* * *

Cecil aspettava sotto il portico del bordello. Era un tipo alto e secco, con un viso spigoloso e gli occhi febbricitanti, la posa curva di un vecchiardo che porta sulla schiena il peso di troppi inverni, anche se non dimostrava più di trenta autunni. I quattro spiantati lo avvistarono mentre masticava uno stuzzicadenti e salutava con un cenno i tizi che entravano nel bordello o le ragazze in strada.

«Signora...» diceva Cecil, toccandosi la tesa larga del cappello.

Le donne lo guardavano con ribrezzo. Già non era una gran bellezza, ma gli occhi erano la mazzata finale: sembravano quelli di un uomo con la febbre.

«Lei è un vero splendore, me lo lasci dire», disse a una donna che, al sentirlo, camminò più in fretta.

«Sempre a pigliare pali, eh?» fece Meadow.

Cecil lo vide e si levò lo stuzzicadenti di bocca. I due si abbracciarono e si mollarono diverse pacche sulla schiena.

«Sei secco come il gambo di una margherita. Dovresti comprarti da mangiare anziché spallumare i soldi in puttane e alcol.»

Cecil si poggiò a un legno del portico e si infilò lo stuzzicadenti in bocca. «Sto bene così.»

«E cos'era quell'approccio? Lei è un vero splendore, me lo lasci dire...» lo scimmiottò Meadow.

«Alle donne piace la galanteria.»

«Alle femmine piace altro, senti a me.»

«Dimenticavo che ho di fronte uno spacciapassere

«Vedo che si ti è arrivata voce.»

Cecil grugnì una risata e sorrise. Vide arrivare Vince e Deisdre e li salutò nello stesso modo in cui aveva salutato Meadow. Poi gli si parò davanti il ragazzo.

«Tu devi essere lo sponsor», disse Cecil. «Vince mi aveva detto che eri giovane, ma non avevo capito che eri così giovane. Io dico che non c'hai manco venti primavere.»

«È un problema?» chiese il ragazzo.

«Se hai i soldi, no.»

«Ce li ho.»

«Allora siamo a posto.»

«Li maneggi ancora i trikki trakki?» chiese Meadow.

«Se serve...» fece Cecil.

«Stavolta serve.»

Meadow gli spiegò in cosa consisteva il lavoro e il ruolo che Cecil avrebbe avuto.

«Vince mi aveva accennato che era una rogna, ma non aveva capito che era così rognosa», fece Cecil.

«Ce la possiamo fare», disse Meadow. «Siamo i migliori su piazza. E tieni conto che, se ci riesce questa cosa, ci sistemiamo per un pezzo.»

«Io mi ci compro una fattoria», fece Vince.

Cecil rifletté. «I trikki trakki chi la compra? Ci sono dei maneggioni, qui ad Aramundi, ma non te li regalano.»

«Il costo lo togliamo dalla nostra paga», disse Meadow.

«Forse dovresti chiederci prima se siamo d'accordo», fece Deisdre.

«Non c'è altro modo», tagliò corto Meadow.

Il tono che usò non ammetteva repliche.

«A me sta bene», fece Cecil.

«Pure a me», disse Vince.

Meadow annuì e guardò Deisdre. «Fai come cazzo vuoi», sibilò l'asesina.

«Alla fine ce la compriamo uguale la fattoria», fece Vince.

«Io non voglio comprare una fattoria del cazzo», disse Deisdre.

«E che ti vuoi comprare? Un bordello? Un saloon?»

«Sono cazzi miei quello che voglio fare con i miei fottuti soldi.»

Cecil si rivolse a Meadow. «Ma che, ha le sue cose?» mormorò.

Visto che dava le spalle all'asesina, Meadow alzò gli occhi al cielo e masticò sdegno. Le froge del naso si gonfiarono.

«Chi è l'altro?» chiese Vince.

Meadow si voltò. «L'altro?»

«L'ultimo tizio che vuoi reclutare. Chi è?»

«Abel.»

«Azzo. Per chiamare quel cane da presa vuol dire che ti aspetti cazzi grossi come il mio.»

Deisdre alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

«Voglio avere le chiappe coperte», fece Meadow.

«Anche lui è qui ad Aramundi?» chiese Cecil.

«Ci siamo incontrati qualche giorno fa. Una toccata e fuga.»

«E dove alloggia?»

«Sta nel deserto.»

«Tipico di quel malato di mente.»

Meadow si rivolse a Vince. «Andiamo a prendere i cavalli e facciamoci 'sta gita fuori porta.»

«Che gran rottura di palle», disse il gigante.

«Vuoi diventare ricco o no?» Disse poi a Cecil: «Tu, intanto, vedi di trovare qualche maneggione per i fuochi d'artificio. E tira sul prezzo.»

«Quanti pezzi?» chiese Cecil.

«Tutti quelli che riesci a pigliare con cinquanta bronzi grandi.»

«Cinquanta?» sbottò Deisdre. «Vuoi far zompare in aria una montagna?»

«Può essere», fece Meadow, rivolgendole un sorrisetto da predatore. Poi disse a Cecil: «Ci vediamo alle porte della città e poi partiamo.»

«Subito?» fece Cecil.

«Non ha senso aspettare.»

Meadow guardò il ragazzo, che intuì subito il senso dell'occhiata. Mise allora mano alla borsa. Fece segno a Cecil di avvicinarsi e gli passò velocemente un sacchetto pieno zeppo di monete. Cecil lo inguattò velocemente in una tasca. Gli faceva il bozzo, ma non c'era di che preoccuparsi. Quei pistoloni che gli pendevano dai fianchi dissuadevano i borseggiatori più che la stella di uno sceriffo.

«Vedi di non squagliartela col malloppo», fece Meadow.

«Sai che ci stavo pensando?» scherzò Cecil.

«Ci vediamo più tardi.»

Si separarono. Cecil risalì la strada e gli altri la discesero. Tornarono alle porte della città e gli asesinos recuperarono i cavalli e l'armamentario per il viaggio. Il ragazzo montò con Meadow e misero piede nel deserto.

«Secondo te dove si è ficcato?» chiese Meadow a Vince.

Il gigante si guardò intorno. C'erano sabbia, qualche creosoto e...

«Sta lì, sicuro», fece Vince, e Meadow si accorse che guardava una serie di formazioni rocciose simili ad arcate dentali.

Erano basse e scavate dall'erosione del vento. I quattro mossero verso le rocce. Le controllarono e, all'interno di una tra quelle più distanti dalla città, trovarono un tizio accampato. Dava loro le spalle. Aveva la testa rasata ed era seduto nella posizione del loto. Aveva con sé una tenda e un sacco a pelo. C'erano le ceneri di un precedente fuoco da bivacco. Risaltavano sulla sabbia come una bruciatura di sigaretta sulla faccia di un pellerossa.

«È lui?» chiese il ragazzo.

«Altri non ce ne sono», fece Vince.

«Abel?» chiamò Meadow.

Il tizio non si mosse. Meadow smontò da cavallo e si avvicinò. La sua ombra coprì le spalle strette del tizio seduto. Allungò una mano per scuoterlo e, quando la posò su una spalla magra, il tizio gli afferrò il polso e scattò in piedi con velocità soprannaturale. Prima che gli altri si accorgessero di cosa accadeva, il pelato aveva torto il braccio di Meadow e l'aveva atterrato. Meadow si ritrovò a respirare polvere.

«Sono io, sono Meadow», bofonchiò l'asesino. «Cristo e Messiah, così mi spezzi il braccio.»

L'altro si accorse che quella che aveva spiattellato nella sabbia era una faccia conosciuta e mollò la presa. Poi arretrò a distanza di sicurezza. Meadow si rialzò, sputacchiando e pulendosi le labbra infarinate.

«Che cazzo ti è preso?» sbottò Meadow.

«Mi arrivi alle spalle come un fantasma... che ti aspettavi?» disse il pelato.

«Ma fantasma di che? Ti ho pure chiamato. Che c'hai, il cotone nelle orecchie?»

«Non ti ho sentito. Stavo meditando.»

Il pelato si voltò e parve accorgersi solo in quel momento del resto della banda. Il ragazzo vide che aveva tratti orientali e a un certo punto sentì il dissidente che rideva. Anzi no, ragliava. Le risate gli rimbombarono in testa con un'eco distorta.

«Si può sapere che cazzo ti ridi?» fece il ragazzo.

Vince e Deisdre si girarono a guardarlo. Videro che si massaggiava le tempie con entrambe le mani, come se avesse un forte mal di testa, e si scambiarono occhiate interdette.

Si chiama Abel. Si chiama... fece il dissidente, scoppiando di nuovo a ridere. A 'sto punto vale tutto. Pigliamo un negro e chiamiamolo Adolf. Pigliamo un tedesco e chiamiamolo Mandingo.

Intanto Meadow stava ragionando con Abel.

«Il cantonese, lì, sembra piuttosto abile a menare le mani», disse il ragazzo a Vince.

«È un cazzo di fenomeno», fece Vince. «Una volta ci ho fatto a botte e mi ha messo col culo per terra. Non sono riuscito manco a sconcicargli un pelo.»

«Hai fatto a botte con Abel?» chiese Deisdre.

«Te l'ho appena detto», disse Vince.

«Perché?»

«Avevamo adocchiato la stessa puttana ed eravamo entrambi 'mbriachi persi. Iniziamo a discutere su chi l'ha adocchiata per primo e in un microsecondo siamo lì a menarci. Cioè, era lui che menava. Io ho sfasciato mezzo locale, ma a lui non sono riuscito a toccarlo manco per sbaglio. Ha evitato tutti i miei colpi. Pareva un cazzo di scimpanzè mentre saltava di qua e di là. Alla fine ero così stanco per aver frantumato tutti quei legni che gli bastava soffiarmi in faccia per farmi cadere lungo disteso.»

«Però non ti ha soffiato in faccia, se ho capito bene.»

«Mi ha fatto il mazzo a tarallo», fece Vince.

Deisdre fissò Abel con attenzione. Sembrava calmo e rilassato come un fiume. Un fiume il cui unico pensiero fosse quello di scorrere. Pensò a quello che aveva sentito dire riguardo ai cantonesi. Molti sostenevano che gli hen fossero cantonesi. Ci voleva una capacità di concentrazione fuori del comune per tenere a bada l'energia sprigionata dall'Oltre-Terra. La stessa capacità di isolare la mente che Abel aveva dimostrato poco prima.

«Ho un lavoro da proporti», fece Meadow.

«Da propormi? Nel senso che ti serve il mio aiuto?» chiese Abel.

«Vedo che parli ancora la mia lingua.»

Abel guardò gli altri tre spiantati.

«Anche loro fanno parte della banda», disse Meadow. «E c'è pure Cecil.»

«Quattro asesinos... chi dovete uccidere, uno degli Ultimi Alti

Meadow gli sciorinò tutta la storia. Abel lo ascoltò senza battere ciglio. Stava dritto come un manico di scopa e sembrava quasi non respirasse. Sentì tutta la storia e, quando Meadow tacque, disse: «Ha tutta l'aria di un grande sbattimento. Uno sbattimento dove uno ci può lasciare la pelle.»

«Ho una mezza idea su come possiamo mettere mano alla cosa. Cecil sta giusto provvedendo. L'ho mandato a pigliare due trikki trakki

«Addirittura.»

«Non mi sembri molto convinto.»

«Hai un ottimo intuito.»

«Hai sentito quanto ci pagano o te lo devo ripetere in cantonese

«Ho sentito, ma secondo me il rischio non vale la grana. Già il fatto che non sappiamo quanti sono questi tizi, se quindici, venti o di più. Mettici poi che hanno un arsenale, anche se manco quello sappiamo con certezza, e che si nascondono in un labirinto di canyon che non conosciamo...»

«Abbiamo i trakki e il fiuto di Vince. E anche se fossimo in sei contro trenta, se li cogliamo di sorpresa possiamo farcela.»

«Sei? E chi è il sesto?»

«Il ragazzo.»

Abel lo guardò. Sedeva in sella al cavallo di Meadow, le spalle flosce e la tesa del cappello che gli oscurava parte dei lineamenti.

«Ma allora siete matti sul serio», disse Abel.

«Senti», fece Meadow, «lo so che sembra una follia...»

«Togli il sembra

«... ma se ci prepariamo bene e sfruttiamo l'elemento sorpresa, ce la sbrighiamo in pochi minuti.»

«Sei troppo ottimista.»

«E tu fin troppo pessimista per essere un cantonese

«Che c'azzecca il fatto che sono cantonese con l'ottimismo?»

«Che tutte quelle stronzate religiose che fai dovrebbero farti un po' più positivo.»

«Le stronzate religiose, come le chiami tu, servono per l'equilibrio interiore. E una persona equilibrata è una persona che capisce quando sta per fare una cazzata.»

«In sintesi mi stai appendendo

«In sintesi ci tengo alla pelle.»

«Abbiamo davvero bisogno di lui?» chiese il ragazzo.

Lo guardarono tutti.

«Ci può essere utile per quelle sentinelle appostate fuori città», disse Meadow. «Senza contare che potrebbero essercene altre sulla strada che porta al nascondiglio di quei tizi – in verità lo do quasi per scontato – e Abel sa uccidere un uomo senza smuovere un filo d'aria.»

«In altre parole la risposta è sì», fece il ragazzo e si rivolse ad Abel. «Non posso offrirti più soldi, ma se accetti posso convincere tutte le botteghe in città, il saloon e il bordello a farti... credito, per così dire.»

«Cioè?» chiese Abel.

«Cioè che se hai voglia di un bicchierino, di una scopata o di un nuovo paio di stivali, te li pigli e vaffanculo.»

«Vuoi dire che posso avere aggratis tutto quello che mi pare?»

«Voglio dire proprio questo.»

«'spetta un secondo, se è così lo voglio pure io l'aumento di stipendio», fece Vince.

Bella mossa, fece il dissidente, adesso devi metterli tutti a livello. Sei un genio.

Il ragazzo lo ignorò.

«Non è un pozzo senza fondo», disse il ragazzo. «Già per mettere insieme tutta quella grana si sono dissanguati. Se devono pure fare credito a tutti e cinque, finisce che chiudono baracca e burattini nel giro di qualche settimana.»

«E perché dovrebbe fottermene qualcosa?» fece Vince.

«Possiamo fare che vi concedete a turno un giro di bevute e di scopate, o di quello che vi pare», disse il ragazzo.

«A me sta bene», fece Meadow.

«A me pure», disse Abel.

Deisdre e Vince si guardarono. «Okay», dissero in coro.

Voglio vedere che succede quando si fanno prendere la mano e cominciano a saccheggiare mezza città. Perché succederà, fidati di questo stronzo che ne ha viste di ogni, disse il dissidente.

«Per allora saremo fusi», fece il ragazzo.

«Che hai detto?» chiese Vince.

«Ho detto che siamo pronti a partire. Sempre che il mandarino non ci ripensi.»

«Cantonese», fece Abel. «E ho detto che vengo.»

«Grandioso», disse il ragazzo. Il tono sarcastico non sfuggì ai presenti. «Allora ci muoviamo o dobbiamo aspettare che mi crescano i peli sulle palle?»

Meadow disse ad Abel di montare con Deisdre, e di seguirlo poi ad Aramundi per fare incetta di provviste e altre cose per il viaggio. Il cantonese lo afferrò per un braccio, lo attirò a sé e mormorò: «Chi è quel bamboccio? E perché gli permetti di fare lo scugnizzo

«Perché paga bene», sussurrò Meadow, prima di liberarsi con uno strattone.

Tornò al suo cavallo, montò e si avviò senza aspettare gli altri. Giunti ad Aramundi, il ragazzo smontò e disse a Meadow che, dopo aver fatto secco lo stalliere, li avrebbe aspettati all'interno della dentiera rocciosa dove avevano incontrato Abel. Lo sguardo di Meadow indugiò sulla sei colpi del ragazzo.

«Ti stai chiedendo se ho mai fatto secco qualcuno?» domandò il ragazzo.

«Qualcosa del genere», ammise Meadow.

«Non ancora. Ma come si dice: c'è una prima volta per tutto.»

«Abel può farti un lavoro pulito.»

Il ragazzo scosse il capo mentre sogghignava. «Faccio da me.»

«Come vuoi.»

Meadow spronò il cavallo e si allontanò. Giunsero a rimorchio gli altri.

«Dove se ne va Meadow?» chiese Vince.

«Che ne so, mica sono la sua tata», rispose il ragazzo.

Girò i tacchi e scartò i passanti sino a infilare una via laterale.

«Non appena ci paga, giuro che lo faccio secco», disse il gigante.

«Ti do una mano», fece Deisdre.

«Com'è che non gliele hai cantate?» chiese Abel a Vince.

Il gigante rispose con un'occhiata che l'altro non riuscì a decifrare, poi spronò il cavallo su per la Via Maestra.

«Che gli è preso?» fece Abel.

«Non lo so», disse Deisdre, «ma a me sembra quasi che lui e occhi belli abbiano paura di quel moccioso.»

«Paura? E di che?»

«È quello che vorrei sapere. Se io, tu o Meadow ci fossimo rivolti a Vince come ha fatto il marmocchio, quel bisonte ci avrebbe aperto il culo, ci avrebbe ficcato dentro il braccio e ci avrebbe usati come marionette parlanti.»

Deisdre spronò il cavallo.

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