Capitolo 11
Dopo quanto accadde al campo di concentramento di Rudzica, i ragazzi si rifugiarono in Svizzera.
Sascha guardava i suoi compagni amareggiato.
«Mi dispiace che non sia andato tutto come volevate.»
Si sentiva in colpa, anche se non avrebbe dovuto. Credeva che, con i suoi poteri, avrebbe dovuto fare di più per portare a termine le missioni dei propri amici.
In più, si sentiva in colpa sia per avergli fatto scoprire ciò che a loro era nascosto della guerra, sia per non averglielo mai detto.
«Non dispiacerti, Sascha» cercò di rassicurarlo Hans. «Siamo stati troppo impavidi, non eravamo pronti a tutto.»
«Ma forse io…»
«No» lo interruppe Helene. «I poteri non ti danno più responsabilità. Ricordati che sei più giovane di noi, per niente abituato a tutto questo, senza esperienza, hai fatto più di quello che potevi. Dovremmo noi scusarci con te per averti messo troppa pressione.»
Eppure lui continuava ad essere convinto del contrario.
«Non saremmo potuti tornare a casa tua, Hans?» domandò Rudi.
«Ormai sanno chi siamo» intervenne Greta. «Sarebbe stato rischioso.»
Mentre gli altri rimasero seduti al bar dell’albergo, Sascha si alzò, con l’idea di camminare un po’, o correre.
“Magari verso il futuro?” Ma cosa comprendeva ora il futuro?
Aveva distrutto un campo di concentramento. Da ciò che aveva capito, era il più grande di tutti, eppure non ne aveva mai sentito parlare, non lo aveva mai letto durante gli studi.
Aveva salvato decine di migliaia di persone, esponenzialmente, considerando che alla fine della guerra mancavano ancora diversi mesi, aveva salvato milioni di persone, aveva evitato milioni di morti. Quali conseguenze ci sarebbero state ad attenderlo nel futuro? E se la morte di una delle persone salvate aveva un peso specifico? E se la vita di uno di quei nazisti uccisi aveva un peso specifico?
La sua attenzione venne attirata da una ragazza, che aveva già notato mentre fuggivano dai territori nazisti. Sospettoso, scacciò un attimo le tante domande e decise di seguirla.
Seduto distante dal gruppo, l’Inglese lo osservava.
Nella confusione totale, accettò l’aiuto offerto da Hans, e dunque li aveva seguiti.
Il Viaggiatore che stava osservando scomparve sulle scale, poté, quindi, tornare a occuparsi del bracciale.
Premette qualsiasi tasto possibile, fece tutti gli aggiornamenti del caso, ma il programma non portava nessuna anomalia temporale in corso. Da quando erano andati via dal campo era anche sparito il punto che segnava la posizione del Viaggiatore. Eppure era vicinissimo a lui, doveva esserci.
Le opzioni erano due, una delle quali si sarebbe potuta già scartare, ovvero quella che il bracciale fosse rotto. Funzionava, e alla grande, il solo pensare di spifferare a qualcuno come uccidere Hitler in due giorni, aveva fatto scattare il segnale d’allarme.
La seconda opzione, era che, forse, la nuova realtà si stava già solidificando.
C’era, però, un problema, era troppo presto.
Le nuove linee temporali impiegavano diverso tempo per solidificarsi, eccetto per cose talmente gravi, e quello che era successo a Rudzica non si poteva considerare così tanto grave.
Anche senza rimediare all’annientamento di Rudzica, la seconda guerra mondiale poteva seguire il suo corso naturale.
Ancora più tempo serviva perché il Viaggiatore scomparisse dai radar e diventasse parte “naturale” della nuova linea temporale.
Niente quadrava in quel settembre del 1944.
«Niente di niente.»
~~
La ragazza, senza accorgersi del pedinatore, raggiunse una stanza al terzo piano.
Si guardò in giro, guardinga, prima di aprire, ma non vide nessuno.
Anche perché, per non essere visto, Sascha aveva iniziato a vibrare così velocemente da diventare invisibile.
Il piccoletto passò poi attraverso il muro ed entrò nella stanza, dove, di nuovo, si fece invisibile.
«Generale Wilson, benvenuto in Svizzera, territorio neutrale» esordì la ragazza che Sascha stava seguendo.
Sascha la vide passare davanti alla porta del bagno, situata subito alla destra dell’entrata, e arrivare nella zona principale, composta da un letto matrimoniale, una scrivania, vari mobili e un divanetto, dove era seduto il suddetto generale e un giovane.
«Un bel posto» commentò il generale Julian Wilson.
«I ragazzi sono ancora qui?» domandò la spia, volata lì, insieme al generale.
«Sono tutti giù che si rilassano» spiegò la ragazza, anche lei una spia, probabilmente. «Ci provano almeno. Non l’hanno presa bene, sono esausti. E con loro si è unito un tizio che hanno aiutato, un inglese.»
«Parliamoci chiaro signori» intervenne deciso Wilson. «Sono pericolosi?»
«Non direi» spiegò ancora lei, trovando anche l’appoggio della spia. «Non dovremmo avere problemi ad avvicinarci.»
«Siamo sicuri che qui non ci siano nemici?» domandò Wilson, per l’ennesima volta da quando era arrivato. «Quel tizio inglese che si è unito a loro? Magari è una spia.»
«Sicuri» rispose, ancora, la spia. «L’inglese è innocuo, pensa ai fatti suoi, quasi fregandosene della guerra, “il problema non è suo”.»
Il generale si alzò in piedi. «Se mi scusate…» e si diresse in bagno.
Le due spie, invece, andarono fuori, sul balcone, per fumare.
Nel mentre, il piccolo Sascha, tornò ad essere visibile. Senza fare rumore, si avvicinò al divano.
C’era una borsa, della spia donna immaginava, ed un portafogli. Lo prese, per vedere se appartenesse al tizio che aveva sentito chiamare “generale”. Ebbene, era suo.
Sascha, dunque, scoprì che si trattava di un vero generale, un generale inglese. Si domandò perché mai fosse sulle loro tracce. Lo avrà condotto quella tizia che li stava seguendo dalle vicende del campo di concentramento? Cosa avrebbe dovuto fare? Era lecito preoccuparsi? Era lecito metterli fuorigioco per salvare sé stesso e i suoi amici? Forse avrebbe anche potuto parlargli, ma sarebbe stato rischioso.
Alla fine prese la sua decisione, chiuse le due spie fuori al balcone, serrando anche le tende. Tornò verso il divano, mentre dal bagno stava uscendo il generale, che rimase molto sorpreso da quell’inaspettato evolversi degli eventi.
Sascha si mise sul divano, coperto da cappuccio e scaldacollo, provando a darsi un tono minaccioso. Invitò il generale a sedersi sul letto.
Wilson scosse la testa ed emise un sospiro, quasi lo divertiva iniziare quella conversazione.
«Quando hai capito che vi stavamo seguendo?»
«Da quando siamo partiti» rispose Sascha.
«Complimenti» si congratulò Wilson.
«Mi dica, Julian Wilson, cosa vuole da noi?» gli diede un attimo di tempo per riflettere. «O da me?»
«Su di te conosco poco ragazzo, solo ciò che hanno visto le due spie che hai chiuso fuori» e che stavano, disperatamente, bussando alla finestra. «Sei uno del progetto, un Super Soldato?»
«Un Super Soldato?» domandò Sascha, confuso. «Non ho idea di cosa sia.»
«Dunque è tutto tuo, quello di cui mi hanno parlato? Affascinante. A dir poco incredibile.»
Sascha lo guardava con fare studioso. «Di cosa vi hanno parlato?»
«Poco o nulla» rispose Wilson, capendo che ci fosse tensione e che al ragazzo non facesse piacere che loro fossero venuti a conoscenza di lui.
«Vada dritto al punto, Julian Wilson.»
Il generale non perse tempo. «Dopo ciò che avete fatto, dopo ciò che hanno sentito dai vostri dialoghi le mie spie, vorremmo ingaggiarvi.»
«Ingaggiarci?» domandò il ragazzo, perplesso e incuriosito dalla richiesta del generale, tutto si aspettava, tranne quello.
«Stiamo formando una squadra, una squadra speciale per combattere questa guerra, voi potreste essere ciò che ci mancava per completarla.»
Sascha provò un attimo a metabolizzare. «Io non cerco pubblicità.»
«Certo, lo possiamo capire» rispose in fretta il generale, che non voleva lasciarsi sfuggire l’occasione. «Siamo solo noi tre a sapere di voi, a sapere di te. E volendo potremmo anche esserci sbagliati. Eccoti, ti ho visto, sei solo un semplice ragazzino dotato di un armamento speciale.»
Sascha rifletteva, dentro sentiva che il generale Wilson fosse sincero e con buone intenzioni.
«Una squadra speciale?» ripeté il ragazzo.
«Che fronteggi la potenza nazista» aggiunse Wilson. «Una squadra di uomini e, perché no, di donne coraggiose, che vogliono mettere fine alla crudeltà che stiamo vivendo. Persone che possono mettere fine a questa guerra.
«Nessuno ha mai fatto niente di simile a ciò che avete fatto voi» continuò Wilson. «Nessuno ha avuto il coraggio di sfidare così direttamente i nazisti, andando addirittura a Berlino, la capitale. Persone come voi possono mettere fine a questo orribile periodo.»
«È un bel piano, Julian Wilson, ma…» Sascha volle subito spegnere l’entusiasmo, «non sono io a dover prendere la decisione, devo parlarne con i miei amici e vedere cosa rispondono.»
«Per noi va bene» disse subito il generale abbozzando un sorriso. «Noi potremmo aiutarvi con le vostre missioni ragazzo, faglielo sapere.»
«Lo farò» disse Sascha, chiedendosi cosa avrebbero risposto loro.
Lui non era certo, forse aveva già intaccato troppo la linea temporale, poteva bastare, ma cosa avrebbero scelto i suoi amici?
“Greta avrebbe accettato?” E lui, nel caso, cosa avrebbe dovuto fare?
«Noi partiremo domani, di notte, penso che mi riuscirai a trovare facilmente.»
Sascha, dunque, si alzò e uscì dalla camera.
Tornò giù dagli amici, che erano ancora seduti al tavolo dove li aveva lasciati.
I musi erano ancora lunghi, il morale era ancora basso, era difficile affrontare ciò che era successo, affrontare la verità venuta fuori durante la missione.
Eccetto per l’inglese, lui appariva pensieroso, frustrato, ma per altro.
“Chissà che deve aver passato?”
Sascha si sedette e iniziò a raccontare dell'incontro avuto con Wilson.
«Non dovete dirmi ora che ne pensate. Dormiteci su, gli daremo domani una risposta.»
Finito di parlare si alzarono, quasi all’unisono, e si diressero nelle proprie stanze.
~~
Rudi e Helene percorrevano il corridoio del secondo piano, diretti alle loro stanze, situate una di fronte l’altra.
«Ci credi, Rudi?» disse la ragazza con enfasi. «Quella tizia ci è stata tutto il tempo alle calcagna e non ce ne eravamo mai accorti?»
«Lui sì» puntualizzò il francese.
Helene alzò gli occhi al soffitto e si voltò verso la porta. Poi tornò da Rudi. «Ti rendi conto di quello che abbiamo fatto, di quanto siamo siamo stati stupidi? E se ci avesse seguito un nazista?»
«Forse sei troppo crudele, Helene.»
«No…» insisté la ragazza. «Sono anni che combatto e non ho notato quella sgualdrina che ci seguiva. Mentre il piccolo Sascha sì ed era addirittura diventato pedinatore.»
Helene proprio non riusciva a digerire la cosa, non si dava pace per aver commesso quell’errore che poteva essere fatale, in altre circostanze.
«Helene» provò a farla ragionare Rudi. «È passato, è andato. Non era niente di cui dovevamo preoccuparci, non eravamo in pericolo e quindi il nostro sesto senso non ha lavorato.»
Quelle la facere sbollire un po’.
«Adesso ritiriamoci nelle nostre stanze e pensiamo a ciò che ci ha detto Sascha.»
«Hai ragione» scosse varie volte la testa.
Rudi la guardò fissa negli occhi. Deglutì e provò ad avvicinarsi.
«Vuoi compagnia?»
«No, tranquillo. Non preoccuparti per me.»
Helene si voltò verso la porta e la aprì.
«A domani.»
«A domani…» rispose timidamente Rudi, mentre vedeva la porta chiudersi davanti a lui.
«Se non è questa una metafora… Io provo ad avvicinarmi e lei mi chiude la porta.»
Rassegnato, si voltò e entrò nella sua stanza.
~~
Hans era rimasto al bar.
Sorseggiava le ultime gocce di birra mentre studiava la ragazza spia.
La trovò carina, con delle belle forme che ammirava.
Non le tolse gli occhi di dosso fino a quando scomparve sulle scale.
Calò gli occhi e in quel momento si sedette vicino a lui una donna.
Aveva all’incirca quarant’anni. Era bassa, con lunghi capelli mossi biondi e gli occhi marroni. Hans apprezzava molto l’abito nero aderente che metteva ben in mostra il seno.
«Allora?» chiese la donna. «È mezz’ora che ti aspetto.»
«Scusami, ho avuto un contrattempo…»
La donna lo osservò, imbronciando il labbro. Notò il suo viso stanco, serio.
«Sei giù di morale?»
«Più pensieroso» la corresse Hans.
La donna si alzò e si mise dietro la sua sedia, massaggiandogli le spalle.
Calò la sua testa sul collo del tedesco.
Iniziò a baciarlo, a dargli dei piccolo morsi.
Poi salì all’orecchio.
«Che ne dici se saliamo nella mia stanza» iniziò a sussurrargli. «Oggi si sono unite tre mie amiche. Siamo quattro donne lasciate sole dai loro mariti, che per passare il tempo si metto a giocare e a parlare con quasi niente indosso?»
Hans fece un sorrisetto.
La donna gli prese la mano, lo fece alzare dalla sedia e poi lo trascinò di sopra.
~~
Sascha era nella sua camera.
Rifletteva, nonostante gli strani rumori molesti provenienti dalla stanza a fianco.
“Sbaglio o è la voce di Hans?”
Era quello il momento giusto per provare a tornare nella sua epoca?
“Provare a tornare, non tornare” ripeté nella sua testa.
Doveva lasciare i migliori amici che avesse mai avuto, avrebbe dovuto lasciare l’unica persona che gli avesse mai fatto provare qualcosa?
«Resta» credette di sentire in un sussurro.
Bussarono alla porta. Andò ad aprire e vide Greta.
«Posso?» chiese la ragazza.
«Certo.»
Sascha la fece accomodare sul grande letto a una piazza e mezzo. Andò alla scrivania posta di fronte al letto, dove era sopra poggiata una bottiglia d’acqua e dei bicchieri.
«Hai sete?»
«Sì, grazie.»
«Se vuoi posso offrirti dell’alcol?»
«Beviamo un po’ di vino insieme?» propose la ragazza.
«No, io non bevo alcol, sono astemio.»
Greta lo guardò curiosa.
«Sai, preferisco non corrodere il mio corpo con roba tossica.»
Greta annuì, incerta.
«L’acqua va bene, Sascha.»
Il piccoletto le riempì il bicchiere.
«Non te lo porto lì, potresti bagnarmi il letto.»
«Lascialo lì, lo prendo tra poco.»
Sascha posò la bottiglia e andò a sedersi vicino alla ragazza.
«Pensi che dovremmo accettare l'offerta di quel Wilson?» domandò Greta all'indeciso Sascha, mentre lo guardava intensamente, forse voleva parlargli di altro, oltre la richiesta di Wilson.
«Non lo so proprio.»
«Unendoci a loro potremmo fare molto di più, rispetto a quello che abbiamo fatto fino ad ora» disse Greta.
«Tu diresti di sì?» le domandò il ragazzo che cercava risposte in lei.
Credeva che Greta, dopo aver saputo tutte quelle cose sui campi, non avrebbe voluto sapere più niente della guerra. Credeva che, magari, sarebbe voluta scappare il più lontano possibile, che avrebbe voluto lasciare la lotta a chi ne fosse più propenso, più abituato.
«Certo. Voglio aiutare. I nostri piani di vendetta ormai sono andati, ma possiamo ancora dare una mano, essere d'aiuto. Dovremmo dirgli di sì. Trovare le risposte sulle mie sorelle, trovare quel Wilmut.»
Le sue parole lo colpirono, Greta gli era sembrata così buona all'apparenza, ma dentro aveva una profonda oscurità.
«Grazie» disse, improvvisamente, Greta. «Siamo stati così presi, che non ti abbiamo ringraziato per averci portato fuori da quell’inferno.»
«Non ho fatto niente di che» e lo pensava davvero.
Sascha si voltò a guardarla. Ne aveva passate tante Greta, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla felice. «Mi dispiace che tu l'abbia scoperto così.»
«Mi dispiace che tu abbia voluto tenere il segreto dentro di te, tenerti quella sofferenza dentro, senza dirci nulla, solo per non farci soffrire. Puoi aprirti con noi, Sascha, puoi aprirti con me.»
«Non è semplice» ammise il ragazzo. Era una cosa che non aveva mai fatto, parlare apertamente con gli altri. Si era sempre tenuto tutto dentro, come i problemi a casa, i problemi fisici, le difficoltà sociali, la violenza che subì. Nemmeno con la famiglia ne aveva mai parlato.
Greta accarezzò il volto, poi lo abbracciò forte. «Fai tanto per difendermi, lo vedo, ma spesso mi sembra che debba io difendere te.»
«Non è vero» disse Sascha, timido.
«No?» domandò, sorridendo, Greta. «Invece è così.»
Greta lo guardava fisso negli occhi, poi gli guardò le labbra, avrebbe tanto voluto stringerlo a sé, avrebbe voluto toccare, mordere, baciare quelle piccole labbra.
L’istinto le diceva che doveva agire, doveva farlo, doveva baciarlo.
«Se non ti dispiace, stavo andando a dormire…»
Tristemente, la ragazza tornò alla realtà. «Oh, sì certo. Buonanotte, a domani.»
~~
Il mattino seguente si riunirono nella stanza di Hans.
«Allora signori», si accomodò il tedesco sul suo letto, mentre apriva una birra, «Cosa vogliamo fare?»
Sascha si mise, quasi isolato, in piedi, appoggiato all’armadio, pronto ad ascoltare i suoi compagni.
La prima a parlare fu Greta. «Io credo che dovremmo accettare. Da soli non siamo stati in grado di fare granché. Forse non riusciremo a realizzare ciò che avevamo programmato, ma agiremo, in qualche modo.»
«Anch’io sono d’accordo» intervenne Rudi. «Mi dispiace che le missioni abbiano fallito, ma non per questo dovremmo tirarci indietro, dovremmo ancora lottare per chi soffre. E penso che degli inglesi ci possiamo fidare.»
«Io non sono completamente d’accordo» disse, inaspettatamente, Hans scuotendo la testa. «Sì, sull’unirci a loro. Ma in un certo senso, il mio obiettivo è stato raggiunto, vorrei che per i vostri sia lo stesso. Credo che loro potrebbero darci un piccolo aiuto, lo hanno anche detto a Sascha, mi pare.»
«Io ci sto» disse infine Helene. «Soprattutto se poi vogliono anche aiutarci nelle nostre missioni private.»
A Sascha uscì un piccolo sorriso sul viso, gli piaceva la determinazione dei suoi compagni, la voglia di combattere e non arrendersi davanti alle prepotenze degli oppressori.
«È deciso allora» disse Rudi, rompendo finalmente in silenzio.
~~
Quella sera, Wilson era pronto a partire.
Insieme alle due spie, che già attendevano nelle macchine, stava lasciando l'albergo. Si guardò intorno per qualche secondo, in attesa dei ragazzi.
Dopo una breve attesa, pensò che non sarebbero mai arrivati, prese i bagagli e andò verso l'auto.
In quel preciso momento, arrivarono l'islandese e gli altri, anche loro con i bagagli in mano.
Wilson li vide e li accolse con un sorriso.
«Contento che abbiate accettato, abbiamo due macchine, dividetevi, penso che ci entriamo tutti.»
«Ehi», Hans notò l’Inglese che li osservava, «perché non vieni anche tu?»
L’Inglese fu colto di sorpresa, non si aspettava quell’invito.
«Non credo sia il caso.»
«Dai, amico» insisté Hans.
Sascha si sentì spinto da un fruscio di vento verso l’estraneo.
«Diglielo anche tu, Sascha.»
Non completamente convinto, Sascha si rivolse all’Inglese.
«Allora, al mio amico stai simpatico. Non sappiamo che ci facevi nel campo, non sappiamo il tuo nome, cosa fai di preciso, ma a lui stai simpatico. E da quel che sento non sei uno pericoloso. Te lo chiedo controvoglia, vuoi venire?»
L’Inglese non poté crederci, stava davvero trattando col Viaggiatore per combattere i nazisti insieme?
«Va bene» disse d’istinto, chiedendosi, subito, perché avesse accettato.
Era un’assurdità.
Sascha assentì con un cenno del capo, gli diede le spalle e andò verso una delle macchine.
«E…» fece l’Inglese, prima di seguirlo. «Mi chiamo Michael, Hart.»
Salirono in macchina e si diressero all'aeroporto.
Con un jet, seguendo traiettorie strategiche, passando soprattutto sopra l’Oceano Atlantico, sarebbero arrivati a Londra.
Atterrarono nella capitale inglese verso la mezzanotte, Wilson portò i ragazzi in un edificio militare nascosto nelle campagne.
L'edificio era molto grande, spiccava in una vasta area quasi deserta.
Sascha lo osservò attentamente, cercando di capire se l'avesse mai visto su qualche libro di storia.
Hart fece una cosa simile, lui però lo riconobbe, ci era stato spesso lì, nel futuro.
Wilson li accompagnò nelle loro camere.
Hart ebbe una piccola stanza tutta sua, gli altri avrebbero dormito tutti e cinque nella stessa, dato che le altre erano già tutte occupate.
«Sistematevi e riposate. Con calma vi spiegheremo ciò che farete qui.»
Wilson li salutò ed uscì chiudendo la porta.
I letti, nella stanza dei ragazzi, erano sistemati precisamente a un metro dall'altro.
Ognuno sistemò la propria roba in uno dei piccoli armadi posizionati al lato opposto dei letti.
Rudi si addormentò molto velocemente.
Sascha, dato che di spazio a sufficienza ce n'era, prese il suo letto e lo azzeccò al muro.
«Mi piace tenerlo così» disse, senza dare troppe spiegazioni alle espressioni interrogative dei compagni.
Hans si buttò sul letto. Mise le mani dietro la testa e fissò il soffitto.
«Ah…»
«Tutto bene, Hans?» gli domandò Helene.
«Sì, sono soddisfatto, in un certo senso, per essere arrivato qui. Potremmo sconfiggere i nazisti, ragazze. Potremmo dare un contributo.»
«Non esaltarti troppo, Hans» gli consigliò Greta.
«Avete ragione, scusatemi.»
«Non ti scusare» disse Greta. «Gioisci anche per le piccole cose Hans.»
«Solo non esagerare» aggiunse Helene. «Rimaniamo un po’ con i piedi per terra, senza crederci Dio.»
«Dobbiamo riprenderci, fisicamente e mentalmente, ragazze» si tolse la maglietta e i pantaloni, rimanendo in mutande, per niente a disagio, si sentiva comodo col suo corpo muscoloso. «È questo il bagno?» si chiese aprendo la porta vicino al suo letto, quello più vicino all’entrata. «Avrei dovuto controllarlo prima.»
Prese dalla sua valigia abiti più comodi per dormire.
«La ragazza spia che ci ha accompagnati sembrava carina.»
«Fai il serio, Hans» lo raccomandò Greta. «Non facciamoci cacciare per comportamenti inappropriati.»
«Sarà una bella avventura» continuò il biondino, cambiando il discorso. «Non credi anche tu, Sascha? Andremo fino in fondo e porremo fine alla guerra.»
Un po’ spaesato, perso nei suoi pensieri, l’islandese rispose d’impulso. «Certo.»
Tornò a fissare il vuoto.
I suoi occhi erano vuoti, ma allo stesso tempo gelidi.
Due fulmini li illuminarono per un breve secondo.
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