* * *
Abel pensava a quanto avrebbe voluto veder saltare in aria Daimon, quando si accorse del cavaliere. La parete di roccia alla sua sinistra gli tagliava fuori parte della visuale, e lo scorse quando era già a metà strada dalla grossa stella tracciata nel terreno. I figli di Baphomet si accorsero dell'intruso e una mezza dozzina di tonache rosse scoprì le canne di altrettante sputafuoco. Qualcuno urlò qualcosa all'indirizzo del cavaliere, forse un avvertimento.
Abel scattò all'in piedi. Estrasse dal colletto una freccia alla quale era legato un badabum e pigliò un fiammifero dalla tasca. Dabbasso due tonache correvano verso il cavaliere con le armi spianate. Il cantonese li vide pigliare le briglie del cavallo, fissare il cavaliere e parlottare tra loro. Non erano abbastanza vicini al gruppo dal quale si erano staccati, ma Abel capì che attendere ancora sarebbe stato un errore: i due stavano conducendo il cavallo lontano dal gruppo radunato nella vicina punta della stella. Accese allora la miccia, incoccò la freccia e mirò al cavaliere. Non doveva colpirlo, bastava che ci si avvicinasse il più possibile. Mirò e scoccò. La freccia sibilò nella notte e andò a ficcarsi nel terreno, a pochi passi dai due incappucciati. I figli di Baphomet si voltarono a guardare. Videro la freccia e la miccia del badabum che si consumava. Riuscirono a scambiarsi un'occhiata, poi la notte si accese come un falò: il badabum esplose e la nitro nella pancia del morto lo seguì. Un fungo di fuoco illuminò la gola e il boato rimbombò come il colpo di tosse di un dio. I figli di Baphomet, il cavallo e il morto esplosero in tanti piccoli pezzettini, e gli incappucciati nelle immediate vicinanze caddero quando l'onda d'urto li investì.
Meadow piombò nella gola seguito dagli altri, tranne il tizio pelato che impersonava Abel. Lui si era fermato ben prima in una chiazza d'ombra, e lì era rimasto nascosto. Gli asesinos a cavallo superarono Meadow mentre questi correva verso i figli di Baphomet con un ringhio in volto e la morte negli occhi. La voce tonante delle pistole echeggiò sulle pareti di roccia. Diverse tonache si accasciarono. Prima che Daimon e compagni si accorgessero di quello che accadeva, gli asesinos avevano fatto fuori un gruppetto all'interno di una punta della stella. Poi i figli di Baphomet si riorganizzarono, impugnarono le armi e risposero al fuoco. Un proiettile beccò il cavallo di Deisdre, che la disarcionò prima di accasciarsi stecchito. Deisdre lo usò per ripararsi dalla pioggia di piombo e rispose al fuoco.
Vince e Cecil non furono altrettanto fortunati. I proiettili li raggiunsero. Vince finì disarcionato, un buco nella spalla e la pistola che volava. Cecil si accasciò sul collo del cavallo. La sputafuoco gli scivolò via dalle dita e cadde nella polvere. Un colpo l'aveva raggiunto al petto. Continuò a cavalcare, entrando nella stella e raggiungendo la pira dove la rossa bruciava. Il cavallo provò a saltarla, ma fallì miseramente. Rovinò a terra, trascinandosi dietro il corpo carbonizzato della rossa e Cecil, che rotolò più in là e rimase disteso a guardare il cielo e a respirare affannosamente. L'ultima cosa che vide fu il tetro faccione di Daimon che riempiva il suo campo visivo.
«Merda...» mormorò con un filo di voce.
Il Gran Sacerdote del Re Diavolo si chinò e aprì la bocca dell'asesino, ci infilò dentro le dita e la allargò fino a spezzare la mandibola. Gliela strappò via e la gettò tra i resti del falò, come offerta di sangue a Baphomet, poi urlò: «Sono la pupilla del rettile e l'artiglio del demone! Sono le moltitudini incarnate! Non esiste arma che possa spezzarmi!»
Si voltò e vide Vince, steso a terra a tenersi il braccio. Il sangue gli colava dal buco nella spalla, sino allo spazio tra le dita. Senza esitare, Daimon lo raggiunse e si chinò per afferrarlo. Vince gli prese i lembi della tonaca e lo tirò a sé, gli piazzò la suola dello stivale sullo stomaco e con una mossa rapida se lo fece volare sopra la testa. Daimon atterrò con un grugnito e subito si alzò. Vince era già in piedi che lo aspettava.
«Avanti, schizzato figlio di puttana. Vediamo quanto vali», disse.
Daimon sorrise come un morto risorto e si fiondò su Vince. Lo travolse e i due giganti rotolarono nella polvere, avvinghiati come due amanti mentre tutt'intorno l'inferno di piombo, fuoco e morte li avvolgeva. Si mollarono pugni e colpi proibiti e, dopo uno scambio infinito, Vince riuscì a scrollarselo di dosso. Gattonò via e si rialzò. Aveva un sopracciglio spaccato, un occhio nero e sentiva un paio di denti ballargli in bocca. Daimon aveva solo qualche graffio. E sì che Vince l'aveva colpito diverse volte.
Ma di che cazzo è fatto? si chiese il gigante. Non c'ha manco il fiatone.
«Cominci a capire?» gli chiese Daimon con quel suo sorrisetto.
«Vaffanculo», mormorò Vince e con un urlo da cavernicolo gli si scagliò addosso.
Un attimo prima che gli zompasse addosso, Daimon sfilò il suo fedele coltello e, con sorprendente rapidità, scattò in avanti e affondò la lama nello stomaco del gigante. Vince provò a sottrarsi, ma Daimon gli passò un braccio dietro la nuca e lo tenne lì, rigirando la lama e spingendola a fondo, quasi volesse farcela entrare insieme all'elsa. Vince si lamentò.
«La morte è solo l'inizio», disse Daimon. «Guarda.»
Vince guardò e, mentre la lama gli rimescolava le carni, vide una fiamma rossa agitarsi negli occhi di quel mostro pallido. E nella fiamma vide danzare un essere con la testa e le gambe di capra e il torso di un uomo.
Daimon estrasse la lama e tagliò la gola del gigante con un gesto rapido. Un ventaglio di sangue spruzzò fuori e gli macchiò il viso. Vince gorgogliò, si portò le mani alla gola e cadde in ginocchio. L'ultima cosa che udì fu una raffica di piombo che gli passava sopra la testa e centrava Daimon in pieno petto. Il Gran Sacerdote arretrò, sorpreso. Si guardò la tunica. C'erano tre buchi all'altezza del petto.
Meadow emerse dalla notte come un incubo. Sparò due volte ancora, centrando il petto di Daimon, e lo vide crollare come un albero abbattuto. Corse da Vince e lo prese tra le braccia mentre il gigante si accasciava. Gli occhi del gigante lo guardarono e le labbra si mossero. Provò a parlare, ma riuscì solo a sputare fuori sangue e una serie di gorgoglii.
«L'ho fatto fuori, quel figlio di puttana», gli disse Meadow. «Ti ho rimesso in pari.»
Vince sembrò voler dire qualcosa, ma il tentativo produsse solo altri gorgoglii e fiotti di sangue. Poi spirò. Fu a quel punto che Daimon si sollevò a sedere, lasciando Meadow di stucco. Poi si alzò in piedi e, come se nulla fosse, si scagliò su Meadow. L'asesino provò a spianare la sputafuoco, ma Daimon gli era già sopra. Lo atterrò, gli fece volar via la pistola con un ceffone, gli afferrò la testa e affondò i pollici nelle orbite. Meadow urlò e provò a divincolarsi, ma il peso del Gran Sacerdote glielo impedì. La tortura durò pochi secondi e l'asesino smise quasi subito di agitarsi.
Daimon si alzò e rimirò il volto martoriato, i buchi grondanti pus e sangue delle orbite, e provò una prostrante soddisfazione. Quei tre che aveva fatto fuori non erano il tipo di anime che il Re Diavolo prediligeva, ma sarebbero serviti comunque a ingrossare le fila del suo esercito di ombre.
«Veniamo a te, Signore delle Ombre», salmodiò, «con questa offerta...»
Qualcosa si conficcò nel terreno, a poco più di un metro da lui. Daimon si voltò e vide una freccia con sopra legato un badabum. L'esplosione lo scaraventò sei metri più in là. Dall'alto della sua postazione, Abel s'asciugò lacrime che non s'era accorto d'aver versato, inforcò una nuova freccia esplosiva e mirò al folto gruppo di incappucciati che sparava al cavallo di Deisdre. L'asesina non riusciva neanche a tirare su la testa per un secondo, tanto era intensa la pioggia di piombo. Abel scoccò la freccia e il badabum esplose, dando però il tempo alla maggior parte degli incappucciati di togliersi di torno. Ne fece fuori due. Ne restavano più di una dozzina. Il cantonese pensò se non fosse il caso di scendere nella gola. Aveva paura che, nel tempo che ci avrebbe messo ad arrivare, quelli lì sotto avrebbero circondato Deisdre.
Incoccò un'altra freccia. Gliene rimanevano due, dopo quella. Doveva usarle con saggezza. Accese la miccia e stavolta decise di attendere più a lungo prima di scoccare. Guardò la miccia accorciarsi e all'ultimo scoccò. La freccia esplose prima di toccare terra, ma molto vicino ai volti degli incappucciati. Tre tonache volarono via e restarono accasciate. Le vesti rosse bruciarono lentamente. Gli altri accusarono il colpo, ma le ferite riportate non impedirono loro di ricominciare a sparare.
Abel incoccò la penultima freccia e vide gli incappucciati sparpagliarsi per tutta la gola. All'inizio pensò stessero fuggendo, poi capì che era una tattica. Distanziandosi gli impedivano di ucciderne più di uno alla volta. Alcuni si eclissarono dietro la parete di roccia che gli impediva una piena visuale della gola.
«Figli di puttana», ringhiò Abel.
A quel punto non aveva molta scelta. O scendeva a darle una mano, o Deisdre sarebbe morta come un topo intrappolato da una muta di gatti.
Morirà in ogni caso, gli disse una voce. E tu con lei, se scendi in quella gola.
«Al diavolo», disse il cantonese. «Se dobbiamo crepare, creperemo assieme.»
Si ficcò la freccia nel colletto e attraversò la strettoia. Fece il sentiero di corsa e giunse trafelato alla spianata ghiaiosa. Pigliò il sentiero a destra e continuò sino al bivio. Svoltò a destra sbatté il grugno contro qualcosa. Andò col culo per terra e, quando buttò un occhio, vide solo ombre. Poi un'ombra più scura gli corse incontro e assunse le sembianze di Daimon. Il Gran Sacerdote del Re Diavolo aveva la tonaca mezza bruciacchiata e il volto tumefatto. Mezza faccia recava segni di bruciature. La pelle sembrava pergamena vecchia di secoli. L'occhio sinistro era arrossato e gonfio di sangue.
«È impossibile...» mormorò Abel. «Quell'esplosione avrebbe dovuto ucciderti.»
«Io sono immortale», tuonò Daimon.
Si chinò e gettò le mani al collo di Abel. Lo sollevò e cominciò a stringere. Il cantonese provò a liberarsi, ma quel mostro aveva due tenaglie al posto delle mani. Abel allungò una mano verso la fondina ed estrasse, ma Daimon fu più lesto e con un ceffone gli fece volare via la sputafuoco. Abel sfilò allora una freccia dal colletto e prese a piantare la punta di legno nel braccio, nella spalla e nel collo del gigante, senza risultati. La morsa alla gola non perse vigore. Il fiato cominciava a mancargli e la vista ad annebbiarsi. Sollevò il braccio ancora una volta, stavolta per piantargli la punta nell'occhio, ma gli mancarono le forze. La mano ricadde mollemente e la freccia scivolò in terra. Daimon mollò il corpo ormai privo di vita. Recuperò l'arco, la freccia che Abel aveva usato per infilzarlo e tornò alla gola senza fretta.
I suoi avevano smesso di sparare, e stavano avvicinandosi al cavallo e a Deisdre usando una manovra a tenaglia. Deisdre profittò di quel momento per tirare su la testa e sparare alla prima tunica in vista. La centrò e gli altri ricominciarono a rovesciare piombo rovente. L'asesina fece appena in tempo a tirare giù la testa. Una pallottola le fece volare via il cappello, ma non beccò quel che ci stava sotto. Era in gamba, la troia. Daimon capì che avrebbe fatto fuori una manciata dei suoi, prima che quelli riuscissero a piantarle una pallottola in corpo. Non voleva ammazzarla, avrebbe preferito sacrificarla al Re Diavolo, ma capì subito che non c'era modo di catturarla viva. Quella troia non si sarebbe arresa.
Imbracciò quindi l'arco e si accorse di non avere nulla con cui accendere la miccia. Pronunciò una parola nella lingua dei Druidi («Fflam») e la miccia del badabum prese subito piede. Daimon incoccò la freccia, mirò e scoccò. La freccia sibilò nell'aria e si conficcò nella schiena del cavallo, poco sopra la testa dell'asesina. Deisdre, distesa sulla pancia, sentì la freccia conficcarsi e alzò gli occhi. Vide la miccia che si consumava ed ebbe forse il tempo di raccomandare l'anima al dio degli asesinos.
Poi l'esplosione la scaraventò nell'oblio.
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