* * *

Il ragazzo fece il suo ingresso più o meno nel momento in cui Abigail usciva a pestare la Via Maestra. Passò sotto un enorme arco di legno scuro. Un'insegna decisamente grossa pendeva dalla sommità, e oscillava appena sotto le sferzate del vento che s'era alzato. Le parole, che qualche abile artigiano aveva inciso nel legno, dicevano: BENVENUTI AD ARAMUNDI.

Il cavallo pestò la Via Maestra e il ragazzo si ritrovò proiettato in un mondo diverso da quello che conosceva. La gente affollava la strada. C'erano baracche, venditori ambulanti e imbonitori. Un tizio vestito di lino bianco, con in testa un turbante mezzo schiacciato, parlava da un rialzo di legno alla piccola marmaglia che gli si era riunita intorno. Agitava un'ampolla e forse ne declamava le proprietà uniche e miracolose. Il ragazzo era troppo lontano per sentire, e comunque quello che diceva l'imbonitore si perdeva nel generale bordello. Era una città viva, nulla da dire. Fin troppo. Il ragazzo avvertì un lieve disagio.

Non fartela sotto, disse il dissidente. Può sembrare chissà che ma, stringi stringi, è un posto come un altro, pieno di scimuniti che ti chiedono di alleggerirgli le tasche. Guarda quei fessi laggiù. Ancora due secondi e qualcuno tira fuori la grana per comprare quello sputo allungato con acqua e alcol.

L'imbonitore puntò un dito su un tizio che lo guardava con aria assorta, disse qualcosa e il tizio si cacciò una mano in tasca con una certa foga. Tirò fuori un bronzo grande, che ammiccò nella luce del giorno che si affievoliva, e lo consegnò all'imbonitore.

«Come lo sapevi?» chiese il ragazzo, sorpreso.

Ho una certa esperienza in fatto di inganni. Anche io ho tirato qualche pacco quando era giovane.

L'imbonitore sorrise e allungò una boccetta del magnifico intruglio al tizio, che la prese e andò via tutto contento.

Il mondo è pieno di fessi, non te lo scordare.

«Se ci va male con questa storia dei figli di Baphomet, almeno sappiamo che fare», disse il ragazzo e spronò il cavallo.

Si immerse nei colori e nei rumori di Aramundi. Un ambulante gli offrì le proprie leccornie a un prezzo stracciato. Più avanti, un tizio con un carretto pieno di fiori gli offrì un mazzo di llelog, dei fiorellini viola col gambo lungo. Il ragazzo rifiutò entrambe le offerte con un cenno del capo, e chiese al dissidente dove quel tizio col carretto avesse rimediato i fiori.

Qui piove una volta ogni morte di Papa, ma quando succede fanno delle tempeste d'acqua che non ti dico. Il terreno assorbe l'umidità e una volta ogni... sei o sette estati, mi pare, sbocciano quei cosini del cazzo, lì.

«Assurdo», mormorò il ragazzo. Si guardò intorno. «C'è sempre tutto 'sto casino?»

Se la memoria non mi si è accorciata come il pisello di un Santo, per quello che ricordo io 'sto posto è sempre stato un gran carnaio.

Un ambulante con una misera bancarella e un assortimento di borse inviò cenni al ragazzo, che si fermò a contemplare la merce.

«Ti serve una borsa, biondino?» disse l'uomo.

«A dire il vero sì, mi serve», fece il ragazzo.

A che cazzo ti serve una borsa? chiese il dissidente.

«Per metterci i soldi dentro», rispose il ragazzo.

«Ne ho una che fa al caso tuo. Ci ho aggiunto pure una tasca segreta», fece l'ambulante, pensando che il ragazzo parlasse con lui. «A dire il vero, la tasca l'ha cucita mia moglie. Io non so ficcare manco lo spago dentro quei maledetti occhielli. Ho la vista di una talpa.»

Pigliò una borsa di cuoio scuro con tracolla e si avvicinò al ragazzo. La aprì e gli mostrò l'interno, poi rimosse lo strato di cuoio che occultava il doppio fondo.

«Qui dentro ci puoi ficcare il bottino», disse.

«Quanto vuoi?» fece il ragazzo.

L'uomo finse di pensarci su e disse: «Tre bronzi grandi.»

«Mi prendi per il culo?»

«È pelle di prima scelta. E poi c'è la manodopera...»

Dagli quei cazzo di bronzi e leviamocelo dalle palle.

Il ragazzo si ficcò una mano in tasca mentre l'uomo declama le virtù del prodotto, contò tre bronzi grandi e glieli allungò. Gli occhi del mercante scintillarono come la superficie delle monete.

«Mille grazie, figliolo», disse tutto contento.

Il ragazzo prese la borsa, se la mise a tracolla e diede un colpetto di talloni ai fianchi del cavallo. Mentre la bestia pestava la Via Maestra (una via molto larga e molto affollata), un marmocchio si fece largo tra i passanti e si avvicinò per chiedere al ragazzo se avesse bisogno di un posto per il cavallo.

«Quanto?» chiese il ragazzo.

Il marmocchio alzò due dita. Il ragazzo smontò, pigliò le redini e disse: «Fammi strada.»

Infilarono una stradina laterale, meno affollata e un po' più stretta. La stalla era senza insegna, ma aveva una scritta storta sull'ingresso. Il ragazzo conobbe il tizio che la gestiva e gli allungò i due bronzi pattuiti. Prima di mollare il cavallo, trasferì i sacchetti col denaro della gente di Arlene nel doppio fondo della borsa. Quando il tizio della stalla sentì tintinnare le monete nei sacchetti, si fece di colpo attento.

Il ragazzo non ci badò. Ficcò tutto il denaro nel doppio fondo, si mise una mano in tasca e allungò all'uomo due bronzi supplementari.

«Per la tua discrezione.»

«La mia discrezione vale più di questa miseria», disse l'uomo, facendo saltare le monete sul palmo.

Figlio di put... che cazzo fai? chiese il dissidente.

Il ragazzo stava mettendo mano alla tasca.

«Non vedo altra soluzione», fece il ragazzo, e allungò altri due bronzi grandi all'uomo.

«Sono d'accordo con te», disse lo stalliere, «ma non ci siamo ancora.»

Il ragazzo lo fissò mentre il dissidente gracchiava maledizioni in lingua franca e in quella comune, bestemmiando e augurando al tizio di strozzarsi con la propria saliva mentre leccava la fica malata di una puttana.

«In quelle sacche ci saranno tipo mille bronzi», disse lo stalliere.

«E se pure fosse?» fece il ragazzo.

«Penso che quattro monetine sono spicci, in confronto alla piccola fortuna che ti porti appresso.»

«Non sono soldi miei.»

«Che mi frega di chi sono? Voglio la metà.»

«E se invece ti uccido?»

«Non so se ti conviene. Sei l'ultimo arrivato, e un fracco di cristiani ti hanno visto che venivi qui. Se mi trovano morto, non ci mettono niente a fare due più due. E ho come la sensazione che non vuoi attirare troppa attenzione.»

Il dissidente parlò al ragazzo che, senza fare una piega, aprì la borsa e pigliò una sacchetta dal doppio fondo. La lanciò all'uomo, che la afferrò al volo e la soppesò sul palmo.

«Mi sbaglierò, ma la sento leggera.»

«Il resto te lo do quando torno a prendere la bestia», fece il ragazzo.

L'uomo scosse la testa mentre un sorrisetto gli aleggiava sul volto. «Che ne so che non rubi un cavallo e te la svigni?»

Con un moto di stizza, il ragazzo pigliò un'altra sacchetta e gliela tirò ai piedi.

«Molto obbligato», fece l'uomo, chinandosi a prenderla. E mentre il ragazzo girava i tacchi e usciva, aggiunse: «Non stare in pensiero per la bestia, è in ottime mani.»

Il ragazzo e il dissidente lo mandarono a fanculo e tornarono sulla Via Maestra. Salirono fino a trovare il saloon (uno dei tanti), che aveva un'insegna grossa come il prepuzio di un gigante. La balconata sopra l'insegna suggeriva che al secondo piano ci fosse un bordello. Il ragazzo decise di cominciare da lì la sua ricerca. Entrò e subito gli sguardi degli avventori seduti ai tavoli gli si incollarono addosso. Un vecchio sdentato diede di gomito al vicino ed entrambi ridacchiarono.

«Come li riconosco?» chiese al dissidente.

Ti ho detto di non parlare a voce alta. Guarda i cannoni che si portano appresso e l'abbigliamento. Anche le facce aiutano. Gli asesinos non hanno belle facce. Ci leggi sopra i nomi di quelli che hanno ammazzato e qualche cicatrice. Dai un'occhiata in giro, che se ce n'è uno te lo becco subito.

Il ragazzo si guardò intorno e per poco non fece un giro completo su se stesso, come in un passo di danza.

Magari è il caso di usare un po' di discrezione, contando pure che così sembri uno scemo scappato dalla casa dei matti. Vai al bancone e ordina da bere, e mentre bevi guardati intorno.

Il ragazzo si avviò verso il bancone. Il saloon era affollato e c'erano altri tizi in piedi a bere. Lo squadrarono come fosse uno stronzo di cane con le gambette. Quando il barista lo vide, un cipiglio gli increspò la fronte.

«Quanti primavere hai?» chiese.

«Secondo me non ce le ha mica sedici primavere», fece un tizio coi capelli fini come spaghetti.

«Infatti ne ho diciotto», mentì il ragazzo.

«A guardarti non si direbbe», fece il barista, squadrandolo.

«Fidati. Ho l'età per bere, scopare e fare un fracco di altre cose.»

«Ma sentitelo!» fece il tizio coi capelli a spaghetti.

Il ragazzo si rivolse al barista. «Dammi da bere.»

«I soldi ce li hai?» chiese il barista.

Il ragazzo si cacciò un bronzo grande dalle tasche e lo poggiò sul tavolo. Il barista lo prese e lo addentò per saggiarne la consistenza. Soddisfatto del risultato, se lo ficcò in tasca e diede al ragazzo due dita di torcibudella.

«Non è che preferiresti del latte?» buttò lì Capelli a Spaghetti, e tutti quelli che lo sentirono si spanciarono dal ridere.

Ignora quel testa di cazzo, fece il dissidente.

«Sto facendo del mio meglio», mormorò a denti stretti il ragazzo.

Buttò giù il torcibudella in un sorso e chiese il secondo giro.

«Bisogna ammettere che lo reggi, il liquore», disse un uomo canuto che era accanto al ragazzo.

Il ragazzo gli lanciò un'occhiata.

«Sembri uno abituato a darci dentro.»

«E se anche fosse?» sbottò il ragazzo.

L'uomo gli mostrò i palmi. «Non ti scaldare. Dicevo così, tanto per scambiare due chiacchiere.»

Il barista arrivò per il secondo giro, e il ragazzo gli chiese di riempire anche il bicchiere del tizio canuto.

«Offro io.»

«Gentile», rispose l'uomo.

Alzò il bicchierino in segno di ringraziamento e il ragazzo fece lo stesso, annuendo. Bevvero. Il liquore scese a riscaldare lo stomaco di entrambi.

«Io sono Frank», disse l'uomo. «Ho anche un cognome, ma a forza di stare qui dentro l'ho scordato.»

Doveva essere una battuta, perché sorrise. Il ragazzo restò serio e il sorriso di Frank svanì.

«Io sono Moose», rispose il ragazzo.

«Non ti ho mai visto in giro. Sei nuovo?»

«Appena arrivato.»

«Mi pareva. E come la vedi?»

«La vedo?»

«La città.»

«È un gran casino.»

Frank ridacchiò. «Solo perché è festa. Quando arriva il giorno del Messiah, qui la gente va fuori di testa.»

«Altro giro?» chiese il ragazzo, agitando il bicchierino.

«Se proprio insisti...»

Il barista riempì e chiese che il biondino gli mostrasse il denaro. Il ragazzo tirò fuori un bronzo grandi.

«Lascia la bottiglia», disse poi.

Il barista mollò lì la scorta di liquore e si allontanò.

«Che ti porta da queste parti?» chiese Frank.

«Hai trovato un fidanzato?» urlò Capelli a Spaghetti al ragazzo.

Aveva la voce impastata, segno che era sbronzo. Frank si sporse di lato per guardarlo in faccia, visto che stava alle spalle del ragazzo.

«Gli sto facendo la proposta proprio ora e ti sarei grato se chiudessi il becco e la piantassi di rompere i coglioni, che mi rovini l'ispirazione», gli rispose.

La marmaglia nei dintorni sghignazzò di gusto. Capelli a Spaghetti sbatté lentamente le palpebre e ondeggiò. Frank tornò a rivolgersi al ragazzo.

«Non dar retta a Mouser», disse.

«Si chiama davvero così?» chiese il ragazzo.

«Che ti devo dire, la madre doveva essere ubriaca quando ha scelto il nome.»

Il fantasma di un sorriso tese le labbra del ragazzo.

«Allora, che ci sei venuto a fare da 'ste parti? Non è che voglio farmi i fatti tuoi, eh, è solo per...»

«Fare due chiacchere.»

«Esatto.»

Il ragazzo buttò giù il liquore mentre pensava a come rispondere. Il dissidente gli andò in soccorso, suggerendogli di spiattellare le cose come stavano, che magari quel tizio poteva indirizzarli. Il ragazzo raccontò allora dei figli di Baphomet, che tenevano sotto scacco la gente di Arlene.

«Devo reclutare qualche asesino che mi aiuti a farli fuori e ho pensato che, visto quant'è grande 'sto posto, ce ne avrei trovati parecchi e pure bravi nel mestiere.»

«Che razza di storia...» fece Frank e ingollò la sua dose supplementare di veleno.

Si fece serio come un patriarca e rifletté, rigirandosi il bicchierino vuoto tra le dita.

«Di tizi come quelli che stai cercando ce ne trovi quanti ne vuoi, ma costano un botto.»

«Tengo un po' di soldi da parte», disse il ragazzo.

«Allora non dovresti avere problemi.»

«E dove li trovo 'sti signori?»

«Se vuoi andare a colpo sicuro, ti consiglio di visitare hen Ddinas. È il quartiere con le casas de adobe sparpagliate come merde di cane lasciate al Sole. Hanno pure lo stesso colore.»

Il ragazzo lo ringraziò, si cavò dalle tasche due monete e le posò sul bancone.

«I drink costano un bronzo», gli fece notare Frank.

«Con quello che avanza pigliati da bere», disse il ragazzo e girò i tacchi.

Frank lo guardò allontanarsi con un'andatura baldanzosa e uscire. Riportò quindi l'attenzione sui due bronzi. Il biondino aveva le tasche gonfie quanto la pancia di un salvadanaio. Forse avrebbe dovuto metterlo in guardia. Smazzare denaro in quel modo, davanti a tanti cristiani, non era una genialata. Era così che si finiva a faccia in giù in un vicolo, con un coltello piantato tra le scapole.

Frank prese il bronzo in più e se lo ficcò in tasca, quindi uscì a passo svelto dal saloon. Si guardò in giro, nel tentativo di individuare il ragazzo, ma c'era troppa gente in strada.

«Maledizione», mormorò.

Girò i tacchi e rientrò. Visto che gli era piovuta dal cielo una moneta, l'unica cosa sensata da fare era spenderla per un cicchetto.

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