Capitolo 1
2 agosto 1944, la data che riportava il giornale appoggiato su uno dei tavolini di un bar, nella zona ovest di Amsterdam. Dalle notizie in prima pagina sembrava che le forze dell’Asse fossero pronte a dare il colpo di grazia ai nemici e vincere la guerra.
Qualche tavolo più indietro, c’era un ragazzo, un piccolo ragazzo di diciotto anni. Forse non arrivava nemmeno al metro e sessanta, era magrissimo, la carnagione molto bianca, i capelli biondi e gli occhi azzurri. Indossava strani abiti, insoliti per quell’epoca. Un pantalone a scacchi e una camicia bianca, palesemente troppo grandi per lui. In testa aveva un cappello, dello stesso colore e motivo del pantalone.
«Nella mia epoca trovavo difficile approcciarmi con le ragazze. C’è stata una quando ero più giovane, ma niente di serio. È come se non fossi in grado di provare sentimenti. O forse è che odio talmente gli umani… Sono io o sono loro? Non riesco proprio a capirlo.»
Finito di raccontare tutto, l'uomo a cui stava narrando la storia disse al giovane Sascha Stinson di non aver capito nulla.
«Come? Perché?»
Eppure, da quello che aveva compreso di quel suo multilinguismo, doveva parlare qualsiasi lingua senza che se ne accorgesse. E lui, poi, perché aveva capito ciò che aveva detto l’uomo?
“Come funziona sto potere?”
«Das ist egal» gli disse rassegnato Sascha.
Quella frase, però, l’uomo la capì e Sascha divenne ancora più confuso. Scosse la testa perplesso. C’erano ancora molte cose da comprendere su quelle sue nuove capacità.
Mise le mani in tasca e si incamminò. Ma prima, prese quel giornale che aveva adocchiato.
Improvvisamente, però, si bloccò.
«Conosco quella casa.»
Osservò attentamente l’edificio che gli era di fronte, all’altro lato della strada, gli era familiare.
Per qualche secondo, stette lì a studiarlo. Che fosse davvero riuscito a tornare a casa sua?
Ma l’ambiente circostante gli diceva il contrario, non era ancora tornato nel suo presente, era ancora nel passato.
Staccò per un attimo gli occhi dalla casa per portarli sul giornale.
«Agosto del ‘44. La Seconda Guerra Mondiale.»
Un periodo storico che lo aveva sempre affascinato, gli piaceva tanto quando a scuola si arrivava a studiare quell’argomento. Spesso, a casa, faceva ricerche su internet, studi per conto suo, giusto per il gusto di sapere. In un certo senso, gli sarebbe anche piaciuto visitarla, girare per la Seconda Guerra Mondiale era un sogno proibito.
Doveva, però, considerare una cosa, viverla dal vivo sarebbe stato diverso, rispetto al modo in cui la viveva prima che si svegliasse nel passato.
«Ah, quindi siamo ad Amsterdam» disse dopo aver dato un secondo sguardo al giornale.
Una città che avrebbe tanto voluto visitare, per motivi diversi, rispetto a molte persone che conosceva, che erano interessate solo ad un certo lato della città.
Lui voleva andare lì per visitare la città, la cultura, lo stadio dell’Ajax, il cibo, soprattutto il cibo. Non si sapeva come, ma in quel piccolo corpo di quarantacinque chili poteva entrarci qualsiasi cosa.
Vari dottori lo avevano controllato, pareva che non ci fosse niente di anomalo.
Tornò sulla casa, l’aveva vista già da qualche parte, forse su un libro di storia? Mise in moto il cervello e navigò, ad una velocità impressionante nei suoi ricordi.
«Penso anche velocemente oltre a muovermi?»
Decise di esaminarla più da vicino.
Osservò, a destra e a sinistra, che nessuno passasse di lì, non voleva essere visto mentre sfruttava le sue straordinarie capacità.
I fulmini pervasero il suo corpo, con uno scatto raggiunse la casa, in un millisecondo, lasciando una striscia di bruciato sulla strada. «Divento sempre più veloce.»
E in un attimo, ecco il ricordo. Non fu difficile per lui, grazie alla memoria eidetica, abilità che aveva sin da quando aveva mosso i suoi primi passi.
Quella era la casa dove si nascondeva Anna Frank e la sua famiglia.
Spalancò gli occhi per lo stupore.
Anna Frank e il suo diario erano lì, a pochi passi da lui.
Esaltato dall'idea di poterla conoscere, e magari di poter finire sul suo diario, provò ad addentrarsi nella casa.
“In futuro sarà un museo, quindi perché non comportarsi come se già lo fosse?”
Dopo poco, si imbatté in un uomo.
Ovviamente, quando vide quel piccoletto entrare in quell’edificio adibito a nascondigli, si preoccupò che potesse essere una spia, o che comunque avrebbe potuto recare pericoli, in qualche modo.
Sascha, invece, lo salutò con la sua solita cordialità.
L’uomo avrebbe voluto tanto scomparire, andarsene, ma, improvvisamente, il suo umore cambiò. Era turbato dalla presenza del ragazzo, ma appena entrò in contatto con i suoi piccoli occhi, il suo stato d'animo cambiò in modo drastico.
Si accorse dell'improvviso cambiamento, ma non riusciva a spiegarsi come poté accadere.
«Chi sei ragazzo?» gli domandò, ancora dubbioso sull’anomalo cambio di comportamento.
«Io sono Sascha» disse per l'ennesima volta, da quando era a spasso per il tempo.
«Sascha» ripeté poco convinto l’uomo. «Potrei sapere come mai sei qui?»
«Le dico che non ci sono arrivato di mia spontanea volontà, sono molto lontano da casa.»
Dicendo quelle parole, il ragazzo si rattristò. Si domandò se mai sarebbe riuscito a tornare nella sua amata Napoli. Si domandò se mai sarebbe riuscito a rivedere la sua famiglia adottiva, originaria dell’Islanda. Forse non sarebbe mai riuscito ad avere la cittadinanza italiana, nonostante ci avesse abitato sin dalla nascita, dall’altra parte, ormai, non la voleva proprio, quella islandese bastava.
Si domandò se i suoi familiari stessero bene.
Quando scomparve era a Londra.
Era riuscito a vincere una vacanza. Era felicissimo della cosa, aveva sempre desiderato viaggiare per il mondo. Fino ad allora aveva visto molte città dell’Italia, ma più per motivi sportivi che per motivi turistici, e qualche città del Mediterraneo in crociera.
Quel viaggio, per lui, aveva molta importanza, aveva appena concluso l’ultimo anno di scuola superiore, doveva capire cosa voler fare nella vita e sperava che quel viaggio avrebbe potuto aiutarlo ad avere una risposta.
Cercava qualcosa che potesse cambiare la sua monotona vita da solitario, con pochi amici, incapace, forse, di provare certi sentimenti, lontano dai problemi familiari.
Aveva l’idea fantasiosa di voler cambiare il mondo, o quanto meno provarci.
Ma, all’improvviso, mentre era ad una festa organizzata da coloro che avevano ideato il concorso che regalava il viaggio, c’era stata un'invasione aliena, un’esplosione, la perdita dei sensi e il risveglio nella Rivoluzione francese con dei poteri, tra cui la supervelocità e il multilinguismo.
Capendo il funzionamento delle nuove abilità, almeno un minimo, aveva provato a tornare a casa, ma si era trovato prima nel 1851 e poi nel 1944.
“E se, intanto, gli alieni avessero già distrutto tutto o ucciso tutti?”
L’uomo notò che Sascha si stava perdendo nei suoi pensieri. «Va tutto bene?».
Sascha annuì. «È solo che non vedo la mia casa da tempo, non vedo la mia famiglia da settimane, e non so quando potrò rivederla. In realtà non so nemmeno se mai ci riuscirò.»
«Ti capisco ragazzo» l’uomo adesso lo guardava in modo differente. Era uno di loro, uno che stava subendo qualcosa di simile a ciò che subivano lui e la sua famiglia.
«Hai un posto dove stare?»
Sascha scosse la testa.
«Qui c'è una stanza libera. Potresti stare lì.»
Sascha ci rifletté per qualche secondo, ringraziò e decise di accettare l’invito.
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