* * *

Il capobanda Teihiihan si allungò per tirare un lembo del giubbotto di jeans. Uno strattone deciso, al quale il resto dei nanerottoli alle sue spalle reagì con un'espressione di terrore e un sibilo. Il vagabondo si fermò, si voltò con aria svagata e non lo fulminò sul posto. Il Teihiihan lo ritenne un buon segno. Non avrebbe voluto toccarlo ma, dopo averlo interpellato tre volte senza ottenere risposta, non aveva potuto fare altrimenti.

«Cosa?» chiese il vagabondo.

Il Teihiihan gli disse che camminavano da un po' e che, se anche gli spettri non li avevano accoppati per via dello spettacolo messo in piedi poco prima, presto avrebbero potuto riprendere coraggio e sferrare una nuova offensiva.

«Ti preoccupi ancora di quei quattro spiritelli? Voialtri culi bassi avete proprio la strizza dei senz'ossa che abitano qui.»

Una voce che non sentiva da parecchio gli mormorò che una volta, tanto tempo addietro, quando era un ragazzino biondo e gracilino, aveva la stessa paura. Il vagabondo la ignorò senza problemi.

«Facciamo che ve li tolgo di torno e tu la smetti di tirarmi su scemo. Come la vedi?»

Il Teihiihan la vedeva bene. Anche i suoi amici dal culo basso.

«Quelli che stiamo andando a trovare, però, sentiranno, perché farò un casino che manco all'inferno.»

Al Teihiihan non importava. Neanche ai suoi amici dal culo basso importava.

«Se non vi scoccia giocare ad acchiapparella...» fece il vagabondo. Prese fiato e mollò un sospiro. «Sta' a guardare, culo basso, che una roba così non l'hai mai vista.»

Si prese un secondo, poi piegò il collo da un lato e dall'altro con l'intento di sciogliersi i muscoli. Le vertebre schioccarono.

«Tenete la testa... bassa», disse, esibendo un ghigno perfido.

Chiuse gli occhi, così da concentrarsi meglio, e richiamò il potere che lo abitava. Sul collo affiorò la giugulare come una radice dal sottosuolo. Mugugnò a denti stretti e gli occhi sotto le palpebre si mossero veloci. Le labbra si torsero in un ringhio muto e un vento leggero si alzò di colpo a spazzare le chiome degli alberi. I Teihiihan osservavano in religioso silenzio. Sembravano marmocchi in attesa che il mago tirasse fuori un coniglio dal cilindro. Il vento aumentò di intensità. Le capigliature brune degli alberi stormirono in coro e un brontolio cupo, che pareva salire dalle viscere della terra e propagarsi in tutta la foresta, li avvertì che stava per accadere qualcosa.

Una massa scura coprì la Luna e parte delle stelle che ammiccavano nel cielo. I Teihiihan delle retrovie mandarono un verso di sorpresa: la massa scura sembrava un gigantesco lenzuolo di morte che assumeva forme ondivaghe mentre si avvicinava. Molti tra i culi bassi videro un leone nero e gigantesco correre spinto dal vento che rinforzava. Quando cadde in picchiata, cominciò a sradicare gli alberi dal terreno sferrando ampie zampate.

Un Teihiihan puntò il dito verso la massa scura che galoppava verso di loro e urlò. Qualcuno si gettò a terra e tenne la testa seppellita sotto gli avambracci come se fosse nel mezzo di una sparatoria. Qualcun altro si diede alla fuga. La massa scura passò, sradicò gli alberi e tirò via i Teihiihan che si erano dati alla fuga. Quelli che rimasero nelle vicinanze del vagabondo non riportarono danni quando la massa nera passò, scalzando gli alberi e facendoli volare in tutte le direzioni. Era come se uno strano e incomprensibile sortilegio li tenesse ancorati alla nuda terra. Pure il vagabondo non batté ciglio quando la tenebra galoppante gli passò sopra. Solo il cappello volò via. Un gruppo di alberi nelle immediate vicinanze del manipolo di culi bassi schizzò via, in alto, salvo poi ricadere lontano con un boato da far tremare i denti. Molti alberi finirono nella baia, sospinti da un impeto che avrebbe abbattuto la Muraglia cinese, e lì rimasero a galleggiare. L'ombra del leone passò, rase al suolo la foresta e si impennò. I pochi coraggiosi che tennero su la testa la videro sparire nel nero punteggiato di stelle.

Era appena svanita che la notte si accese di tante figure pallide e diafane. I Teihiihan urlarono terrorizzati. Gli spettri risposero con guaiti rabbiosi e si scagliarono sulla marmaglia come già avevano fatto in precedenza. L'epilogo non mutò di una virgola. Il vagabondo si rianimò di colpo, spalancò la bocca e il mento gli si allungò fino alle ginocchia, manco fosse fatto di gomma. Prese aria e risucchiò gli spettri che coloravano la notte con la loro verdognola luminescenza. Li ingurgitò tutti, insensibile ai guaiti di dolore e di paura. L'esercito di anime in pena finì risucchiato nel gorgo e, quando anche l'ultimo finì nello stomaco del vagabondo, il mento si sollevò come una tapparella.

Il vagabondo armeggiò con la mandibola. Uno schiocco gli segnalò che era tornata in asse. Un contorcimento di viscere gli segnalò invece che quella sera avrebbe dormito sonni agitati. Era il minimo, se ti sbafavi per cena un esercito di anime irrisolte.

«Problema risolto, contenti?» fece il vagabondo.

Il Teihiihan in capo rispose di sì, che gli erano grati.

«Culi bassi fottuti. Adesso voglio vedere come li raggiungete quegli spilungoni. Con tutto il casino che ho menato, a quest'ora staranno già facendo fagotto, garantito come le vostre facce di merda.»

Si guardò intorno. La foresta non esisteva più. Ora c'era solo un'immensa spianata punteggiata di buche, alcune delle quali grosse come il ginocchio di un gigante appena nato.

«Niente male», fece il vagabondo con orgoglio. «Potrei fare il boscaiolo. Che ne dici, culo basso?»

Il Teihiihan convenne che avrebbe potuto.

Un nanerottolo venne avanti e disse al Teihiihan in capo qualcosa. Glielo sussurrò nell'orecchio, e il Teihiinan chiacchierone lo scacciò in malo modo, prima con un gesto e poi sfilando la rozza mazza di legno che teneva infilata nella faretra dietro la schiena e calandogliela in testa. Quando tornò a rivolgersi al vagabondo, questi lo guardava incuriosito.

«Che voleva?»

Il Teihiihan disse che non era importante e il vagabondo si rivolse direttamente al nanerottolo malmenato.

«Tu, culo basso. Torna qui.»

Il Teihiihan malmenato dimenticò all'istante il dolore alla testa (e il bernoccolo che andava gonfiandosi) e fissò spaventato il vagabondo. L'altro gli lesse negli occhi bovini la paura di finire fulminato.

«Non ti voglio arrostire, già puzzi di tuo così.»

Il nanerottolo bitorzoluto si fece avanti con ritrosia. Riprese un attimo a massaggiarsi la zona bastonata, poi lasciò cadere la mano al cospetto del vagabondo.

«Che hai detto al tuo amico?» Uno scambio di sguardi passò tra i due Teihiihan. «Cos'è, hai bisogno del suggeritore?»

Il nanerottolo alzò il mento e ci pensò su un secondo. Non si fidava dello spilungone. Gli aveva promesso di non arrostirlo, ma chi gli diceva che avrebbe mantenuto la promessa? D'altra parte, però, non voleva farlo incazzare. Aveva già visto che accadeva quando si incazzava. Pigliò aria per parlare e il vagabondo lo fermò.

«'spetta un po', che mi sono rotto i coglioni di parlare 'sta lingua del cazzo.»

Schioccò la lingua sotto il palato e se ne uscì con un colpo di glottide. Gli occhi gli diventarono neri. L'effetto durò un secondo. Quando svanì e il bianco delle sclere si ripresentò, fece segno al nanerottolo di parlare.

«Abbiamo fame», fece il culo basso.

Si accorse che aveva parlato nella lingua comune e i suoi occhi si spalancarono. Si portò le mani alle labbra con tanta foga da schiaffeggiarsele. I Teihiihan alle sue spalle erano altrettanto sorpresi, lo si vedeva da come sbattevano le palpebre increduli.

«Sembra di sentir parlare un cesso che scarica», fece il vagabondo.

Il nanerottolo risucchiava le parole più che pronunciarle. Era un effetto strano e curioso.

«L'ho già detto al vostro capo, qui... faccia di pizza.» Spolliciò con un grugnito divertito verso il Teihiihan chiacchierone. «I tizi coi marmocchi stanno in fondo, tra il mare e la foresta che era, ma ora che arriviamo troviamo forse i resti dei fuochi che hanno acceso per la notte.»

«Non è che ci puoi portare lì prima che se ne vanno?» chiese il nanerottolo.

Il Teihiihan capobranco fece un passo indietro. Anzi, ne fece un bel po' di passi. Non voleva che la folgore del vagabondo lo colpisse per errore. Anche il resto della truppa si allontanò, subodorando la possibilità di un nuovo barbecue. Invece il vagabondo li sorprese. Non affumicò il nanetto, ma rifletté per un attimo sulla proposta. L'aria pensosa che assunse lo fece sembrare più vecchio e meno matto.

«È ovvio che posso, ma mi serve almeno un punto di riferimento», fece il vagabondo.

«Che cos'è un punto di ferimento?» disse il Teihiihan.

Il vagabondo grugnì divertito. «Un punto di riferimento è un posto con delle caratteristiche precise.»

Il Teihiihan ci pensò su un secondo. Nello sforzo di concentrazione divenne anche più brutto di quanto già non fosse. Il vagabondo si sforzò di restare serio, così da non disturbare il flusso di pensieri dell'altro, ma non riuscì a trattenere un grugnito sommesso.

Il volto del Teihiihan si accese come una lampadina in uno scantinato buio e il mostriciattolo quasi urlò: «La testa di cane che ulula.»

«La che?» fece il vagabondo.

Il Teihiihan chiacchierone intervenne. «È una roccia che...»

«Non l'ho chiesto a te», fece il vagabondo senza neanche voltare lo sguardo. «E se ci riprovi ti trasformo in un mucchietto di cenere.»

Il nanerottolo si ammutolì.

«Dicevi?» chiese al Teihiihan bitorzoluto.

«La testa di cane che ulula è una roccia che ci ha la forma di una testa di cane che ulula.»

«L'hai mai vista?» Il Teihiihan annuì. «Mostramela.»

E prima che il nanerottolo potesse dire alcunché, il vagabondo si accosciò e gli piantò le mani ai lati della testa.

«Cristo, se sei brutto», disse, guardando i bitorzoli che gli martoriavano il viso. «Pensa a quella testa di cane.»

Il Teihiihan continuò a fissarlo con aria bovina.

«Ciccio, guarda se non chiudi i tuoi occhi del cazzo stiamo qui fino alla prossima Apocalisse.»

Il Teihiihan chiuse gli occhi dopo aver annuito energicamente. Le dita del vagabondo si tinsero di arancio. Il Teihiihan sentì il calore che sprigionavano. Una sensazione piacevole, che lo fece sorridere. Il vagabondo vide l'immagine formarsi lentamente. Non era assai nitida. Le menti dei culi bassi erano diverse da quelle degli umani (forse erano malate come la pelle), tuttavia riuscì a visualizzare quello che gli occorreva. Era proprio una testa di cane. Sembrava ululare, protesa verso il cielo, le orecchie flosce.

Il vagabondo staccò le mani dalle tempie del bitorzoluto e si alzò.

«Raduna gli altri culi bassi. Falli avvicinare», disse e il Teihiihan bitorzoluto eseguì. «Se questa testa di cane non è troppo lontana dall'accampamento di quegli spilungoni, dovremmo riuscire a raggiungerli per tempo.»

Guardò il Teihiihan dritto negli occhi.

«Non mi piace usare 'sti trucchetti spicci, ma se poi mi morite di fame ho fatto tutto 'sto casino per niente.» Sospirò con uno struggimento comico, data la situazione. «Pigliami un lembo dei pantaloni.»

Il Teihiihan afferrò i jeans all'altezza del ginocchio.

«Voialtri, avvicinatevi», disse al manipolo di culi bassi. «Pigliatevi per mano o fate il cazzo che vi pare, basta che vi toccate.»

I nanerottoli eseguirono. Il vagabondo si accorse che il Teihiihan chiacchierone era rimasto in disparte.

«Che fai, vieni?»

Il culo basso sembrò pensarci un secondo. Aveva un'aria contrita, come di uno che ne ha mollate un fracco ma proprio non riesce a spingere fuori il cagotto. Si avvicinò con passo basculante al resto del gruppo e posò una mano pelosa sulla spalla di un Teihiihan.

«Ci siete?» chiese e li vide annuire con convinzione. «La Quattro Terre Airlines è lieta di avervi a bordo. Speriamo che il viaggio sia di vostro gradimento.»

Abbozzò un mesto ghigno. Poi sparirono.

Riapparvero in una spianata. Le buche in terra li informarono che erano ancora nella foresta che era. Nel momento in cui apparvero dal nulla, i Teihiihan andarono col culo per terra. La testa gli girava come dopo una sbronza colossale. Un paio finirono in una buca dove era piantato un grosso albero. La rovinosa caduta non portò conseguenze particolari, a parte una cozzata di grugno. Qualcuno fece per vomitare, ricordò che lo stomaco era pieno neanche per un quarto e con uno sforzo di volontà estremo tenne giù quel che provava a risalire. L'unico a non mostrare sintomi particolari fu il vagabondo. Si limitò a guardare i Teihiihan che provavano a rimettersi in piedi e a stento ci riuscivano. Uno dei primi a farcela fu il bitorzoluto.

«Faccia di pizza», lo chiamò il vagabondo, e quello lo raggiunse ondeggiando di brutto. «Da adesso sei tu il capomastro.»

Si assicurò che il Teihiihan chiacchierone lo udisse.

«Questo vuol dire che sei l'unico che può parlarmi. Se qualcuno lo fa al posto tuo, prima friggo lui e poi friggo te. Tutto chiaro?»

Il Teihiihan annuì con forza e per poco non cadde di nuovo. Il mondo vorticò, si inclinò e tornò saldo.

«Rimettili in piedi. Ti do due secondi scarsi.»

E mentre il Teihiihan incitava gli altri ad alzarsi velocemente, il vagabondo fissò la roccia a forma di testa di cane. Un cono di luce lunare la imbrigliava come la luce lontana di un faro. Il muso del cane era scheggiato. C'era anche una piccola fenditura nella roccia che dava l'idea di una palpebra socchiusa. Pareva proprio un cane nell'atto di ululare alla Luna. E mentre il vagabondo lo guardava, la mente fuggì via com'era successo in precedenza, rifugiandosi nel...

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top