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Si drizzò a sedere di colpo. Respirava come se avesse corso intorno alla città. Era sudato: gocce gelide gli imperlavano fronte e tempie. Si guardò intorno e riconobbe la stanza al secondo piano del saloon. La realtà aveva una consistenza diversa rispetto al sogno: più solida.
Cercò di rallentare i battiti del cuore. Aveva un tamburo nel petto.
Un sogno, pensò. Era stato solo un sogno. Certo che era così reale... sentiva ancora quegli intestini viscidi che gli serravano le...
Il cervello smise di funzionare. Le palpebre schizzarono su e il terrore spinse i bulbi oculari fuori dalle orbite. Isaac stava guardandosi le caviglie. Erano scoperte e c'erano dei segni rossi, come se qualcuno gliele avesse imprigionate in legacci molto stretti. Con mano tremante si allungò e passò un dito sugli sbaffi rossi.
«Giusto per ricordarti che non è stato un sogno.»
Isaac si voltò. Accanto a lui c'era Jebediah, disteso con le mani dietro la testa, il buco nello stomaco che rigurgitava gli intestini e le caviglie incrociate. Guardava il soffitto.
«Adesso svegliati e fai quello che devi.»
Un tonfo. Isaac si voltò. Senza Faccia allungò le mani e lo prese per il collo. Isaac provò a liberarsi, ma l'altro era troppo forte. Il volto scavato vibrò come in estasi, poi i bordi mangiucchiati della non-faccia si sollevarono, mostrando una chiostra di denti accavallati e storti. Senza Faccia inclinò la testa da un lato.
«Mi sa che gli piaci», disse Jebediah.
La non-faccia mandò un verso inumano e si chiuse sul volto di Isaac come una tagliola.
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