* * *
Il piano di Meadow era semplice. L'asesino spiegò i dettagli ai suoi compagni, che lo ascoltarono con attenzione e poi si guardarono.
«Mica male», fece Cecil.
Erano seduti tutti al tavolo dove il giorno prima Meadow aveva compiuto la sua operazione chirurgica.
«E i due che vengono con noi?» chiese Deisdre.
«Li ho già trovati», fece Meadow.
«Gli hai detto di fare testamento?» chiese Cecil.
«Non morirà nessuno, stanotte», disse Meadow, che poi si corresse. «Nessuno che non indossi una tunica rossa.»
Fuori, il Sole era uno spicchio ardente seduto sulla linea dell'orizzonte. In cielo brillava la Costellazione Maggiore del Drago, l'unica visibile anche durante le ore diurne. Il grosso drago sembrava ammirare la palla di fuoco che si inabissava.
Meadow si fece un ultimo bicchiere, poi andò di fuori a controllare a che punto fosse il falò. Quelli che la stavano allestendo, nel mezzo della Via Maestra, erano a buon punto. Ogni cristiano in città aveva portato in dote qualcosa. C'erano perlopiù legni, ma anche vestiti e lenzuola. Qualcuno aveva smontato parte del mobilio e qualcun altro due o tre legni della veranda. Meadow li aveva costretti a partecipare alla causa, e aveva carezzato il calcio del suo revolver per convincere i più refrattari. Il falò aveva raggiunto discrete dimensioni. Serviva una bella colonna di fumo bianco, visibile sullo sfondo del cielo scuro, e quei legni facevano proprio al caso. Era legno hydrin, che cresceva nell'Entro-Terra, e quando bruciava faceva un bel fumo bianco.
«Servono più legni», disse Meadow ai tizi che stavano ammucchiando la legna da ardere. «Deve durare un bel po'.»
Il gruppetto di cristiani indaffarati annuì mestamente. Gli sarebbe toccato smontare qualche altro legno della veranda. Meadow li osservò per un po', poi rimirò il cielo che andava spegnendosi velocemente come la coscienza di un ubriaco. La Stella del Vespro, con le sue fulgide quattro punte, si era unita all'enorme drago.
Meadow tornò a rivolgersi a quelli che mettevano in piedi il falò. «Muovete il culo», disse prima di alzare i tacchi.
Tornò dentro e sedette.
«A che stiamo?» chiese Deisdre.
«Sono più lenti di un'orda di sonnambuli», fece Meadow.
«Nell'attesa possiamo sbronzarci», disse Cecil, e allungò una mano verso la bottiglia.
«Basta trincare», fece Meadow. La mano di Cecil si fermò, impalata a mezz'aria. «Mi servite lucidi.»
Cecil ritirò la mano e Meadow si rivolse ad Abel.
«Prepariamoci, che fra poco si va in scena», gli disse.
Il cantonese era già in piedi, il suo arco in mano e le frecce temperate a dovere che sparivano nel colletto della camicia, dietro la nuca. Non c'era tempo per fabbricare una faretra. Era già un miracolo che fosse riuscito a fare arco e frecce. Lui e Meadow lasciarono il saloon. Non appena misero piede fuori, Cecil allungò le zampe e si versò da bere. Deisdre scosse la testa ed esibì una delle sue classiche espressioni di biasimo. Il suo modo per dire a qualcuno: sei senza speranza.
Vince, Jocelyn e il ragazzo erano gli unici a non aver bagnato le labbra. Il gigante era teso ma concentrato. Il ragazzo sembrava come al solito disinteressato. Vince lo guardò un secondo e invidiò quella sua sicumera. Si chiese se avesse inteso i rischi di quella loro imminente scampagnata.
«Affanculo, ti faccio compagnia», disse di punto in bianco il gigante.
Cecil sorrise e gli passò la bottiglia. Vince bevve direttamente dal collo, poi si pulì le labbra col dorso della mano.
«Meglio, eh?» fece Cecil.
Deisdre si alzò.
«Do' vai?» chiese Cecil.
«Fuori», sibilò l'asesina. «Lontano da voi idioti.»
Girò i tacchi e uscì. Cecil e Vince si guardarono.
«C'avrà le sue cose», disse Vince e si fece un'altra tracannata.
Passò a Cecil la bottiglia e continuarono così finché il ragazzo non disse: «A 'sto punto mi unisco pur io.»
«Il bell'addormentato s'è svegliato», fece Cecil, che non si sarebbe mai rivolto così al ragazzo da sobrio.
Annebbiato dai fumi dell'alcol, gli passò un bicchiere e glielo riempì fino all'orlo. Il ragazzo bevve d'un fiato e senza una smorfia.
«Cristo», fece Vince, «sembra che bevi da quando poppavi latte.»
«Fattene un altro», disse Cecil e riempì ancora il bicchiere al ragazzo, che lo buttò giù come prima.
«Non sei mica normale», fece Vince.
«Te ne sei accorto, eh?» disse il ragazzo.
Nel suo timbro vocale c'era sempre più traccia del dissidente. Vince notò il cambiamento, ma si guardò bene dal fare commenti. Lui e Cecil continuarono a bere finché Deisdre non piombò nel locale e disse loro che era ora di mettersi in moto.
«Guarda questo com'è conciato», disse rivolgendosi a Cecil.
Aveva una faccia schifata.
«Ci penso io», disse Vince.
Prese l'amico per il colletto della camicia e gli mollò due ceffoni: un dritto e un rovescio. La testa di Cecil dondolò a destra e a sinistra. Le palpebre si chiusero e si riaprirono. Gli occhi catarrosi fissarono quelli del gigante.
«Cazzo fai?» sbottò Cecil.
«Ti rimetto in sesto», disse Vince.
Lo voltò verso l'ingresso e gli mollò uno schiaffone sulla schiena per metterlo in moto.
Uscirono. Sulla Via Maestra il mucchio di legni attendeva il fuoco. Le ombre della sera si addensavano. Il Sole era quasi sparito e il cielo era una tavolozza con diverse tonalità di blu che sfumava dall'azzurro, in prossimità della linea dell'orizzonte, sino al blu notte.
Meadow e Abel erano a cavallo. Quando videro gli altri uscire, Meadow chiese: «Dov'è il ragazzo?»
Vince si voltò. Era convinto di averlo alle spalle.
«Vado a vedere che s'è perso», disse il gigante e tornò dentro.
Il ragazzo stava bevendo con Jocelyn. Alla fine anche lei aveva ceduto. Ma mentre Jocelyn poteva rimanere seduta a bere sino alla fine dei tempi, il ragazzo aveva un lavoro da fare.
«Guarda che aspettiamo te», disse Vince.
Il ragazzo alzò la testa, e a Vince parve di vedere una scintilla rossa baluginare nei suoi occhi. Non riuscì a sincerarsene perché il ragazzo distolse subito lo sguardo e, nel posare il bicchiere, si rivolse a Jocelyn.
«È stato un piacere», disse. «Il resto scolatelo tu.»
Jocelyn non se lo fece ripetere e si riempì il bicchiere mentre il ragazzo seguiva Vince. Una volta usciti, il gigante notò che si era unito all'allegra brigata un altro cavallerizzo. Era il tizio che Meadow aveva assoldato per la farsa. Dovevano impersonare Abel. E perché la cosa riuscisse, Meadow l'aveva costretto a rasarsi a zero come il cantonese. Il morto, invece, avrebbe sostituito Meadow. Gli avevano messo indosso spolverino e cappello. Alla fine doveva far numero. Quelli appostati in alto, sulle pareti di roccia, dovevano contare sei cavalli. Che Jocelyn mancasse all'appello non faceva differenza. E comunque Meadow non avrebbe mai rischiato la sua incolumità.
Il tizio che avevano rasato, perché somigliasse di più ad Abel, era ridicolo. Aveva la testa a forma di uovo. A Vince scappò un grugnito divertito.
«Da che circo l'hai preso, a 'sto qui?» domandò.
Anche Cecil sghignazzò.
«Sapete cosa fare», disse Meadow ai suoi. Poi si rivolse al ragazzo a cavallo. «Tu, testa bassa e cavalcare.»
Testa a Uovo annuì con decisione, ma si vedeva che stava tutto cacato sotto.
«D'accordo», fece Meadow. «Facciamoli secchi.»
Lui e Abel girarono i cavalli e partirono al galoppo in direzione delle miniere. Gli altri montarono a cavallo. Il morto era già da un pezzo bell'e pronto, legato alla sella in modo da non cascare e con in testa un bel cappellaccio dalla tesa larga. Cecil pigliò le briglie del cavallo e mise in moto la bestia. Avrebbero cavalcato fianco a fianco, al centro del gruppetto.
Testa a Uovo guadagnò la testa del drappello. Deisdre e il finto Abel gli si piazzarono dietro. Cecil e il morto stavano in mezzo, e Vince e il ragazzo chiudevano le fila. Il gigante s'attardò un attimo a parlare con quelli nei pressi del falò.
«Aspettate una mezz'oretta», disse, «poi date fuoco al falò. E continuate a buttarci dentro legni finché non sentite i botti.»
Quelli annuirono e Vince andò via soddisfatto. Trottò accanto al ragazzo.
«Forse è il caso che mi dici dove hai messo la borsa coi bronzi», gli suggerì. «Nel caso schiatti, sai com'è...»
Il ragazzo sfoderò un ghigno dei suoi. «Tranquillo, che non schiatto.»
«Stavolta non puoi squagliarti come hai fatto con gli invasati», lo stuzzicò Vince.
«E chi lo sa», rispose il ragazzo.
Il suo ghigno si ampliò. Vince ebbe un tremito. Quando sorrideva a quel modo sembrava che un'entità aliena possedesse il suo corpo.
Passarono sotto l'arco di ingresso, Cecil mollò le briglie e lasciò che il cavallo col morto in groppa procedesse da solo. E mentre cavalcavano compatti, le alte mura rocciose ai lati, pregò il dio degli asesinos.
Lo pregò di badare alla sua pellaccia fetente.
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