Capitolo 16

Sascha e i suoi amici, accompagnati da Hart, Edith e James, un ragazzo sui ventisette anni che aveva fatto l’addestramento con loro alla base di Wilson, avevano il compito di rapire Dietrich, il principale artefice del progresso nazista in ambito scientifico e militare. Catturarlo sarebbe stato una bella batosta per l’impero di Hitler. Farlo in modo silenzioso, senza attirare attenzioni indesiderate, sarebbe stato anche meglio.

Il palazzo in cui il folle scienziato si nascondeva era maestoso. Colorato in modo tale che potesse sembrare essere costruito in oro, ma gli occhi più attenti potevano notare che erano semplici pietre colorate.

Lo avevano di fronte, mentre limavano i dettagli nel retro del camion che avevano nascosto tra la flora locale.

James si autoproclamò capo. «Bene, la cosa più importante è che non dobbiamo farci scoprire.»

Sascha storceva un po’ il naso dato che per tutto quel tempo si considerava come unico e indiscusso capo.

«Tranquillo, amico» lo rassicurò sottovoce Hans, non prestando attenzione alle parole di James. «Sei tu che comandi. Noi facciamo come sempre, tu dici a me le tue idee e io riferisco agli altri.»

«Come lo troviamo in questo posto gigantesco?» domandò Edith.

«Dovremmo per forza dividerci.»

«Io potrei…» provò a dire Sascha, venendo interrotto.

«Niente poteri» lo intimò Helene.

«Dentro penso ci siano un bel po’ di persone» dedusse Rudi ricordando la sfilza di macchine viste appena arrivarono.

James riprese la parola. «Ci dividiamo in coppie, così potremmo setacciare una vasta area simultaneamente, prendiamo Dietrich e fuggiamo via.»

«Ci serve un segnale per andarcene» intervenne Rudi. «Se qualcuno prende lo scienziato, gli altri come fanno a saperlo?»

«Ci stavo arrivando…» rispose James, guardando Rudi in malo modo.

Tutti osservavano James, in attesa del grande stratagemma.

Sott’occhio, James vide Sascha scavare nelle borse e studiare un’insolita pistola.

«Chi trova Dietrich torna qui, sul camion» afferrò Sascha e mostrò agli altri la pistola lanciarazzi che aveva in mano. «Questa sarà il segnale, ma ci potrebbe essere il rischio che qualcuno ci veda, o che voi non la vediate, quindi state attenti e tornate al camion di corsa. Se le cose si complicano non sarà un problema lasciarvi qui, e dovrete fare lo stesso con me.»

Sascha pensò che la sua potesse essere una scelta drastica, anche perché, così facendo, avrebbero regalato ai nazisti persone che conoscevano piani di battaglia per contrastarli.

Presero l'occorrente e scesero dal camion.

James scelse le squadre.

«Helene con me…»

«Perché?» protestarono Rudi e Hans, chi per un motivo, chi per un altro.

«Mi sembra quella più seria e preparata.»

Non poterono dargli torto.

«Hans con Edith, Rudi con Greta e Sascha con l’altro inglese. Muoversi.»

Si divisero e raggiunsero diverse possibili entrate del palazzo.

Hans e Edith usarono l’entrata di servizio, Rudi e Greta entrarono da una finestra lasciata aperta, Helene e James scovarono un portellone nascosto nell’erba, mentre Sascha e Hart usarono la porta principale.

~~

«Questa deve essere la cucina» disse mentre studiava l’ambiente circostante Edith.

«Credo di sì» disse con tono freddo Hans.

Edith lo guardò per un attimo, accortasi del suo atteggiamento distaccato. Lo aveva notato già da dopo quel pomeriggio che trascorsero a letto insieme. Si domandava se lo avesse davvero ferito, se avesse non compreso i suoi veri sentimenti.

Scosse la testa, non era il momento di pensare a cose del genere, aveva una missione da svolgere.

Uscirono dalla cucina lentamente, non c’era nessuno sulla loro strada.

«Prendiamo le scale» sussurrò Edith.

«Ci avevo già pensato» le disse irritato il biondino tedesco.

Guardò ai lati e si avviò, senza Edith.

Rimase lì impalata, enormemente infastidita.

Guardò ai lati e raggiunse Hans, già in cima alle scale.

«Grazie per avermi aspettata» disse sarcastica.

«Di nulla» le fece un finto sorriso.

~~

Rudi aiutò Greta a entrare in quella stanza.

«Chiudi la finestra» consigliò Greta.

Attentissimo, Rudi obbedì.

«Secondo te James vuole provarci con Helene» domandò Rudi, appena si voltò verso di lei.

«Non me ne frega niente in questo momento» bisbigliò lei.

«Cazzo.»

Si muovevano e parlavano cercando di fare meno rumore possibile.

«Che stanza sarà?» domandò Rudi.

«Credo sia una stanza da letto?»

Adocchiando la stanza videro un divano sulla destra, una scrivania sulla sinistra e un grande tappeto nel centro, totalmente fuori luogo con i colori scuri della stanza. Ritraeva un paesaggio verde con un piccolo fiume nel mezzo con un ponte che collega i due lati.

Si avviarono, in punta di piedi, verso la porta, quando Rudi sussultò e si appoggiò alle spalle di Greta. Fece spaventare anche lei.

«Oddio, c’è qualcuno sul letto, c’è qualcuno.»

Greta guardò meglio.

Non se n’era accorta del letto vicino alla scrivania.

Si voltò furiosa, afferrandolo e scuotendolo. «Idiota che non sei altro, per poco non mi facevi venire un colpo.»

«Scusa.»

Arrivarono alla porta e la aprirono lentamente. Videro le scale che portavano sopra.

«Potremmo anche continuare sul piano, sai?»

Greta si voltò, interessata ad ascoltare la proposta di Rudi.

«Converrai con me che ci hanno accoppiati male, siamo la coppia debole, i piani superiori lasciamoli agli altri, giù troveremo meno sicurezza perché chi lascia le cose importanti al piano terra? Nessuno. Faremo comunque la nostra parte. Affrontando ciò che siamo in grado di gestire.»

A Greta uscì un sorriso furbo. Rudi aveva ragione.

«Mi piace. Non per fare la codarda, ma guardiamo in faccia alla realtà, siamo i due più scarsi.»

«Senza offendere, grazie.»

«Seguiamo il tuo piano.»

Peccato che, riguardo alla sicurezza, Rudi si sbagliava.

~~

James ed Helene camminavano sottoterra.

Seguirono per qualche minuto il corridoio principale, senza dare troppa importanza alle tante vie laterali più piccole, videro delle scale che portavano su.

Salirono, trovando solo un muro.

«Aspetta» disse Helene, con James che era già pronto a tornare indietro per seguire le altre vie sotterranee.

Mise le mani sulla parte, riuscendo a muovere qualcosa e a rivelare un’apertura.

Si trovarono in una stanza.

«Siamo dalla parte opposta del palazzo» dedusse James guardando la grande vetrata che si ritrovò davanti.

«Penso sia un ufficio» disse Helene andando verso la scrivania. «Forse è quello di Dietrich.»

«Vediamo se troviamo qualcosa di interessante.»

«Ascolta bene, James» raccomandò l'austriaca. «Potrebbero entrare da un momento all’altro.»

~~

Sascha e Hart entrarono, appunto, dalla porta principale, dove fortunatamente non c’era nessuno.

«Quella deve essere la cucina» disse Sascha, appena misero piede all’interno.

Hart lo seguì confuso.

Mentre lui era preoccupato che potesse accadere qualcosa, qualcosa anche di magari così grave da rompere il tempo, Sascha voleva solo trovare qualcosa da mettere sotto i denti.

Entrarono in quel luogo freddo, grigio e metallico.

«Mi sembra di avere molta più fame ultimamente» disse, togliendo lo scudo dalla schiena per poggiarlo un momento a terra e aprire qualsiasi cosa in cerca di cibo.

«Allora», Hart voleva approfittare del fatto che fossero soli e capire meglio le intenzioni del Viaggiatore, «non ti preoccupi di poter cambiare il futuro?»

Si pentì subito, forse era stato troppo diretto.

«Mi sono spesso fatto una domanda: vale la pena?»

Hart fu sorpreso dalla risposta.

«Siamo ad un punto in cui qualsiasi cosa faccia, ormai… che cambiamenti rischio di fare? Se cambio qualcosa adesso, sapendo ciò che potrei fare, cosa cambierei alla fine, oltre alle tempistiche?

«Cosa sto facendo di male, Hart? Sto solo salvando delle vite, la guerra sta proseguendo normalmente. È un così grave problema salvare degli innocenti? Il tempo è così importante, se dopo c’è solo distruzione e guerra?»

Hart, se da una parte era contrario per via del suo lavoro, dall’altra lo capiva perfettamente, era la stessa domanda che si faceva lui da tempo.

Doveva difendere la storia, di preciso, da tempo si occupava insieme ai suoi colleghi di difendere dai viaggiatori temporali un’invasione aliena. Ma si era sempre chiesto il perché.

“Perché difendere quella storia se decretava la fine della razza umana?”

Miliardi e miliardi di morti.

Forse Sascha aveva ragione.

L’islandese chiuse l’ultimo mobile.

«A te che mi sembri un esperto, posso farti una domanda?»

«Dimmi pure» disse Hart, curioso.

«Sulle ragazze.»

Ad Hart quasi venne un colpo.

«O sui ragazzi… sentimentale.»

Hart lo invitò a proseguire.

«Mi imbarazza un po’ parlarne ma… io provo un forte sentimento per Greta, ma non provo un certo… sentimento.»

Hart aveva una faccia concentrata e provava a decifrare ciò che aveva detto il ragazzo.

«Lo hai mai provato per qualcun’altra?»

«No» rispose secco il piccoletto. «Questo è un sentimento che non ho mai provato e che credo di non saper provare.»

Hart sospirò, rifletteva cercando le parole giuste.

«Credi che potrebbe essere una mancanza per lei?»

Hart si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla spalla.

«Dovresti parlarne con lei, Sascha. Dovresti capire se vuole questo sentimento da parte tua.»

Sascha ricordò i recenti avvenimenti e dedusse che non c’erano segnali che dicevano che lei volesse certe cose da lui.

O magari c’erano ma non sapeva accorgersene.

«Non sei stato molto utile.»

Sascha aprì il mobile che aveva vicino e porse ad Hart una bevanda.

«A che sentimento ti riferisci, comunque? Mi sembrate molto legati e tra di voi, ad essere sincero, vedo tanto amore.»

Sascha portò lo sguardo al soffitto. «Come posso dirlo in modo non volgare? Il sentimento carnale.»

Ad Hart quasi andò di traverso il sorso di quella bevanda frizzante ma rinfrescante.

«Credo di non provare quel sentimento.»

«Magari sei asessuale.»

Sascha si bloccò un attimo. «Strano, credevo che il termine fosse stato inventato nel ‘48.»

Hart sbiancò, poteva costargli caro quell’errore.

«Forse ricordo male.»

Si riempì le tasche e si avviò verso la porta.

«Cerchiamo quel maledetto scienziato.»

~~

Hans e Edith salirono fino al terzo piano riuscendo a scansare un bel po’ di guardie.

Entrarono nell’ennesima stanza e frugarono dappertutto.

Purtroppo, andava considerata una possibilità, come aveva detto Wilson, ovvero che Dietrich poteva non trovarsi in quel palazzo e nel caso sarebbe stato comodo trovare tracce su dove sarebbe stato possibile trovarlo.

«Ho trovato dei disegni» disse Hans prendendo in mano dei fogli.

«Anche io.»

Quella stanza stava dando più frutti, rispetto alle altre. Era da vedere, però, se quei frutti fossero maturi o meno.

«Credo che siano quelle armi di cui parlava Wilson» disse Hans, studiando attentamente le carte.

«Credo di sì» disse Edith.

Entrambi piegarono i fogli, li nascosero nelle loro tasche e ripresero a cercare.

Trovarono altri disegni di quelle strane armi, di veicoli molto avanzati, trovarono anche dei documenti.

«Ho le coordinate precise per le armi» annunciò Edith raggiungendo Hans per fargliele vedere.

«Così adesso non dovremmo vagare per qualche ora, senza una precisa meta, nell’estremo nord della Germania.»

«Magari potresti trovare per la strada qualche ragazza, o qualche donna sposata che ti tenga compagnia.»

Hans non accettò volentieri il commento, avrebbe tanto voluto darla in pasto alle guardie.

«Fortuna che avevi detto che non giudicavi…»

Edith gli andò incontro a muso duro.

«Infatti non giudico», iniziò a dire puntandogli l’indice sul petto, «ma non mi va a genio che tu faccia l’idiota.»

«Dovrei fare finta di niente?» Hans allargò le braccia incredulo. «Mi hai ferito. Con te ci stavo provando per davvero, per qualcosa di serio, ma mi hai detto di no. Come mi ha insegnato il mio amico, anche noi uomini abbiamo dei sentimenti e tu hai ferito i miei.»

Iniziarono ad urlare. Dimenticandosi che si erano infiltrati in una zona altamente sorvegliata.

«Cosa dovevo fare, dirti di sì?»

«Magari potevi essere sincera, dire che tu non eri pronta o non eri capace di una cosa seria, invece di mettere in mezzo la questione della Svizzera, andando contro la cosa del non giudicare e dicendomi che non pronto.»

«Se l’ho detto», disse andando faccia a faccia con il tedesco, «è perché è vero. Non sei pronto.»

«Invece sì» rispose accettando lo scontro a cui lei lo stava invitando.

«Razza di idiota.»

Edith allungò le mani sul suo collo e tirò volto a sé per poterlo baciare.

~~

Helene e James uscirono da quello che, probabilmente, era l’ufficio di Dietrich e si diressero verso le scale che avevano davanti.

Mentre loro salivano, passarono di fianco le scale, Rudi e Greta che andarono a chiudersi nella stanza dalla quale gli altri due erano appena usciti.

Chiusero la porta silenziosamente.

Greta si sedette a terra, con la schiena poggiata alla porta. Inclinò la  testa all’indietro, si passò le mani sul volto e poi nei capelli.

Rudi la osservò, poi si voltò notando le enormi librerie che circondavano la stanza, dipinta di un blu molto acceso.

«Colorata.»

Andò vicino alla scrivania e si accomodò su una sedia, respirando affannosamente.

«Dovevano esserci meno guardie?» disse Greta irritata.

«Forse ci siamo sbagliati.»

«Siamo?»

«Mi sono sbagliato» si corresse Rudi. «Forse vorrà dire…»

«Cosa?» gli lanciò un'occhiata, seccata, Greta.

«Dietrich è su questo piano.»

I loro occhi si incontrarono e si illuminarono. Nelle loro teste già si stava formando il piano perfetto.

Fino a quando non sentirono delle voci provenienti dall’esterno.

«Siamo fottuti» disse Rudi, arrendendosi al destino.

«Abbi un po’ fiducia» lo sgridò Greta. «Troviamo un posto dove nasconderci.»

Si alzarono e setacciarono l’intera stanza.

Rudi trovò il passaggio segreto, lasciato socchiuso dai due che erano appena usciti.

«Greta» le fece segno di seguirlo.

Aprirono il passaggio, si infilarono dentro e lo chiusero, non completamente.

Sentirono varie voci, una delle quali chiamò Dietrich, forse era entrato anche lui nella stanza.

Da ciò che riuscirono a sentire, capirono che Dietrich stava prendendo un libro e dopo sarebbe andato nella sua stanza a leggerlo sul letto.

Sentirono la porta sbattere.

Si guardarono negli occhi, chiedendosi se potevano uscire.

Cautamente, riaprirono il passaggio segreto.

Non c’era nessuno.

«Andiamo a prendere Dietrich» sussurrò Greta.

La ragazza si voltò verso Rudi, intento a chiudere il passaggio.

«Non chiuderlo, usciamo da qui.»

«Va bene» disse Rudi muovendo energicamente la testa.

Il francese prese uno dei tanti libri presenti in quell’ufficio e lo usò per bloccare la chiusura del passaggio.

Andarono verso la porta e provarono a udire i rumori all’esterno.

Greta mise la mano sulla maniglia, mentre Rudi aveva una pistola in mano, nel caso di estrema urgenza.

«Vai. Vai» diceva Rudi, mentre la ragazza tirava a sé la porta. «Vai. Vai. Stop. Uomo sotto le scale di destra, girato di spalle.»

«Qual è la stanza di Dietrich?» domandò Greta.

«Possiamo scoprirlo solo aprendole.»

Uscirono senza fare rumore.

Greta attirò lo sguardo del compagno su di sé, indicandogli la strada da percorrere a forza di gesti ed espressioni facciali.

Lui andò alla prima porta sulla sinistra, lei alla prima sulla destra.

Proprio quando chiusero le porte, la guardia che Rudi aveva visto si voltò e camminò in direzione dell’ufficio, incontrandosi con un’altra guardia, che Rudi non aveva visto.

I due ragazzi aprirono subito le porte, quelle due stanze non avevano portato a nulla. Ma ebbero davanti ai loro occhi quelle due guardie ferme a parlare.

Greta guardò Rudi con disappunto. A gesti, lo rimproverò per non aver visto quella seconda guardia.

Rudi provò a giustificarsi, ma Greta non accettava le giustificazioni.

Arrivarono ad un punto in cui fu impossibile decifrare ciò che i gesti volevano dire.

Le guardie si misero sugli attenti, e le porte subito si chiusero, mentre ripresero la marcia e tornarono alla postazione sotto le scale.

Greta e Rudi uscirono dalla stanza.

Si riunirono dove un attimo prima c’erano le guardie.

«Andiamo in quella» ordinò Greta.

Entrati dentro, videro subito che non c’era nessuno, ma dovettero ricredersi quando sentirono il rumore di uno scarico.

Si nascosero dietro una poltrona e poterono vedere Dietrich in vestaglia, andare a sdraiarsi sul letto per leggere.

Era il momento, dovevano catturarlo.

Gattonarono lentamente verso il letto, facendo ben attenzione alle mosse dello scienziato.

Rudi prese un candelabro poggiato su un tavolino al centro della stanza.

Greta rimase lì ferma ad osservare, mentre Rudi continuò a gattonare.

Arrivò sotto Dietrich.

Si alzò lentamente, mentre lui rideva per qualcosa che aveva letto.

Greta osservava da sotto il tavolino, pensò che Dietrich si sarebbe potuto facilmente accorgere di Rudi.

«Ehi» uscì allo scoperto, attirando l’attenzione dello scienziato. Così sorpreso da non poter notare il ragazzo al suo fianco mentre preparava il candelabro per stordirlo.

Greta si affacciò dalla porta.

Le due guardie stavano tornando sotto le scale. Fece segno a Rudi di proseguire.

Gli aprì completamente la porta e così poté trascinare Dietrich fino all’ufficio.

Furono abbastanza fortunati.

Poco dopo, però, che avevano abbandonato la stanza, una delle donne della servitù era entrata per portare del tè a Dietrich.

Spaesata, la donna lo cercò anche nel bagno.

Lasciò il vassoio del tè lì e andò a cercare lo scienziato.

Nel mentre, fuori, i due rapitori correvano al camion il più velocemente possibile.

Arrivati al mezzo, legarono e sedarono Dietrich per bene.

Greta ricordò a Rudi di lanciare il segnale.

«Non ho mai usato una pistola del genere» disse il ragazzo mentre cercava di capire il funzionamento.

Sparò, cadendo all’indietro.

Il razzo della pistola fece il pelo alle finestre del palazzo, passando davanti agli occhi di numerosissime guardie, che non ci misero granché a capire che quel segnale era sconosciuto a loro.

E uno di loro collegò subito la cosa alle parole della donna che aveva detto che non trovava più il folle scienziato.

«Cercate Dietrich!»

Le guardie si mossero per tutto il palazzo, non trovando Dietrich, ma qualcun altro.

Al secondo piano incontrarono James ed Helene.

«Hanno sparato, dobbiamo andare» disse James.

«Eccoli!» urlò una guardia, appena li vide.

Mentre al primo piano, Sascha li ebbe di faccia mentre aprì una porta. Che subito richiuse.

~~

Mentre nel palazzo si creava il panico, Hans e Edith continuavano a baciarsi.

Hans abbassò le mani sui glutei di lei.

Scese ancora più in basso e la fece saltare in braccio.

Edith legò le sue gambe attorno alla vita di Hans. Tenendosi saldamente, usò le mani per togliere ad Hans la giacca invernale e le due magliette che aveva sotto, facendolo rimanere a petto nudo.

Mentre continuava a baciarlo gli accarezzava e graffiava il petto.

Hans camminò fino alla parete, dove appoggiò, con irruenza, la schiena di Edith.

Dall’espressione che aveva, doveva esserle piaciuto.

La ragazza usò l’appoggio per togliersi gli indumenti superiori, compreso il reggiseno.

Hans la riprese e la sballottolò fino a quando trovò un tavolino. La poggiò lì mentre con una mano si sbottonava i pantaloni e con l’altra sbottonava i suoi.

La riprese e, sempre irruento, la stampò in un’altra parete.

Traballarono fino ad un posto più comodo.

Hans la lanciò sopra una poltrona.

Entrambi si tolsero l’ultimo indumento che copriva le zone intime.

Edith aprì le gambe per invitarlo e Hans si lanciò di peso su di lei.

Facendo anche ribaltare la poltrona.

~~

In mezzo secondo, Sascha alzò lo scaldacollo e il cappuccio, andò verso la parete e ci passò attraverso, arrivando tra le guardie.

Prese lo scudo e lo usò per colpire in testa la prima guardia che si trovò davanti.

Le altre quattro cominciarono a sparare e dunque usò lo scudo per il suo compito naturale.

Intanto, Hart, da uno spiraglio della porta, gli dava copertura sparando.

Due guardie si voltarono per difendersi dall’inglese alle spalle. Sascha ne approfittò per attaccare le altre due.

Andò a sbattere su di loro con lo scudo, riuscendo a fargli perdere l’equilibrio. Li colpì un’altra volta, riuscendo a buttarli a terra, e con la terza scudata, dritta in fronte, li mandò a dormire.

Intanto, Hart aveva steso le altre due.

Si scambiarono un cenno d’intesa, poi videro che stavano arrivando altre guardie.

«Facciamo presto» disse Hart ricaricando la pistola. «Hai visto il segnale, no?»

Sascha corse contro i nemici.

Stessa cosa fece Hart, ma più lentamente.

L’inglese trovò riparo dietro uno dei vari mobili presenti in quei corridoi. Sascha spianava la strada.

Pugnalò un nemico alla gamba, ad un altro infilzò il pugnale sotto l’ascella.

Spinse il corpo del ferito via dal pugnale e poté, così, usarlo per graffiare al petto un’altra guardia, che si inginocchiò dolorante, lasciando cadere l’arma, prendendosi un calcio alla testa da parte del piccoletto.

Arrivavano soldati su soldati, sembrava infermabile.

Hart non doveva fare quasi niente.

Sentendosi inutile, uscì allo scoperto e corse sparando verso i nemici.

Sascha tagliò una mano ad uno di loro, e quello dietro fece qualcosa di impensabile.

Si stava arrendendo.

Si era inginocchiato dinanzi a Sascha e aveva lanciato via l’arma.

Aveva il capo chinato, attendeva il giudizio del ragazzo.

Sascha lo fissò per un po’, non sapendo cosa fare. Si era arreso, ma era pur sempre un nazista.

Posò il pugnale, ma gli diede una lieve scossa per stordirlo.

Sascha, correndo verso le scale, si lanciò al piano inferiore.

Hart valutò l’ipotesi di lanciarsi anche lui, ma per cautela usò le scale.

All’entrata principale, però, delle guardie li aspettavano.

Sascha alzò subito lo scudo per difendersi.

Hart si mise dietro di lui, mentre sparava ai nazisti che venivano dal piano superiore.

Improvvisamente, Sascha vide le guardie all’entrata cadere vittime di colpi provenienti da chissà dove.

Si voltò verso le scale e vide James ed Helene scendere, correndo e sparando tra i vari nazisti.

Sascha corse ad aprire la porta.

Fece passare gli altri e lui uscì per ultimo.

Rudi e Greta, intanto, avevano avvicinato il camion.

«Andiamo, salite!» urlò Rudi.

«Dove sono Hans ed Edith?» domandò Greta.

Sascha si fermò, doveva tornare dentro a prenderli.

Ma fortunatamente non ce ne fu bisogno.

Li vide uscire subito dopo, fuggendo dai proiettili, mezzi svestiti, con in mano le pistole e gli indumenti.

«Perché?» si chiedeva il piccoletto, molto confuso.

«Dopo te lo spiego» gli urlò Helene afferrandolo per il cappuccio.

Si buttarono, letteralmente, nel retro del camion.

E fuggirono via.

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