Capitolo 19

Tornati a alla base a Londra, i membri della missione nell’estremo nord della Germania, furono accolti da tanti applausi e sorrisi.

Furono contenti di trovare quell’accoglienza.

Tranne Sascha.

Mentre Wilson, Hans, Helene e tutti gli altri si prendevano i complimenti, stringevano mani e prendevano dei bicchieri con dell’alcol per festeggiare, lui rimase indietro, in disparte, a guardare.

«Non vai a prenderti i ringraziamenti?» gli domandò Hart, rimasto vicino al piccoletto.

«Non ne ho voglia» rispose Sascha.

Hart sospirò. «Neanch’io.»

L'inglese gli fece cenno di seguirlo.

Andarono fuori, nell’area d’addestramento esterna.

La giornata non era tanto cupa. C’erano tante nuvole ma si potevano vedere vari spiragli di Sole. Tirava, però, molto vento, tanto che i due dovettero abbottonarsi giubbotti che gli erano stati dati mentre tornavano.

«Cos’è che ti tormenta?» esordì Hart.

«Io… sono io» disse Sascha, ripensando a quello che era accaduto. «Cosa ho fatto? Cosa mi è successo?»

Fissava l’ampio spazio verde davanti a lui, con il cielo colorato di grigio e di rosso. Aveva le braccia conserte nel tentativo di darsi più calore stringendo il proprio corpo.

«Non ne avevi il controllo?»

Sascha ci pensò un attimo. «Non completo…»

“Lo ha lei?” pensò. Chiedendosi, poi, chi fosse quella “lei”.

«C’era Wilmut» continuò il ragazzo. «Il generale di cui ti parlammo.»

«È stato lui a farti quelle ferite?»

Sascha scosse la testa, ciò che aveva fatto Wilmut era, per lui, inspiegabile. «Era bravo, sapeva come combattermi.»

“Come se fosse stato appositamente allenato…”

La cosa lasciò sconcertati sia lui che Hart.

L’Inglese era ancora confuso dalla questione del bracciale.

“Perché era apparso il segnale e poi scomparso di nuovo?” E allo stesso tempo, si chiedeva perché non portasse segni del cambiamento riguardante le Wunderwaffen.

Sia lui che Sascha sapevano perfettamente che non sarebbero dovute esistere, “E allora perché erano lì?”.

Tornò il loop di domande, a cui sembrava non esserci soluzione.

Hart guardò sott’occhio il bracciale. Si chiedeva quando sarebbe potuto tornare a casa, quanto ancora sarebbe dovuto rimanere in quel periodo?

«Che faremo adesso?» trovò il coraggio, Hart. Voleva sapere quali fossero, adesso, le intenzioni del Viaggiatore.

«Non lo so» disse il ragazzo, scuotendo la testa. «Vedremo cosa dirà Wilson, i miei amici…»

«Porremo fine alla guerra?» Hart si stava superando.

«Questo compito non credo sarà nostro» gli sorrise Sascha. «Forse, se faremo qualcosa, sarà qualche piccola sciocchezza, adesso che abbiamo messo fuorigioco le questioni fantascientifiche. Ancora non me lo spiego, non dovevano esistere, ne ero sicuro, ne era sicuro Wilson. E non è colpa mia, sia chiaro.»

«Ti credo, amico» lo sapeva anche lui che la colpa non poteva essere sua.

“Ma allora di chi era?”

La mente di Hart vagò.

“Che ci fosse un altro Viaggiatore, che stava creando una nuova realtà… che Sascha stava involontariamente fermando?”

~~

Sascha e Hart tornarono dai compagni.

Greta teneva gli occhi fissi su Sascha, se l’era vista brutta con Wilmut.

Sull'aereo aveva visto il medico curargli due tagli, uno sul braccio destro e sull’addome, e un altro, che invece era abbastanza profondo, dietro la schiena. Aveva visto i suoi abiti, i suoi guanti, completamente sporchi di sangue.

«Wilmut è morto?» domandò Helene.

«Sì» disse Sascha. «Li ho fatti saltare tutti in aria.»

«Ma stai bene?» gli domandò Rudi, con un’espressione molto preoccupata. «Amico, secondo me devi farti un gran riposo. Il corpo è un tempio, va trattato con cura. Hai speso tante energie…»

«Riposerò, Rudi» lo interruppe Sascha. «Sto già andando adesso.»

«Vuoi compagnia?» gli si avvicinò Greta.

«No, grazie, voglio stare un po’ da solo.»

Greta assentì e lo guardò mentre si allontanava. Era la prima volta che veniva ferito, tralasciando gli allenamenti. Quei tagli potevano costargli caro, era stato fortunato.

«Se gli fosse successo qualcosa?» sentì la voce bassa di Hans alle spalle. «Chi lo avrebbe detto alla sua famiglia nel futuro?»

~~

Poco più tardi ai ragazzi furono date nuove stanze, adesso ognuno poteva avere la propria.

Quella sera, Sascha invitò Greta nella sua.

Era abbastanza grande.

Appena varcata l’entrata si aveva un piccolo corridoio di un metro, circa. A destra c’era il bagno e a sinistra c’era un armadio. Passato il corridoio c’era la parte principale con il letto, una scrivania con una sedia e qualche mobile sparso. Al muro una piccola finestra.

Appena entrò, la ragazza vide un tavolino in mezzo alla stanza, con una candela al centro e tanti piatti intorno ad essa.

Sascha la invitò a sedersi.

Non ci pensò due volte.

Con un gran sorriso stampato in volto, Greta si accomodò a quel tavolo, insieme al ragazzo che amava, per gustarsi quella cena romantica.

Se avesse saputo si sarebbe vestita meglio, piuttosto che con la tuta e la giacca per tenersi calda.

Anche se, in realtà, lei non aveva con sé abiti eleganti e nemmeno Sascha aveva abiti eleganti, aveva abiti normali.

Passarono una piacevola ora a mangiare le pietanze cucinate da Edith. Parlarono di molte cose, soprattutto del cibo, risero.

Alla fine della cena, Greta andò su domande più intime.

«A te un piacerebbe avere dei figli?»

«Sì» ammise il ragazzo. «Vorrei delle femmine e, in realtà, ho anche già in mente i nomi.»

«Davvero» Greta non se lo aspettava, e adesso era curiosa. «Quali?»

Sascha, un imbarazzato, accontentò Greta. «Allora… c’è Sarah, Sofie e, un nome un po’ particolare, Nami.»

“Sarah” ripete Greta nella sua mente, il nome di sua madre. Le si illuminarono gli occhi.

«Sono dei bei nomi, Sascha.»

«Grazie…»

Disse lui, calando lo sguardo sul piatto vuoto. Si sentiva fortemente in imbarazzo per la risposta che aveva dato.

«Tu, invece, li vorresti?»

«Mi piacerebbe tanto.»

Dopo quanto accaduto in Germania Sascha aveva solo un pensiero in testa, ed era Greta. Durante il viaggio di ritorno aveva riflettuto, a fondo, sul loro rapporto.

«Ho pensato molto a noi e… credo di essere pronto.»

«Pronto per…» domandò la ragazza.

Sascha la guadò negli occhi, le sorrideva.

«Voglio trascorrere questa notte con te.»

A Greta spuntò un sorriso e le si illuminarono gli occhi.

«Anche se probabilmente non mi piacerà» aggiunse sottovoce il ragazzo.

«Sei sicuro?» domandò lei, colta da un’improvvisa agitazione. «Sicuro, sicuro?»

«Sono sicuro» le confermò Sascha, sorridendole. «E ti conviene approfittare prima che possa cambiare idea.»

Greta si alzò, gli prese dolcemente la mano e lo portò vicino al letto.

Lo fece sdraiare, poi si mise su di lui.

Per un attimo, Sascha sentì un brivido corrergli lungo la schiena, ebbe davanti quell’immagine terrificante di quella figura nera.

Ma sparì subito.

Davanti ai suoi occhi c’era solo la ragazza che amava.

«Ti amo, Greta» disse, mentre la ragazza gli toglieva la maglietta.

«Ti amo, Sascha.»

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