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... capo ha. Una volta Bonedigger gli aveva detto che niente è eterno, che nessun uomo può imprigionarne un altro e tenerne soggiogata la volontà per sempre. Prima o poi quella volontà si ribellerà e l'uomo con essa. Ma il vecchio leone non aveva mai dovuto spartire il proprio corpo con un altro tizio. Il ragazzo sentiva Haul il sobillatore insinuarsi come vento che passi sotto una porta. E più i giorni passavano, più si sentiva diverso. All'inizio non gli piaceva quel che sentiva, e aveva meditato di uccidersi per porre fine alla pena che lo torturava. Ovviamente il dissidente non glielo aveva permesso. Riusciva a spiare i pensieri del ragazzo e sapeva quando aveva intenzione di fare qualcosa. Quando avevano lasciato la Regione Verde, erano due anime che si spartivano un corpo. Una settimana più tardi erano già più affiatati, per così dire. L'ospite riusciva a prendere possesso del corpo per brevi periodi. Prima non ci riusciva e, per fermare il ragazzo, era costretto a fargli male fisicamente.

La cosa di perdere il controllo del proprio corpo, anche se per brevi periodi, piaceva al ragazzo quanto gli sarebbe piaciuto farsi fottere da un gorilla. Si sentiva stuprato. Ma poi aveva iniziato a scoprire qualche lato positivo, come la volta in cui il dissidente aveva convinto una maîtresse a radunare tutte le ragazze del suo piccolo bordello e a concedersi a loro due, il tutto senza spendere un bronzo. Era stata una serata memorabile. Il ragazzo aveva scoperto i piaceri della carne. E aveva scoperto anche che, quando l'altro faceva i suoi trucchetti, il sangue gli ribolliva nelle vene. Il dissidente gli aveva detto che accadeva perché la magia aveva preso a scorrergli dentro e che faceva tutto parte del processo di fusione. Quando le anime si fossero fuse, si sarebbe sentito sempre così, come uno in grado di incendiare il mondo con una scoreggia.

E a dirla tutta, al ragazzo la prospettiva non dispiaceva. Col passare del tempo aveva iniziato ad accettare la sua nuova condizione, traendone i conseguenti benefici. Il dissidente poteva procurargli tutto quello che voleva. Il sesso, ovviamente, al quale il ragazzo si dedicava con grande solerzia. Lo faceva tanto spesso che a volte, quando andava a pisciare, trovava la cappella infiammata. C'erano poi il whisky, che aveva imparato a farsi piacere perché piaceva al suo ospite, e la birra. Che fosse bionda o rossa, se la godeva di brutto. Alle volte si stordiva di proposito, per non pensare alla sua nuova condizione e a come sarebbe evoluta. Bere e scopare sino allo sfinimento erano attività che lo aiutavano a non pensare. E quando non era stordito – il che capitava durante gli spostamenti da una città all'altra – pensava che avrebbe voluto stordirsi. Era diventata una specie di droga, per lui, quella sensazione di galleggiare a un metro da terra, la testa leggera come una lanterna di carta che salga in cielo. E procurarsela era facile perché, anche se il mondo era andato a puttane, di alcool in giro ce n'era sempre in abbondanza. Stessa cosa per la fica.

C'era poi un'altra roba che aveva imparato ad apprezzare, ed erano i salamelecchi del dissidente. Non somigliavano affatto alle menate di Bonedigger (non ci si avvicinavano manco), ma contenevano verità sulle quali il ragazzo non s'era mai soffermato e che erano sempre state sotto il suo naso. E non ci si era mai soffermato perché era così impegnato a rigare dritto che non gli era venuto mai in mente di sperimentare.

Ora stava camminando sulla faccia oscura della Luna e scoprendo cose nuove. Il dissidente gli aveva detto che la vera droga era prendere quello che voleva, quando voleva. Non il whisky e nemmeno le puttane, ma il piacere di prenderne e di abusarne fino a crollare: era quella la vera goduria. E la magia che gli ribolliva dentro non faceva che peggiorare la situazione. L'altro gli aveva assicurato che presto avrebbero iniziato a sparare saette dal buco del culo e persino a resuscitare i morti, se avessero voluto, anche se era sconsigliabile, perché gli abracadabra dei negromanti pretendevano un prezzo, ed era un prezzo che non ti sarebbe piaciuto pagare.

Il ragazzo aveva accolto quelle nuove informazioni con più entusiasmo del previsto. L'idea di acquisire un potere simile a quello del Messiah lo eccitava quasi quanto una pupa nuda. Il dissidente gli aveva detto di non montarsi la testa e di pensare piuttosto a non farsi ammazzare prima che fossero fusi.

«Se inizi a pensare di essere invincibile, prima o poi questa convinzione ti fotterà. Ora che siamo all'inizio, poi, è proprio l'ultima cosa che deve sfiorare quel tuo cervellino da primate.»

La fusione richiedeva tempo e la magia sarebbe cresciuta poco per volta. Per il momento riusciva a fare dei trucchetti da avanspettacolo, che non bastavano a salvargli il culo. Se qualcuno gli avesse sparato, le ferite non sarebbero guarite, perché la magia non era ancora abbastanza forte da rimarginarle. Dopo la fusione, neanche più i proiettili avrebbero potuto fermarlo.

«Dopo la fusione potrai andare a puttane, bere tutto il giorno e cacciarti in una rissa con un manipolo di invasati senza temere niente.»

Il ragazzo aveva ascoltato i consigli, mantenendo un profilo basso in ogni città in cui facevano tappa. Solo una volta si era esposto, e lo aveva fatto per necessità. A Gamada davano una gara di tiro e lui stava esaurendo la grana. Tra il cibo e l'alloggio per sé e il cavallo, le puttane (il dissidente non era sempre in grado di fare i suoi abracadabra mentali e doveva ricaricare le batterie ogni tanto) e il whisky, c'era da aspettarselo. Si era iscritto alla gara e, visto che nel corso dei suoi vagabondaggi aveva imparato a sparare discretamente, si era detto che non c'era nulla di male a tentare.

Era andata a finire che quelli che partecipavano erano più scarsi di quanto ci si aspettasse e vincere non era stata un'impresa. Il problema era che quelli non avevano digerito la sconfitta per mano di uno sbarbatello e avevano provato a portargli via il malloppo. Per fortuna il dissidente era fresco e riposato, e la sua magia pronta all'uso. Quando quelli si erano introdotti, di notte, nella stanza della pensione dove il ragazzo alloggiava, il dissidente gli aveva sparato addosso un paio di miraggi (lui li chiamava così) da far venire la strizza a un profanatore di tombe.

Per lo più si trattava di morti dalla faccia scavata e la pelle cadente su zigomi e fronte. Se li erano ritrovati intorno, che tendevano le mani scarnificate, e si erano cacati addosso dalla paura. Un paio di loro erano fuggiti dalla finestra, gli altri dalla porta. Ovviamente il ragazzo aveva subito fatto le valigie e si era dato. La suggestione dei miraggi, per quanto terribile, aveva durata breve e col sopraggiungere dell'alba perdeva d'efficacia.

Una volta scappato da Gamada, il ragazzo aveva macinato un po' di strada ed era arrivato ad Arlene, una cittadina circondata da montagne rocciose rosse come il culo di uno sciamano, canyon e gole varie. E lì, ad Arlene, aveva saputo dei figli di Baphomet.

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