* * *
A sinistra.
«Secondo me è a destra.»
Ti dico sinistra. Lo vedi il fumo? Se andiamo a destra ci allontaniamo.
Il ragazzo diede uno strattone alle briglie e il cavallo prese il sentiero di sinistra. Le ombre si moltiplicavano sulle pareti di roccia e sembravano scivolarci sopra, arrampicarvisi su e giù come cose vive.
«È un po' che non sento niente», fece il ragazzo. «Mi sa che è tutto finito.»
Sì, e hanno vinto gli incappucciati.
«Che ne sai?»
Perché l'ho visto.
«Che vuol dire che l'hai visto? Non puoi aver visto un cazzo. Siamo filati via appena hanno cominciato a spararsi addosso.»
L'ho visto con la mente.
«Come un veggente?»
Eh.
«Pensavo che la tua magia fosse tutta impegnata nella fusione.»
Deve essere merito della Luna di Sangue.
«Cioè?»
Accresce la magia, bianca o nera che sia.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. La foschia rossa ricopriva il grande disco lunare. E accanto al pallido faccione butterato, che si nascondeva dietro il sudario rosso, c'era un enorme muso caprino, grosso quanto la Luna stessa. Il ragazzo poteva vederlo distintamente. Aveva le corna arrotolate ai lati della testa e...
«Che cazzo...?» mormorò.
Si accorse che il muso caprino non si stagliava accanto alla Luna di Sangue ma emergeva da dietro, come se quell'essere cornuto si fosse affacciato a sbirciare.
Tranquillo, che tanto non ce la fa a passare, disse il dissidente.
«A passare?» chiese il ragazzo.
La soglia è stretta e lui è troppo grosso. Ma ogni lustro la allarga un po' di più e penso che un giorno o l'altro riuscirà a passarci, ma non stanotte. E neanche quando tu sarai polvere.
Il ragazzo continuò a guardare, rapito da quello spaventoso spettacolo, e vide emergere una mano dotata di artigli che si conficcarono sulla superficie del disco lunare. Adesso sembrava che quell'essere avesse afferrato la Luna come si fa con un piatto.
Prima riusciva a farci passare solo la testa, adesso pure una mano, fece il dissidente.
«Ma che cos'è?» chiese il ragazzo.
Quello è il Re Diavolo. I fanatici incappucciati lo chiamano Baphomet. Io lo chiamo grosso caprone del cazzo.
«Quindi non è un mito.»
Mi pare ovvio che no. Basta alzare il naso per rendertene conto. E nemmeno la storia che usa la Luna di Sangue per passare nel nostro mondo lo è.
Per la prima volta, da quando il dissidente gli si era infrattato nell'animo, il ragazzo ebbe paura. Una paura fottuta. Il dissidente la percepì come una secchiata di acqua gelida.
Non strisciare le mutande, ti ho detto che non ce la fa a passare, disse al ragazzo. E non ti far impressionare dalla stazza, che non gli serve a niente. In pratica è come uno stronzo troppo grande che non riesce a passare dal buco del culo. Ohè, prendi a destra.
Il ragazzo diede uno strattone alle briglie e il cavallo pigliò a destra.
«Adesso che facciamo?» chiese il ragazzo. «Mo' che la banda è crepata, non possiamo tornare in quella città di merda.»
Non possiamo no. Se i figli segaioli del Re Cornuto ci beccano, facciamo la fine di un pesce in un barile. E se non ci scannano loro, lo fanno quei pezzenti che abbiamo derubato.
«Quindi?»
Quindi ci troviamo un'altra città e sverniamo lì.
«E con che cazzo li paghiamo vitto e alloggio?»
So dove i nostri amici morti hanno nascosto il bottino.
«Mi prendi per il culo?»
Affatto, guarda.
Prima che potesse replicare, il ragazzo avvertì come una scarica attraversargli il cervello. Il mondo che la Luna di Sangue illuminava perse nitore e consistenza, sostituito da una realtà dai contorni eterei, ammantata di una luce lattiginosa come quella di polverose lampade a combustibile. E grazie alla magia del dissidente, che la Luna di Sangue accresceva, il ragazzo vide Meadow, Vince, Cecil e Deisdre che nascondevano le sacchette con i bronzi. Le mettevano in una buca nel terreno o sotto un'asse sconnessa, e si assicuravano ogni giorno che fossero ancora al loro posto.
«Ma che...?» fece il ragazzo e il mondo etereo si dissolse come un miraggio.
La realtà gli ripiombò addosso e tutt'intorno come un peso vivo. Poté quasi sentirla mentre gli si adagiava sulle spalle.
Facciamo un salto a prendere il bottino e poi ci squagliamo, disse il dissidente. Prendi a sinistra.
Il ragazzo svoltò e, mentre andava, vide alla fine del sentiero due ombre avvicinarsi rapidamente. Nel giro di pochi secondi si trasformarono in sagome, che si fermarono a pochi metri dal cavallo. La luce sanguigna della Luna ne illuminava i volti. Non avevano tonache, ma il ragazzo non ebbe dubbi sulla loro identità: erano le sentinelle appostate fuori città. Avevano sentito il casino ed erano accorsi.
I due tizi misero mano alla fondina ma, prima che riuscissero a estrarre le sputafuoco, il ragazzo spronò il cavallo e lo lanciò al galoppo. I due rotolarono di lato per non finire travolti. Uno fece in tempo a rialzarsi e a sparare un colpo prima che il ragazzo sparisse dietro una curva, ma il proiettile si conficcò nella nuda roccia.
Cazzo, stavolta c'è mancato poco, fece il dissidente.
Il ragazzo spronò il cavallo ancora e ancora.
A sinistra! urlò il dissidente quando vide un nuovo bivio.
Il ragazzo svoltò e più avanti si ritrovò a dover fare una scelta: tornare in città a recuperare il bottino o filarsela.
Il bottino, fece il dissidente.
«Ti sei fottuto il cervello? Fra due minuti ce li ritroviamo tutti addosso», disse il ragazzo.
Allora ti conviene muovere quel tuo culo secco.
Con un ringhio ferino che gli deformava le labbra, il ragazzo galoppò sino in città. Irruppe sulla Via Maestra, dove ancora bruciava il falò. Gli addetti al fuoco lo videro schizzare via come se avesse il culo in fiamme. Si fermò dinanzi al saloon e smontò in fretta. Entrò e corse di sopra, dove c'erano le stanze del bordello, senza dare tempo a nessuno di interpellarlo. Il cadavere della maitresse impegnava il corridoio. Lo superò con un'ampia falcata e senza degnarlo di un'occhiata.
«Qual è?» chiese.
Che ne so, apri un paio di porte, fece il dissidente.
Il ragazzo aprì due porte sulla destra e una sulla sinistra prima di trovare la stanza giusta. La riconobbe per via dello specchio ovale. Mosse verso il letto, lo aggirò e cominciò a trafficare con un'asse del pavimento in un angolo. Riuscì a scalzarla dopo qualche insistenza ed esumò l'intercapedine con la sacchetta di Vince. Piglio il denaro e uscì alla svelta.
Ne mancano tre, fece il dissidente.
«So contare», rispose il ragazzo.
Tornò di sotto e stavolta il barista fece a tempo a chiedergli: «Allora?»
«Sono tutti morti», disse il ragazzo e uscì senza dare il tempo all'altro di replicare.
Montò a cavallo e galoppò sino alla vecchia chiesa. Smontò ed entrò dalla breccia nella parete. La chiesa era gremita. Parris stava officiando. Il ragazzo ignorò il suo e gli altrui sguardi. Raggiunse l'altare, si chinò e scalzò un asse. Nell'intercapedine sottostante c'era il bottino di Meadow. Lo pigliò e girò i tacchi, lasciando i presenti attoniti.
Parris fece un cenno di scuse alla congrega e lo seguì, uscendo dalla breccia sul lato. Mentre il ragazzo montava a cavallo, chiese con evidente apprensione: «È tutto finito?»
«Direi di sì», fece il ragazzo.
Parris tornò a respirare. Giunse le mani, intrecciò le dita e disse: «Sia lodato il Messiah.»
Il ragazzo fece per girare il cavallo e partire in direzione della prossima tappa, ma si fermò quando udì un frastuono di zoccoli seguito da diversi spari.
«Merda», disse.
«Che succede?» chiese Parris.
«Succede che dobbiamo levare il culo da qui.»
Altri spari. Urla. La gente che era in chiesa uscì fuori alla spicciolata.
Le miniere, fece il dissidente.
Il ragazzo fece per dire qualcosa, poi si rese conto che era inutile. Quella delle miniere era l'unica via percorribile.
«Che sta succedendo?» chiese Parris.
Il ragazzo si accorse che si era avvicinato e aveva afferrato le briglie. Gli mollò un calcio in petto e lo mandò col culo per terra, quindi spronò il cavallo lungo la Via Maestra, in direzione delle miniere. Superò la Piana Arcobaleno e giunse all'alveare di cunicoli. Smontò e chiese al dissidente: «Da che parte?»
Sembrano tutti uguali, dammi un secondo, rispose lui e il ragazzo udì il frastuono lontano di cavalli in avvicinamento.
«Non ce l'abbiamo un secondo», disse al dissidente.
Alla tua sinistra. Fatti la salita.
Il ragazzo schizzò, le sacchette riunite in una mano.
Quello lì più in alto... non quello, l'altro. Esatto.
Giunse all'imbocco del cunicolo mentre un gruppo di incappucciati, torce alla mano, giungeva al galoppo dove aveva mollato il cavallo. Senza fermarsi a guardare si infilò nel cunicolo e, usando la mano libera per tastare la parete, proseguì più rapidamente che poté. Andò avanti a camminare per quella che parve una mezza eternità. D'un tratto udì voci lontane e allora accelerò l'andatura. Continuò finché non incontrò dinanzi a sé un muro di pietre. Quasi ci incocciò il grugno.
«Il cazzo di bivio», ruggì.
Si voltò per tornare indietro e vide una luce ballerina spandersi sulle pareti di roccia. Udì i passi frenetici e si schiacciò allora contro la parete di pietra, rannicchiandosi tutto come un feto. Un incappucciato comparve con la torcia spianata. Si fermò al bivio ed esaminò le alternative. La luce del fuoco non si spingeva fin dove era rannicchiato il ragazzo, ma bastavano pochi passi nella direzione sbagliata e buonanotte al secchio. L'incappucciato fece un passo verso il ragazzo, poi cambiò idea e prese a destra. I due che gli stavano dietro lo seguirono. Il ragazzo mollò un sospiro di sollievo mentre il suono dei passi si allontanava.
Stanotte c'abbiamo un culo come una capanna, fece il dissidente.
Attesero un po' prima di ripartire. Camminarono nell'oscurità, l'udito teso. Il ragazzo si aspettava di sentire i passi delle tonache che tornavano indietro, ma non accadde. Dopo aver sbagliato ancora strada, incontrato un secondo muro di pietre ed essere tornato indietro, arrivò a prendere la salita e a vedere la fine del cunicolo. La luce che la Luna di Sangue spandeva sul mondo entrava dal buco in fondo. Ricordava dal racconto di Meadow che l'ingresso fosse celato da un arbusto o roba simile. Fece qualche passo ancora e, mentre sbirciava di fuori, ebbe conferma che non si sbagliava. Il cunicolo era in origine nascosto, ma il terzetto aveva bruciato l'arbusto. Un paio di legni ancora fumavano, segno che erano passati di lì da poco.
Il ragazzo si ritrasse nell'ombra.
«'affanculo», mormorò. «Perché non ti fai venire una visione che ci dica come evitare quei coglioni?»
L'unica cosa che possiamo fare è scendere in quella spianata e cercare una via per aggirare l'accampamento di quei segaioli.
«E se poi capiamo che non c'è una via per aggirare i segaioli?»
Allora siamo fottuti.
«Grandioso», disse il ragazzo.
Diede una sbirciatina di fuori e si decise a uscire. Si sentiva esposto come un prepuzio, lì fuori, ma non aveva alternative. Trovò il punto giusto e cominciò la discesa. Ci mise un po' per arrivare in fondo e, quando mise piede sul terriccio ghiaioso, si diresse a est. I tacchi degli stivali frantumavano gli strati di ghiaia sottile e il ragazzo decise di toglierli, così da fare meno rumore possibile. Costeggiò a lungo la parete scoscesa di roccia dalla quale si era calato senza trovare altro che nuova roccia, ghiaia e terriccio. Quella desolazione pallida sembrava non avere fine. Macinò ancora un po' di strada e si fermò perché le piante dei piedi gli facevano male. Si acquattò in una pozza d'ombra e sedette a esaminare la situazione.
«'fanculo, mi sanguinano i piedi», disse.
Si sputò sulle mani e passò la saliva sulle abrasioni.
Cazzo fai? chiese il dissidente.
«Disinfetto», rispose il ragazzo.
Fai alla svelta. Dobbiamo continuare a muoverci.
«Facile parlare quando i piedi non sono i tuoi.»
Il ragazzo completò l'operazione e si infilò gli stivali. La frizione delle palme ferite sul cuoio non fu piacevole, ma strinse i denti. Si rialzò e ricominciò a camminare. Le ombre nella spianata continuavano a cambiare posizione. Il ragazzo ne ebbe la chiara percezione. A tratti sembravano vive: forme senzienti dotate di una rudimentale intelligenza. Il dissidente lo aveva tranquillizzato. Quelle ombre non erano come gli spettri delle moltitudini, che si annidavano lungo la Tratta del Messiah. Le ombre della spianata non appartenevano al Re Diavolo. Erano solo residui di un passato che la Luna di Sangue, da diligente becchina, riesumava, e non potevano far loro del male.
«Camminiamo da un pezzo e non si vede ombra di sentieri», disse d'un tratto il ragazzo, fermandosi a sedere.
Alza il culo, fece il dissidente.
«Sono stanco.»
Si sfilò gli stivali con un sospiro che mescolava dolore e soddisfazione. Le abrasioni sulle palme sanguinavano.
«'fanculo», mormorò il ragazzo.
Gettò via lo stivale e posò la testa nella convessità della roccia alle sue spalle. In cielo, la Costellazione Maggiore del Drago splendeva fulgida. L'Iride di Aeron sembrava fissare il Re Diavolo, che stringeva tra gli artigli il disco della Luna di Sangue.
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