* * *

Il senso di vuoto allo stomaco passò. Job aprì gli occhi e vide la stanza da letto. Era inginocchiato ai piedi del letto, la fronte premuta sulle dita intrecciate. Si alzò e si guardò intorno, come per essere certo che quelle quattro mura non fossero un'illusione. Poi iniziarono le domande. La prima cominciava con: l'ho sognato, oppure... Le altre che seguirono alimentarono solo gli interrogativi.

Andò nella stanza accanto e sedette al tavolo dove consumava i pasti. Una lama di luce strisciava su una sedia.

Mentre stava lì a far niente, la conversazione con il Messiah gli turbinava in testa. Non aveva ancora deciso se credere o meno a quel che aveva

(sognato?)

vissuto. Si era detto che per il momento era meglio sospendere il giudizio. E mentre si limitava a non fare niente, le parole del Messiah e quegli strani esserini che lui chiamava clockers gli infestavano i pensieri.

Qualcuno bussò alla porta, facendolo trasalire.

«Avanti», fece Job.

Abigail entrò. «Tutto bene?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.

«Come no, alla grande.»

«La preghiera?»

Come al solito, stava per dire Job. Disse invece: «Tu credi che il Messiah ci parli come stiamo parlando noi adesso?»

Abigail si accigliò mentre prendeva posto davanti a Job.

«Lei dice sempre che...»

«Lascia perdere quello che dico io. Voglio sapere quello che pensi tu.»

Abigail rifletté, contemplando la tazza che era ancora sul tavolo.

«Io penso», cominciò con calma, «che il Messiah parli a ognuno di noi in modo diverso, questo sì, ma se lo fa come sto facendo io con lei, questo no. Cioè, lo ha fatto con la sua cricca, ma allora era in vita, e l'ho ha fatto con altri che poi sono diventati San...» Si bloccò. Poi chiese: «Il Messiah le ha parlato?»

No, avrebbe voluto dire Job, ho fatto un sogno strano e sembrava proprio vero, tanto che sentivo persino il calore del Sole sulla pelle e l'odore dell'erba. E nel sogno Lui mi parlava e, tra parentesi, che ci hai messo in quella tisana? Peyote? Un viaggio così non l'ho mai fatto.

Decise di raccontare ad Abigail tutto, senza lasciarsi andare a considerazioni personali. Dopo aver raccontato, le disse che stava ancora cercando di capire se quel che aveva visto era frutto di un guizzo particolarmente fervido della sua immaginazione, oppure...

«Com'è che ha dei dubbi?» chiese Abigail.

«Tu non ne avresti?» fece Job.

«Io non ho curato un tizio che stava per morire.»

«Okay, ma...»

Job non sapeva come continuare. Gli sembrava tutto talmente assurdo.

«Senti, mettiamo pure il caso che io abbia parlato con Lui», fece Job, d'un tratto irritato. «Perché chiedere a me, proprio a me, di andare in una città sperduta a far nascere un bambino che... e poi che ne so io di come si fanno nascere i bambini? Non sono mica una levatrice.»

«Io sì», fece Abigail.

«Tu sì, cosa?»

«Io sono una levatrice. Cioè, lo ero. È un po' che non tiro fuori marmocchi.»

«Allora avrebbe dovuto chiedere a te.»

«Forse l'ha fatto.» Job si fece attento. «Attraverso di lei.»

«Frena un secondo, che stai...»

«Ha mai fatto sogni del genere?» lo interruppe lei.

«No, ma che c'en...»

«Potrebbe essere un indizio, no? Del fatto che forse non è un sogno, ma una chiamata. Guardi che sto prendendo spunto da quello che ha detto lei in un suo sermone.»

«Quando ho parlato di chiamata non ho mai inteso che...»

«E poi», lo interruppe di nuovo Abigail, «non ci scordiamo di quello che ha fatto un'ora fa.»

«Un'ora?» chiese Job, stranito.

Era stato inginocchiato un'ora ai piedi del letto? Possibile? Ma se quando si era rialzato neanche gli facevano male le ginocchia!

«Reverendo?»

«Sì... scusa, mi era venuta in mente una cosa.»

«Sta bene? All'improvviso ha fatto una faccia... vuole che la lasci in pace a pregare?»

«No!» scattò Job e Abigail si ritrasse. «Cioè, non c'è bisogno. Mi fa piacere se resti.»

Pregare era l'ultima cosa che avrebbe voluto. Aveva paura che, a inginocchiarsi di nuovo ai piedi del letto, si sarebbe ritrovato in quel sogno allucinante col Messiah e quegli esserini assurdi. Ed era un'esperienza che non voleva riprovare.

«Forse è meglio se preparo un'altra di quelle tisane per i nervi», fece Abigail, alzandosi e mettendosi all'opera.

«Sì, forse è meglio», convenne Job.

Mentre lei si adoperava, Job se ne uscì con: «Non sapevo che fossi una levatrice.»

«Dove stavo prima, li facevo nascere tutti io i marmocchi.»

«Poi che è successo?»

«Ho conosciuto lei, e ho capito che aveva più bisogno lei di me che i marmocchi.»

«Dico sul serio.»

«Anch'io», fece Abigail con un sorrisetto. Poi aggiunse: «È successo che i marmocchi sono finiti e io mi sono trasferita. E passando da un posto all'altro sono finita qui.»

Sospirò. Job la guardò mentre gli dava le spalle e metteva il pentolino con l'acqua sulla stufa a legna. I fianchi larghi, il busto più stretto e la testa piccola la facevano somigliare a una pera.

«Vuole sapere perché ho smesso?» chiese la perpetua.

Si voltò e sedette. Aveva il viso tirato. Prese a guardarsi le mani e a tormentarsele un poco. Job pensò che fosse indecisa su come metterla giù, e cercò aiutarla nell'unico modo che conosceva.

«Vuoi che ascolti la tua confessione?» le chiese.

Abigail sollevò gli occhi e incontrò il sorriso di Job. Quindi disse: «Mi perdoni, padre, perché ho peccato.»

Job la invitò a segnarsi, cosa che lei fece, poi si dispose ad ascoltare con le mani sulle cosce. Abigail attaccò a parlare quasi subito, come se avesse trovato la chiave in grado di aprire quel particolare lucchetto interiore. Forse era la prospettiva dell'assoluzione, pensò Job. Parlarne solo non le bastava. Aveva bisogno del perdono del Buon Padre.

Che avrà combinato di tanto grave? pensò Job mentre Abigail parlava di una donna che doveva aiutare a partorire.

«Non mi sono accorta che qualcosa non andava», disse, le intrecciate in grembo con tanta forza che le nocche erano bianche. «Avrei dovuto praticare una manovra che si fa in certi casi, e invece ho continuato a dire alla madre di spingere e alla fine... sono morti entrambi.»

Seguì un lungo silenzio. Job lasciò che Abigail si prendesse il tempo che le serviva. Alla fine, la perpetua alzò e abbassò le spalle in un gesto di impotenza.

«Direi che è tutto», fece, alzando poi gli occhi.

Job annuì e disse: «China il capo.» Lei obbedì. «I tuoi peccati ti sono rimessi. Offrili al Messiah e vivi nella Sua luce ogni giorno della tua vita.»

Abigail si segnò.

«Posso chiederti una cosa?» fece Job.

«L'ha appena fatto», rispose Abigail con un sorriso forzato.

Sembrava provata. Togliersi dal petto quel macigno doveva esser stato faticoso per lei.

«Quando è accaduto?» domandò Job.

Abigail rifletté, mantenendo quell'aria stanca. «Chi se lo ricorda più. Ero giovane. E bella.»

«Sei ancora bella.»

Un altro sorriso forzato. «Detto da un reverendo, non so quanto possa essere un complimento.»

«E perché? Sono un uomo anch'io e ho anch'io occhi per guardare.»

Abigail fece un gesto vago, come per dire che era meglio lasciar perdere e non incanalarsi in quel tipo di conversazione.

«A proposito delle cose che mi hai confessato... guarda che non è stata colpa tua», fece Job.

«Come fa a dirlo? Lei non ha mai fatto nascere un bambino.»

«No, ma so che gli incidenti capitano e a volte non puoi fare niente per evitarli.»

Abigail non pareva troppo convinta. Si alzò perché l'acqua bolliva e, mentre preparava le tisane, disse: «Se decide che quel sogno non era un sogno, e decide di partire per quella città, voglio venire con lei.»

«Vuoi venire con me?»

«Voglio aiutare quel bambino a venire al mondo.»

Posò le tazze fumanti sul tavolo. Job prese la sua e bevve un sorso. Nonostante fuori facesse caldo, la trovò corroborante. Abigail attese che la sua si raffreddasse.

«La confessione non ti è bastata, mi pare di capire», disse Job.

«Le pare di capire bene. Voglio rimediare.»

«E secondo te, salvare la vita a un bambino che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere frutto della mia fantasia, ti farebbe stare meglio?»

«Credo proprio di sì. E comunque penso che non sia fantasia quello che lei ha visto e sentito.»

Stavolta toccò a Job rispondere con una scrollata di spalle.

«Un po' di fede, reverendo», fece Abigail. «Quanto un granello di senape.»

Job rabbrividì quando si accorse che Abigail aveva ripetuto un concetto espresso dal Messiah del sogno.

«Non le ha detto quando accadrà?»

«No», fece Job. «Mi ha solo dato le coordinate.»

«Già che c'era, poteva essere un po' più esplicito.»

Non c'era tempo, pensò Job, ricordando il piccolo clocker che batteva il minuscolo dito sul quadrante dell'orologio.

Finirono di bere mentre chiacchieravano. Abigail tirò fuori una teoria bislacca: il bambino di cui parlava il Messiah era il Messiah stesso. Voleva rinascere per tornare a predicare l'amore e la fratellanza tra i popoli. Job ci pensò e disse che secondo lui non era così.

«Perché?» chiese Abigail.

«Se è come dici tu mi avrebbe detto: "nascerò ad Aurora" e "devi aiutarmi a venire al mondo". Invece ha sempre parlato del bambino come di un'altra persona, diversa da Lui.»

Abigail convenne che

(forse)

Job aveva ragione.

Finirono di bere e la perpetua si congedò, lasciando Job solo con i suoi dubbi e preda di un timore che non aveva mai provato. In un altro momento, il reverendo avrebbe preso posizione ai piedi del letto per pregare. Ma visto quel che era successo l'ultima volta che ci aveva provato... no, meglio evitare. Sentiva che avrebbe potuto impazzire se avesse vissuto ancora una volta un'esperienza simile. Decise perciò di andare a sdraiarsi un po'. Sapeva che non sarebbe riuscito a dormire,

(chiudere gli occhi e rischiare di ritrovarmi nella Radura? Fossi matto)

ma avrebbe almeno riposato ossa e mente. Lasciò gli scuri della finestra un poco accostati, così che una lama di Sole tagliasse in due il materasso, e ci si tuffò sopra di schiena. Posò le mani sull'ampio petto e restò a fissare il soffitto. Provò a pregare, ma si accorse che il mantra del Messiah gli infondeva sonnolenza, e allora smise. Pensò invece alle cose che Abigail aveva detto. A parte l'ipotesi che il Messiah desiderasse tornare al mondo, e che sentiva di poter scartare, le altre erano tutte un punto interrogativo. Insomma, poteva aver sognato tutto come invece poteva davvero aver viaggiato sino alla Radura e ritorno. C'era quel buco di un'ora che non sapeva spiegarsi. E le cosce non gli si erano manco incriccate.

Forse non ti si sono incriccate perché hai viaggiato fisicamente sino alla Radura.

Immaginò se stesso mentre pregava. A un certo punto accadeva qualcosa, tipo che l'aria si fendeva, si piegava intorno a lui, e lui spariva all'interno di quelle pieghe per poi riapparire allo stesso modo un'ora dopo, un po' come un asso che faccia dentro e fuori dalla manica di un baro. Quella fantasia lo terrorizzò.

Così finisce che impazzisco davvero, si disse. Devo fare qualcosa.

Si alzò, risoluto a non farsi schiacciare da timori e fantasie bizzarre, e raggiunse l'ingresso che portava in chiesa. Percorse il corridoio, sbloccò la porta, mise piede in chiesa e... i banchi erano occupati da una manciata di fedeli. Quando lo videro, entrarono in subbuglio come se avessero visto un animale strano o uno degli stravaganti che si esibivano nella Piazza del Mercato per qualche moneta. E altra gente stava entrando e prendendo posto fra i banchi.

Una donna prese coraggio, si alzò e si avvicinò all'altare. Era tutta deferente, le spalle strette e la schiena curva. Si fermò a un passo dal gradino che portava alla pedana di legno e disse a Job, con una voce da uccellino: «Mia figlia è malata... può farle la stessa cosa che ha fatto a Carl Foster?»

Un altro tizio si alzò. Era mezzo sciancato. Si avvicinò zoppicando, arrivò accanto alla tizia con la voce da uccellino e disse: «Mi può rimettere in sesto la gamba?»

Altri si alzarono e si unirono al coro. I loro occhi imploravano Job di aiutarli, le loro suppliche si sovrapponevano. La chiesa si trasformò in un mercato. Sopraffatto da quell'inattesa torma di derelitti che andava crescendo, Job girò i tacchi, infilò l'ingresso della canonica e serrò la porta. Mentre tornava in casa li sentì battere sull'uscio come invasati. I tonfi sul legno si confondevano con l'orgia di voci imploranti.

Rientrato, sbarrò l'ingresso di casa e chiuse di nuovo gli scuri. Era praticamente tornato al punto di partenza, prima che Abigail lo tirasse fuori (almeno in parte) da quell'incubo. Tonfi e voci ovattati scivolavano lungo il corridoio e si propagavano in casa. Fu poi la volta dell'ingresso dell'abitazione: tonfi ravvicinati e belli forti.

Sono circondato!

«Reverendo», chiamò una voce.

La riconobbe e subito si fiondò ad aprire. Rimosse il chiavistello e Abigail entrò. Si chiuse subito la porta alle spalle e armò il chiavistello.

«Che sta succedendo? C'è il delirio in chiesa.»

«Si è sparsa la notizia che ho curato Carl Foster», mormorò Job con voce tremante, «e ora vogliono tutti un prodigio.»

Sembrava un topo circondato dall'acqua.

«Va bene, adesso si calmi», fece Abigail.

La porta di casa risuonò dei tonfi di mani invasate.

«Reverendo! Sono cieco dalla nascita...» urlò qualcuno, prima che una torma di voci imploranti gli si chiudesse sopra.

«Questi sono fuori di testa», fece Abigail.

«Che facciamo?» chiese Job.

«Preghiamo.»

«Che?»

«Non possiamo uscire e loro non possono entrare, quindi preghiamo che si stanchino e che non riescano a buttare giù la porta. Coraggio.»

Lo prese per mano e lo trascinò nella stanza da letto, perché sapeva che era il suo posto, quello dove si trovava a proprio agio. Si inginocchiò e lo trascinò giù con lei, ai piedi del letto. Giunse le mani e, quando vide che lui tentennava, disse: «Si è scordato come si fa?»

Job esitò, sentì i tonfi farsi più forti e giunse le mani. Abigail chiuse gli occhi e cominciò: «Verranno i Giorni di Fuoco. Verranno le dolci piogge a darci conforto...» Vide che lui non si univa a lei e gli mollò una gomitata. Job sobbalzò e finalmente prese a mormorare. «Verranno il tempo della semina e quello del raccolto...»

Chiuse gli occhi e continuò. Andarono avanti senza fermarsi, sciorinando preghiera dopo preghiera. Abigail cominciava e Job le andava dietro. E più le andava dietro, più i tonfi e l'orgia di voci sembravano allontanarsi. Quando divennero un sussurro nel buio, Job vide apparire dal nero compatto della sua mente il Messiah, avvolto da un'aura bianca e luminosa. Aveva gli stessi jeans e una maglietta bianca con su scritto JESUS IS GREAT in lettere nere.

«Visto che la prima volta ti sei spaventato, stavolta ho deciso di venire io da te», fece il Messiah. «Tranquillo, sarò rapido e indolore, come disse il medico al paziente. Quello che ti ho detto riguardo al bambino non era un sogno. E non sono io, quel bambino. Non ho intenzione di tornare per la terza volta e finire di nuovo inchiodato a una croce. Ho più buchi di uno scolapasta, e poi ho capito che è inutile. Alla maggior parte di voi, quello che dico entra da un orecchio ed esce dal... da un altro orifizio. Comunque, apri le orecchie e ascolta: prendi tutto quello che ti serve per sostenere un lungo viaggio e parti. E porta Abigail con te. Sarà lei a salvare il bambino. Avrei voluto dirtelo quando eri su da me, ma il tempo stava finendo.»

Job notò che c'era una scritta in piccolo, sotto quella che diceva JESUS IS GREAT. La scritta completa era: JESUS IS GREAT (and you know it).

«Prima che vada, hai qualche curiosità che posso aiutarti a soddisfare? Prima non c'era tempo, ma adesso sì. Posso stare quanto voglio e puoi farmi tutte le domande che ti pare.»

«Perché non ricordo di aver curato Carl Foster?» chiese Job.

«Non te lo ricordi perché è intervenuto un potere più grande. Diciamo che ci ho messo la zampa io. Non c'era tempo per dargli un colpetto sul petto e aspettare che il prodigio facesse il suo corso. Perché di solito è così che funziona. Gli si dà un colpetto o gli si struscia la mano sulla parte messa male, e il giorno dopo (o qualche giorno dopo) quello che non va torna a posto. Nel caso di Carl Foster non si poteva aspettare.»

«Allora era come diceva Abigail.»

«Infatti. Tipa sveglia, la tua perpetua. Tienitela stretta. Il mio vecchio non ne ha create molte.» Il Messiah si grattò la barba. «A dirti la verità sono un po' infastidito che, dopo tutto quello che ti è capitato, sia lei a dare lezioni di fede a te. Hai visto la Radura, hai visto me, hai fatto prodigi simili a quelli che facevo io e hai ancora dubbi. Che devo fare per convincerti?»

Parve riflettere mentre si grattava quel cespuglio di peli. Poi sorrise.

«Forse ho trovato. Quando riapri gli occhi, dai un'occhiata tra i vestiti. Secondo cassetto. E vedi di non sbroccare. Sei un sant'uomo, anche se non ti piace sentirtelo dire. E a proposito della santità, capisco che tu abbia paura, ma è una cosa che devi superare. Pensi che io non ne avessi quando mi hanno inchiodato? 'a' voglia se ce l'avevo. La prima volta me la sono fatta addosso, anche se non è un dettaglio che trovi nei resoconti. La seconda volta l'ho gestita un po' meglio, non so se ricordi... probabilmente no. Però sono sicuro che ricordi il botto e la luce. Fammi dare una sbirciatina...»

Job sentì dita invisibili frugargli i pensieri. Era come se avesse un libro nel cervello e qualcuno lo sfogliasse. La sensazione svanì in breve.

«Scusa, eh», fece il Messiah, «so che non è il massimo avere qualcuno che ti fruga in testa. Quando lo faceva il mio vecchio... che nervi. Comunque era come sospettavo. Ricordi solo la parte finale, quando il mio vecchio mi ha tirato su. Quando troverai quel regalino che ti ho lasciato, può essere che ti venga qualche flash. Non sbroccare manco allora. Contegno. E a proposito dei flash: sono frammenti del tuo passato. Ma questo l'avevi già capito.»

«Allora facevo davvero parte di una setta?»

«In un certo senso... anche se setta non è la parola giusta. Non per come la intendi tu. Era piuttosto una cricca, tipo la mia... tranne per il fatto che nessuno predicava l'amore o faceva prodigi. Ve ne andavate gironzolando in sella alle vostre moto – quelle che tu chiami cavalli d'acciaio – e combinavate casini su casini. Per alcuni di voi non è finita bene. Adesso hai l'occasione di rimediare a tutto il male che hai fatto, e devo dire che sei sulla buona strada, anche se non basta a pulirti l'anima. Se vuoi redimerti agli occhi del mio vecchio – per me sei a posto, io sono di manica larga, ma Lui è un tipo tutto Vecchio Testamento e non lo conquisti con poco –, salvare il bambino è la mossa giusta. E poi conta che non salveresti solo lui, ma tante altre vite.»

«Perché?»

«Perché, cosa?»

«Perché salvando un bambino che non è ancora nato salverei tante vite?»

«È una faccenda lunga quasi quanto il Buon Libro, e il Buon Libro è un bel mattone. Per fartela breve, quel bambino crescerà e salverà molte vite. Intanto, finché non arriverà quel momento, fai tu il suo mestiere. Spargi un po' di santità in giro per le Quattro Terre e salva qualche anima. E non ti scordare i prodigi. Non ne abusare, però, sennò finisci come me. E a proposito di finire come me, meglio se fai le valigie e sparisci alla svelta. Se la notizia che c'è un aspirante Santo in giro arriva ai Quattro Erode, ti ritrovi con due belle puntine da disegno ai polsi nel giro di poco. Entiende?»

Job annuì.

«Grande. Ah, e un'altra cosa: quando sei particolarmente predisposto, tipo come è successo nel caso dei primi due prodigi, basta il contatto fisico per dare inizio al processo di guarigione. Impara a entrare e a uscire da quello stato mentale. Forse non te ne accorgi nemmeno quando ci entri. Aspe', fammi dare un'occhiata. Scusa, eh...»

Di nuovo quella sensazione, non proprio piacevole, di dita frugantine.

«Era come pensavo. Quando la fede è forte e la compassione la segue a ruota, accade il prodigio. Entrambe le volte si sono create le condizioni ideali. Anche con Carl Foster c'erano, ma lì serviva una piccola accelerata.»

Il Messiah si guardò il polso, e Job notò solo in quel momento che aveva un affare simile a un bracciale.

«Dovrei fare un salto nelle Terre dell'Ovest. Il mio vecchio è convinto che un'apparizione convincerebbe la gente di lì che stanno adorando il dio sbagliato...» Il Messiah sollevò gli occhi. «Che poi, detto fra noi, potevano sceglierselo meglio. Quella scimmia-ragno è un pugno nei santissimi. Per forza poi la gente viene su sciroccata. Comunque, se non hai altre domande, io andrei.»

«Perché io?» chiese Job.

Il Messiah si prese un attimo prima di rispondere. La luminescenza dell'aura che lo avvolgeva faceva brillare quei suoi occhi grigi.

«Perché no?» disse con un sorriso. E aggiunse: «Guarda tra gli abiti.»

Svanì lentamente e il buio tornò uniforme: una compatta cortina di nera tenebra. Il colore che Job associava al peccato, ma che in futuro avrebbe assunto un significato diverso, intimo e non spaventoso.

Job aprì gli occhi. Davanti a sé, sulla parete che sormontava il letto, stava il quadro della Signora della Luce. Job si alzò, ignorando la salva di invocazioni e i tonfi. Abigail lo guardò muovere verso il mobile di legno scadente, alla destra del letto. Job aprì il primo cassetto. A parte la biancheria intima, niente di insolito. Si ricordò poi che il Messiah gli aveva detto di cercare nel secondo cassetto. Aprì quello e, assieme alle camicie accuratamente piegate da Abigail, c'era una specie di panciotto. Job lo prese, lo dispiegò e lo tenne su. Sul davanti, ad altezza del petto, c'erano delle toppe: due per lato. Su ognuna c'era scritto qualcosa.

«Cos'è quello?» chiese Abigail, ancora inginocchiata.

Job non rispose. Posò invece il panciotto sul letto ed esaminò le toppe. Su una c'era scritto Death Angels. Sotto questa ce n'era una che diceva Iceman. Le altre due recitavano: Leather Head e Angels' Army.

Non ebbe un flash, ma una sensazione di familiarità. Quella stessa sensazione lo portò a girare il panciotto e a scoprire la tipa schiaffata sul retro: una mora tutta curve, con le tette che a momenti debordavano dal corpetto stretto. In mano teneva un teschio umano ghignante.

«Da dove salta fuori quel... coso?» chiese Abigail.

Era scioccata dalla femmina che, come un Amleto succinto, teneva in mano la morte.

«È un regalo», fece Job.

«Un regalo? E di chi?»

Job fece una smorfia che somigliava vagamente a un sorriso. «Un amico.»

Abigail si chiese se il reverendo non stesse perdendo la testa. E mentre se lo chiedeva, due colpi di pistola risuonarono di fuori. Le urla e i tonfi scemarono velocemente e una voce risuonò forte e chiara.

«Che diavolo succede?» Job e Abigail riconobbero lo sceriffo. «Vi siete fumati una piantagione di peyote?»

Voci indistinte dissero qualcosa. Job andò alla finestra, aprì di un niente gli scuri e sbirciò. Lo sceriffo e i suoi baffi s'erano piazzati nel mezzo del capannello di sciroccati. Job riconobbe molti dei suoi parrocchiani. Lo sceriffo parlò con alcuni di essi. Una donna si girò a indicare la casa di Job e il reverendo si spostò per non essere visto. Quando ritornò a guardare dallo spiraglio, vide lo sceriffo che con gesti ampi invitava la gente a tornarsene a casa. Attese che si disperdessero e mosse verso l'ingresso. Lo sceriffo sparì dalla visuale e Job udì tonfi alla porta. Andò ad aprire e Abigail si alzò per seguirlo.

Lo sceriffo aveva un'aria torva. I suoi baffoni grigi si mossero quando sulle labbra comparve una smorfia.

«Che diavolo di un'accidenti sta succedendo?» chiese a Job.

Il reverendo provò a spiegarglielo. Mentì spudoratamente sulla questione dei prodigi e disse allo sceriffo che, se di prodigi si era trattato, lui non c'entrava.

«Quelli però erano convinti del cont... 'spetta un attimo, a me pare ancora di sentirli. Sono fuso io o li sentite anche voi?»

«La porta che dalla canonica conduce alla chiesa», fece Job.

«Ma porca...»

Lo sceriffo fece dietrofront. Lo videro pestare la Via Maestra con rabbia e determinazione. Si recò in chiesa, entrò e per un attimo rimase a contemplare la folla accalcata dinanzi all'ingresso per la canonica. Restò basito. Quasi fece per prendere la pistola, si ricordò poi di essere in chiesa e cambiò metodo. Si infilò in bocca due dita e fischiò. Il richiamo da uccel di bosco risuonò per tutta la navata. I parrocchiani si voltarono e smisero di battere a mano aperta sulla porta.

«Portate il culo fuori di qui!» tuonò lo sceriffo. «ORA!»

Il capannello cominciò a disperdersi. Passarono tutti di fianco all'uomo con la stella di latta e si beccarono le sue occhiatacce torve. Finita la processione, lo sceriffo tornò da Job.

«Ho sbarazzato la chiesa, i matti stanno andando a casa. Adesso mi sa che vado a fare quattro chiacchiere con quelli che hanno assistito a 'sto prodigio.»

«Gliel'ho detto, non c'è stato nessun prodigio», mentì ancora Job. «Il carretto lo aveva beccato, e infatti gli ha rotto una gamba...»

Job si fermò un secondo, sbigottito da quel che gli era venuto in mente. Quando ricominciò a parlare, il suo tono di voce era più audace.

«Secondo lei, se fossi davvero in grado di fare prodigi, gli avrei lasciato la gamba nello stato in cui è?»

Lo sceriffo sbuffò, lisciandosi i baffoni. «Cioncatevi dentro. Sbrigo un paio di questioni e poi vediamo di chiarire questa faccenda.»

Girò i tacchi e andò via. Job attese qualche secondo, chiuse la porta e si rivolse ad Abigail: «Corri a casa e fai i bagagli. Vengo io da te e ce la squagliamo.»

Aprì la porta, ma Abigail non si mosse. Lo guardava.

«Che c'è?» chiese Job.

«Ha deciso che il sogno non era un sogno?» fece Abigail.

«A-ha, ora vai. Schizza. Non abbiamo molto tempo.»

Abigail uscì, un po' rintronata dalla sequenza rapida di eventi, e Job chiuse la porta. Schizzò nella stanza da letto e prese un paio di stracci, tra i quali il panciotto con le toppe. Mise tutto in un fagotto, recuperò la scorta di bronzi (una miseria) e si disse che doveva ringraziare il Messiah se gli bastavano per acquistare un mulo. Pensò molto velocemente a dove trovarlo e... l'acqua. Avevano bisogno d'acqua. Lui ne aveva un po', ma niente ghirba nella quale ficcarla. Avrebbe dovuto acquistare anche quella, assieme al mulo. Il cibo potevano prenderlo da casa. Lui aveva del pane di mais e qualche striscia di carne secca, per la quale andava pazzo.

Prese il cibo e ne fece un piccolo fagotto di fortuna usando una vecchia camicia bucata. Allargò il buco usando le mani e poi strappò il tessuto che gli serviva. Ci ficcò dentro il pane di mais, che per metà s'era fatto raffermo, e le strisce di carne secca, e chiuse tutto con un nodo.

«E questa è fatta», disse. «Ora devo solo uscire e pregare che tutti quelli che incrocio per strada siano ciechi e non vedano che me ne vado in giro con due fagotti.»

Per quello non poteva fare niente, se non affidarsi al Messiah. Si concesse un'ultima occhiata alla canonica. Rimpiangeva di non poter portare con sé il dipinto che raffigurava la Signora della Luce. Non rinunciò però al Buon Libro. Lo recuperò da dove l'aveva infrattato, sollevò la camicia, se lo ficcò in cinta e lo coprì. Era una versione tascabile, di quelle piccole piccole, e se lasciava la camicia fuori dai calzoni non gli faceva il bozzo.

Raccolse i fagotti con abiti e cibo e uscì. Si girò solo una volta, a salutare mentalmente la canonica e la Signora della Luce.

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