* * *
Dei venti uomini accampati nella Gola del Diavolo, uno si distingueva dagli altri per fisicità e bruttezza. Daimon (così si faceva chiamare dai suoi adepti) era più grosso del negro che catturò Jericho. Non aveva però una cartina geografica incasinata che gli deturpava il volto, che sembrava un blocco di pietra come quello in cui erano scolpiti i Quattro Padri. La sua tonaca cerimoniale era lunga e ampia come un lenzuolo, di quelli che coprirebbe un materasso a due piazze. Sulla schiena c'era disegnato il Re Diavolo: un essere umano con la testa e gli zoccoli di un caprone che stava in ginocchio, circondato da un anello che conteneva una stella a cinque punte e simboli arcani.
Due figli di Baphomet, che l'avevano aiutato a indossare l'abito cerimoniale, fecero un passo indietro. Daimon allargò le braccia possenti. La luce del fuoco da bivacco gettò l'ombra di una croce umana sulla terra brulla. Daimon assaporava il calore delle fiamme mentre i due figli di Baphomet, che parevano anime dannate, sorvegliavano l'iniziazione. Uno di loro si avvicinò, si sollevò sulle punte e calò il cappuccio sul capo del gigante. Daimon levò il volto alla Luna. Era la Luna più grossa che avesse mai visto. Non ne ricordava un'altra uguale. Sembrava un enorme occhio di cadavere. Se ne rallegrò e, quando sorrise adorante, il suo volto divenne quello di un idolo dell'Ell.
Mormorò qualcosa che nessuno capì. Aveva una voce cupa e roca, la stessa di uno spettro o di un morto resuscitato da un negromante. Fissò adorante la Luna e il mistico alone che la cingeva (quella notte era rosso come la tunica che indossava), e il suo sorriso si ampliò. Quell'anello rosso era un chiaro messaggio: Baphomet voleva fargli sapere che apprezzava il suo operato.
«Sellate i cavalli», disse Daimon.
I figli di Baphomet si prepararono. Fecero tutto nel più rigoroso silenzio, senza fretta, mentre Daimon osservava la Luna e mormorava nenie che parlavano di cadaveri in putrefazione e donne stuprate da morti resuscitati. Quando udì alle sue spalle il rumore di zoccoli che pestavano la nuda terra, si voltò. Uno dei figli di Baphomet teneva le redini del suo cavallo: uno stallone, nero come il cuore del Re Diavolo. Daimon montò, quindi diede un colpetto di talloni. L'animale si incamminò fiero, aggirando il fuoco, e subito seguito da nove uomini in tonaca rossa. Ognuno di loro portava una sputafuoco e un fucile ficcato nel fodero agganciato alla sella, gentile omaggio di McCarthy, armaiolo di Arlene.
Mentre usciva dalla Gola del Diavolo, Daimon offrì il viso alla Luna, sua compagna fidata. I suoi pensieri erano proiettati alla cerimonia dell'indomani. Avrebbe avuto una Luna ancora più grande a guardarlo e, con un po' di fortuna, sarebbe stata rossa come il sangue che scorreva sul Messiah quando lo inchiodarono alla Grande Croce. Avrebbero sacrificato la femmina, bevuto il suo sangue e mangiato la sua carne alla luce dell'Occhio di Baphomet. Il solo pensiero lo eccitò a tal punto che sentì muoversi il suo amico ai piani bassi. Diede allora un altro colpetto ai fianchi del cavallo, che aumentò l'andatura.
Voleva arrivare ad Arlene prima possibile.
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