* * *

... notte fulgida. Potevi distinguere le costellazioni e contare i diamanti che le componevano. L'aria era calda, ma presto sarebbe divenuta fresca. Allora avrebbero messo su il falò. Lì a Fresno funzionava che nella sterpaglia da ardere ci si metteva qualcosa che ti era venuto a noia. Qualcuno scherzò sul fatto che avrebbe menato nel fuoco la moglie o la suocera. Più verosimilmente nel fuoco ci finivano scarpe vecchie, mobilio sfasciato, cose così. Era un modo per salutare il vecchio e aprirsi al nuovo. Una tradizione che al ragazzo garbava. Lui aveva già una mezza idea di offrire al fuoco gli stracci lisi con i quali era arrivato lì. A ogni modo c'era tempo per pensarci. Ora era impegnato a vestirsi. Aveva barattato gli abiti che Tarlton gli aveva comprato con roba più consoni alla sua persona.

Indossò la camicia bianca e se la infilò nei jeans color cielo slavato. Si diede una rapida occhiata e vide che gli stavano a pennello. Ernie Beaumont, proprietario della bottega dove li aveva comprati, aveva fatto di certo un affare. Gli abiti di Tarlton valevano di più e nel baratto ci aveva guadagnato, ma al ragazzo importava poco. A lui piaceva quella mise da vaquero. E gli stivali di cuoio scuro erano di certo più comodi delle scarpe lucide che Tarlton aveva scelto. Si diede una pettinata usando il pettine di tortuga che aveva rinvenuto in un cassetto e là!, era pronto per la festa. Scese dabbasso e incrociò la signora Dawson. Le parve colpita. Per un attimo sgranò persino gli occhi, salvo poi assumere l'espressione inacidita che meglio le si addiceva.

«Signora Dawson...» salutò lui.

Lei rispose con un lieve cenno del capo e senza staccargli gli occhi di dosso. Lo scorse da capo a piedi e il ragazzo si affrettò ad allontanare da sé quegli occhi indagatori. Si chiuse la porta della pensione alle spalle e si sentì subito meglio. Pestò la strada polverosa e subito l'atmosfera festosa lo inebriò. Le lanterne di carta diffondevano una luce rinfrancante, soporifera e magica. Ce n'erano di rosse, lì sulla Via Maestra, ma sapeva che nelle viuzze laterali avrebbero cambiato colore. Il vischio rosso abbondava. Le passerelle e le verande ospitavano statue sapientemente intagliate. Joseph Madden era un'artista, nessun dubbio in proposito.

Il ragazzo si avviò, salutando a destra e a manca facce note e meno note. La gente sciamava per le strade. I negozi erano ancora aperti e lo sarebbero rimasti fino all'annuncio del falò. Allora tutti avrebbero chiuso bottega per recarsi nell'ampia fascia di terra a metà strada tra la città e il cimitero. Lì avrebbero allestito il fuoco e fatto festa grande, con musica e danze sfrenate.

«Moose!»

Il ragazzo si voltò e vide Talissa corrergli incontro. Aveva i capelli radunati in una treccia lunga, che svolazzava e le rimbalzava sulla schiena mentre correva. Anche lei lo guardò, ma non nel modo in cui aveva usato la vedova Dawson.

«Begli stracci», fece Talissa. «Meglio di quelli che ti ha preso Doc.»

«Fare peggio era quasi impossibile», disse lui. «Anche tu sei bella in tiro.»

Lei fece un passo indietro, un inchino a gambe incrociate e finse di tirarsi su gli invisibili orli di una sottana che non indossava, dato che calzava un paio di jeans, di un tono più scuro rispetto a quelli di lui. Ci aveva abbinato un paio di stivali e una camicia a quadri rossi e neri.

«E quello che sarebbe?» fece il ragazzo.

«Il mio inchino da damigella di corte», fece lei.

«Da che?»

Talissa agitò una mano: lascia perdere. Lo prese sottobraccio, cogliendolo di sorpresa, e prese a camminare con lui.

«Allora, qual è la prima tappa?» gli chiese e, prima che lui rispondesse, disse: «Andiamo verso la sentinella. Voglio vedere come hanno impacchettato.»

«Impacchettato?» fece il ragazzo, cercando di ignorare gli sguardi della gente.

Per un attimo pensò di districarsi dall'abbraccio di Talissa, ma lei lo precedette (forse aveva intuito il suo disagio o anche a lei dava fastidio che li squadrassero con morboso interesse) e lui si rilassò. Giunsero in vista della sentinella. Il bagliore delle lanterne di carta creava un gioco di ombre. Le luci dell'hotel smorzavano l'atmosfera, ma giusto un poco. Quando Penna Bianca avesse chiuso i battenti, sarebbe stata un'altra storia.

L'opera d'arte di Joseph Madden, che affiancava la carrozza, sembrava un buttafuori alto e magro a guardia dell'hotel.

«Wow...» fece Talissa. «È pazzesca.»

«Non è male», disse il ragazzo.

«Mastro Madden ha fatto un lavoro incredibile. Pensavo che sapesse solo fare porte e finestre, ma si vede che mi sbagliavo e pure alla grande.»

Il ragazzo si voltò a guardarla. Nel gioco di luci e ombre che si riflettevano sul viso di Talissa vide una ragazzina che navigava in un mondo fiabesco. La cosa lo divertì.

«Fa quasi paura», disse Talissa e il ragazzo pensò che avesse aggiunto quel quasi solo per non fare la figura della fifona. «Secondo te sono fatte così?»

«Che cosa?»

«Le sentinelle. Non dico l'altezza, perché so che sono alte quanto una montagna, ma il resto secondo te si avvicina?»

Il ragazzo scosse le spalle anche se lei non poteva vederlo, perché ipnotizzata dalla scultura di Madden.

«Secondo me è andato a immaginazione», fece il ragazzo.

«A me hanno detto che l'ha sognata.»

«Sul serio?»

«A-ha. Lucy Packard ha detto a Mary Jo, che poi l'ha detto a Jodie Carson, che l'ha detto a me, che Mastro Madden le ha detto di aver sognato uno di quei giganti che stanno a Ovest, e che dopo il sogno si è messo a lavorare perché non riusciva a toglierselo dalla testa e ha pensato che l'unico modo era di scolpirlo nel legno.»

Si voltò verso il ragazzo che la guardava affascinato. Talissa era alla deriva, gli occhi verdi persi nel sogno di Madden e vittima delle suggestioni che evocava. In quel momento le sembrò bellissima.

«Tu ci credi?»

Il ragazzo mandò giù un groppo che gli era formato in gola. «Non so», ammise.

Lei tornò a guardare la sentinella. «Nemmeno io. Però è una bella storia.»

«Vero.»

Lei sospirò come se avesse bisogno di liberarsi di un peso e piano piano si riebbe da quella specie di trance. Lo prese di nuovo sottobraccio, ma solo per metterlo in moto, e lo mollò quando passarono accanto alla sentinella. Entrambi alzarono gli occhi per rimirarla. Bonedigger avrebbe riconosciuto in quella scultura i tratti di C-3PO, il celebre robot di Guerre Stellari. O Madden aveva visto un film della serie (cosa improbabile, dal momento che i lettori DVD e i DVD erano sepolti assieme al vecchio mondo), o George Lucas gli aveva inviato le coordinate dall'altro mondo.

Se la lasciarono alle spalle e proseguirono. Rimirarono le altre opere di Madden disseminate lungo la strada. Talissa si soffermò a guardare la tortuga che stava sotto l'ampio portico di Andrew Johnson. Le rughe sul collo e gli occhietti indagatori la colpirono. Più avanti scoprirono che Madden non era solo bravo a menare colpi di scalpello ma aveva pure una discreta inventiva. Videro un orso seduto su di una sedia a dondolo. La sedia dondolava davvero e un paio di ragazzini si divertivano a sospingerla per poi guardarla oscillare. L'orso aveva due occhialini tondi e un'espressione paciosa: sembrava un nonnetto pronto a raccontare una storia ai nipotini.

Ma il pezzo che più li sorprese, dopo la sentinella, fu la scultura che sorvegliava la bottega del becchino: un angelo che teneva in mano una lanterna. I ragazzi non riuscirono a capirne il sesso. A Talissa pareva un maschio, mentre al ragazzo una femmina. Convennero però che aveva un'espressione rassicurante. Se nell'ultima ora se lo fossero trovato davanti, non avrebbero avuto timore a tendergli la mano.

«E quello chi è?» chiese il ragazzo.

Indicò la statua di un tizio che imbracciava una chitarra. Aveva un cappello strano, quasi identico al cilindro che il becchino indossava quando presenziava a un funerale, e un paio di occhialetti scuri. La chitarra, poi, aveva una forma un po' diversa rispetto a quella di Bonedigger. In più non aveva il buco al centro che serviva ad amplificarne il suono naturale. Al suo posto c'erano degli affari con sei puntini sopra, simili a teste di chiodi piantati su un'asse, e c'erano una specie di bottoni in basso, a sinistra del ponte.

Talissa scosse la testa facendo oscillare la treccia. «Non ne ho idea. Forse un altro sogno di Mastro Madden.»

Era parecchio strano, ma anche stavolta Madden aveva fatto un lavoro coi controcoglioni. Aveva riprodotto persino i tatuaggi sulle braccia del tizio: una rosa sull'avambraccio sinistro e una caricatura sul braccio destro. Il ragazzo pensò che Madden avesse qualche rotella fuori asse.

Mentre si lasciavano alle spalle il chitarrista col cilindro, al ragazzo balenò in mente una cosa che Bonedigger gli aveva detto sugli artisti e sulla gente di talento in generale. Secondo il vecchio leone avevano tutti il cervello fuori asse. Si sentì di dargli ragione quando vide, più avanti, la scultura di un tizio basso e coi ricci che teneva una palla in equilibrio sulla fronte. Madden aveva scolpito una "N" cerchiata sopra il pettorale sinistro del tizio. Sulla schiena campeggiava il n° 10 e sul petto la scritta MARS.

«Mars?» chiese il ragazzo, occhieggiando Talissa.

Lei compresse le labbra, si accigliò e scosse la testa: non ne aveva idea. Madden era matto davvero. Un matto di talento, però. E dove aveva trovato il tempo per scolpire tutto quel legno? Doveva aver iniziato sei mesi prima della festa, come minimo, e aver lavorato senza sosta.

Continuarono la passeggiata fino al crocicchio dove stava il banco dei baci. La scelta era ricaduta alla fine su Patricia Clark. La ragazza era in postazione. Aveva un vestito bianco, a fiori rossi, e i capelli sciolti sulle spalle. La carnagione scura risaltava sulle tinte chiare del vestito. I ragazzi più grandi si aggiravano nei pressi del banco come avvolto affamati. Alcuni facevano i provoloni con Patricia, altri provavano a ingaggiare una conversazione con lo stesso scopo recondito dei primi. Patricia teneva tutti a debita distanza. Era lì per dare baci a stampo in cambio di qualche spicciolo, niente di più. Il denaro raccolto avrebbe riempito le casse di quelli che avevano messo a disposizione i materiali utili a rendere la festa di quell'anno una tra le più belle mai viste. Non bella quanto quella di Aramundi, ma di sicuro tra le più belle dell'Entro-Terra, almeno per quell'annata.

Il ragazzo notò che alcune botteghe avevano rinfrescato l'insegna, per così dire. I colori erano più sgargianti. Qualcuno aveva passato una mano di vernice anche sulla facciata della bottega.

«Vuoi vedere una cosa?» disse Talissa di punto in bianco.

«Okay.»

Lo prese per un braccio e lo portò oltre il banco dei baci. Passarono accanto al municipio, davanti il quale campeggiava la scultura del sindaco di Fresno, bassa e occhialuta. Aveva una mano infilata in tasca e sembrava fissare soddisfatto qualcosa in fondo alla Via. Oltrepassarono anche la chiesa con annessa statua di un tizio vestito di bianco e curvo, che reggeva un bastone nella destra e aveva il viso sorridente e sereno di un Santo, e aggirarono gli edifici rimasti. Si avviarono verso la folta boscaglia a est, uscendo dai confini della città.

«Forse è meglio non allontanarsi troppo», fece il ragazzo.

«È qui vicino, tranquillo», disse Talissa. E aggiunse: «Non fare il fifone.»

Lui fece per replicare, ma la vista di qualcosa che si stagliava nel folto gli cacciò in gola la rimbeccata. Più avanti la boscaglia si diradava un poco e, nel mezzo di una piccola radura invasa dall'erba alta, c'era un edificio. Aveva una forma rotonda e sulla sommità a cupola c'era un'apertura.

«Che roba è?» chiese il ragazzo, incredulo.

«L'ho scoperto una volta che sono venuta a curiosare», disse Talissa.

Si avviò senza aspettarlo e lui la seguì. La Luna era fulgida e illuminava quell'edificio, incatenato dall'edera che cresceva e gli si avvinghiava intorno. Talissa infilò l'ingresso spalancato e il ragazzo la tallonò. Era buio lì dentro. D'un tratto qualcosa lo toccò e lui sobbalzò, prima di rendersi conto che era lei che lo prendeva per mano. La udì ridere sommessamente e ringraziò che l'oscurità nascondesse il suo imbarazzo. Si lasciò condurre da Talissa nella pancia dell'edificio e poi su per una scala. L'oscurità si diradava mentre salivano e si accorse che la scala girava su se stessa come la spirale sul guscio di una lumaca. Poi finalmente la cima, con la cupola che aveva una fenditura nel mezzo, simile a un taglio largo. Sotto il taglio c'era un affare puntato verso il cielo e posato su di un sostegno.

«Che cos'è?» chiese il ragazzo.

«Quello che volevo farti vedere», fece lei, avvicinandosi a quell'oggetto simile a un cannone. «Non lo so che cos'è, ma funziona come una specie di binocolo. Ci guardi dentro e vedi il cielo come se ce l'avessi davanti al naso.»

Il ragazzo la raggiunse e Talissa gli indicò dove guardare. Lui si chinò e spiò all'interno della lente. Il cannone era puntato verso la Luna e il ragazzo distinse con chiarezza i crateri e la luminescenza che palpitava. Stasera era di un rosso porpora che poco le si addiceva. Sollevò la testa dalla lente e guardò Talissa, che sorrideva soddisfatta.

«Assurdo...» fece lui. «Ma a che serve?»

«Boh, forse lo usavano per spiare i Grigi, o magari solo per guardare il cielo. Così, per divertimento.»

Lui ci pensò e si disse che entrambe le ipotesi erano verosimili. Anche se, per quello che aveva visto, quel cannone non riusciva a raggiungere il suolo lunare. Glielo fece presente e lei mise mano alla lente. Ruotò l'anello che la circondava e lo invitò a rimetterci sopra l'occhio. Lui lo fece e vide che la Luna si era avvicinata. Ora era più grande. Eccitato all'idea di poter vedere da vicino un Grigio, il ragazzo sollevò la testa e mise mano all'anello con sopra le tacche e i numerini sbiaditi, ma si accorse che non ruotava più di così. Interrogò Talissa con gli occhi.

«Quello è il massimo», fece lei. «Più di così non si avvicina.»

L'entusiasmo iniziale scemò rapidamente. Sarebbe stato fantastico poter assistere a uno di quei festini lunari, vedere che combinavano lassù quei chiodi di bara secchi e anemici. Peccato.

«Però è forte lo stesso, no?» fece lei.

«Sì», ammise il ragazzo.

«Ogni tanto vengo qui e guardo il cielo.»

«Da sola?»

«A-ha. Certe volte ci vengo anche di giorno.»

«Perché? Le stelle non si vedono di giorno.»

«Ci vengo perché...» Sembrò cercare le parole giuste per esprimere qualcosa che andava oltre la sua comprensione. Alla fine scosse le spalle e disse: «Ci sto bene.»

Poi rise. Lui la guardò incuriosito.

«Una volta ho provato a guardare il Sole», gli confidò e parve imbarazzata da quell'ammissione. «Ho visto rosso per tanto di quel tempo che ho pensato di essere diventata cieca.»

Lui notò che si tormentava le mani mentre parlava. Seguì un silenzio imbarazzato che Talissa decise di rompere.

«Puoi venirci anche tu, se ti va... anche senza di me», gli disse.

Fece per aggiungere qualcosa ma si fermò all'ultimo. Le mani si tormentavano a vicenda. Alla fine si fece coraggio.

«O possiamo venirci insieme.»

«Mi piacerebbe», disse lui e lei s'allungò, gli posò le mani sulle spalle e lo baciò.

Fu come il tocco di una piuma e lo prese di sorpresa. Ebbe reale contezza di cosa era accaduto solo quando lei si allontanò.

«Adesso è meglio tornare alla festa», fece Talissa, sbrigativa.

Lo prese per mano e lo accompagnò lungo la scalinata. Lui era un po' stordito. Mentre camminavano nel buio sentiva la testa leggera. Era il suo primo bacio. Uscirono dall'edificio e si chiese se lei lo avesse portato lì per quello e se anche per lei fosse la prima volta. Gli risuonò in testa la voce di McCoy.

Le donne...

Parlarono poco sulla strada del ritorno e non del bacio. Continuarono però a tenersi per mano e, solo quando uscirono dalla boscaglia e avvistarono gli edifici e le luci notturne si scollarono. Non ebbero bisogno di parlarsi e spiegarsi le ragioni di quel gesto. Sapevano solo che non era il caso che mezza città trasformasse i dubbi in certezze. Misero piede sulla Via Maestra, sbucando da una stradina laterale, e videro McCoy. Sembrava cercare proprio loro.

«Dov'eri sparito? Voglio presentarti il sindaco, ci teneva a conoscerti. Muoviti.» Guardò Talissa. «Vieni con noi?»

«I miei mi aspettano», rispose lei prima di rivolgersi al ragazzo. «Ci vediamo più tardi.»

Si allontanò senza voltarsi. McCoy poggiò una mano sulla spalla del ragazzo.

«Alla fine ti ha incastrato, eh?»

«Nessuno ha incastrato nessuno», fece il ragazzo, un po' piccato.

«Hai ragione, non sono affari miei. Ora muovi le chiappe, il sindaco aspetta.»

Lo condusse per la Via Maestra. Poco dopo giunsero nei pressi del municipio. Un capannello di persone era riunito nei pressi della scultura di legno. Tra i presenti c'era un tizio che era tale e quale alla scultura: basso e magro, con due occhialetti, una giacca elegante e un paio di calzoni grigi. Stava posando per gli astanti. Il ragazzo lo vide infilarsi una mano in tasca e assumere la stessa posa della statua. Risero tutti.

«Sindaco Hecker», fece McCoy, «ecco il nuovo arrivato.»

«Finalmente ci conosciamo», fece Hecker. Sfilò la mano da sotto il risvolto della giacca e la allungò al ragazzo. «Tom Hecker.»

«Moose», rispose il ragazzo, stringendogliela.

Hecker gliela shakerò per bene. «È un piacere, figliolo. Vedo che ti sei ripreso. Ho sentito che eri conciato male.»

«Doc mi ha rimesso in piedi.»

«E ora che sei di nuovo in sesto che conti di fare? Resti o vai?»

«Vado via fra un paio di giorni.»

«E dove sei diretto, se non sono indiscreto?»

«A Est, verso la Regione Verde

Il capannello di cinque persone, tre uomini e due donne, si fece attento.

«Se possiamo fare qualcosa per rendere il tuo viaggio più confortevole non hai che da chiedere», disse Hecker.

«D'accordo», fece il ragazzo. «Grazie.»

«Bene, adesso godiamoci la festa. Quasi quasi faccio un salto al banco dei baci», disse Hecker, strizzando l'occhio al ragazzo in modo fin troppo ostentato.

«Se vuoi tornare a casa con un occhio nero, accomodati», disse una delle due donne presenti, quella al fianco di Hecker.

«Tocca al primo cittadino aprire le danze. E poi è per beneficenza.»

«Io ti ho avvisato.»

Hecker ridacchiò e si rivolse al ragazzo. «Le donne... non puoi starci insieme e non puoi farne a meno.»

«Non ascoltarlo», fece la signora al fianco di Hecker, che doveva essere la moglie. «Le donne sono una benedizione. Questo signore qui, di fianco a me, non riuscirebbe neanche ad allacciarsi i mocassini se non ci fossi io a mostrargli come si fa.»

«Ma i mocassini non hanno lacci», fece il ragazzo, accigliandosi.

«Appunto.»

Tutti risero tranne il ragazzo, che guardò McCoy, Hecker e gli altri chiedendosi cosa ci fosse di tanto divertente.

Gli adulti... pensò.

Il capannello si sciolse e McCoy e il ragazzo andarono via assieme.

Presero una stradina laterale. Le lanterne, lì, erano azzurre. C'era la scultura di un cucciolo di drago sotto un portico. Aveva occhi tondi e grandi. La pelle scagliosa era riprodotta in maniera esemplare.

McCoy si ricongiunse alla sua signora. Shelley aveva un vestito bianco e i capelli biondi sciolti sulle spalle. Era bellissima, ma al ragazzo non fece lo stesso effetto della volta scorsa. Continuava a pensare a una certa tipa coi capelli rossi e a un certo bacio sotto le stelle.

«Ma guarda che figurino che sei», fece Shelley McCoy.

«Anche lei è molto bella», disse il ragazzo.

Shelley sorrise (era proprio un angelo quando sorrideva) e gli restituì un inchino.

«Di' un po', ci stai provando con la mia signora?» scherzò McCoy.

Decisero di andare assieme a lanciare qualche freccetta. C'era un tiro a segno poco distante. Raggiunsero la veranda di una bottega. Il segnapunti era appeso due metri oltre il parapetto, che fungeva da postazione di tiro. Louis Kelsey era l'addetto di turno e chi voleva partecipare doveva rivolgersi a lui. Il ragazzo e i McCoy diedero la propria adesione. Attesero che si formasse una nutrita schiera di partecipanti e Kelsey preparò le freccette. Chi faceva più punti si portava a casa un whisky di prima scelta.

«Tu non ce l'hai mica l'età per prenderti una ciucca», disse Kelsey al ragazzo.

«Se vinco, la bottiglia la regalo ai McCoy», fece il ragazzo.

A Kelsey stava bene. Gli astanti si susseguirono e fecero una figura dignitosa. Shelley McCoy centrò il segnapunti due volte su tre. Una freccetta si conficcò sul bordo e le altre due sulle strisce esterne, vicino al bordo.

«Non te la prendere», le disse McCoy, schioccandole un bacio sulla guancia.

McCoy fece tre su tre. Una freccetta andò molto vicina al centro. Dopo di lui toccò al ragazzo: si piazzò di fronte alla balaustra e Kelsey gli porse le freccette. Il primo tiro fu una via di mezzo tra il centro e l'arco esterno. Il secondo pure. Kelsey lo informò che, se voleva portarsi a casa il premio, doveva tirare meglio di così. Il ragazzo assunse un'aria concentrata. Prese un respiro, tirò indietro il braccio e scagliò. La freccetta si conficcò al centro. McCoy esplose in uno: «Yyyyyyyhaaaaaaa» selvaggio e sollevò la moglie in un abbraccio stretto. Calorose pacche sulle spalle percossero il ragazzo.

«Paga!» disse McCoy a Kelsey.

L'uomo gli porse la bottiglia e McCoy annunciò che avrebbe offerto un cicchetto a ogni perdente. La cricca di partecipanti accolse la notizia con entusiasmo. Qualcuno sparò persino un colpo di pistola in aria.

Dopo la gara gironzolarono un poco, ammirando gli addobbi e lasciandosi invadere dall'atmosfera festosa e conviviale. I McCoy presentarono il ragazzo a quelli che si fermavano a chiacchierare con loro, poi le persone cominciarono a sciamare verso lo spiazzo dove avrebbe preso piede il falò. I negozi chiusero e cominciò un vero e proprio esodo. Quando il ragazzo e i McCoy giunsero lì dove gli astanti avevano allestito la montagna di legni, c'era già parecchia gente. Il ragazzo scorse Talissa con i genitori. Lei gli rivolse un sorrisetto che lui ricambiò, sentendo nel contempo lo stomaco riempirsi di farfalle. Anche il sindaco e la sua signora erano già lì.

Quando tutta la città si presentò, Tom Hecker accese la torcia e diede fuoco alla catasta di legni. Le fiamme divamparono e la gente applaudì. L'organetto e i violini presero a suonare e la festa cominciò. C'era gente che ballava e che buttava nel falò oggetti tra i più svariati. Un tizio prese in braccio la moglie e fece finta di lanciarla nel fuoco. Quando la mise a terra, lei lo baciò e si dissero qualcosa che nella confusione generale nessuno sentì.

Il ragazzo vide Judas e il vecchio gli si avvicinò.

«Com'è andata a finire, poi?» chiese il vecchio.

«Bene... anche se ho scordato di segnare un sacco di roba che ho venduto», fece il ragazzo. «Per fortuna non se n'è accorto.»

Judas ridacchiò. «L'ho beccato tornando a casa, e per come stava è già tanto se si ricordava di avere un negozio.»

«Mi ha offerto cinque bronzi grandi per due giorni di lavoro.»

Judas fischiò. «Sta proprio fuori.»

L'organetto e i violini cambiarono registro. Ora un country selvaggio guidava le danze.

«Mi hai detto che abitavi nella Regione Verde», fece il ragazzo.

«A-ha.»

«Hai mai sentito parlare di una cosa che si chiama deml

«La culla dei Druidi. Dicono che sia abitato da spiriti elementali e che lì riposi la vecchia magia.»

«Come faccio a trovarlo?»

Judas si accigliò. «Perché vuoi trovarlo?»

«Ho le mie ragioni.»

«Ci credo, ma secondo me non sai a cosa vai incontro. La vecchia magia è pericolosa, ti si può ritorcere contro.»

«So quello che faccio.»

«Non sono mica sicuro.»

«Se non vuoi aiutarmi, basta che lo dici. Tanto in un modo o nell'altro lo trovo.»

«Non lo so dove sta. Nessuno lo sa.»

Nel cuore della foresta, lì dove Madre Natura s'inchina, pensò il ragazzo.

La musica scrosciava, il pianista si agitava sullo sgabello al ritmo del boogie che suonava e la folla ballava.

«Perché lo cerchi?» chiese Judas, fissando il falò.

«È una lunga storia.»

«La rabbia ti consumerà.»

Il ragazzo sobbalzò. «Che hai detto?»

«Non nel fisico... o forse sì, chi può dirlo. Di sicuro si porterà via un pezzo della tua anima.»

Judas fissava il fuoco con intensità quasi morbosa. La sua mente era distante. Negli occhi spiritati si riflettevano le fiamme.

«Il deml è come l'Abisso: guarda in te se guardi in lui. Ha in sé il bianco e il nero, l'acqua e il fuoco, la verità e la menzogna.»

Il ragazzo era basito. Judas sembrava preda di una qualche malia.

«È come una tempesta. La sento. Dice che tutto nasce e tutto muore per una ragione, che la vita e la morte sono equilibrio spezzato a metà. Dice che il vizio rincorre il vizio e che l'equilibrio è come un uccello senz'ali che cammina su una corda tesa.»

Il ragazzo si guardò intorno in cerca di aiuto. Tutti erano impegnati a far baldoria. Pensò di correre a chiamare Tarlton, quando Judas lo guardò e aggiunse: «Tu rincorri un precetto distorto. Qualcuno te l'ha inculcato.»

Gli occhi del vecchio brillavano della luce riflessa del falò e di qualcos'altro. Forse della magia del deml, una malia che valicava le distanze e il tempo.

«Sta usando la rabbia e la tristezza che covi. Fa leva su quelle. Se ti avvicinerai al deml con quest'inferno nel cuore, ti perderai.»

Lo fissò a lungo, tanto che al ragazzo le ginocchia tremarono per un istante. Poi Judas sbatté le palpebre e parve riaversi.

«Quest'inferno mi ha messo in corpo una sete del diavolo», disse, tormentandosi il colletto della camicia.

Se la sbottonò di un paio di tacche. I peli grigi sul petto magro fecero capolino.

«Mi vado a prendere un goccio d'acqua. Tu vuoi qualcosa?»

Il ragazzo scosse la testa: destra-sinistra, destra-sinistra.

«Torno in un lampo, tu abbronzati anche per me.»

Il ragazzo lo vide girare i tacchi e allontanarsi, la camminata strascicata e la schiena un poco curva, come se ci tenesse sopra il peso di troppi inverni.

Che diavolo è successo? si chiese.

Un secondo prima chiacchieravano e quello dopo Judas sembrava posseduto. E le robe che aveva detto, il bianco e il nero e la storia del perdersi per sempre?

«Vedo che ti sei ripigliato del tutto.»

Il ragazzo si voltò. Alle sue spalle c'era una donna. Era poco più alta di lui e aveva la pelle rossa come la sabbia del Deserto dei Bisbigli. I capelli erano raccolti in due trecce che le ricadevano sui seni.

«Ti garba la festa?»

«Sì», mormorò il ragazzo, un po' in impaccio.

Non s'era ancora ripreso dallo spettacolino messo in piedi da Judas.

«Io sono Maureen», fece la donna.

«Moose... lei è quella che mi ha salvato», disse poi, in un barlume di lucidità.

«Oddio, non è solo merito mio. Anche Tarlton ha fatto la sua parte. Però sì, gli ho dato una mano con uno dei miei brodi. Eri conciato male, lasciatelo dire. Che ti è successo? Hai incontrato un gatto mannaro o cosa?»

«Invasati

Maureen sbarrò gli occhi. «Allora sei un miracolato, tu. Prima scampi a quelli e poi arrivi qui, l'unica città con una curadur capace di rimetterti in sesto.»

«Volevo dirle...»

«Non c'è di che», lo anticipò Maureen. «È la mia vocazione. Sono una vecchia pellerossa che aspetta di andare al Grande Pascolo e nell'attesa mi guadagno un posto in prima fila, proprio sotto il palcoscenico dove il Grande Spirito si esibisce ogni giorno. Ma com'è che viaggi tutto solo? Non è per farmi gli affari tuoi, ma sei un girino di cristiano, e andarsene a zonzo di questi tempi senza uno che ti copra le spalle non è la migliore delle idee.»

«Avevo un compagno di viaggio, ma...» Gli scappò un sorriso amaro. «Lui direbbe che è rimasto indietro.»

«Mi spiace», disse Maureen e sembrava sincera.

Judas tornò con un bicchiere d'acqua mezzo pieno.

«Vedo che hai conosciuto la bruja locale», fece.

«Tieni a freno la lingua, che di modi per fartela cadere ne conosco parecchi», disse Maureen.

«È un po' permalosa», fece Judas, dando di gomito al ragazzo.

«Vorrei vedere, mi dai della bruja. Quelle non sanno un'acca di magia, sono capaci solo a lanciare maledizioni come le scimmie lanciano merda.»

Il ragazzo ridacchiò. Maureen rispose con un sorriso e anche Judas grugnì divertito.

«Quanto...»

Ti fermerai? avrebbe chiesto Maureen, se un fischio e una successiva deflagrazione non l'avessero interrotta. Un bagliore verde illuminò il volto della pellerossa e tutti i presenti alzarono gli occhi al cielo, in tempo per vedere una salva di spruzzi dello stesso colore stagliarsi nel nero notturno. Poi altri fischi, altre esplosioni e altre fontane colorate: bianche, verdi, rosse e viola.

«I fuochi!» fece Judas.

Il suo entusiasmo si perse nel trambusto delle deflagrazioni. I marmocchi fissavano assorti lo spettacolo, gli occhi grandi e lustri. Pure gli adulti parevano presi, anche se non quanto i nanerottoli che tenevano per mano o in braccio. Il ragazzo aveva gli occhi spalancati. Non aveva mai visto nulla di simile prima e gli parve la cosa più bella del mondo. La prima batteria si esaurì e, mentre la gente applaudiva, Robert e Joe Carson diedero fuoco alla seconda. Nuove colonne brillanti tagliarono il cielo, fischiarono ed esplosero in fontane colorate.

Quando si esaurì anche la seconda batteria, la folla applaudì e l'organetto ricominciò a suonare. A quel punto Judas guardò in una specifica direzione e gridò: «Porca vacca... in tutti i sensi.»

Il ragazzo e Maureen guardarono con lui e videro William Hastings tirarsi dietro la chianina più grande che avesse mai calcato le Quattro Terre. Era un colosso, muscolosa come un sollevatore di pesi e con tanta carne attaccata alle ossa che bastava a sfamare tutta la città. Per fortuna non faceva storie e Hastings riusciva a condurla senza difficoltà. C'erano anche altri con lui, pronti ad aiutarlo, ma l'animale sembrava non avere intenzione di dar loro filo da torcere. Era anzi insolitamente docile. Hastings la mostrò agli astanti, che gli restituirono un «OOOOH!» e identiche espressioni stupefatte. I bambini più piccoli sbarrarono gli occhi.

«È un mostro», fece Maureen.

«Povero chi ci salta sopra», disse Judas.

Tom Hecker invitò gli astanti a spostarsi. Ora che avevano visto la chianina, dovevano decidere se cavalcarla o meno.

La città si spostò verso la fattoria di Hastings, tutti in processione dietro l'enorme animale. Era un po' che il ragazzo non vedeva Talissa e la scorse mentre pestavano la via con le lanterne gialle. Era una ventina di passi più avanti. Le vedeva la schiena sulla quale cadeva la treccia rossa. Di colpo sperò che si girasse. Lei però continuò a camminare e a scambiare qualche parola con la donna che le camminava di fianco, probabilmente la madre, anche lei rossa di cotenna.

Judas e Maureen camminavano appaiati, con il ragazzo che li seguiva. Si scambiavano ogni tanto qualche rimbeccata giocosa. Il ragazzo si chiese se quei due se l'intendessero. Dovevano avere la stessa età. Maureen sembrava più giovane di Judas, ma forse era per via della vitalità che sprigionava.

Giunsero alla fattoria che Talissa non si era voltata neanche una volta. Quando furono nei pressi del recinto tondo, Hastings fece entrare la chianina. Era talmente alta che staccava il recinto di un metro buono. Accanto a lei Hastings sembrava piccolo piccolo, e sì che era un cristone. Doveva alzare il mento per guardarla negli occhi. Si assieparono tutti intorno al recinto. Il ragazzo posò gli avambracci su un legno e guardò la chianina. Si chiese se tra i presenti ci fosse qualcuno abbastanza matto da saltarle in groppa.

«Un colpo di reni e sai dove ti fa volare?» disse Judas, leggendogli nella mente.

La chianina si spostò e dall'altro lato del recinto il ragazzo vide Talissa. Lei gli sorrise e lui sentì il cuore inciampare su se stesso e perdere un paio di colpi. Talissa indicò la chianina con un cenno del capo, poi finse di impugnare due briglie immaginarie. Gli stava chiedendo se aveva in mente di montarla? Il ragazzo pensò di sì, e le rispose toccandosi prima la tempia con l'indice, indicando poi la bestia e agitando in seguito il dito: sei tutta scema, io lì non ci salgo. Lei ridacchiò.

Tom Hecker entrò nel recinto e annunciò che la gara era aperta.

«Fatevi sotto, intrepidi cavallerizzi!» disse. «Chi vuol essere il primo?»

Ci fu un mormorio generale. Poi un tizio zompò oltre il recinto.

«Mi sa che tocca a me», disse. «Qui non c'è nessuno con abbastanza huevos

Parlò a voce alta così da farsi sentire e si beccò una pioggia di fischi.

«Fagliela vedere, Lew!» gridò un tale, amico dell'intrepido cowboy.

«Inizia ad apparecchiare, che fra poco si mangia carne di vacca», disse Lew.

Era ben piantato. La camicia a quadri gli aderiva e si intuivano i muscoli sottostanti.

Potrebbe farcela, pensò il ragazzo. Poi guardò la chianina e pensò: forse no.

«Abbiamo la prima vittima», scherzò Tom Hecker. «Dategli una mano a montare.»

Hastings e altri tre tennero ferma la chianina, che comunque non sembrava intenzionata a fare capricci e, con l'aiuto di un rialzo di legno, Lew le montò in groppa. Hastings gli passò le briglie che aveva messo all'animale mentre Lew prendeva coraggio e si gettava nella mischia, e la chianina andò fuori di testa. Hastings e gli altri fecero a tempo a scostarsi. L'animale prese a sgroppare, dimenandosi per disarcionare Lew, che stringeva le briglie con quanta forza aveva. La chianina fece il giro del recinto, con gli astanti che si ritraevano, ora preoccupati che la bestia potesse sfondarlo. Ma l'animale non aveva interesse a uscire. Voleva solo liberarsi di Lew, che si era chinato con la pancia sulla schiena della chianina e le serrava sui fianchi le gambe muscolose. La chianina scalciò e si dimenò un'ultima volta. Il colpo di reni fu violento. Lew volò via, atterrando su un gruppetto di tizi. Non fosse stato vicino al recinto, si sarebbe schiantato a terra per rompersi un osso.

«Santa Maradona!» esclamò un tizio vicino al ragazzo.

Il ragazzo guardò Judas e inarcò le sopracciglia. Judas aspettò che il tizio guardasse da un'altra parte e si disegnò un circoletto sulla tempia: sta fuso. Poi si chinò verso il ragazzo e gli parlò all'orecchio.

«Il vecchio Madden non ci sta più con la brocca», mormorò.

Così quello era Madden, pensò il ragazzo. Si concesse un'occhiata rapida. Madden aveva una chioma disordinata. C'era del bianco sulle tempie. Sulla fronte alta e spaziosa avrebbe potuto atterrarci la nave di un Grigio. Si guardava intorno e poi guardava la chianina. Si girò a squadrare il ragazzo e questi subito distolse lo sguardo, imbarazzato. Con la coda dell'occhio vide che Madden continuava a fissarlo.

«C'è un altro coraggioso che vuole farsi avanti?» chiese Hecker, stavolta meno convinto della precedente, e Madden distolse lo sguardo.

I mormorii della folla assiepata intorno al recinto ricominciarono.

«Voglio proprio vedere chi è che ha il coraggio, dopo il volo che ha fatto quell'altro», disse Judas.

Nessuno si fece avanti. Avevano tutti abbastanza sale in zucca da mettere da parte orgoglio e reputazione, due cose egualmente inutili in quel mondo nuovo che aveva sovvertito le antiche regole. Hecker parlottò con Hastings. Forse gli stava dicendo che era il caso di piantarla lì e mettere il mostro sulla griglia. I due mormorarono per un pochetto. Hastings annuì un paio di volte. Hecker guadagnò il centro del recinto, dove s'era piantata la chianina.

«Visto che nessuno si fa avanti, non mi resta che...»

«Lo faccio io!»

Il ragazzo ebbe appena il tempo di rendersi conto di chi è che parlava, che Madden zompò goffamente nel recinto.

«Ma allora è scemo davvero», fece Judas.

Madden si avviò verso la chianina, che si guardava intorno con disinteresse bovino. Ora che aveva disarcionato il suo cavaliere, sembrava tranquilla e soddisfatta. Hecker raggiunse Madden e quello che disse fu udibile da tutti.

«Joseph, non mi sembra il caso.»

«Perché?» chiese Madden, puntandogli addosso i suoi occhi grandi e scuri.

«Hai visto con quanta facilità ha disarcionato Lew, e tu pesi la metà di lui.»

«Ti farà volare fuori città», disse Hastings.

«Naaa. Ho capito come fregarla a 'sta stronza», fece Madden.

Hecker e Hastings si scambiarono un'occhiata. Poi Hecker disse: «Stavamo pensando di lasciar perdere la cavalcata e di buttarla sulla griglia. Non vogliamo che qualcuno si faccia male.»

«E comunque, dopo quello che è successo a Lew, non c'è nessuno sano di mente che vorrebbe provarci», fece Hastings.

Hecker gli rifilò un'occhiataccia, ma per fortuna Madden non colse l'allusione.

«Vi ho fatto tutte quelle sculture e voglio saltare in groppa alla chianina», disse Madden.

«Lasciatelo provare!» urlò qualcuno.

«Fagliela vedere, Mad Madden!» fece un altro, suscitando una salva di risolini.

Cominciarono a battere le mani a tempo e molti altri gli andarono dietro. Nel giro di pochi secondi tutta la folla gridava il nome di Madden e intonava slogan.

Hecker sospirò. Si rivolse a Madden. «Non dire che non ti avevo avvisato.»

Madden sogghignò soddisfatto.

Hastings e gli altri avvicinarono la chianina. Madden guadagnò la pedana, si sputò sui palmi per poi sfregarli l'uno contro l'altro e zompò in groppa alla bestia. Hastings gli passò le briglie e subito si allontanò. Con una mossa fulminea, Madden le accorciò e ci infilò dentro la testa, le afferrò e se le attorcigliò intorno a mani e polsi, tirando. La chianina diede di matto e cominciò a scalciare e a correre in tondo. Madden teneva tese le briglie tirando indietro la nuca. Quella manovra gli consentiva una maggiore stabilità. La chianina si agitava, ma aveva qualche difficoltà per via della tensione che le tirava in su la testa. Madden sembrava quasi intenzionato a romperle il collo. La folla risucchiò aria.

«Porco diavolo», fece Judas. «Sta' a vedere che quel pazzoide ce la fa.»

Il ragazzo osservava rapito. Madden cavalcava la chianina e sembrava faticare poco e niente a restarci in groppa. Il suo volto tradiva un certo sforzo, ma era tutto lì il suo coinvolgimento emotivo. Chissà se quella era la faccia che aveva quando scolpiva, si chiese d'improvviso il ragazzo. La chianina continuava a dimenarsi e Madden a tirare, forzandole il collo. Poi, miracolo dei miracoli, il mostro rallentò, abbassando di qualche tacca la propria furia. La folla mormorò il proprio stupore. Qualcuno urlò: «Ci sta riuscendo! Quel bastardo di Madden la sta affondando!»

Dopo un altro giro al piccolo trotto, l'animale muggì sconfortato e si accasciò su un fianco. Madden fece giusto in tempo a tirare via la gamba ed evitare che l'animale gliela polverizzasse. Non riuscì però a liberarsi dalle briglie e rovinò a terra. Una caduta non proprio piacevole, ma nulla in confronto a quella che gli sarebbe toccata se quel mostro l'avesse disarcionato con un colpo di reni. Si riprese quasi subito e continuò a tirare, anche se con meno violenza. Il mostro mandò un altro paio di muggiti e la folla esplose in un'ovazione selvaggia. Cappelli volarono in aria. Hecker e Hastings si guardarono allibiti. Gli applausi, i fischi e i colpi d'arma da fuoco coprirono i muggiti della chianina. Un gruppetto di facinorosi zompò nel recinto, separò Madden dalle briglie e se lo caricò in spalla come un santo patrono, portandolo in trionfo.

«Se me l'avessero detto, non ci avrei creduto», fece Judas.

«Quel Madden è sempre più una sorpresa», disse Maureen.

«Non riesco a capire se la botta che ha preso gli ha portato bene o no.»

«Che botta?» chiese il ragazzo.

«Stava mettendo a posto il tetto della sua bottega...»

«Io ho sentito che stava dipingendo su una scala», fece Maureen.

«È lo stesso», disse Judas. «Il punto è che è caduto e ha battuto la testa. Doc era pronto a scommettere che non si sarebbe più ripreso. Ma Madden non solo si è ripreso, è pure diventato una specie di fenomeno. Ha iniziato a scolpire robe su robe e sempre più strane.»

Il ragazzo ricordò quel tizio bassino che teneva una palla in equilibrio sulla testa.

«Quelle che gli hanno chiesto di piazzare in giro per la città sono prese tra le normali. Dovresti vedere le altre che tiene da parte. Sembrano uscite dalla cotenna di uno che si è leccato una famiglia di rospi.»

«Se da un lato è diventato un fenomeno di intagliatore», fece Maureen, «dall'altro ha perso qualcosa ai piani alti. È come se l'impalcatura pendesse tutta da un lato, non so se rendo l'idea.»

Il ragazzo annuì. Madden era diventato come uno di quei tizi che non riesce a spiccicare due parole in croce ma ti sa contare le lenticchie che hai messo in padella dopo appena un'occhiata. Li chiamavano deviati, ma al ragazzo quella parola non era mai piaciuta.

«E la storia dei sogni è la ciliegina», fece Judas. «All'inizio pensavamo che un demone gli fosse entrato in corpo. Il reverendo gli ha messo sotto il naso una croce e, quando Madden l'ha guardato per chiedergli se voleva che gliene facesse una di legno, ha capito che non c'era nessun demone, perché sennò Madden avrebbe fatto i salti mortali.»

«Io avevo una mezza idea che fosse posseduto da un'anima irrisolta», fece Maureen.

«Un'anima irrisolta?» chiese il ragazzo.

«Uno di quegli spiriti che non può andare alla Radura se prima non sbroglia certi affari terreni.»

«Poi Doc ha notato il bernoccolo dietro la testa», fece Judas. «Ha fatto due chiacchiere con Madden e quello gli ha detto che stava lavorando, quando era caduto e aveva battuto la capoccia.»

«E i sogni?» chiese il ragazzo.

«Se mi stai chiedendo quale spiegazione abbiamo trovato, ti dico subito che nessuno ci ha capito niente. Doc pensava che fossero una conseguenza della botta e che presto sarebbero scomparsi come un livido. Invece niente, di tempo ne è passato un fracco e Madden continua a farli. Per toglierseli dalla testa li scolpisce nel legno.»

«Che storia.»

«Ha un bell'appeal, eh?» fece Maureen.

«Un che?» chiese Judas.

«Vuol dire che ti tiene le orecchie attente.»

«È una parola che ti sei inventata o è di un dialetto pellerossa?»

«L'ho letta in un libro, quando ancora i libri non erano cenere.»

«A proposito di libri, la nostra Maureen ne ha conservato qualcuno», mormorò Judas al ragazzo.

Il ragazzo guardò la pellerossa. «È vero?»

«A-ha. Sono libri con le ricette di intrugli vari che la mia famiglia si tramanda. È da lì che ho preso il brodo che ti ha rimesso in sesto», fece Maureen. «Negli ultimi tempi sto iniziando a riempire i muri di casa. Ci scrivo sopra le ricette con i gessetti, così se qualche scriteriato mi frega il libro...»

«Scriteriato? Anche questa l'hai letta in un libro?» la interruppe Judas.

«Esatto, ed era un libro che diceva come tagliare la lingua a quelli che si intromettono in una conversazione e ti interrompono mentre parli.»

Judas levò le mani in segno di resa. «Pace, sorella.»

Maureen si concesse un sorrisino e scosse la testa.

I festeggiamenti si spostarono. Gli astanti mossero verso un nuovo spiazzo, grande come quello dove avevano inaugurato il falò. Lì c'erano tavoli ricoperti da tovaglie a scacchi, sedie e panche in abbondanza. La gente se le era anche portate da casa. Fiaccole e lanterne diffondevano una luce rinfrancante e soffusa.

Il sindaco Hecker prese posto a capotavola. Al suo tavolo sedettero la moglie, Tarlton e altri che il ragazzo aveva incrociato durante il suo soggiorno, ma dei quali non conosceva l'identità. Hecker era sorridente nel suo abito elegante e si sistemava ogni due e tre gli occhialetti che gli scivolavano giù dalla gobbetta sul naso. Lentamente presero tutti posto. Il ragazzo sedette con Judas e Maureen, e vide Talissa che si accomodava. Era seduta a tre tavoli di distanza. Accanto a lei c'era un ragazzino tarchiato e con una matassa di riccioli corti e scuri. Le dava a parlare e lei pareva infastidita. Lo stomaco del ragazzo si incendiò come quello di un bevitore di whisky. Una fitta di gelosia lo attraversò.

«Quel ranocchio è Matt Faber», disse Judas. «Non credo che rappresenti un problema. Lei manco lo guarda.»

«Non mi importa», fece il ragazzo, cercando di dissimulare il fastidio.

«Si vede che non ti importa», ridacchiò Judas.

Un odorino di carne grigliata si diffuse nell'aria e molti commensali iniziarono a intonare cori da affamati, battendo la base dei pugni sui tavoli. Quando la prima razione di chianina arrivò a tavola, ci fu un'esplosione di grida e applausi. Nell'attesa molti ci avevano dato dentro coi beveraggi e, ciucchi com'erano, avrebbero tributato una standing ovation a qualsiasi novità avesse rotto la monotonia dell'attesa. Man mano i tavoli si riempirono di portate. La carne abbondava. Quel mostro ne aveva a strafottere incollata alle ossa. Al ragazzo toccò un pezzo di chiappa. Era tenera e saporita.

«È la più buona che assaggio da quando sono qui», fece Judas.

«Sei qui da molto?» chiese il ragazzo.

«Neanche un'estate.»

«Quindi è la prima che assaggi», fece Maureen.

«Infatti.»

La pellerossa rise e anche il ragazzo si concesse un risolino. Si voltò a guardare gli altri tavoli. Talissa mangiava, china sul piatto. Matt Faber pure. Poi lui le disse qualcosa e lei rise. Un'altra fitta di gelosia lo colpì allo stomaco. Distolse lo sguardo e si concentrò sulla carne, ma gli pareva che l'appetito scemasse minuto dopo minuto.

«Ancora non ci credo che quel mezzo scombiccherato di Madden ha affondato quel mostro», fece Judas.

«Non sei l'unico», disse Maureen. «Penso che abbia sorpreso un po' tutti.»

«Quella botta in testa gli ha fatto bene.»

«Per certi versi, forse, ma ha perso pure parecchia segatura. Quando ci parli è un'altra persona.»

Judas si accorse che il ragazzo giocherellava col cibo. «Non ti garba la cena?»

«Non ho molta fame», fece il ragazzo.

«Sono le pene d'amore che ti tolgono l'appetito?»

Il ragazzo gli rifilò un'occhiata non proprio amichevole.

«Tasto sbagliato», fece Judas.

«E lascialo in pace», disse Maureen, che poi si rivolse al ragazzo. «Non dar retta a quello che ti dice questa mummia.»

«Senti chi parla. Hai più rughe tu che il sedere di un elefante», disse Judas.

Maureen ignorò il colpo basso. «Se ci tieni a quella ragazza, prendila da parte e diglielo.»

«Devi lasciarla cuocere nel suo brodo, dammi retta», fece Judas.

«Se vuoi perderla, quella è la strada giusta. Ma se invece ci tieni, ti conviene essere diretto. Niente girotondi. Dille la verità.»

«Non c'è nessuna pena d'amore, solo che non ho fame», rispose il ragazzo, piccato.

«D'accordo ma, nel caso ti piacesse la rossa, il mio consiglio è di essere diretto», continuò Maureen. «Le donne apprezzano i tipi pane al pane.»

«Io sono un tipo pane al pane, eppure tu non mi hai mai calcolato», fece Judas.

«Solo perché hai la testa piena di segatura.»

Judas si rivolse al ragazzo. «Sicuro di volerci provare? Questo è quello che ti aspetta quando si fanno vecchie.»

Maureen gli mollò un paio di scapaccioni sul braccio. «Se non la smetti finirà per darti retta.»

«È quello che spero», disse Judas, beccandosi un altro scapaccione. Si rivolse al ragazzo. «Dopo una certa età diventano manesche.»

Maureen gliene menò uno dietro la nuca. La testa di Judas dondolò avanti e indietro.

«Visto?» disse, massaggiandosi la nuca. «Ha un battipolvere per mano.»

La cena continuò in un clima conviviale. Un paio di tizi ci andarono giù pesante coi beveraggi e diedero vide a un diverbio che rischiava di culminare in una scazzottata. Lo sceriffo e i suoi vice, che s'erano presi una serata libera per partecipare alla festa (la città era tutta lì e avrebbero rischiato di sorvegliare i mulinelli di terra alzati dal vento), sedarono i due facinorosi. In quel momento il ragazzo notò l'assenza di Perkins e consorte. Non li vedeva seduti a sbafarsi. Erano di certo occupati col fagottino appena sfornato.

Le donne col grembiule, che servivano ai tavoli, portarono il dolce.

«Pasticcio di more», fece Judas, leccandosi i baffi.

«Hai detto bene: pasticcio. A guardarlo sembra proprio quello», disse Maureen.

«Non ti garba?»

«È il mio preferito, ma a guardarlo non mi invoglia. Il mio è un'altra cosa.»

«E perché non ti sei messa ai fornelli con le ragazze?»

«Perché ho scordato la ricetta. Maledetta memoria.»

«L'età avanza per tutti», disse Judas, a metà tra il serio e il faceto.

«Altroché», fece Maureen. «E anche se non è carino contare gli inverni di una signora, devo darti ragione.»

«Non ti buttare giù, te la cavi ancora a meraviglia.»

Maureen gli affibbiò una pacca amichevole sulla spalla. «Grazie, vecchia ciabatta. Anche tu non sei male, dopotutto.»

«È così che vi tirate su di morale?» fece il ragazzo, divertito dal siparietto.

«Di più non possiamo fare», disse Judas.

«Perché, cos'altro vorresti fare?» chiese Maureen.

Judas le rivolse un sogghigno storto e mosse le sopracciglia su e giù. «Il vecchio ballo orizzontale, pupa.»

Maureen scoppiò a ridere. Il ragazzo si portò la mano al volto e nascose un largo sorriso.

«Non era la reazione che mi aspettavo, ma mi sa che devo prenderla con filosofia», fece Judas.

«Ti conviene», fece Maureen.

Il ragazzo rivolse la sua attenzione tre tavoli più in là. Talissa mangiava. Matt Faber prese i bastoncini sottili di legno che si usavano per infilzare il cibo nei piatti e se li infilò sotto il labbro superiore, come zanne di una tigre primitiva. Toccò la spalla di Talissa, che si girò sbuffando, lo vide e scoppiò a ridere. Le viscere del ragazzo si contorsero come serpenti in una cesta. La consapevolezza che quel bacio avesse smosso qualcosa dentro di lui si fece strada. La pancia lo stava avvisando che era cotto a puntino. Come diceva Bonedigger: «Lo senti dalla pancia. Quando le frattaglie si agitano, allora sei nei guai. Guai grossi come...»

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