* * *

... viaggiava spostandosi di città in città, come un cowboy di una di quelle storie che Bonedigger gli raccontava. Aveva persino un paio di pergamene con alcune di quelle storie. Le aveva scritte Bonedigger. Erano racconti brevi, ma erano forti. Il vecchio leone aveva del talento. Peccato che fossero andate perse assieme a tutta l'altra roba che aveva nello zaino.

Si era fermato un paio di giorni in una cittadina con una taverna, una dozzina di abitazioni malridotte e un becchino. Il cimitero era un pugno di terra con delle croci storte. All'inizio pensava fosse una città fantasma, come Conception, ma poi aveva scoperto che ci viveva qualcuno. Un branco di pazzi, secondo lui. Erano un vecchio, una donna di mezza età e due tizi con le barbe bianche. Si era chiesto se fossero parenti, ma non è che gli fregasse poi qualcosa. Cercava solo un posto per riposare.

Il vecchio, che si chiamava Herbert, gli aveva detto che poteva dormire nella sua stalla. Il ragazzo gli aveva risposto che poteva pagare e si era poi pentito della leggerezza. Gli era toccato dormire con un occhio aperto, per paura che quelli si accordassero per farlo fuori e derubarlo durante la notte. Nessuno però l'aveva disturbato, e alla fine aveva sprecato un bronzo.

La seconda tappa era stato un villaggio appartato tra i boschi. Più si avvicinava alla Regione Verde e più il panorama cambiava e si inselvatichiva, come diceva qualcuno. La sabbia cedeva il passo a una spruzzata di verde, che poi diventava un manto, ricco di alberi e torrenti. Il ragazzo doveva trovarsi a metà strada quando giunse a Red Creek, una comunità di taglialegna. La città prendeva il nome dal torrente che l'attraversava e che aveva un colore alle volte rosso, come quello del rame, forse per via di qualche minerale o altra sostanza sul fondo del letto, vai a capire. L'acqua comunque era buona e mai nessuno aveva sofferto di cacarella bevendola.

Il ragazzo ci si fermò un po'. L'aria che si respirava ti ripuliva i polmoni. Era una novità rispetto alla polvere e al caldo alle volte martellante. L'unico difetto del posto era che tra gli indigeni non c'erano donne. Il ragazzo proprio non riusciva a capire come fosse possibile. Ma a loro sembrava andar bene così, per cui... Passavano le giornate a lavorare, a bere e a chiacchierare, e sembravano felici di ospitare un forestiero. Il ragazzo non abbassò mai la guardia, anche se quei taglialegna sembravano simpatici. Chiese un posto per riposare e qualcosa da mettere sotto i denti, ma stavolta disse di non poter pagare, e non per taccagneria. Semplicemente non voleva che sapessero che aveva del denaro con sé. L'occasione fa l'uomo ladro, diceva Bonedigger, ed era meglio non crearla, quell'occasione.

I taglialegna non fecero troppe domande e, a chi ne faceva, il ragazzo rispondeva che cercava un posto che facesse al caso suo, ma che non fosse una comunità senza una femmina.

«Nessuna femmina verrebbe a vivere qui», gli aveva fatto notare qualcuno. «E noi non sappiamo fare altro che spaccare legna. Poi la vendiamo a quelli che abitano più su, vicino al freddo, e quelli ci danno coperte, whisky e altra roba. Una volta mi hanno allungato una scaglia di drago.»

«Sul serio?» aveva chiesto il ragazzo, le antenne drizzate.

«Altroché. Era fredda come ghiaccio, leggera come una piuma e resistente come il ferro di un'incudine.»

«La posso vedere?»

«L'ho perduta. Ogni volta che la lasciavo da qualche parte, quella prendeva il colore della superficie dove la poggiavo. Finché un giorno mi sono scordato dove l'avevo poggiata», aveva detto il taglialegna, e il ragazzo s'era dispiaciuto.

Nel corso della sua permanenza a Red Creek, passò le notti sdraiato all'addiaccio, col fuoco che scoppiettava e il cielo che sembrava una striscia di velluto con sopra una valanga di diamanti. L'immensità di quel tetto luminoso lo turbò e incuriosì al tempo stesso. Non era la prima volta che ammirava il cielo, ma era la prima che certi pensieri gli si intrufolavano in testa. Si chiese se su uno di quei puntini luminosi ci fosse qualcuno che, come lui, era sdraiato a guardare il cielo. Ripensò ai giorni passati a Fresno, alle persone che aveva conosciuto, e si accorse di avere dei ricordi felici nei quali rifugiarsi.

Dormì e sognò. Il sogno era sempre lo stesso. Capitava che al posto di Bonedigger ci fossero Judas, Angus e Shelley McCoy o Talissa, ma la conclusione era sempre la stessa: morivano mentre lui stava a guardare, impotente. Si svegliava che il Sole faceva capolino e gettava un poco d'oro sul mondo, e allora il desiderio di raggiungere la meta che s'era prefissato diventava più forte. Forse, una volta trovato quello che cercava, i sogni sarebbero andati via. Se lo augurava. Stava diventando difficile. E più si avvicinava alla meta, più gli pareva che il sogno assumesse contorni definiti. Si accorgeva di dettagli che non aveva mai notato. E se prima la consistenza del sogno era come quella di un riflesso nell'acqua torbida, ora gli pareva l'immagine in uno specchio. Gli pareva reale quanto il calore del fuoco da bivacco che lo scaldava di notte e l'immensità del cielo sulla sua testa.

Una volta lasciata Red Creek non aveva più incontrato cittadine. Si era arrangiato a dormire dove capitava, sempre con un occhio mezzo aperto e la sei colpi a portata di mano. Poi, il settimo giorno, mentre cavalcava col Sole alle spalle, aveva visto in lontananza la terra promessa: alberi svettanti, che salivano al cielo come torri campanarie, ma molto più alti, e un tappeto d'erba rigogliosa, di un verde che faceva male agli occhi.

«Ci siamo», disse, accarezzando il cavallo.

Si inoltrò nella Foresta Alta, il mento sollevato e gli occhi che cercavano di scorgere la sommità degli alberi senza però riuscirci. Era una roba che lo mandava fuori di testa. Si chiese cosa avesse provocato quella crescita smisurata. Forse la magia dei Druidi. Si dispiacque che Bonedigger non fosse lì con lui, a godersi quello spettacolo. Gli sarebbe piaciuto di sicuro. Magari lo avrebbe aiutato anche a capire come fare per trovare il deml, visto che non sapeva da dove cominciare. Aveva solo l'indizio che gli aveva dato lo spilungone del sogno.

Tirò le briglie e il cavallo si fermò.

«Nel cuore della foresta, lì dove Madre Natura s'inchina, s'erge la dimora dei Druidi», mormorò il ragazzo.

Un brivido gli percorse la schiena. Si guardò intorno. Sull'erba si rifletteva un mosaico di luci e ombre. Intorno vedeva solo tronchi enormi, grandi come braccia di gigante. Udiva il canto dei passeri e ogni tanto sentiva un frullare d'ali.

«Mi sa che sarà una cosa lunga, vecchio mio», disse al cavallo.

La bestia soffiò dalle nari, come per fargli sapere che la pensava allo stesso modo.

Camminarono a lungo. Il ragazzo proseguiva pensando che, forse, avrebbe trovato qualcosa nel cuore della foresta. Il problema era che non conosceva le dimensioni della Foresta Alta. Per quel che ne sapeva, poteva essere grande come il cielo che guardava di sera. Avanzò a lungo prima di avvistare quella che aveva l'aria di una fattoria. C'era un recinto, e una catapecchia all'interno del recinto. Qualche mucca pascolava e udì anche il verso di polli. Si avvicinò, incuriosito, e vide che c'era anche un tizio, alto e snello, con un cappello di paglia in testa. Era seduto sulla misera veranda della catapecchia. Vide il ragazzo e si alzò, andandogli incontro.

«Salve», fece, avvicinandosi al recinto. «Ti sei perso?»

«Non proprio», disse il ragazzo.

«O ti sei perso o no, non c'è una via di mezzo.»

Il ragazzo sorrise. «Sto cercando un posto.»

«Qui intorno ci sono solo io e una vecchia signora. Abita più avanti. E dove abita lei c'è un posto con una vasca d'acqua, le cascate e un paio di pozzanghere che dicono fanno bene alla schiena se ti ci immergi. È quello il posto che cerchi?»

«No, il posto che mi interessa è fatto di pietra.»

«Di pietra? Come un castello o una hacienda

«Non proprio.»

«Dovresti essere più preciso, sennò non ti posso aiutare.»

Il ragazzo si fece coraggio e disse: «Sto cercando il deml

Il vecchio restò impassibile. Si limitò a chiedere: «Perché lo cerchi?»

«Curiosità», disse il ragazzo e aggiunse: «Voglio vedere se le leggende che raccontano sono vere.»

«Oh, sono vere. Come le mie vacche e il tuo cavallo.»

«Nel senso che l'hai visto?»

«Non proprio. Diciamo che l'ho intravisto.»

«E puoi dirmi dove cercare?»

Il vecchio si scappellò. Mentre teneva il cappello di paglia con la sinistra, la destra strofinò il mento spolverato di barba. Il ragazzo attese guardando il ciuffo spelacchiato di pagliericcio che ornava la testa del vecchio.

«Non sono tanto sicuro», fece il vecchio. «E non sono sicuro perché, dopo che l'ho intravisto, mi sono un attimo voltato, e quando ho guardato di nuovo non c'era più. Come se me lo fossi immaginato.»

Guardò il ragazzo sembra ombra di imbarazzo.

«Lo so che non ha molto senso.»

Invece ce l'ha, pensò il ragazzo, ricordando la storia di Judas.

Probabilmente l'uomo l'aveva intravisto nell'attimo prima che si spostasse. E chissà cosa sarebbe accaduto se si fosse avvicinato abbastanza. Sarebbe scomparso e riapparso col deml da un'altra parte? O l'avrebbe solo visto sfumare come un miraggio?

«Dove l'hai visto prima che sparisse?» chiese il ragazzo.

L'uomo guardò la foresta e si strofinò il mento ispido. «Allora... direi che ero andato a nord, perché seguivo la direzione in cui cresce il muschio.» Guardò il ragazzo. «Il muschio cresce sempre sul lato nord. Ricordatelo, nel caso ti perdi. Io sono a sud.»

Il ragazzo annuì. L'uomo fece altrettanto e riguardò la foresta.

«Penso di aver camminato per una mezz'ora. Forse di più.» Guardò il ragazzo, strizzando un po' gli occhi. «C'hai l'aria un po' sbattuta.»

«È stato un lungo viaggio», fece il ragazzo.

«Si vede, si vede. Perché non ti fermi a mangiare un boccone? Stavo giusto per farmi due uova e qualche striscia di carne bella croccante.»

Il ragazzo fece per dire di no, ma il suo stomaco gorgogliò in rappresaglia, così forte che lo sentì persino il vecchio.

«Lo prendo per un sì. Fai il giro e lega il cavallo all'ingresso.»

Si voltò senza aspettare e si allontanò. Il ragazzo fece il giro, smontò all'ingresso del recinto e legò il cavallo. Entrò che il vecchio gli andava incontro con un secchio pieno di uova.

«Appena cascate dal culo delle mie pennute», disse. Il ragazzo ridacchiò. «C'ho anche la biada per il tuo cavallo, ma è meglio se gliela porto qui. Chips è geloso della sua roba.»

«Chips?»

«Il mio cavallo. È vecchio come il sottoscritto. E come tutti i matusa, dopo una certa età diventa scorbutico senza ragione.»

«A me non sembri scorbutico.»

«Solo perché non ho nessuno con cui prendermela, a parte i polli e le vacche.»

«Quindi adesso te la prendi con me?»

Il vecchio ridacchiò. «Sembri un tipo svelto di testa.»

«Forse perché ho viaggiato tanto.»

«Eh, ma mica è solo quello. Mi sa che uno ci deve nascere un po' con certe qualità. Che poi fai esperienze che ti aiutano, quello sì. Ma se sei scemo come una zucchina, puoi pure viaggiare per tutte le terre conosciute e quelle sconosciute, la vedo difficile che diventi svelto di pensiero. Al massimo diventi furbo, ma la furbizia non ha molto a che vedere con l'intelligenza che dico io. I cimiteri sono pieni di gente furba.»

Il ragazzo rifletté su quella considerazione mentre entravano in casa. Butch mollò il secchio sul tavolo. Il ragazzo si guardò intorno. Da fuori, la casa dava l'impressione di una vecchia bicocca vicina a tirare gli ultimi. All'interno, invece, era accogliente e ordinata. C'erano diverse mensole con gingilli vari e candele, un tavolo nel mezzo della stanza da pranzo e quattro seggiole, un focolare modesto e pulito e l'ingresso di un'altra stanza. La porta era socchiusa e il ragazzo intravide un letto con le lenzuola rimboccate a dovere.

«Accomodati», fece il vecchio. «Mi sono reso conto solo adesso che non ci siamo manco presentati. Io sono Butch.»

«Moose», fece il ragazzo. Si liberò della sacca e prese posto. «L'hai costruita tu?»

«La casa? Mi hanno dato una mano certi ragazzoni che poi sono andati a vivere da un'altra parte. E non posso dargli torto. Questo posto è un paradiso, ma a parte qualche contadino come il sottoscritto e la vecchia signora della casa rosada, non c'è materia prima per una conversazione. Anche se la vecchia signora sembra conoscere un fracco di storie interessanti. Magari puoi chiedere a lei del posto che cerchi. Sicuro ne sa più di me.»

«Ci farò un salto», disse il ragazzo.

«Dille che ti ci ho mandato io. E magari potresti farmi il favore di portarle le uova, così mi risparmi la camminata. Non mi piace lasciare incustodito il forte.»

«No hay problema», disse il ragazzo, utilizzando il dialetto dei mulatti.

Butch ridacchiò. Recuperò un panno appeso allo schienale di una sedia e lo dispiegò sul tavolo. Poi attinse dal secchio con le uova. Ne prese una e la osservò in controluce. La ripose nel secchio, ne prese un'altra, la esaminò e la posò sul panno. Si accorse che il ragazzo lo osservava incuriosito.

«Sto vedendo se sono intatte», fece Butch. «Vuoi provare?»

Il ragazzo si alzò e lo raggiunse. Butch prese un uovo e glielo porse. Il ragazzo lo posizionò sotto il fascio di luce che entrava di sbieco dalla finestra e lo rigirò sopra e sotto.

«Mi sembra a posto», fece.

Butch gli fece segno di passarglielo e lo osservò, quindi fece segno al ragazzo di avvicinarsi. Gli mostrò la base dell'uovo e ci picchettò sopra il dito. C'era una piccola crepa.

«Mi è proprio sfuggita», fece il ragazzo.

«Non te la prendere, devi farci l'occhio», disse Butch.

«Quindi la getti via?»

«Fossi matto, me la mangio.»

«E allora perché 'sta manfrina?»

«La vecchia signora si merita il meglio. Dammi una mano, così impari.»

Il ragazzo gli passò le uova e Butch ne scelse sei, mostrando al ragazzo le crepe negli scarti. Avvolse le uova per la vecchia signora nel panno e disse al ragazzo di non scordarle. Poi lo invitò a seguirlo sul retro.

«Cosa c'è sul retro?»

«La cucina», disse Butch.

Uscirono e aggirarono la casa. C'era un cerchio di pietre con una padella nel mezzo. C'era pure una seduta. O almeno al ragazzo sembrò tale, visto che si trattava di quattro ferri a 'X' che curvavano alla base con sopra un rettangolo di tela. Era più alta di uno sgabello e meno di una sedia. Butch notò l'interesse negli occhi dell'altro.

«La vuoi provare?» chiese.

«Che cos'è?» fece il ragazzo.

«A te che pare?»

«Così, a prima vista, una specie di sgabello.»

«Ci hai preso in pieno. Me l'ha dato la vecchia signora. Ogni tanto si sdebita per le uova. Non è che deve per forza, gliele porterei anche gratis... ma tu non dirglielo, mi piacciono le cose che mi dà. Quel coso lì è come una sedia portatile. Lei la chiama "sedia da picnic".»

«Pic-nic?»

«Quando due mangiano all'aperto. Io lo chiamo mangiare di fuori... o non lo chiamo affatto, ma lei dice che il termine giusto è picnic

Il ragazzo si avvicinò per studiarla meglio. Pareva avesse a che fare con una nuova specie animale. La cosa fece sorridere Butch.

«Mentre voi fate amicizia, vado a prendere una cosa dentro.»

Aggirò la casa mentre il ragazzo posava una mano sulla tela tirata e faceva pressione. La sedia da picnic sembrò reggere. Provò a sedersi e si accorse che lo sosteneva. Non era il massimo quanto a stabilità, ma di certo era pratica.

Butch tornò in un lampo con un oggetto piccolo e lungo quasi come una sigaretta. Lo mostrò al ragazzo. Era trasparente e dentro si vedeva un liquido che galleggiava.

«Che cos'è?» chiese il ragazzo.

«Ora ti faccio vedere», disse Butch.

Se lo mise in tasca e allestì il pagliericcio e i legni all'interno del cerchio di pietre. Ci aggiunse qualche rametto secco e poi recuperò l'oggetto. Usando il pollice, fece ruotare la rotella in cima. Il ragazzo vide la scintilla e intuì quello che stava per accadere. Una fiammella sgorgò dal buco sulla testa dell'oggetto. Butch la avvicinò al pagliericcio e lo incendiò.

«Un aggeggio molto utile, non trovi?» fece il vecchio.

«Dove lo hai preso?» chiese il ragazzo.

«Me l'ha dato la vecchia signora, ma lei non lo so dove l'ha preso. Se vuoi glielo puoi chiedere quando vai a portarle le uova. È capace che ne regala uno anche a te.»

«Mi sarebbe utile.»

«Ci credo. Ti risparmia un sacco di rotture. Il problema è che a un certo punto finisce la carica. Questa roba liquida qui dentro.» Agitò l'oggetto. «Non lo voglio dire, ma secondo me potrebbe essere piscio di gigante.»

«Piscio di gigante?»

«Ho sentito che il piscio dei giganti prende fuoco come niente, come anche le pannocchie che mollano dal didietro e la saliva.» Il ragazzo lo guardò, sconcertato. «Non ti sto prendendo in giro. Ci sono helwyr che corrono dietro a quegli spilungoni e imbottigliano la loro merda e piscio, poi lo vendono alla gente che abita a nord.»

«E secondo te questa vecchia signora è un helwyr

«La vedo difficile. Penso invece che questo affarino qui è un'invenzione di quegli helwyr. Anziché metterlo in bottiglia, il piscio, lo hanno ficcato qui dentro e ci hanno messo sopra questo meccanismo con la rotella e il bottoncino. Così non sei costretto a tenere una collezione di bottiglie che quando le apri ti spargono in casa un profumino di asparagi andati a male.» Butch si guardò intorno. «Mi sono scordato le uova dentro. Fai il favore, me ne pigli quattro dal secchio mentre convinco il fuoco?»

Il ragazzo si alzò e, un poco stordito, entrò in casa. Mentre pescava quattro uova dal secchio, ripensò alla storia di Butch. Non aveva mai sentito parlare di helwyr che cacciassero giganti. Per quel che ne sapeva lui, gli helwyr andavano a caccia di draghi nelle foreste che cingevano i picchi di Emor. E aveva qualche difficoltà anche con la storia dei fluidi corporei che prendevano fuoco. Cercò nella memoria, ma non trovò storie o cenni confermassero quelle storie. Bonedigger non aveva mai accennato a niente di simile. Forse non ne aveva idea. Prima di allora non aveva mai pensato che il vecchio leone potesse essere all'oscuro di qualsiasi cosa accadesse nelle Quattro Terre.

Mica era il Padreterno, gli disse una voce. È ben possibile che una o due cose gli siano sfuggite.

Prese le uova e tornò sul retro. Butch stava soffiando sul pagliericcio.

«Sta prendendo», disse al ragazzo.

Prese la padella che aveva messo da parte e la tenne sospesa sulla fiamma. Attese un minuto scarso e disse al ragazzo: «Buttacele dentro.» Il ragazzo ruppe i gusci contro il bordo della padella e lasciò colare le uova. Il tuorlo aveva un colore intenso. Butch si rallegrò della cosa e spiegò al ragazzo che da quello si capiva che le uova erano di qualità. Al ragazzo non è che importasse più di tanto. Aveva tanta fame che avrebbe mangiato anche uno stronzo ripieno. Quando furono pronte, tornarono dentro e mangiarono. Butch aggiunse qualche strisciolina di pancetta secca.

«Dove la prendi? Non ho visto maiali in giro», fece il ragazzo.

«C'è un tizio che come me ha un posto tutto suo nei paraggi, con animali e un orticello», disse Butch. «In realtà non è proprio nei paraggi, devi sgambettare un po', però ne vale la pena. Ogni tanto vado a farmi una scorta. Stavo pensando giusto ieri di comprare un paio di maiali, così non sono costretto a fare tanta strada. Lui ha bisogno di una vacca, perché i musi piatti gliele hanno prese tutte...»

«I musi piatti?»

«Quegli spilungoni con gli occhi larghi e neri e due buchi minuscoli al posto del naso.»

«I Grigi.» Butch si accigliò. «Quelli che fanno festa sulla Luna.»

«Esatto. Io li chiamo musi piatti.»

«E rubano le vacche?»

«'a' voglia. Scendono giù con quegli affari che sembrano piatti rotanti e le tirano su con certi raggi luminosi. Una volta sono uscito in piena notte perché sentivo una vacca che si lamentava e ho trovato tutte le bestie rintanate in un angolo, mentre uno di quegli affari a forma di piatto tirava su la vacca senza fare più rumore di una foglia che cade. Si sentiva solo la vacca che muggiva disperata mentre saliva in cielo, ed era tutta circondata da questa colonna di luce. Allora sono schizzato dentro e ho preso il fucile. Sono ri-uscito e ho iniziato a sparare a quei figli di puttana ladri di vacche. Avresti dovuto vedere come si sono dati. Mi dispiace solo che non sono riuscito a salvare la bestia.»

«Hai messo in fuga un gruppo di Grigi... con un fucile?»

«Non lo so se erano un gruppo. Quel piatto lucido era chiuso da tutti i lati e non sono riuscito a vedere dentro ma, come ho iniziato a sparare, hanno tirato su veloce la mia vacca, tanto che quella si è lamentata come se sentisse male – o forse si è solo spaventata, chi lo sa –, e sono filati via come la cacarella. Secondo me sono tutta fuffa, quei musi piatti. Sono bravi a fare festini e basta, ma non sono più coraggiosi o rognosi di te e me», disse Butch. Fece una pausa e chiese: «Grigi di che, poi?»

Il ragazzo rispose con un'alzata di spalle. «Quelli che me ne hanno parlato li chiamavano così.»

«Vai a capire. Qui ognuno chiama le cose in dieci modi diversi. Anche questo posto. C'è chi lo chiama Regione Verde, chi Foresta Alta, chi Dimora dei Druidi... comunque penso che musi piatti resta più adatto. Musi piatti ladri di bestiame.»

«Le uova erano davvero buone.»

«Vero? Prendine qualcuna. Mo' te le preparo, che sennò stai a fare cerimonie.»

Butch si alzò e recuperò un altro straccio. Ci mise dentro sei uova e ne fece un fagotto, quindi lo porse al ragazzo.

«Ficcale in quella tua sacca, che sennò le confondi con quelle della vecchia signora.»

Il ragazzo eseguì. Lui e Butch fecero quattro chiacchiere e il ragazzo decise che era tempo, per lui, di levare le tende.

«Torna a trovarmi, prima di andartene», gli disse Butch.

«Lo farò», rispose il ragazzo, ed era sincero.

Butch gli piaceva. Gli ricordava un vecchio amico che aveva lasciato indietro.

«Conosci mica un certo Judas?» chiese il ragazzo mentre pigliava le uova destinate alla vecchia signora. «Abitava da queste parti.»

«Judas Conway?»

«Conosco solo il nome.»

«Alto più o meno come me, secco come una scopa e con la parlata strascicata?»

«È lui.»

«Come diavolo lo conosci?»

«L'ho incontrato a Fresno. Mi ha detto che una volta abitava qui.»

«Questa baracca è sua. Me l'ha venduta e se n'è andato, ma non mi ha detto dove. Forse non lo sapeva neanche lui. E tu che ci facevi a Fresno?»

«È una lunga storia.»

«Magari me la racconti al ritorno», fece Butch.

Posò una mano sulla spalla del ragazzo e lo accompagnò di fuori. Mentre si avviavano verso l'ingresso del recinto, Butch fece: «Dagli un saluto da parte mia quando torni a Fresno, e fagli sapere che la sua baracca è ancora in piedi. Te lo dico nel caso decidi di non passare di qui, al ritorno.»

Il ragazzo non sapeva se avrebbe fatto nuovamente tappa a Fresno, ma disse comunque a Butch che avrebbe portato i suoi saluti a Judas. Poi Butch gli indicò la strada per giungere alla casa rosada e si salutarono.

Inoltrandosi nella Foresta Alta, il ragazzo assaporò la quiete di Madre Natura. Alzò gli occhi e vide due scoiattoli rincorrersi lungo un ramo basso, per poi sparire in un buco nel tronco. Le cime degli alberi erano distanti, impossibili da scorgere, e a guardare in su ti veniva un po' di capogiro.

Mentre se la prendeva comoda, scorse una macchia di salici. Non avevano le dimensioni degli altri alberi, e sembravano tanti tizi magri con una folta capigliatura. La cosa che lo incuriosì, e lo spinse a virare dall'itinerario, fu il modo in cui curvavano, come vecchi sorpresi dai reumatismi.

Lì dove Madre Natura si inchina, pensò, e armeggiò con le briglie.

Il cavallo cambiò direzione e si diresse verso la macchia di salici. Mentre si avvicinavano, al ragazzo tornò in mente una storia che aveva sentito ai tempi di Bonedigger, quando lui e il vecchio leone fecero tappa in una città. Mentre si dirigevano verso l'hotel, avevano sorpreso un gruppo di marmocchi seduti a pochi passi da un portico, e sotto il portico c'era una vecchia signora seduta sul dondolo. Oscillava pigra con le mani in grembo e l'espressione dei marmocchi era attenta e solenne. Lui e 'digger si erano fermati a osservare, e la vecchia signora aveva iniziato a raccontare una storia che aveva come protagonista un salice piangente. Il salice cresceva forte e rigoglioso ai margini di un sentiero, senza recare disturbo ad anima viva. Il suo legno faceva gola ai boscaioli di una città vicina, che un bel di' decisero di abbatterlo. Per scampare alla morte il salice si ingobbì, piegando i rami e il tronco maestoso. Così, quando i boscaioli si recarono ai margini del sentiero e videro com'era diventato, si convinsero che si fosse ammalato, e andarono via sconfortati e senza recargli danno.

Era una bella storia, e il ragazzo l'aveva ascoltata con lo stesso trasporto dei marmocchi.

Ora, mentre andava incontro alla macchia di salici e la fiaba della vecchia signora gli risuonava in testa, si crogiolò per qualche momento nel ricordo. E quando si inoltrò in quella che sembrava una foresta nella foresta, percepì tutta la magia di quei luoghi incontaminati. Gli sbocciò dentro come un fiore caldo. Anche il cavallo doveva aver percepito qualcosa di simile, perché muoveva le orecchie in continuazione. Il ragazzo si chinò a parlargli e lo carezzò per tranquillizzarlo, e la bestia rispose soffiando dalle nari. I salici sembravano inchinarsi al loro passaggio. Le folte capigliature, verdi e rigogliose, quasi toccavano terra.

Più avanti trovarono un sentiero che si inerpicava per quello che pareva il fianco di una collina. Il ragazzo considerò che la salita non fosse l'ideale per il cavallo, e decise di legarlo al ramo basso di un albero per proseguire a piedi. Gli carezzò il muso prima di andare, prese la sacca e lasciò la coperta arrotolata e sistemata dietro la sella.

Il sentiero era in terra battuta, fiancheggiato ai lati da erba e salici. Il ragazzo si chiese chi l'avesse tracciato e come avesse fatto a impedire all'erba di crescere. Percorse la lingua di terra battuta finché non arrivò in cima a quella che era proprio una collina, e lì si fermò un attimo, perché udiva qualcosa. Si rese conto che era il suono di acque impetuose che scrosciavano. Erano molto distanti da lì, però.

Cascate, pensò.

Chissà dov'erano. Gli sarebbe piaciuto dare un'occhiata. Butch gli aveva detto che c'era un posto, nei pressi della casa rosada, con cascate e pozze d'acqua. Questo voleva dire che era vicino a dove abitava la vecchia signora. Be', forse non proprio così vicino, visto che il ruggito delle cascate pareva provenire da un altro universo per quanto era debole. Però era sulla scia.

Continuò a seguire il sentiero, che lo portò sino a un enorme salice. Era più grosso della più grossa quercia che il ragazzo avesse mai visto, e aveva una folta capigliatura che toccava terra. Sembrava un gigante verde che si chinasse a esaminarlo. Si sentì piccolo e indifeso. Il salice pareva una sentinella a guardia di un castello. La sua folta capigliatura era come un muro verde. Il ragazzo non riusciva a vedere cosa ci fosse dietro, ma sapeva di doverci passare in mezzo, perché il sentiero continuava in quella direzione. Si fece coraggio e si avvicinò al grande salice. Scostò adagio il fogliame ed entrò all'interno di quella corona verde.

Per un attimo riuscì solo a starsene impalato. Il tronco del salice, piegato verso di lui, era spesso come il braccio di un gigante. I lunghi rami si dipanavano in tutte le direzioni e il fogliame ricadeva come un sipario tutt'intorno. Era una roba da perderci la testa. La luce all'interno della fortezza verde era debole, e il passaggio da un ambiente ben illuminato a uno in penombra provocò un capogiro al ragazzo. Chiuse gli occhi e aspettò che passasse. Quando li riaprì, si accorse che un circolo di pietre circondava ora il tronco maestoso.

«Ma che...»

Era certo che non ci fossero fino a un attimo prima.

Il deml, si disse.

I monoliti non erano paragonabili al salice per dimensioni, ma neanche erano tozzi come nani. Il ragazzo si avvicinò a piccoli passi e li ispezionò. La superficie di ogni monolite era ricoperta da un leggero strato di muschio. Entrò nel cerchio di pietre e percepì distintamente una vibrazione, come una piccola scossa lungo la schiena. Su una delle pietre era inciso un simbolo:

Era scolpito come le leggi che il Buon Padre lasciò agli uomini e qualcuno aveva riempito l'incisione con una sostanza nera che s'era ormai seccata. Il simbolo risaltava sulla superficie pallida del monolite.

E ora?

Ebbe appena il tempo di chiederselo che il simbolo si incendiò. Fu strano e intrigante allo stesso tempo. Piccole lingue di fuoco esplosero, si agitarono e si esaurirono, lasciando il simbolo ad ardere come ceneri ancora roventi. Poi una voce parlò.

«Lode a te, piccolo ramingo.»

Era profonda e calda: la voce di un vecchio. Il ragazzo si guardò intorno, convinto di trovare qualcuno lì con lui, magari un Druido con tonaca e bastone al seguito, ma non c'era anima viva.

«Sei nel regno della magia, dove tutto ha avuto origine.»

Il ragazzo si accorse che era il simbolo a parlare. Quando la voce si faceva sentire, l'incisione avvampava come fosse un carbone ardente e qualcuno ci soffiasse sopra.

«Il deml non resterà qui a lungo. Dunque chiedi, se hai di che chiedere, o va' per la tua strada.»

Il ragazzo fece per aprire bocca e si rese conto di non riuscire ad articolare. Aveva in mente l'immagine dello spilungone nero che inceneriva il lumacone, ma non sapeva come trasformare le immagini in parole.

Voglio fare quello che fa lui, pensò, e il simbolo avvampò.

«Quello che vuoi potrebbe non essere quello di cui hai bisogno.»

Stavolta udì la voce nella testa, ma era diversa da quella che aveva parlato in precedenza.

«Ogni dono pretende un prezzo», disse una terza voce, profonda e vigorosa.

Gli pareva di avere un comizio in testa.

Il simbolo sul monolite avvampò e la voce che l'aveva accolto parlò di nuovo.

«Posa la tua mano sull'awen, e il potere che tanto desideri confluirà in te.»

Il ragazzo fece per allungare la mano e si fermò.

«Il tempo corre su ali sottili», fece la voce, tradendo una certa urgenza.

Il ragazzo fiondò la mano sull'awen. Il dolore fu immediato. Urlò e ritrasse la mano. Tenendosi il polso e cercando di impedire alla mano di tremare come un cucciolo intirizzito, si guardò il palmo. Il simbolo era impresso nelle carni come il marchio di un ranchero sul culo di una vacca. Il ragazzo serrò i denti e lasciò che le lacrime gli bagnassero le guance. Faceva un male di inferno. La testa prese a girargli.

Quando il momento passò, si accorse che intorno a lui stava accadendo qualcosa. Accanto ai monoliti si formavano piccole sacche di foschia, che presero via via la forma di sagome incappucciate. Quando divennero solide, il ragazzo vide che indossavano un saio. Era chiuso in vita da un cordone che sembrava fatto di edera e ogni sagoma impugnava un bastone di viticci intrecciati. I tizi incappucciati erano alti quasi quanto i monoliti e incombevano sul ragazzo con la stessa possanza.

I Druidi, pensò, e per un momento il dolore passò in secondo piano.

Quando le figure fumose presero corpo, riuscì a distinguere il colore delle tonache: erano di un verde molto chiaro. I cappucci erano calati sui visi, ma non tanto da impedire al ragazzo di scorgere i volti: opachi e tristi. E fissavano lui.

Il Druido a guardia del monolite con l'awen fece un passo avanti e il ragazzo arretrò d'istinto, inciampando nei propri piedi e finendo col culo per terra.

«Ora l'antica magia scorre in te e tu in essa», disse la voce in tono solenne.

Solo che stavolta non proveniva dal simbolo sul monolite, che aveva smesso di ardere. A parlare era il Druido che gli stava dinanzi. E questo significava che il suo spirito abitava quella grossa pietra.

«Ora sei mio!» ruggì trionfante.

La vista del ragazzo si sdoppiò per un momento. Avvertì un tremendo capogiro e per non svenire serrò le palpebre con forza. Quando la vertigine passò, le sollevò e non si stupì di vedere che i monoliti e i loro custodi erano spariti. Si guardò la mano e vide che la bruciatura sul palmo era diventata una cicatrice. Toccarla non gli procurò alcun dolore.

Si alzò e la prima cosa di cui si accorse fu che non si sentiva diverso. Quando fantasticava su come ci si sentisse ad avere un grande potere che ti scorreva in corpo, immaginava una sorta di euforia che ti prendeva a ondate e non ti lasciava più. Ma evidentemente si era sbagliato. Non percepiva nulla.

Forse serve del tempo, si disse mentre raggiungeva il sipario verde e ci passava attraverso.

Uscì sul sentiero e ridiscese la collina. Ogni tanto si guardava il palmo, sul quale campeggiava l'awen. Era come un tatuaggio. Tornò dal cavallo e si fermò per un attimo a carezzarlo. La bestia soffiò dalle nari e si mosse irrequieta.

La sente? si chiese il ragazzo. Sente la magia che ho in corpo?

Disfece il nodo alle briglie e montò in sella. Schioccò la lingua sotto il palato e il cavallo si mise in moto. Uscirono dalla macchia di salici e il ragazzo seguì l'itinerario per la casa rosada. Continuando a cavalcare, e sentendo crescere la voce delle cascate, arrivò in vista della piccola abitazione che, a dire il vero, non era come se l'era figurata. Dal nome avrebbe scommesso che fosse tutta rosa, invece di rosa aveva solo il comignolo. Dal portico pendevano certi affari simili agli accalappiasogni, ma con intrecci diversi l'uno dall'altro e piume al seguito.

Il ragazzo tirò le briglie e, quando il cavallo si fermò agitando la coda, la porta della casa rosada si aprì e venne fuori la vecchia signora. Anche di lei si era fatto un'idea diversa. La padrona di casa aveva una lunga cascata di capelli grigi e un vestito bianco, ma non sembrava affatto vecchia. Si era immaginato una piccola e ingobbita signora, simile nell'aspetto a Maureen, e invece si ritrovava davanti una bella donna. Aveva il viso liscio come il culo di un pupo. Il contrasto tra quel viso e il grigio dei capelli lo disturbava un po', ma bastò un sorriso della donna per dissipare il fastidio.

«Tu devi essere il ragazzo che Butch ha mandato», disse la donna.

«Sì, sign...» fece il ragazzo, e si bloccò.

La donna ridacchiò. «Scusa, non sono riuscita a resistere. Non è che adesso mi svieni?»

«No... no, signora», disse il ragazzo.

In realtà si sentiva un po' stordito.

«Benvenuto alla casa rosada. Perché non entri un momento? Ho messo a fare del tè.»

Il ragazzo smontò e, tenendo le briglie, si guardò intorno. Non vedendo alcun arbusto a grandezza d'uomo né alcun legno dove legare le briglie, rivolse uno sguardo alla donna.

«Lascialo a esplorare un po' in giro», fece lei. «Non c'è pericolo che scappi o si perda.» Poi si rivolse direttamente al cavallo: «Vero che non scappi via?»

Il cavallo sbuffò e annuì persino. Il ragazzo sbarrò gli occhi.

«Coraggio, che non mordo», disse la donna.

Il ragazzo mollò le briglie, fece due passi verso il portico e si voltò, aspettandosi quasi che il cavallo schizzasse via. La bestia, invece, non si mosse. Guardava la vecchia signora come fosse in adorazione.

Chi è questa tizia? si chiese il ragazzo.

Salì i gradini che portavano al portico, passò sotto gli amuleti dando loro un'occhiata e si trovò al cospetto della vecchia signora. Da vicino era anche più bella. Era magra e, sebbene il vestito non aderisse alle sue forme, il ragazzo intuì le generose fisionomie dei seni. La cosa lo fece arrossire. Si tossì nel pugno con fare distratto, distogliendo lo sguardo. La vecchia signora sorrise divertita e varcò la soglia. Il ragazzo la seguì e, nell'entrare con lei, si accorse dei simboli sugli stipiti.

«A che servono?» chiese.

Senza girarsi, la vecchia signora rispose: «Sono benedizioni. Servono a proteggere la casa.»

Proteggere da chi? avrebbe voluto chiedere il ragazzo, ma non lo fece.

Si limitò a occhieggiare l'arredamento. C'erano una poltrona e un divano rosa, un tavolo di legno scuro con tre seggiole che dominavano il centro della stanza e, in fondo, l'ingresso di quella che era una cucina. Ed era proprio lì che la vecchia signora stava dirigendosi.

«Mettiti comodo, il tè è quasi pronto», disse al ragazzo.

Lui spostò una sedia, posò la sacca sul tavolo e si accomodò. Ne approfittò per prendere le uova che Butch gli aveva dato e posarle accanto alla sacca. Quando la vecchia signora tornò, con in mano un vassoio e due tazze fumanti, le disse: «Queste gliele manda Butch.»

Sciolse il nodo e le mostrò le uova.

«Lo so», disse lei. «In realtà ho anch'io qualcosa per lui. Dopo te lo do, così glielo porti. Ovviamente ti pagherò il disturbo.»

«Non c'è bisogno. Nessun disturbo.»

Lei sorrise, posò il vassoio sul tavolo e gli porse una tazza. L'odore non era male.

«Ho anche dei biscotti alla cannella, ma secondo me non ne vai pazzo, o sbaglio?»

«Non sbaglia.»

«Lo immaginavo. Però lo zucchero ti piace.»

Prese dal vassoio una piccola ciotola di vetro che conteneva qualche zolletta di zucchero e la posò sotto il naso del ragazzo.

«Serviti pure.»

Il ragazzo pigliò due zollette e le lasciò cadere nel tè. «Ha un buon odore.»

«Quella che senti è menta piperita. Nel mio ho messo una punta di cannella. Volevo aggiungerci anche del vischio rosso, ma non ero sicura che ti piacesse.» Un solco comparve tra gli occhi del ragazzo. «Si mangia, non lo sapevi?»

«No, signora.»

«Che ne diresti di lasciar cadere quel "signora"? Mi fa sentire vecchia. Oddio, non che io sia esattamente un bocciolo di rosa, ma non sono neanche così vicina all'età di certe... colleghe, per così dire. Per cui lascia perdere tutti i vari "signora" e "madame" e qualunque altra cosa stramba ti venga in mente. Credi di poterci riuscire?»

«Ci posso provare.»

«Bravo ragazzo. Ora assaggia quella bontà, che si raffredda.»

Il ragazzo si portò alle labbra la tazza e bevve.

«Qual è il responso?» chiese la vecchia signora.

«È buono. Davvero buono», rispose il ragazzo.

Era sorpreso.

«Perché quella faccia? Credevi che fosse una ciofeca, di' la verità. Si vede dall'espressione che hai fatto.»

Il ragazzo si grattò la zazzera bionda, imbarazzato come non mai. Quella donna aveva un modo di fare che lo metteva in difficoltà.

«Rilassati, ti sfotto un po'», fece lei. «Cosa ti porta qui, nelle verdi terre dell'est?»

«Volevo dare un'occhiata in giro», disse il ragazzo.

La vecchia signora prese un sorso di tè senza staccargli gli occhi di dosso. La cosa fece innervosire il ragazzo. In realtà era da quando l'aveva vista apparire sulla soglia che si sentiva nervoso. C'era qualcosa in quella donna, qualcosa di... mistico, che non riusciva a spiegarsi.

«Sai chi sono io? Butch ti ha parlato di me?» chiese la vecchia signora.

«Mi ha detto che la chiamano vecchia signora», fece il ragazzo. «Altro non so.»

«Mi chiamo Iyundiasa e sono figlia di uno sciamano e di una malibaa

«Una strega dell'est?»

«Non credo che a mia madre piacerebbe sentirsi chiamare strega ma, stringi stringi, il senso è quello. I miei genitori non sono i miei veri genitori. Mi hanno trovata che ero ancora in fasce e mi hanno allevata come se fossi figlia loro. E devo dire, senza falsa modestia, che hanno fatto un ottimo lavoro.»

Sorrise ancora e il ragazzo si sentì avvampare. Neanche alla presenza di Shelley McCoy prendeva fuoco così.

«Abitavo qui con i miei fratelli. Qualcuno ha fatto una brutta fine e qualcun altro è andato a vivere dall'altra parte.»

Al ragazzo non sfuggì quell'ultima espressione: dall'altra parte.

«Io ho deciso di restare perché questo posto mi parla, e a me piace starlo a sentire. E poi sento che siamo legati e che mi ha scelta per proteggerlo. E sento anche stai per chiedermi qualcosa.» Il ragazzo ebbe un sussulto. «Coraggio, sputa.»

«Perché mi racconta queste cose?» chiese il ragazzo.

«Perché è un mucchio di tempo che non faccio quattro chiacchiere con un forestiero. E anche perché voglio essere sincera con te, così forse anche tu lo sarai con me. Sappiamo entrambi che non sei venuto qui solo per farti un giro nella foresta, ma che io sia dannata se riesco a vedere più in là di così. O mi si è inceppata di colpo la seconda vista, o hai trovato un modo per isolare i tuoi pensieri e impedirmi di leggerli.»

Il ragazzo non rispose. Non sapeva che dire. Serrò istintivamente la mano destra, quella dove campeggiava l'awen, in un pugno lasco.

«Non sei obbligato a dirmi la verità, ma sappi che non mi piacciono i bugiardi», disse la vecchia signora. «Le bugie rendono tutto più complicato.»

Si rilassò sullo schienale della seggiola, a sorseggiare il suo tè e a guardare il suo giovane ospite. Il ragazzo pensò a un'altra balla, ma si rese conto di non saperne confezionare una credibile. Tanto più che, a quanto pareva, lei poteva leggergli la mente, anche se solo fino a un certo punto. Gli crollarono le spalle e mollò un sospiro.

«Sono venuto a cercare il deml», disse.

«E l'hai trovato?»

Il ragazzo annuì. Con un gesto talmente repentino da spaventarlo, la donna mollò la tazza sul tavolo facendola rovesciare, piantò le mani sul legno e si sporse verso di lui con gli occhi strabuzzati.

«Non l'avrai mica toccato?» quasi urlò.

Il ragazzo fece "no" con la testa. Era talmente scioccato da quella reazione che la bugia risultò credibile. La vecchia signora si rilassò e tornò a sedere.

«Perdonami, non volevo reagire così. Guarda che pasticcio, ho rovesciato tutto il tè.»

«Può... prendere il mio», disse lui.

Lei scosse la testa e gli mostrò il palmo. Si alzò, andò in cucina e tornò con un panno. Lo usò per ripulire, poi sedette.

«Presumo che ti abbiano istruito e che tu conosca la storia della magia», disse al ragazzo, che annuì. «E saprai che la magia più potente, quella in grado di spezzare persino le leggi naturali e rimescolarle a proprio piacimento, era nelle mani dei Druidi.»

Il ragazzo annuì ancora e il riferimento ai Druidi gli fece tornare in mente quei cristoni con il saio, la cintura fatta di edera e i bastoni nodosi. La vecchia signora forse percepì qualcosa, perché la sua fronte si accartocciò come una pergamena spiegazzata.

«A che stai pensando?» gli chiese.

«Alla magia», mentì il ragazzo. «Alle lezioni che mi dava il mio maestro.»

La vecchia signora non parve convinta, ma lasciò cadere la cosa.

«I Druidi sparsero molta magia in giro per la Foresta Alta, che allora non era tanto alta, ma lo diventò in seguito. Ora, la magia non è né buona né cattiva in sé per sé. Diventa l'una o l'altra in base all'uso che uno ne fa. E la natura umana gioca in questo un ruolo fondamentale. I Druidi non erano tutti degli stinchi di santo, anche se qualcuno crede il contrario. Uno di loro si fece corrompere dal potere e dall'avidità, e gli altri sei presero provvedimenti. Con un antico incantesimo, molto potente e molto pericoloso, crearono il deml e vi imprigionarono il dissidente. Ed è ancora lì, prigioniero del sigillo creato dagli altri sei.»

La vecchia signora prese la tazza che aveva rovesciato.

«Credo che andrò per il secondo giro», disse. «Torno subito.»

Andò in cucina e, mentre si riempiva la tazza, il ragazzo sbirciò il simbolo sul palmo. Ormai era chiaro che quello fosse il sigillo nel quale gli altri sei avevano intrappolato il dissidente.

La vecchia signora tornò, sedette e riprese a parlare.

«Non so cosa sia successo dopo», disse. «Conosco pochi dettagli, che forse sono veri, e molte storie che sono sicuramente inventate di sana pianta. Una verità è che il deml si sposta, perché i Druidi che imprigionarono il dissidente non vogliono che qualcuno lo trovi.» Prese un sorso di tè. «Le favole che ho sentito, e che non so se sono vere, riguardano i Druidi e il fatto che siano ancora a guardia del deml

Non è una favola, pensò il ragazzo mentre gli si formava in testa l'immagine dei Druidi che apparivano accanto ai monoliti.

La fronte della vecchia signora si accartocciò e il ragazzo scacciò subito l'immagine. Pensò a Fresno, alla feria, a Judas e ai McCoy, e la fronte della donna si spianò.

Non ci riesce. Per qualche motivo non riesce a vedere quello che è successo quando ho trovato il deml.

«Si racconta che stiano tutti lì, gli altri sei, e che il loro compito sia di impedire a chiunque trovi il deml di liberare il dissidente. La sua anima è ancora lì e non ha perso nulla dell'antico potere. E l'anima può reincarnarsi. Quella dei Druidi, almeno. Le nostre... chi può dirlo. Forse accade. Se un giorno qualcuno venisse a bussare alla mia porta, mi dicesse di essere mio fratello defunto e mi raccontasse tutto di me, allora ci crederò.»

«E se qualcuno riesce a liberare l'anima del dissidente? Che succede?»

«Te l'ho detto, l'anima dei Druidi può reincarnarsi. Il dissidente si prenderebbe il corpo di chi l'ha liberato.»

Il ragazzo cercò di mantenere una faccia da poker, ma era difficile. E siccome la fronte della vecchia signora ricominciava ad accartocciarsi, si alzò e disse: «Devo andare alla latrina.»

Prima di girare i tacchi, recuperò la sacca.

«Non ti fidi?» chiese la donna.

«Ho imparato a non farlo», disse il ragazzo, e uscì.

L'occhio gli cadde per un momento sui simboli che ornavano gli stipiti. La donna gli aveva detto che erano benedizioni contro spiriti negativi. E da quello che aveva capito, il dissidente non era uno stinco di santo. Se l'aveva liberato e ora l'anima di quello spilungone era dentro di lui, perché le benedizioni non l'avevano fermato?

Forse perché non ho liberato nessuno, si disse.

O magari le benedizioni della vecchia signora non funzionavano. Forse la magia dei Druidi era così potente da eludere le benedizioni di qualunque sciamano.

Mentre andava alla ricerca della latrina, vide il cavallo che brucava. Senza pensarci lo raggiunse, montò e si allontanò al trotto. Ripensò ai Druidi che apparivano e a quello che gli aveva detto la vecchia signora, che erano a guardia del deml e del sigillo. Non erano granché come guardiani, visto che non avevano fatto praticamente nulla a parte mostrarsi. E poi c'era la questione della reincarnazione. Se il dissidente si era davvero preso il suo corpo, non avrebbe dovuto accorgersene? Che so, sentirsi strano o comunque diverso? Invece era sempre lo stesso. Si guardò la cicatrice sul palmo destro e si chiese se non avesse fatto una stronzata. La voglia di vendicare Bonedigger e le promesse dell'uomo nero...

Tirò le briglie del cavallo e lo costrinse a fermarsi. L'animale non la prese bene e sbuffò. Le immagini del dissidente e dell'uomo nero del suo sogno si sovrapposero.

Mi ha imbrogliato, si disse.

«Già, bamboccio, ti ho fregato», disse una voce. «Ed è stato più facile che soffiare il sonaglino a un lattante.»

Il ragazzo si guardò intorno, girandosi da una parte all'altra così velocemente che le vertebre del collo protestarono.

«Dove cerchi? Sono dentro di te, non puoi vedermi. Però puoi sentirmi e io posso sentire te, e devo dirti che avevi ragione: le benedizioni della babbiona non hanno funzionato perché la mia magia è più potente della sua. Ed è la stessa ragione per cui non poteva leggerti in testa quello che è successo quando hai trovato il deml. I miei abracadabra gliel'hanno impedito. Non potevo tagliarla fuori del tutto, altrimenti avrebbe mangiato la foglia, così le ho nascosto solo le parti essenziali.»

Il ragazzo tremava mentre la voce gli rimbombava in testa. Il cavallo sbuffò nervoso, poi prese ad agitarsi e a spostarsi di lato, come se il suo equilibrio fosse diventato di colpo precario.

«Calma il castrone, non voglio rischiare che tu cada da cavallo e ti rompa la schiena come Christopher Reeve.» Il ragazzo non si mosse. Era in balia degli eventi. «Se non lo fai tu, lo fermo io. Però poi saremo costretti ad andare a piedi, perché gli strappo il cuore e me lo mangio.»

Il ragazzo tirò le briglie e con voce tremante rabbonì il cavallo. La bestia non sembrava molto convinta, ma accettò di buon grado le lusinghe del suo cavaliere.

«Adesso parti e tienilo dritto. E non farti venire in mente strane idee, tipo tornare indietro e raccontare tutto alla babbiona. Posso farti molto male, se voglio.»

Il ragazzo sentì una fitta al fianco destro e si piegò soffocando un'imprecazione. Il dolore passò subito, ma in quel breve istante sentì come se gli avesse piantato un ferro rovente nelle carni. Si rimise dritto e la voce parlò.

«Solo per darti prova che non sparo cazzate. E a proposito di cazzate: bella prova con la babbiona. Non pensavo che avresti tenuto la bocca chiusa. Ero già pronto a chiudertela io, ma non ce n'è stato bisogno. Si vede che avevi una gran voglia di metterglielo al culo, a quel lumacone. Adesso muovi le chiappe. Abbiamo molta strada da fare.»

Il ragazzo spronò il cavallo. Mentre andava, la voce continuò a parlare.

«Avrai la tua vendetta, almeno questo te lo devo. Dopotutto mi hai liberato. E comunque sarà un buon modo di fare pratica coi tuoi nuovi poteri. Al momento non siamo ancora... sintonizzati, e quindi non puoi fare nessuna delle cose che mi hai visto fare in sogno, ma presto ci riuscirai. È questione di tempo. Presto le nostre anime si fonderanno. Questa lunga cavalcata che ci aspetta servirà allo scopo.»

Il ragazzo cominciò a piangere.

«E su, non mi pare il caso. Dovresti essermi grato. Sto per fare di te il più grande figlio di puttana delle Quattro Terre. Quando le nostre anime si fonderanno, ti basterà uno starnuto per far fuori il più grosso e cazzuto figlio di puttana che ti si pianta tra i coglioni.»

La cosa non migliorò l'umore del ragazzo. Le lacrime continuarono a rigargli le guance per un pezzo e i singhiozzi a scuotergli il petto.

Percorsero la strada a ritroso, con la voce che continuava a blaterare. Non passarono nei pressi della fattoria di Butch. Il ragazzo preferì evitare problemi. Il dissidente gli aveva detto che poteva prendere pieno possesso del suo corpo, anche se per poco, fargli fare alcune cose e impedirgli di farne altre. Se avesse voluto piangere o dire qualcosa sul deml, il dissidente l'avrebbe fermato.

Da adesso in poi sei solo, pensò il ragazzo e il dissidente gli diede ragione.

Lasciarono la Regione Verde, fecero un bel po' di strada e si fermarono per mangiare all'ombra di una formazione rocciosa. Il ragazzo non aveva granché appetito, ma il dissidente lo costrinse a mangiare con la minaccia di pungolarlo. Aveva ancora le provviste di Fresno e consumò il pane di mais, assaporandolo con la stessa voglia di uno che assaggi uno stronzo di vacca.

Si rimisero in viaggio e continuarono fino a che il Sole non sprofondò dietro la linea dell'orizzonte. Allora il ragazzo scelse una gola in cui passare la notte. Accese un fuoco, apparecchiò un giaciglio e si distese, sicuro che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Invece dormì. E sognò. I Druidi lo chiamavano, gli dicevano di tornare al deml, che lo avrebbero aiutato a liberarsi del dissidente. Poi arrivava lui, Haul il sobillatore, col saio e il cappuccio neri come l'ala di un corvo. Si liberava degli indumenti con una mossa fluida e, all'ombra del grosso salice, fulminava gli altri sei giganti imbacuccati, che andavano giù come alberi abbattuti da un taglialegna.

Si girava quindi verso il ragazzo, si chinava, così che la sua faccia riempisse il campo visivo dell'altro, e gli parlava.

«Loro non possono aiutarti. Nessuno può. Ci sono cose che, una volta fatte, non si possono disfare. E questa è una di quelle cose. Sai come si dice: cosa fatta capo ha. Cosa fatta...»

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