, con l'intento di proteggerla, nel caso le cose fossero andate per il verso sbagliato.
«Lei? No, non è ebrea. Ti sarai confuso con una ragazza simile a lei. Noi non siamo degli ebrei.»
Continuò dicendo delle parole in napoletano che nessuno capì, cosa che lo lasciò perplesso.
“E mo come hanno fatto a non capirmi? Sono riuscito a parlare nella mia lingua?”
«No, tranquilli, potete fidarvi di me, sono tedesco ma non sono nazista. Mi chiamo Hans... Hans Müller. Io… io sono contro questa guerra. E ho aiutato un sacco di ebrei.»
Sascha ebbe una sensazione, provò a guardare attentamente negli occhi il giovane Hans, mentre spiegava tutto il suo curriculum. Avvertì qualcosa, e realizzò che non era la prima volta che accadeva questa “sensazione”, da quando passeggiava nel passato, ma non si fece troppe domande, magari era solo un caso.
Anche quel ragazzo tedesco avvertiva qualcosa.
Non staccava gli occhi da Sascha, era come rapito. Lo guardava con ammirazione, come se avesse visto una luce in lui. Vedeva, in quell'esile corpo, un bagliore di speranza.
«Voi siete?»
Sascha tornò di nuovo ad ascoltare il biondino. Sentiva che poteva fidarsi di lui. Ne era, in qualche modo, certo.
«Io sono Sascha.»
«Dici il tuo nome troppo facilmente» lo rimproverò Greta a voce bassa.
«Ho una specie di presentimento. Penso che potremmo provare a vedere che dice» rispose lui, sottovoce.
«Potete fidarvi di me, signorina. Io, vi ripeto, che vado contro i nazisti. Anche mia nonna che abita con me. Siamo riusciti a far scappare un sacco di ebrei.»
Dei ricordi riaffiorarono nella mente di Greta.
«Eri uno del gruppo…»
Hans la guardò meglio, ora si ricordava di lei.
Sascha era visibilmente confuso. Avrebbe voluto essere partecipe del discorso. «Che gruppo?»
«Sei il figlio di Anette.»
«E chi è Annette?» Sascha si sentiva escluso.
Hans iniziò a raccontare.
«Mio padre è un generale nazista. E mia madre, Annette, è stata uccisa, proprio da lui. Avevamo aiutato degli ebrei a nascondersi, a scappare. Lui un giorno scoprì quello che facevamo, e mia madre si prese tutte le colpe... e così l'ha uccisa. E ha ucciso tutti quelli che stavamo nascondendo.»
«So che ne aveva aiutati molti» aggiunse Greta. «Anche molti che conoscevo io.»
«Io ti riconosco adesso, ragazza. Eri… sì, eri in quel gruppo. Abbiamo aiutato un po’ di gente.»
«Che gruppo?» domandò, di nuovo, il ragazzo del futuro.
«Un gruppo di resistenza formato dall’ebrea Vitka Kempner.»
Sascha sgranò gli occhi, rimanendo a bocca aperta. «Voi siete gli Avengers? Wow.»
«Una piccola parte» rispose il tedesco. «Ci siamo divisi, qui non so se ci sono altri, oltre noi due.»
Sascha ancora non riusciva a crederci. Questa vacanza a Londra aveva dato risultati molto inaspettati, incredibili.
Notò, poi, la rabbia crescere in Hans.
«Da non sai quanto tempo desidero farla pagare a mio padre e ho visto te fare quelle cose. Tu potresti aiutarmi a vendicare mia madre. Io so usare le armi. Ti… vi insegnerò a usarle, se non lo sapete fare. So dirvi dove e quando possiamo recuperarle… potremmo organizzare un piano.»
Sascha ovviamente era in disaccordo, non voleva rischiare di cambiare il futuro. In più era anche preoccupato, per Greta.
«Non lo so, è… rischioso.»
«Ciò che accade è ingiusto. Ingiusto per me, per te e per la tua compagna.»
«Non stiamo insieme...» ma Sascha venne subito interrotto.
«Già ci vedo, Salsa» le fantasie di Hans crescevano sempre di più.
«È Sascha» lo corresse l'islandese, non venendo considerato.
«Noi. Tu e io... che cambiamo il mondo. Dobbiamo farlo, tu non vuoi vendetta?»
Greta interruppe i ragazzi e disse, molto fermamente, che voleva vendetta.
«Cosa?» esclamò Sascha, che voleva spegnere l’entusiasmo del biondo tedesco proprio per tenere lei al sicuro.
«Hanno ucciso i miei genitori, i miei amici, e Dio solo sa cosa hanno fatto alle mie sorelle. Voglio vendetta» si voltò verso il ragazzo appena conosciuto e gli afferrò il viso. «Sascha, non devi preoccuparti per me. Aiutaci, per favore.»
Sascha ci rifletté un attimo. Incrociò il suo sguardo con quello di Greta. Poi guardò Hans. Poi tornò a vagare negli occhi di Greta.
I piani sarebbero stati altri, sarebbe dovuto tornare a casa, evitando di fare modifiche alla linea temporale. Ma allo stesso tempo, sentiva che avrebbe potuto dare una mano a quei due, soprattutto a Greta. Sentì che, anche se avesse detto di no, loro avrebbero agito lo stesso, finendo poi per farsi uccidere. Nella sua testa già vedeva la scena. Forse lui avrebbe potuto evitare quel tragico finale, spegnere man mano il loro entusiasmo e poi tornarsene comodo a casa, sempre se non fosse finito in un altro periodo.
Alla fine cedette allo sguardo invocante di Greta.
«Ok, ci sto, vi fareste uccidere senza di me» affermazione che non trovò veridicità nel pensiero degli altri due. «Dovremmo essere molto cauti.»
Hans era entusiasta.
«Bene, come ci organizzeremo?» Sascha subito si mise a pianificare. «Torniamo alla tua catapecchia e ci diamo appuntamento da qualche parte?»
«Sascha…» ed ecco che arrivò l’ennesimo rimprovero. Ormai lo trattava come se fosse un figlio da educare.
«Dove abitate, scusate?»
«In un buco orribile» rispose Sascha anticipando la ragazza, che non voleva dire le precise condizioni dell’abitazione. «Davvero disgustoso.»
Greta, nascosta dietro di lui, si coprì il volto dalla vergogna.
«Ci sono. Venite da me.»
«Non vorremmo disturbare» disse Sascha. «E poi c'è tuo padre.»
«Lui non è mai a casa. Sta sempre in giro per la Germania, penso abbia trovato una nuova famiglia.»
Sascha si mise a riflettere. «Non possiamo accettare… È gratis? Accettiamo.»
Guardò poi Greta, che alzò gli occhi al cielo.
«Accettiamo» alla fine si arrese al piccoletto appena conosciuto.
«Nessuno verrà a disturbare. Essendo figlio di un generale nazista, ho parecchi vantaggi.»
I tre si diressero, quindi, a casa di Hans, dove poi avrebbero preparato i piani per le loro vendette.
«Hai sapone, alcol medico, disinfettanti e robe simili?» domandò Sascha mentre si dirigevano verso la destinazione.
~~
«Che stai facendo?» domandò Sascha ad Hans, molto concentrato a leggere delle carte, sul tavolo della cucina, con a fianco anche una mappa.
«Quando sono stati presi i tuoi genitori?» domandò Hans a Greta, la quale lo stava studiando, appoggiata al muro con le braccia conserte.
«Pochi giorni fa, perché?»
Hans schioccò le dita e andò fiero verso i due nuovi compagni.
«Ho un piano» disse stringendo i pugni. «Sentite, amici» li invitò a raggiungerlo. «Questa zona è gestita da un amico di mio padre, lui porta il conto degli arresti e… del resto. Potremmo prendere due piccioni con una fava. Potrà dirci dove trovare mio padre e potrebbe darci le informazioni sulle tue sorelle.»
Sascha si grattò la testa, sarebbe potuto essere un buon piano sfruttare le conoscenze di Hans, e pareva anche abbastanza veloce e facile da attuare.
«Dov’è questo amico di tuo padre?» domandò la ragazza.
«In Germania.»
Qui le cose cambiarono, era rischioso, rischiavano le peggiori morti possibili.
«Tranquilli, ho un piano per entrare, è tutto qui nella mia testa» Hans indicò la tempia, entusiasta. «Li conosco i polli, so come non incontrare brutti soggetti.»
Sascha avrebbe voluto ritrattare, ma era in minoranza, le sue proteste sarebbero state come una barra di metallo che prova a fermare uno tsunami.
«Per me va bene, tutto per avere risposte» disse Greta. Portò poi lo sguardo verso il preoccupato Sascha e provò a rassicurarlo. «Andrà tutto bene, andremo lì e in poco tempo torneremo.»
«Sì, Sascha, partiamo con questa missione tranquilla. Se saremo in grado, nel tempo, raggiungeremo anche Berlino e uccideremo gli altri nazisti.»
«Va bene» il piccoletto alzò le mani. «Va bene.»
«Ricorda, Sascha» Hans si avvicinò al piccoletto, puntandogli l’indice sul petto. «Tu ucciderai Hitler.»
Stava già correndo troppo.
«Vorrei definire una questione, se è possibile?» domandò, alzando la mano, come se chiedesse il permesso.
«Dici pure» lo invitò Hans.
«Io preferirei che non uccidessimo nessuno, facciamo quello che dobbiamo fare, usiamo i miei poteri, cercando di non uccidere.»
Hans e Greta si scambiarono uno sguardo, poi assentirono.
«Va bene» rispose Hans. «Uccideremo solo in casi di estrema necessità, solo in casi di grave pericolo. Ma, concedimi di uccidere mio padre.»
«Se sarà ciò che vorrai, io non ti fermerò.»
Hans indossò un cappotto.
«Andate a dormire?» domandò mentre prendeva una borsa. «Io devo uscire, rassicurate mia nonna se si sveglia.»
«Fra, aspetta» lo fermò Sascha. «Dove vai? Cosa fai? Non ti serve un aiuto?»
«No… Farò presto. Voi intanto fate ciò che volete. Ma se fate cose, capitemi, non svegliate mia nonna.»
Greta sbiancò per l’imbarazzo e si coprì il volto con la mano.
«Cose cosa?» Sascha, invece, non aveva capito.
«Cose…» provò a farglielo capire Hans.
«Cose…?»
«Sei davvero particolare» gli disse il tedesco ridendo. «A dopo.»
Sascha si voltò verso Greta. «Tu hai capito che intendeva?»
«Sul serio non lo hai capito?» domandò lei, ancora un tantino imbarazzata.
Il piccoletto scosse la testa.
Greta sorrise e andò in salone.
«Mangiamo qualcosa?» domandò Sascha seguendola.
Si sedettero dunque al tavolo in salone, l’islandese prese anche qualcosa da mangiare. Qualcosa per modo di dire.
Lui azzannava con elegante voracità il cibo, lei lo osservava con attenzione, incuriosita.
«Quindi la tua supervelocità accelera il metabolismo e ti porta a consumare più cibo e acqua» Greta era totalmente affascinata dai racconti sulle sue incredibili abilità. «Cos’altro sai fare?»
«Forse potrei correre sull’acqua e sulle pareti, ma non vorrei farmi male.»
«Mi spieghi meglio il multi… il multilinguismo?» lo invogliò, molto presa dalla questione.
«Io, mentre sto parlando, mi sento parlare nella lingua che conosco, ma in realtà sto parlando nella tua. Penso di non saper ancora controllare questo potere.»
«È davvero bello, sai.»
«Sì, è figo.»
«Come li hai avuti?»
Sascha ci pensò un attimo. Ricordò quello strano giorno trascorso nel 1789, quei strani giramenti di testa, tutto che rallentava.
«Un giorno mi ci sono svegliato. Apparsi così, all'improvviso.»
“Saprò mai come li ho avuti?”
«Hai una compagna?» domandò la ragazza dopo qualche attimo di silenzio.
«No, no» rispose lui, con un tono che fece pensare alla ragazza che a lui la cosa non interessasse. «E tu?»
«No, no» rispose lei in fretta, scuotendo la testa e alzando le mani.
Mentre Sascha teneva lo sguardo fisso sul cibo, Greta lo aveva fisso su di lui.
Quel ragazzo che, per i primi due minuti, aveva temuto, adesso, aveva completamente un altro volto. Simpatico, gentile, carino, sia di aspetto che di carattere. Ricordò la richiesta fatta qualche giorno prima, quella di rimanere per un po’ per aiutarla. Adesso sperava che rimanesse con lei per un tempo più lungo.
«Prima Hans intendeva il sesso.»
«Ah» commentò Sascha, quasi scioccato. «Maschi, pensano solo a quello.»
«Tu cosa saresti?» gli domandò ridendo mentre gli diede una spallata.
«Sono io» rispose con vanto.
Si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.
Ricordarono che sopra c’era la nonna di Hans a dormire e dunque abbassarono il volume delle loro risate.
Rimasero, per breve tempo, a guardarsi negli occhi.
«La tua famiglia?» domandò Greta.
«Difficile da spiegare…»
«Hanno anche loro subito le conseguenze di questa orrenda guerra?»
«No. Fortunatamente no. Da noi la guerra non è arrivata.»
«Un posto magnifico» commentò la ragazza, provando a immaginarlo.
Sascha storse il naso. «Gli umani rovinano tutto.»
Greta non disse niente. Se lui l’avesse guardata, però, gli occhi l’avrebbero tradita.
«La tua famiglia…»
E in quel momento arrivò Hans, interrompendo la ragazza.
«Ancora svegli?»
«Sì» dissero entrambi.
«Lo avete fatto?» domandò il tedesco, ansioso di sapere la risposta, sperando anche che fosse un “sì”.
«No!» esclamò imbarazzata Greta, passandosi nervosamente le mani tra i capelli.
«Cosa?» domandò, anche stavolta, Sascha, che poi guardò la ragazza e ricordò. «Ah… no.»
«Dove sei stato Hans?» domandò poi Greta, cercando di sviare dall’argomento.
«Buone notizie, abbiamo due nuovi membri in squadra.»
~~
Il giorno dopo accolsero, in casa di Hans, le due nuove reclute.
«Greta forse li riconosci.»
Anche loro erano del vecchio gruppo di cui lei e Hans facevano parte.
Si presentarono.
Rudi, un giovane ragazzo franco-tedesco che aveva combattuto contro i nazisti in Francia. Carnagione leggermente scura, occhi neri e capelli ricci di un castano molto scuro.
Helene, una ragazza austriaca, alta, snella, capelli lunghi castani, carnagione chiara. Prima di entrare nel gruppo, aveva lavorato per un'associazione militare segreta in Serbia, svolgendo un po' di missioni in Asia e nei Balcani.
Rudi voleva combattere il trattamento discriminatorio ricevuto per via del colore della pelle.
Helene cercava da tempo di vendicarsi di un certo Wilmut, un soldato nazista che aveva ucciso una persona per lei importante.
Hans li preparò a dovere riguardo ai poteri di Sascha.
«Che dite? Potrebbero essere d’aiuto.»
«Tu che pensi Sascha?» gli domandò la dolce ebrea.
Sascha li studiò con attenzione, quasi si perse nei pensieri dei due nuovi ragazzi.
Ancora non si spiegava il perché, ma sentiva, sapeva, dentro di sé, che erano persone di cui potersi fidare.
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