Capitolo 18

22 novembre 1944. Era quasi l'alba e Wilson e la squadra speciale si trovavano in un punto sperduto all'estremo nord della Germania, che si affacciava sul freddo Mar del Nord.

Il cielo era molto cupo, l'aria quasi gelata e il mare molto agitato.

La squadra si era ben equipaggiata per tenersi al caldo, o almeno provarci. Tutti indossavano dei giubbotti pesanti, ma non troppo ingombranti, altrimenti avrebbero potuto compromettere la mobilità durante la missione.

A pochi chilometri dalla squadra c'era il posto dove avrebbero dovuto trovare nascoste le Armi-miracolose, le Wunderwaffen.

Era un'area molto vasta, composta da quattro grandissimi hangar, due torri di controllo e un'ampia pista per i velivoli.

Wilson non staccava il binocolo dagli occhi, attendeva di avere la certezza che le armi si trovassero lì.

Sascha era trepidante. Da una parte sapeva che quelle famose armi erano solo progetti fantasiosi, mai portati a termine, ma dall'altra parte temeva che, come tante cose, anche questa situazione si rivelasse diversa da ciò che aveva studiato.

Sia lui che Hart temevano che magari potesse essere lui il colpevole della costruzione di quelle armi, ma era un’ipotesi che non reggeva.

Era passato poco tempo dal suo “intervento” al campo di Rudzica, solo due mesi. Anche se quelle armi non erano così fantasiose era impossibile che avessero impiegato solo quei due mesi scarsi per costruirle. Se le avesse trovate lì, significava che erano già pronte prima del suo arrivo.

E si ritornava al principio, come era possibile, dato che non erano mai state costruite?

E ricominciava il loop delle domande alle quali non si poteva avere risposta.

«Andrà tutto bene» provò a tranquillizzarlo Greta.

Sascha la prese per le spalle. «Fai molta attenzione, stai sempre al coperto, stai sempre vicino agli altri» le raccomandò.

«Lo farò. Tu sii calmo.»

Cosa non semplice per Sascha.

Anche Hans era molto agitato. «Sei sicuro che non troveremo niente di speciale?»

«Le vere Wunderwaffen non furono mai costruite. Non dobbiamo preoccuparci troppo. Saranno cose che avrai già visto, solo leggermente migliorate.»

«Speriamo» disse sottovoce Hart.

Sascha aveva una strana sensazione, in qualche modo avvertiva che qualcosa stava per succedere, ma non voleva mostrare ai suoi compagni le sue preoccupazioni.

Greta notava il suo malumore. Dopo poco si accorse che gli occhi di Sascha stavano diventando sempre più luminosi.

Nel mentre, un hangar si stava aprendo.

Tutti fissavano attentamente.

Alla vista di ciò che uscì dall'hangar, le preoccupazioni del giovane Sascha diventarono reali.

Sulla pista si stava sistemando un bestione nero enorme, un'ala volante che misurava all'incirca cento metri.

«Cos'è quel coso?» domandò, sconvolta, Edith.

«È un semplice aereo. Molto più grande e molto più tecnologico. Non facciamocela sotto, ok?» disse Wilson, provando a infondere coraggio nei suoi.

«Quello non è un semplice aereo» disse James, mentre qualche brivido gli corse lungo il corpo.

Wilson ordinò di iniziare, cautamente, l'avvicinamento al campo.

L'islandese rimase immobile ad osservare quel coso gigantesco.

«Questo cos'è, Sascha?» domandò Rudi. 

Il piccoletto provò a non incutere timore. «Questo è… è un progetto molto comune… non era in programma ma… era comune lavorare sulla costruzione di questi cosi.» 

«Andiamo ragazzi» intervenne Helene «cosa può esserci di peggio di quelle orribili camere a gas?»

Muovendosi nell’erba alta, arrivarono all’esterno del primo hangar.

Il gruppo di Sascha entrò, non perché qualcuno lo avesse ordinato, chiesto o consigliato, ma semplicemente perché a Sascha venne d’istinto entrare.

Wilson e gli altri rimasero fuori, a valutare le possibili mosse da usare contro gli avversari.

Il giovane velocista attraversò la porta per primo. Inizialmente vide solo macchine o parti di macchine sparse. Poi andò più avanti, vedendo anche altro.

Ebbe la sensazione che un fulmine gli cadesse in testa e percorresse tutto il suo corpo.

Si abbassò il cappuccio e lo scaldacollo. Gli occhi fissi su ciò che trovò lì dentro.

Il cuore gli iniziò a battere all'impazzata, tutto intorno a lui si fermò per un attimo.

Hans noto i suoi occhi spalancati, il volto sconvolto.

«Che diavolo…» disse il tedesco, incredulo nel vedere ciò che aveva fatto sbiancare l'amico.

«Cosa sono?» domandò Helene, anche lei incredula. 

Hart li seguì, quasi ebbe un mancamento.

«Non può essere.»

Si immobilizzò, le mani nei capelli, la bocca spalancata.

Nell'hangar erano presenti, partendo dal “normale”, ben quattro carri super pesanti VIII Maus, il più grande carro mai costruito. Almeno così pensava Sascha, fino a quel giorno, perché erano presenti, oltre a questi, altri carri che non sarebbero dovuti mai esistere. 

Il Landkreuzer P-1000 "Ratte": un super carro dal peso di mille tonnellate, munito di ben due cannoni navali.

E il Landkreuzer P-1500 "Monster": un carro dalla stazza di millecinquecento tonnellate.

«Sascha, penso le tue informazioni fossero sbagliate» provò a sdrammatizzare Rudi.

Intanto, entrarono dei militari nell'hangar, intenti a mettere in funzione le armi.

«Sì preparano ad uscire» fece notare Hans. «Dobbiamo muoverci.»

«No!» ordinò Sascha. «Io sono l'unico che può fare qualcosa. Voi dovete uscire, andate fuori. Mi occupo io di questi cosi.»

«Non ti abbandoniamo» si oppose Hans. «Questa è anche la nostra missione.»

«Io ho qualche possibilità di sopravvivere, ma voi morireste di sicuro.»

«Usciremo» si intromise Greta «Usciremo. Ma non ce ne andremo, ti copriremo, ti daremo una mano da lontano. Io non ti abbandono, Sascha. Non ti lasciamo solo.»

«Non sono solo» disse il ragazzo a voce bassa, mentre intravide la donna dai capelli rossi.

Greta avvertì un brivido corrergli lungo la schiena, sentendo il compagno e vedendo i suoi occhi diventare, per un breve secondo, completamente rossi.

«State ben coperti. Non fate gli eroi. Ora andate.»

«Andiamo» disse Helene, non contenta di lasciare solo il compagno.

«Falli neri, Sascha.»

«Buona fortuna, amico» gli disse Hans prima di uscire.

«Sascha» lo chiamò Hart, porgendogli la mano. «Fa attenzione.»

Mentre usciva con gli altri, l’inglese sentì il bracciale fare rumori.

Lo guardò.

Segnalava la posizione del Viaggiatore.

“Adesso?” pensò, dopo che gli era stato vicino per tutto quel tempo.

Osservò meglio. «Non sembra indicare Sascha...»

Una volta rimasto solo, Sascha si alzò il cappuccio, alzò lo scaldacollo fino al naso e si tolse il giubbotto.

Rimasero visibili solo gli occhi, rossi come il sangue.

Il suo corpo, così come i vestiti che aveva indosso, si ricoprì di fulmini.

Preparò scudo e pugnale.

Uscì dal nascondiglio e, incurante del pericolo, si palesò ai nemici.

~~

«Wilson!» urlò Hans. «Wilson!»

«Che succede?» domandò il generale «Dov'è il vostro amico?»

Hans gli spiegò l'intera situazione.

«Sapevamo che stavano costruendo armi più tecnologiche» disse James, non capendo a pieno le frettolose parole del tedesco.

«Sì, ma… non solo. Hanno, inaspettatamente, costruito armi ben peggiori.»

«E il vostro amico?» ripeté Wilson.

«Sa come distruggerle» rispose Helene.

«Ce la farà da solo?» domandò Wilson, preoccupato ma fiducioso.

«Lui è convinto di sì» rispose Rudi.

Mentre discutevano, da un altro hangar stavano uscendo quattro strani velivoli che si stavano posizionando di fianco alla grande ala volante nella pista.

Si trattava degli Haunebu, gli ufo nazisti. Navi spaziali che, fino a poco prima, Sascha sarebbe stato sicuro di dire che fossero solo mezzi fantasiosi.

«La situazione peggiora» commentò Hart.

«Dobbiamo agire» disse Helene, pronta all’azione, caricando il fucile.

«No!» esclamò Hans «Aspettiamo e vediamo cosa fa Sascha.»

«Ok, ma proviamo a fare qualcosa intanto» disse Edith.

James guardava attento quegli ufo. Li trovò incredibili, scientificamente parlando, ma orribili. Tutto metallo nazista, con la bandiera con la svastica sulla cupola in alto.

«Impediamo che quei così spicchino il volo.» 

Tutti si domandarono come.

Edith fece notare che per il momento li avevano solo appoggiati a terra.

«E quindi?» chiese Rudi, troppo preso da ciò che gli accadeva intorno, e quindi troppo distratto.

Edith si aspettava che avessero capito. Mostrò loro che nessuno era dentro quei così.

«E quindi?» domandò, di nuovo, Rudi. «Aspetta… Finché nessuno è dentro quei così non possono volare.»  

«Bravo Rudi, io non ci sarei mai arrivata.»

«Avviciniamoci il più possibile, e non facciamo entrare nessuno» urlò Wilson alla squadra.

~~

La donna dai capelli rossi era dentro l’hangar, poco dietro Sascha.

Osservava, attenta.

In qualche modo, sapeva cosa stava per succedere, sapeva che nessuno avrebbe potuto fermare ciò che aveva scatenato.

«Chi sei tu?» domandò un soldato nazista notando la presenza di Sascha.

Non ricevette risposta, l’intruso si avvicinò a lui, inclinando la testa in un modo alquanto inquietante.

«Salite sui carri!» ordinò un altro nazista. 

Qualcuno ebbe la malsana idea di sparare un colpo di pistola contro Sascha.

L'islandese prese il proiettile tra le mani, senza sforzarsi troppo. Guardò il proiettile nel suo palmo e poi lo fece cadere a terra. Rise, in un modo che fece rabbrividire i soldati.

I nazisti iniziarono a percepire terrore, soprattutto quello che aveva rivolto la parola al giovane.

Sascha si avvicinò lentamente, sempre di più, gli sussurrò qualcosa all’orecchio, in una strana lingua, irriconoscibile, e il soldato, come pietrificato, svenne.

Sascha fece un'altra risata.

Poi si voltò verso quello che gli aveva sparato.

Il soldato tremava, ma non cedette, deglutì, come se con quel gesto avesse potuto scacciare la paura, e caricò il fucile.

Gli si affiancarono altri soldati, quasi tutti nella sua stessa situazione, due o tre che si volevano mostrare più spavaldi c’erano.

«Arrenditi, ragazzino» disse, infatti, uno di loro. «Non abbiamo paura di te.»

Sascha, allargando le braccia, li invitò a sparare.

Loro accettarono volentieri.

Una pioggia di proiettili venne indirizzata verso il ragazzo, ma nessuno andò a segno.

Sascha, si muoveva rapidamente a destra e a sinistra, tra i tanti proiettili che gli venivano sparati contro.

D’un tratto scomparve.

«Dov’è andato?»

Era dietro le spalle di colui che per primo gli aveva sparato.

Alzò la mano destra, che impugnava il pugnale, e la abbassò, infilzando la spalla del soldato.

Prese lo scudo e lo portò davanti al viso per proteggersi dagli spari.

Andò a mettersi dietro un carro e, appena i nemici caricarono i fucili, lanciò lo scudo contro di loro.

Ne colpì tre.

Corse a riprendere lo scudo, poi, lo usò come arma per recare dei profondi tagli agli altri.

«Lasciatelo a me.»

Sascha si voltò per cercare l’origine di quella voce.

Tra i soldati, si faceva spazio qualcuno.

Lo vide.

Era l’uomo che a Rudzica si era imbambolato a guardarlo.

Era Wilmut.

«Da tempo aspettavo questo momento» disse, avanzando a braccia tese verso Sascha. «Ora vieni e affrontami, ragazzino.»

Sascha, impassibile, accolse l’invito.

Afferrò il pugnale e scattò verso Wilmut.

Il generale, però, riuscì, incredibilmente, a parare il colpo.

Sascha guardava, sorpreso, il braccio del nazista che aveva bloccato la sua lama.

«Mi sono allenato anni per questo.»

Wilmut spinse Sascha e provò a colpirlo con un pugno, ma il ragazzo corse lontano.

«Dove fuggi, codardo! Vieni qui e combatti!»

Sascha gli arrivò alle spalle.

Wilmut, ancora, lo sorprese.

Riuscì ad afferrare il polso del ragazzo, lo teneva lì, fermo. Approfittò della cosa e riuscì ad assestargli due forti pugni sul volto.

Sascha provò a liberarsi, ma Wilmut teneva saldamente il polso. Lo tirò a sé e lo colpì con un calcio dritto nello stomaco.

Sascha si accasciò a terra, per un breve secondo, tenendosi l’addome, il colpo era stato davvero forte.

Corse via, riapparendo alle spalle del generale nazista, stavolta, riuscendo anche a sorprenderlo e a colpirlo con il faro di una macchina, trovato a terra.

«Presto, prendiamo i carri» pensarono i soldati, mentre osservavano, totalmente rapiti, la lotta.

Wilmut si piegò dolorante, con la mano sulla nuca, poi si voltò, infuriato.

Si mosse verso il ragazzo che, velocemente, gli lanciò contro i pezzi di vetro sparsi a terra.

Wilmut riuscì ad evitare che venisse colpito in faccia. Si tolse il vetro da dosso, frustrato, e prese il coltello.

Sascha lo fece avvicinare e, con il pugnale, parò gli attacchi col coltello da parte di Wilmut.

Prese lo scudo e riuscì ad allontanarlo per un attimo.

Il generale tornò subito e con un colpo ben preciso disarmò il ragazzo.

Con un calcio, allontanò lo scudo.

Sascha si immobilizzò a pensare se dovesse recuperare o meno lo scudo.

Wilmut non si lasciò sfuggire l’occasione.

Alzò il braccio e affondò il colpo.

Sascha se ne accorse troppo tardi, provò, dunque, a deviare il colpo con il braccio.

Vide del sangue schizzare, si guardò il braccio destro, la giacca era strappata e lasciava intravedere una lunga linea rossa.

Wilmut capì che era il momento giusto per infierire. Così, lo prese per la giacca e lo tirò su. Lo colpì subito con una serie di pugni, talmente forti da farlo barcollare, ma riuscì a tenersi in piedi.

Sascha prese il pugnale e cercò di colpire il generale, ma senza successo. I colpi dovevano averlo intontito.

Wilmut rispose con dei colpi di coltello che l’islandese riuscì a parare.

Sascha corse via, voleva prenderlo alle spalle, ma Wilmut fu, ancora una volta, astuto e veloce.

Si voltò, velocemente, e mosse il coltello nella direzione dalla quale sarebbe dovuto arrivare il ragazzo.

La lama fece un taglio lungo partendo dal fianco e arrivando quasi al petto.

Sascha si inginocchiò a terra dolorante, perdeva tanto sangue. Si guardò il guanto che aveva poggiato sulla ferita, era completamente insanguinato. Non si aspettava un avversario del genere, non si spiegava come potesse tenere testa alla sua velocità. Doveva mettere tutto l’impegno possibile per sconfiggerlo.

Ma, proprio mentre stava per muoversi, sentì una gelida sensazione dietro la schiena.

Spalancò i lucenti occhi rossi.

Trattenne quel forte urlo che tanto avrebbe voluto cacciare fuori.

Wilmut era dietro di lui e gli aveva conficcato il coltello nella schiena.

«È dura quando incontri qualcuno preparato.»

Wilmut lo rimise in piedi, tirandolo per il coltello, poi, lo spinse con un calcio, tenendo a sé il coltello.

«Mi sono preparato per anni, per arrivare qui e ucciderti.»

Sascha era a terra, adesso anche la schiena insanguinata. L’odore del sangue arrivava ostinato alle sue piccole narici.

Wilmut avanzava verso di lui, caricando la pistola, pronto per il colpo di grazia.

«Oggi consumo la mia vendetta.»

La donna dai capelli rossi era lì che osservava. Aveva gli occhi lucidi, lo sguardo serio, determinato. Allungò il braccio in direzione di quel generale nazista, si preparava a fare qualcosa.

Wilmut stava per colpire.

La donna stava per colpire.

Per Sascha, l’odore del sangue diventò, d’un tratto, piacevole.

Wilmut sparò.

Diritto alla testa.

Ebbe un sussulto.

Durante lo sparo vide un fulmine e poi… niente.

Sascha non era più lì.

Si voltò, pronto a riceverlo, ma niente.

“Che sia scappato?”

Un fulmine, vide venire contro di sé.

Gli fece fare un bel volo e lo mandò a sbattere sul carro da millecinquecento tonnellate.

Wilmut, seduto appoggiato al carro, aprì gli occhi.

Sascha era lì, con gli occhi rossi fissi su di lui.

Il generale tedesco notò anche la strana reazione che stava avvenendo sul corpo del ragazzo. Una specie di luce si espandeva e si rimpiccioliva a ripetizione partendo dalla zona dello stomaco.

Il piccoletto si allontanò, mentre i soldati, vedendo Wilmut steso, tornarono a puntargli le armi contro.

Sascha allungò un braccio nella direzione del generale, tenendo il palmo e le dita rivolte verso il basso.

Wilmut osservava con attenzione, mentre cercava di trovare le forze per rialzarsi.

Si sentì un’esplosione.

A rallentatore, Sascha vedeva il pavimento sotto di loro distruggersi, facendo spazio alle fiamme dell’esplosione che aveva fatto nascere.

Esplodevano i carri, scomparivano dando spazio alle grandi fiamme.

Vennero raggiunti anche i soldati, con i loro corpi che venivano carbonizzati.

Rimase lì, così veloce, ma fermo.

Si godeva ciò che aveva creato.

~~

Gli alleati di Sascha, fuori, si stavano avvicinando furtivamente agli ufo.

Si accovacciarono dietro il muro dell’hangar.

Wilson alzò il pugno e andò a nascondersi dietro a delle Jeep parcheggiate davanti all’hangar degli ufo.

James e Hans lo seguirono.

Wilson fece segno di tenere le armi cariche.

Poggiò il suo fucile alla portiera della macchina, lasciando visibile la fronte.

«Sparate!»

Il generale diede inizio alle danze, seguito da James e Hans, e dagli altri, rimasti riparati dietro l’hangar.

Mentre loro sparavano ai nazisti, Hans provava a colpire gli ufo.

«Penso che ci vogliano armi migliori per quelli.»

La situazione era vantaggiosa, anche se i proiettili non erano sufficienti, per numero e potenza, per abbattere gli ufo nazisti, erano abbastanza per mettere fuorigioco i soldati.

Un rumore li attirò in lontananza, tre carri armati stavano uscendo dall’hangar in cui era entrato Sascha.

«Arrivano alle spalle!» gridò Hart.

Sia lui che Rudi si voltarono e spararono contro.

«Se questi sparano per noi è la fine» Helene provò a dare copertura lanciando qualche bomba fumogena.

Anche Wilson si voltò e vide i carri avvicinarsi. Tornando a guardare gli ufo, notò che anche la grossa ala volante si stava girando verso di loro.

«Ne arrivano tanti, signore» disse James, vedendo anche i tantissimi soldati che arrivavano.

«Nell’hangar!» ordinò il generale. «Tutti nell’hangar!»

Helene e Rudi lanciarono altre bombe fumogene, così da coprire la loro ritirata nell’hangar.

Appena tutti furono dentro, Wilson e James chiusero anche il portone.

«Speriamo regga.»

Poterono tirare un sospiro di sollievo.

«Ci sono delle armi qui» avvisò Edith. «Anche munizioni.»

«Prendiamo il possibile, prima che arrivino» diede fretta Hart.

Tutti si avvicinarono all’angolo in fondo dell’hangar dove c’erano svariati fucili, pistole, un tavolo pieno di proiettili, qualche granata, bomba fumogena.

«Siamo stati fortunati» disse Wilson, studiando minuziosamente le armi.

Hans si avvicinò ad un grosso tubo con una fascia. Ci si piegò vicino pensando di prenderlo, ma lo lasciò lì.

«Penso sia esagerato.»

«Spero che Sascha stia bene» disse, nervosa, Greta, mentre si riempiva le tasche di caricatori.

«Starà bene» provò a rassicurarla Hart. «Di certo meglio di noi.»

D’un tratto sentirono un boato.

Silenziosi, si guardarono tutti attorno.

Sentirono un altro boato.

«Teniamoci pronti» disse Wilson trovando una posizione buona dove ripararsi. «Non so quanto resisterà quel portone.»

«C’è una porta sul retro» notò Rudi, ma purtroppo era bloccata.

Un carro sparò un altro colpo che mandò giù mezzo portone.

Wilson e gli altri si misero subito a riparo dietro un muro che separava l’hangar principale dall’uscita di sicurezza.

Solo Hans non li seguì, andò a prendere la grossa arma e se la mise a tracolla.

Nel mentre, i soldati entrarono.

Hans andò ad aiutare Rudi con la porta, mentre gli altri facevano fuoco di copertura.

«Provo ad usare questo» disse Hans, afferrando la grossa arma che aveva sulle spalle.

«Ci ucciderai tutti con quel lanciarazzi.»

«Voglio rompere la porta, idiota. La colpisco con l’arma senza sparare nessun razzo.»

Si iniziarono a sentire suoni provenire da sopra le loro teste.

«Non mi piace affatto» commentò Edith.

Mentre il piano di Hans sembrava poter funzionare, i carri distrussero anche l’altra metà del portone e il tetto fu completamente raso al suolo dai colpi di mitragliatrice dell’ala volante.

«Fate presto!» li invitò Hart. «Prima che torni.»

Hans continuava a colpire la porta.

I soldati all’interno aumentavano, e, intanto, stava entrando anche uno dei carri.

Helene alzò lo sguardo al cielo.

L’ala volante stava tornando.

Hans e Rudi ci stavano mettendo tutta la foga possibile.

«Arriva!» gridò James.

L’ala volante iniziò a sparare i colpi.

Si faceva sempre più vicina.

I soldati, troppo numerosi, si facevano vicini.

«Helene!» la tirò a sé Greta, sparando un colpo in testa a un soldato.

«Fatto» urlò Hans.

Buttarono giù la porta e corsero verso di essa, mentre un carro sparò e l’ala voltante volò sopra le loro testa con la mitragliatrice che sparava a raffica.

Quando il fumo si dissolse, uno dei soldati si affacciò per controllare.

«Sono fuggiti!»

Correvano lontano, verso il punto da cui erano entrati.

Hans si guardò alle spalle, li avevano visti, ma erano abbastanza lontani da poter trovare un riparo e poi tornare a combattere.

«Non puoi sparare con quel coso?» gli domandò Rudi.

«Ho solo un colpo, devo usarlo bene.»

Arrivarono alla collina appena fuori dal complesso.

Presero posizione dietro gli alberi e le rocce.

Si girarono verso il campo e un missile passò poco vicino a loro.

«Al riparo!» urlò Wilson, vedendo che ne stavano arrivando altri.

In aggiunta, si unì l’ala volante con la sua mitragliatrice e i soldati, sempre più vicini.

Non avevano modo di sparare, di rispondere al fuoco. Mettere la testa fuori significava morte.

«Ci accerchieranno!» urlò James. «Dobbiamo trovare un modo.»

Prese coraggio, si alzò e provò a raggiungere un punto migliore, ma venne colpito da colpi della mitragliatrice dell’ala volante.

Cadde a terra dolorante.

Riuscendo a non farsi vedere, Helene strisciò verso di lui, lo bloccò e gli coprì la ferita.

«Non possiamo fare niente» disse, sconfitto, Hans, rivolgendo lo sguardo a Rudi, che aveva la sua stessa espressione.

«Non arrendiamoci, ragazzi!» urlò Wilson.

Dentro di sé, però, il generale era tutt’altro che positivo. Vedeva i nemici farsi sempre più vicini, numerosi e pericolosi. Le probabilità di uscirne erano poche.

Aveva sbagliato, quella missione era troppo grande per quei ragazzi. Quelle armi le aveva sottovalutate, gli studi, gli appunti, erano sbagliati.

Erano in quel guaio, ed era colpa sua. Se doveva accadere qualcosa, doveva accadere a lui, non a quei giovani, loro avevano un futuro.

“Come posso salvarli?”

Arrendersi non sarebbe bastato, avrebbero ucciso tutti lo stesso.

Greta guardò Hart. «Devo raggiungere Sascha.»

Hart la bloccò subito. «Come? Ti farai uccidere.»

«Non mi interessa» ringhiò lei. «Devo andare, devo…»

Altri due razzi volarono vicino a loro.

Hart tenne Greta a sé.

«Verrà lui» le disse. «Ne sono sicuro, verrà lui.»

Sentì il bracciale emettere un altro rumore.

Il segnale del Viaggiatore era sparito.

Il rumore di una violenta esplosione, attirò l’attenzione di tutti.

«Cos'era?» si domandò Greta, preoccupata per il compagno.

Pochi istanti dopo ci fu un altro rumore fortissimo.

Il carro da millecinquecento tonnellate uscì dall'hangar, non dal punto dal quale sarebbe dovuto uscire, rotolando e bruciando.

Dopo qualche capriola si fermò e poi si distrusse definitivamente con una violentissima esplosione spargendo i suoi pezzi ovunque.

«È stato lui?» domandò Helene, rimanendo a bocca aperta.

I soldati, i carri, l’ala volante, tutti, cambiarono bersaglio.

«Eccolo» disse Hart.

Sascha uscì portando a spasso uno dei carri super pesanti e correndo dagli altri tre, impegnati dai compagni.

«È la nostra occasione!» urlò Wilson.

Ripresero le armi e avanzarono di nuovo contro i nemici. Presi alla sprovvista dopo l’entrata in campo del velocista.

Sascha correva contro uno dei carri. Respinse un razzo con lo scudo. Il carro ne sparò un altro, ma lo afferrò al volo, fece una piroetta su se stesso e lo rispedì ai proprietari, facendoli saltare in aria.

L’ala volante passava sulla testa di Sascha sparando a raffica, ma non riuscendo mai a prenderlo, mentre gli altri soldati correvano verso gli ufo.

Wilson e gli altri attendevano proprio questa mossa.

A debita distanza, tenevano i fucili puntati verso quegli ufo e spararono a chiunque ci si avvicinava.

Sascha sentì l’energia esplosiva crescere, di nuovo, in sé. Mirò il braccio verso un altro carro e sprigionò una grande e violenta scarica di energia esplosiva.

Del carro non rimase quasi niente.

Avvertì qualcosa alle sue spalle, si voltò e scansò il razzo dell’ultimo carro rimasto.

Li invitò a sparare di nuovo e approfittò dei loro razzi per distruggere uno degli ufo.

Corse verso quell’ultimo carro, resistendo ad un bel po' di tentativi di colpi, ci passò dentro e arrivò dove stava il motore che, appena entrò in contatto con lui, esplose.

Greta, Hans e la squadra si distrassero dal compito di fermare i soldati dal prendere gli ufo e ammirarono, increduli, l’esplosione.

Un grande fungo si formò, salì a circa venti metri d’altezza, tornando verso il basso con una violenza e una velocità impressionante.

Tornarono a sparare ai soldati, ma dovettero fermarsi.

Sascha arrivò e in mezzo secondo, distrusse gli ufo e uccise gli ultimi nazisti.

Si fermò al loro fianco, davanti gli sguardi scioccati.

Unica Wunderwaffen rimasta era l'ala volante che però aveva appena spiccato il volo.

Stava scappando.

«È andata» disse Edith dandosi per vinto.

Ma poi, Hans mirò il lanciarazzi verso di essa e, mentre sparava, Sascha lanciava una scarica fulminea sull’arma.

Il razzo partì alla velocità della luce.

Arrivò a colpire l’ala volante, facendola esplodere e scatenando un’onda d’urto che arrivò fino a terra.

~~

Era finita.

Le armi erano state tutte distrutte.

Sascha, un tantino esausto, si sedette per terra. Era così stanco che non si preoccupò nemmeno delle condizioni igieniche del terreno.

Si abbassò il cappuccio e lo scaldacollo.

Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si mise a guardare il vuoto.

Greta si mise al suo fianco, anche lei esausta.

Sascha poggiò la testa sulla sua spalla, poi le prese la mano. Greta guardò i suoi occhi e li vide tornare azzurri, il loro colore naturale.

Wilson, dopo un brevissimo riposo, usò una radio e contattò l'esercito britannico per chiedere soccorso. 

Gli aiuti arrivarono dopo circa tre quarti d'ora.

Dei soldati setacciarono l'intera zona, mentre Wilson e la sua squadra speciale salivano su uno degli aerei arrivati per riportarli in Inghilterra.

Sascha non riuscì a staccare la mano di Greta, sentiva il bisogno di averla vicino.

«È finita, è andata bene» provò a rassicurarlo la ragazza.

Una volta che tutti furono a bordo, l'aereo partì.

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