Come Vince, anche Abel restò estasiato nel vedere la Piana. Fermò il cavallo e osservò quell'arcobaleno di fiori colorati. Ebbe l'impressione che non fosse un'accozzaglia casuale. Ogni colore era ben distaccato dall'altro. I fiori marroni, che formavano la lunga chioma del Messiah, non sconfinavano nel gruppo di fiori rosa che era il volto del Messiah.
Abel smontò da cavallo e si avvicinò. Gli parve che i fiori ondeggiassero appena. Un movimento impercettibile, che per un momento gli diede il capogiro. Poi udì una voce sussurrare qualcosa. Si guardò intorno. La mano saettò sul calcio della sei colpi che pendeva dal fianco destro, ma non c'era nessuno a parte il suo cavallo e, a meno che non avesse imparato a parlare... Attese e lo sentì ancora, stavolta un po' più chiaro. Era una voce morbida.
«Chi c'è?» chiese Abel girando su se stesso.
Tu non sei come i tuoi compari, disse la voce.
Abel spianò la sei colpi. «Fatti vedere.»
Nessuno uscì allo scoperto, anche perché non c'erano posti nelle immediate vicinanze dove nascondersi. L'unico posto era la Piana Arcobaleno, ma dovevi essere alto come la caviglia di un marmocchio per nasconderti lì in mezzo.
Riesci ancora a distinguere cosa è bene da cosa non lo è.
Abel si accorse con sgomento che la voce gli risuonava dentro la testa.
«Che cazzo...»
E quel disegno sulla nuca ne è la prova. Sai che nel Nero sopravvive un po' di Bianco. L'hai detto a quel tuo amico, quello con gli occhi spaiati, ma lui non ha capito perché non è come te.
Abel fece per parlare, ma poi chiuse la bocca. Anziché dirlo ad alta voce, serrò le palpebre e lo pensò.
Chi sei? chiese.
Quello che qui chiamano il Messiah, rispose la voce e Abel aprì di colpo gli occhi. Questo mosaico di fiori... un mosaico è un insieme di frammenti colorati che formano un disegno, nel caso non lo sapessi. Dicevo, questo mosaico di fiori è la prova che sono passato di qui. Se li guardi dall'alto ci vedi la mia faccia. Non è proprio spiccicata, eh, ma ci va parecchio vicino. Non sono mai stato bravo a disegnare, ma mi ci sono impegnato parecchio e mi sembra venuto piuttosto bene. Ci ho lasciato pure un pezzo di me, della mia... coscienza, per così dire. Lo so, è una roba che se ci pensi ti fonde il cervello, ma è andata così.
«Il Messiah?» mormorò Abel.
La mano che impugnava la sei colpi gli pendeva ora lungo il fianco, inerme. Le dita quasi faticavano a trattenere il peso dell'arma.
So che hai da fare ma, visto che ci siamo, un minuto te lo rubo. Questa brava gente ne passate tante, ma proprio tante. Quei figli di Baphomet non si portano via solo le donne, ma anche la speranza. Non mi va a genio quello che volete fare – non so se ti è arrivata voce, ma non sono un grande fan degli ammazzamenti – ma ammetto che, per come sta la situazione, porgere l'altra guancia non serve a molto. Perciò, quando avrete fatto quello che dovete, fatemi un favore: non prendete il posto di quei tizi col cappuccio. Lo dico a te perché mi sembri quello con più sale in zucca e più zucchero nel cuore.
Abel non sapeva cosa dire, quindi rimase in silenzio.
Prendete quello che vi offrono, ma non li dissanguate. Fatemi questo piacere.
Non c'era un filo d'aria, eppure i fiori ondeggiavano come se sospinti da una brezza sostenuta.
Non ti dico di portare ai tuoi amici il messaggio, perché probabilmente ti riderebbero in faccia, disse il Messiah e Abel si accorse che i fiori ondeggiavano in maniera più marcata quando la voce parlava. Tu però potresti un attimo tenerli al guinzaglio se si lasciano prendere la mano. Fai appello a quella punta di bianco che sopravvive dentro di loro. Sono certo che sai come fare. Okay?
Abel annuì appena, più per un riflesso che per volontà propria.
Vabbè, quello che dovevo dire l'ho detto. Ti lascio alle tue faccende. Stammi bene.
I fiori smisero di ondeggiare e la voce di parlare. Abel attese ancora qualche secondo, ma non la udì più. Rinfoderò la sei colpi e, ancora stordito, rimontò a cavallo. Costeggiando la Piana Arcobaleno rimuginò sulle cose che la voce gli aveva detto. Era stato davvero il Messiah a parlargli? Gli pareva incredibile.
Mentre cavalcava, ripensò a quello che aveva sentito sugli insegnamenti del Messiah, la storia che parlava ai mascalzoni e li aiutava a trovare la Retta Tratta. Qualche volta aveva buttato mezzo orecchio alle robe che il reverendo di questa o quella città diceva, e qualcosa gli era rimasto impresso. Il Messiah parlava agli ultimi, agli irrequieti e ai farabutti. Ci parlava come aveva parlato a lui.
Tu sei diverso, gli aveva detto. Sai la differenza tra ciò che è bene e ciò che non lo è.
Era vero, lui conosceva la differenza, ma questo non gli impediva di ammazzare per soldi. Il Messiah doveva saperlo, eppure non gli aveva fatto la morale, e la cosa non mancò di stupire Abel.
Si scosse da quei ragionamenti quando vide l'enorme alveare stagliarsi di fronte a lui. Era una vasta area, fatta di salite che si inerpicavano fra le rocce e che portavano alle famose gallerie. Ora capiva perché la città sorgesse in un posto desolato come quello. Le cose dovevano andare bene, lì, prima che la roba da estrarre si esaurisse.
Abel smontò da cavallo, recuperò la lampada a olio che aveva portato con sé e proseguì a piedi. Quelle salite sembravano una trappola per le caviglie dell'animale. Andò dritto alle gallerie nel mezzo. Salì fino a raggiungere un imbocco e ci infilò il naso dentro. Era buio come in un buco di culo. Accese la lampada e si avventurò finché non si trovò davanti un muro. Le pietre ammassate in un crollo vecchio di chissà quanti autunni. Si voltò e tornò indietro. Ne tentò un'altra e stavolta camminò di più, tanto che quando si girò indietro vide l'imbocco ridotto a un puntino bianco. Poi incontrò un altro crollo e girò i tacchi.
Uscì di nuovo alla luce del Sole e sbuffò. C'erano tipo trenta gallerie da esplorare. Ne tentò altre due. Una lo impegnò poco. Il crollo era avvenuto poco lontano dall'imbocco. Un'altra lo costrinse a camminare per parecchio, tanto da perdere la luce all'imbocco. Quando era ormai certo di aver beccato la vena giusta, il muro di pietre crollate dal soffitto della galleria lo sorprese, costringendolo a fare marcia indietro.
«Al diavolo», disse mentre usciva.
Almeno non c'erano biforcazioni. Le gallerie che aveva visitato era una via diritta.
Uscì e scelse un altro buco in cui infilarsi. Camminò a lungo e, quando si voltò, non si sorprese di non vedere più l'imbocco. Mentre la nuda pietra gli scorreva affianco, Abel si accorse che la galleria curvava verso sinistra. La cosa gli procurò un fremito. Forse aveva imbroccato. Più avanti si materializzò il suo timore più grande: una biforcazione. Prese a sinistra, così da proseguire verso ovest. Continuò per parecchio, sentendo la parete curvare ancora, finché non giunse a un'altra biforcazione.
«Merda», mormorò nel buio.
Gli sembrava di aver camminato per un'eternità e non era sicuro della direzione da prendere. I tizi che avevano scavato dovevano essere delle talpe, visto il lavoro fatto. Stava per prendere a sinistra, quando gli parve di percepire un filo d'aria sul viso. Si fermò nel mezzo della biforcazione e attese. Per molto tempo non sentì niente, poi qualcosa gli sfiorò il volto. Abel prese a destra e dopo un po' avvertì più nitido un ricciolo d'aria solleticargli il viso sudato. Quando finalmente vide un mosaico di luce bianca in lontananza, aumentò il passo. Fece l'ultimo tratto in salita e presto si rese conto che il mosaico di luce scomposta era dovuto al fatto che a coprire l'imbocco della galleria c'era un cespuglio. Si tolse il cappello e lo ripose a terra, poi si aprì un varco con le mani facendo attenzione a non spezzare i ramoscelli e mise la testa fuori. Gli ci volle un po' per riuscire ad aprire gli occhi senza che la luce glieli ferisse.
Non sapeva dove fosse sbucato, ma era in alto. Intorno a sé vedeva una spianata alcalina e grossi crostoni rocciosi in lontananza. L'enorme spianata, vuota se non per la presenza di qualche roccia e qualche cranio di animale, si allargava in tutte le direzioni. Non era sbucato dove si nascondevano i figli di Baphomet, quello era certo, ma forse stavano accampati nelle vicinanze. Per trovarli avrebbero dovuto andare in avanscoperta, ma farlo con la luce del Sole era un rischio. Col favore delle tenebre, invece...
Abel rimise la testa dentro la galleria. Il fogliame frusciò e si agitò. Riprese il cappello e tornò indietro. Mentre faceva la strada a ritroso, si domandò quanto tempo fosse occorso per scavare quella galleria e perché sbucasse lì in alto. Era chiaro che non c'entrava nulla con l'estrazione mineraria. La roba da cercare stava in profondità, mentre quella galleria sbucava diversi metri sopra quell'enorme spianata polverosa.
Nel tornare indietro alla seconda biforcazione, si chiese dove portasse la galleria di sinistra. Decise di inoltrarsi per un bel po', finché non incontrò il solito muro di pietre. Gli venne in mente che i crolli incontrati potevano essere volontari e non frutto di incidenti, anche se non capiva perché i minatori avrebbero dovuti occludere alcuni cunicoli e lasciarne aperti altri, tipo quello dal quale era sbucato.
Fece la strada a ritroso e dopo un'eternità vide l'imbocco della galleria. Uscì e la luce del giorno lo inondò. Ridiscese il pendio e montò a cavallo. Nel rivedere la Piana Arcobaleno gli tornarono in mente le parole del Messiah, ma la sua mente indugiò sul ricordo pochi istanti. Aveva altro per la testa.
Tornò in città, al saloon. Quando entrò, seduti al tavolo erano rimasti Meadow, Jocelyn e Deisdre. Nel vederlo entrare, Deisdre si alzò e gli andò incontro.
«Vado a raccattare le teste bacate», disse, passandogli accanto e uscendo spedita.
Abel sedette e notò che la bottiglia era vuota.
Meadow disse: «Ancora un po' e venivo a cercarti.»
«Non è stata proprio una passeggiata», fece Abel. «Però ha dato i suoi frutti.»
«Cioè?»
«Non aspettiamo gli altri?»
«Sono curioso.»
Abel gli raccontò tutto, tralasciando la parlata con il Messiah e le riflessioni che avevano fatto seguito.
«Pensavo di ritornarci stanotte e fare un po' di esplorazione», concluse Abel.
«Ottima idea», disse Meadow. «Mi sa vengo con te.»
Abel chiamò il barista e gli disse di portargli da bere. L'uomo arrivò con una bottiglia e un nuovo bicchiere. Nell'attesa, i due asesinos si sciacquarono la bocca e parlarono di quella galleria che spuntava in alto, sopra un enorme spianata alcalina.
«Dovremmo chiedere al reverendo», fece Meadow. «Se sa che esiste, sa anche perché l'hanno scavata.»
Gli altri arrivarono mentre i due pensavano alla faccenda delle gallerie. Sedettero, tutti tranne il ragazzo, e ascoltarono il racconto di Abel.
«Stanotte io e Abel ci facciamo un giro», disse infine Meadow.
«E noi?» chiese Cecil.
«State qui e godetevi lo spettacolo», fece Meadow. Si alzò e si rivolse ad Abel. «Vado a schiacciare un pisolino. Se non mi vedi quando cala il Sole, vienimi a svegliare.»
Girò i tacchi e uscì senza manco lanciare un'occhiata a Jocelyn, che per altro non disse niente. Non pareva manco infastidita. Abel trovò la cosa parecchio interessante. Lei sembrava sapere che era meglio lasciarlo perdere. Possibile che tra quei due si fosse già sviluppata un'intesa tale? Lo trovò improbabile ma non impossibile.
«Mi sa che un pisolino vado a farmelo pure io», disse Vince. «Ma prima faccio un salto al puttanaio locale.»
«Quasi quasi ti faccio compagnia», fece Cecil.
Si alzarono e andarono a parlare col barista. L'uomo ascoltò e indicò ai due asesinos dove dirigersi. I due salirono le scale e infilarono il corridoio. Maude era in camera sua. Sentì i passi e uscì ad accoglierli.
«E mo' chi è 'sto baldraccone?» domandò Vince quando la vide.
Maude gli rivolse un'occhiata acuminata, ma neanche troppo. Il bestione che aveva davanti poteva scamazzarla in un attimo, e quell'altro con gli occhi febbricitanti pareva non meno pericoloso. La maitresse decise che era meglio non fare stronzate. L'ultima volta aveva rimediato una scoppola sul grugno e ancora sentiva male.
«Come la volete?» chiese Maude.
«Con due buchi, uno davanti e uno dietro», fece Vince e Cecil sghignazzò.
Maude capì che a quelli bastava che respirasse, quindi scelse a intuito. A Cecil rifilò una bionda, mentre a Vince la rossa che tempo prima era toccata al ragazzo. Neanche si sprecò a dirgli che dovevano farsi un bagno prima di ficcarsi sotto le lenzuola. Sarebbe stato come parlare a un mulo sordo. Li vide entrare nelle stanze dove le ragazze attendevano e decise di andare di sotto a bere un goccio. Mentre scendeva le scale e si avvicinava al bancone non mancò di notare il gruppetto seduto a bere. Tra loro c'era un cantonese, due donne – una era vestita come un uomo e portava un'arma – e...
Si fermò. Aveva riconosciuto il ragazzo che tempo prima le aveva rifilato un calcio in culo. Se ne stava seduto, il capo chino e la tesa del cappello che gli copriva il volto. Maude si chiese se stesse dormendo.
Raggiunse il bancone e richiamò l'attenzione del barista. Quello si avvicinò.
«Chi sono quei tizi?» chiese.
Il barista non ebbe bisogno di chiedere a chi si riferisse. «Quelli che Parris diceva», rispose.
«Quelli che devono far fuori i figli di Baphomet?»
«Eh. A proposito, quei due che ti ho mandato...»
«Li ho sistemati. Fanno parte del gruppo?»
«Vedi di non farli incazzare.»
«Non ci penso proprio. Per me possono anche sfasciare il bordello, dargli fuoco e poi pisciarci sopra. Dammi da bere.»
L'uomo le versò un po' di sciacquabudella e ne prese per sé. Aveva bisogno di un goccio.
«Dici che ce la possono fare?» chiese Maude.
«E chi lo sa. Hanno la faccia giusta, però.»
«Che faccia?»
«Quella di un branco di figli di puttana.»
Maude si girò a guardarli. La donna armata e il cantonese avevano un'espressione dura e fiera. L'altra donna non pareva un'asesina. Nemmeno era armata. E il ragazzo... Maude provò un brivido. Sembrava una statua di legno, tipo quella del Messiah in chiesa. Non sapeva giudicarlo, ricordava solo fosse parecchio giovane, sulle quindici o sedici primavere. Troppo giovane, in effetti. Difficile credere che potesse dare fastidio ai figli di Baphomet. Quanto agli altri due, il gigante e quello che sembrava in preda alla febbre, bastava dargli un'occhiata per capire di che pasta erano.
«Sono soldi spesi bene», fece il barista. «Me lo sento.»
Maude se lo augurava. Si erano svenati per racimolare il denaro necessario. Ormai erano con le pezze al culo.
«Ne manca uno», mormorò il barista.
«Che?» fece Maude, strappata alle sue riflessioni.
«Ci sono quelli seduti e quelli di sopra, e poi ce ne sta pure un altro che ha gli occhi di due colori diversi e che mo' non c'è.»
«Sul serio? Ha gli occhi spaiati?»
«Eh. Ce ne ha uno marrone e uno celeste. Una roba proprio stramba.»
«E anche lui ha la faccia da figlio di puttana?»
«'a' voglia.» Il barista abbassò ulteriormente il tono di voce. «Per me è il più figlio di puttana di tutti.»
Maude finì di scolarsi il drink.
«Vado a dare un'occhiata», fece. «Quello grosso sembrava parecchio infoiato. Non vorrei che mi spezzasse a metà una ragazza.»
«Non farli incazzare», ripeté il barista.
Maude sfarfallò una mano per aria e fece una smorfia infastidita: non rompermi le palle. Tornò di sopra e origliò quello che accadeva nelle stanze occupate. In quella dove stava il tizio con gli occhi gonfi di febbre udì il solito concerto di grugniti maschili e mugolii femminili. In quella dove stava il gigante, un vocione sovrastava i mugolii della rossa. Maude sperò che non gliela riducesse a uno straccio. Se quell'animale ce l'aveva grosso quando era alto, la povera ragazza avrebbe passato la settimana seguente in ammollo in una vasca d'acqua ghiacciata.
La maitresse si allontanò e tornò nella propria stanza. Lì sedette sul dondolo e, guardando fuori della finestra, cercò di non pensare a cosa sarebbe accaduto quando fosse giunta la sera.
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