* * *
Quella sera un anello bordeaux cingeva la Luna come un livido intorno a un occhio. Meadow era a letto, vestito e vigile. Osservava lo spettro di luce lunare che aleggiava ai piedi della finestra e pensava a Jocelyn. Quella donna l'aveva stregato. Gli occhi, soprattutto. Steso al buio, Meadow ripensava a come lo guardava mentre agitava i fianchi e mugolava di piacere. Era come una femmina di llew: sinuosa e con il fuoco dei Mynydd negli occhi.
Quando il velo lunare che entrava di sbieco nella stanza divenne perpendicolare, Meadow si alzò facendo sospirare i legni del letto e uscì dalla stanza. Era come un fantasma mentre camminava lungo il corridoio e raggiungeva la camera numero 12. Tentò la maniglia sapendo già di trovare via libera e aprì uno spiraglio da cui sbirciare. La stanza era in penombra. Vide una forma scura, in piedi dinanzi a una parete, muoversi e raggiungerlo in fretta. Parte del viso di Jocelyn riempì la fessura. Meadow si portò l'indice alle labbra e aprì lentamente la porta. Scivolò dentro come un invisibile e chiuse alle spalle l'uscio con la stessa indolenza.
Sussurrò a Jocelyn: «Aspetta fuori.»
«Voglio guardare», mormorò lei.
Lui non riusciva a vederle gli occhi, ma era sicuro che luccicassero di fredda e lucida determinazione. Annuì e si avvicinò al letto a due piazze. Le forme magre seppellite sotto le lenzuola parevano immobili. Una delle due russava appena. Meadow sfilò il coltello dal fodero appuntato su un fianco. La testa spelacchiata del matusa che russava spuntava dal fagotto. Il profilo sotto le lenzuola era appena percepibile. Meadow allungò una mano e scoprì lentamente il collo da tacchino dell'uomo che ronfava con pudore. Sollevò allora il coltello e lo calò con tutta la forza sul collo. La lama penetrò quasi del tutto nella carne e aprì un solco dal quale cominciò a zampillare sangue. Gli occhi del matusa si spalancarono e la bocca si mosse come quella di un pesce a corto d'aria. Meadow gliela tappò, troncando una serie di gorgoglii, poi sfilò la lama e il sangue zampillò come acqua da una fontana. Il matusa si agitò un poco, ma non così tanto da disturbare il sonno della moglie che gli dormiva di fianco. Il tremore incontrollato durò pochi secondi e terminò quando il sangue smise di zampillare.
Quando Meadow ritirò la mano che tappava la bocca del morto, il cuscino e parte delle lenzuola erano zuppe di sangue. Un po' era finito sulla parete alle spalle della testata e persino sulla testa della vecchia babbiona che ancora dormiva. Per un momento Meadow pensò fosse schiattata nel sonno, poi la donna sospirò.
Meadow fece per aggirare il letto e, quando passò accanto a Jocelyn, questa gli afferrò un braccio. Meadow la fissò con aria interrogativa mentre lei gli sfilava il coltello di mano.
«Voglio farlo io», mormorò Jocelyn.
«Sicura?» chiese Meadow e la vide annuire nella semioscurità.
La osservò aggirare il letto, raggiungere la matusa dall'altra parte e scoprirle il collo. Impugnò il coltello come Meadow aveva fatto in precedenza, ma usando entrambe le mani, lo sollevò e lo calò con un ringhio ferino dipinto sulle labbra. La lama penetrò per tutta la sua lunghezza, fino all'elsa, uscendo dall'altra parte e infilzando il materasso. Jocelyn la estrasse con decisione e, mentre il sangue le zampillava in faccia, la calò ancora, e ancora, e ancora, fino a sentire male alle braccia. Meadow la udì grugnire mentre lo faceva. Alla fine, del collo della matusa rimaneva ben poco. Era quasi decapitata, e Jocelyn aveva il volto coperto di sangue secco e il fiatone. Sollevò un'ultima volta il coltello, anche se sentiva le braccia pensati come macigni, ma una mano la fermò. Si voltò, stupita di trovare Meadow. Si era scordata della sua presenza. L'asesino la costrinse a calare le braccia, le sfilò il coltello dalle mani e, dopo aver pulito la lama con un lembo del lenzuolo, lo ficcò nel fodero.
«Mai vista una roba simile», disse lui. «Hai la stoffa dell'asesina, lo sa...»
Jocelyn gli gettò le braccia al collo e lo baciò con furia a stento contenuta. Meadow sentì per un attimo il sapore metallico del sangue. Una mano gli tastò il pacco, poi Jocelyn spinse il suo amante contro la parete e cominciò a slacciargli cinturone e calzoni.
«Che diavolo fai?» chiese Meadow.
«Secondo te?» disse lei, la voce arrochita.
«Vuoi farlo qui, con quelli morti?»
«A-ha.»
Gli levò cinturone e calzoni e gli afferrò l'uccello. Prima che Meadow potesse dire o fare alcunché, si ritrovò a seduto contro la parete, con lei che lo cavalcava come un'indemoniata e i morti nel talamo insanguinato a pochi metri. Vennero entrambi in tempi record e Jocelyn si afflosciò su Meadow, ansante. Alla fine lui non aveva neanche la forza per scrollarsela di dosso. Rimasero lì, nella penombra lugubre della stanza, a riprendere fiato. Dopo un po' si rivestirono e Meadow disse a Jocelyn che forse era il caso di ripartire prima che il padrone dell'hotel si accorgesse che la stanza numero 12 era diventata un mattatoio.
«Raduno la carovana e ce la filiamo», fece Meadow. «Datti una ripulita e raggiungici di fuori.»
La baciò e andò a radunare le teste matte sparse al secondo piano. Non l'avrebbero presa bene, ma non c'era alternativa e ammazzare lo sceriffo non era nei programmi. Quindi meglio filarsela nella notte.
Uscì e, mentre si chiudeva la porta alle spalle, udì Jocelyn maledire le due mummie morte.
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