8
Nel sogno camminava come se fosse impantanato nel fango dell'Ell e provasse a tirarsene fuori. Le gambe pesavano come incudini e, più diceva loro di muoversi, più quelle si ostinavano a non dargli retta. L'urgenza della fuga non era sufficiente a risvegliare il torpore muscolare.
Dalla chiesa uscivano a frotte i morti. Pencolavano su gambe magre e rigide, come marmocchi che avessero imparato a star dritti da poco. L'ingresso della chiesa era una bocca che li rigurgitava. Aveva persino i denti, e il legno era molle e poroso. C'era anche qualche pelo ispido, come una barba rasata male. Isaac la vedeva gonfiarsi e sgonfiarsi come se respirasse.
Il campanile era coperto di rughe come il collo di un vecchio. Al posto della campana c'era un occhio senza palpebre che guardava in basso, verso la strada. La pupilla, di un azzurro slavato, era imbrigliata in una ragnatela di vasi sanguigni. La croce in cima era sottosopra. Sulla sommità era impalato padre Thomas, smunto come uno spaventapasseri. Un corvo gli beccava gli occhi e la faccia.
Isaac provava a girarsi e a fuggire, ma le gambe restavano piantate nel mezzo della strada polverosa. I cadaveri putrefatti sciamavano disordinati. Isaac vide Ezequiel e Abigail. I corpi decapitati camminavano fianco a fianco, la testa sottobraccio. Le teste avevano occhi che erano uguali a quello del campanile e fissavano Isaac con odio mortale. Le candele che avevano in bocca gli cuocevano guance e labbra. Sbuffi di fumo uscivano dal naso.
Poco più avanti c'era la signora Clark. Camminava poggiando prima le punte e poi i talloni. Il collo era ritorto e pieno di grinze come un panno strizzato. Diverse vertebre premevano sotto la pelle, creando bozzi. Aveva il collo spezzato, ma neanche questo riusciva a fermarla. La determinazione che trapelava dalla sua andatura era spaventosa.
Il tizio senza faccia le stava davanti. La testa dondolava mollemente a ogni passo. Isaac udì un gracchiare, guardò in alto e vide il corvo planare sullo sciame di morti. L'animale si posò sulla spalla di Senza Faccia. Dal becco gli penzolava qualcosa. Isaac si accorse che erano occhi. Li teneva per i nervi, lasciando che dondolassero. Senza Faccia allungò una mano e il corvo lasciò cadere gli occhi sul palmo, poi spiccò il volo in un frullare d'ali. Senza Faccia depositò gli occhi nella conca maciullata del volto e continuò a camminare. Ad ogni passo gli occhi roteavano in tondo come biglie.
A capo dello sciame c'era Jebediah, gli intestini aggrovigliati intorno alle braccia. La sua andatura era composta. Gli occhi luccicavano, febbrili.
Isaac provava a fuggire, ma anche il più piccolo movimento gli costava una fatica d'inferno. Era più lento di un cavallo zoppo. Ci mise una vita a raggiungere il saloon. Nella mente gli si agitava un pensiero: se fosse riuscito a entrare, avrebbe avuto abbastanza tempo per sbarrare l'ingresso e le finestre.
Spalancò i battenti e a ritmo di lumaca guadagnò il centro del saloon. Ora doveva...
La visuale periferica intercettò qualcosa. Isaac si voltò verso la finestra sfasciata. Si era completamente scordato che fosse rotta. Sul bordo, seduto a spararsi una sega, c'era un invasato. Guardava Isaac con quegli occhi neri come gocce di petrolio mentre si menava l'arnese. Isaac pensò subito di prendere il fucile dietro il bancone. Visto come l'altro era impegnato a smanettarsi, credeva di averne un buon margine.
Sentendo il tempo dilatarsi e poi restringersi come una calza di nylon raggiunse il bancone, lo aggirò e prese il fucile. Controllò che fosse carico e tornò indietro. Lo spianò e premette il grilletto. Ci fu una deflagrazione come un tuono, seguita da una fiammata infernale, poi il fumo. Era tutto esagerato, come se avesse sparato con un cannone. Quando il fumo si dissolse l'invasato era ancora lì, a menarselo senza troppo entusiasmo, come se fosse un lavoro necessario e poco divertente.
Isaac si tastò le tasche con una mano, convinto per qualche ragione di avere delle cartucce con sé. Mentre compiva questa semplice operazione, i battenti dell'ingresso cigolarono e Jebediah entrò. Era grosso come un orso. La mano di Isaac incontrò la forma di una cartuccia, ma non ci fu tempo per ricaricare. Jebediah partì alla carica facendo tremare il pavimento, ruggendo e spargendo ventagli rossi di sangue. Zompò su Isaac, che frappose il fucile fra sé e Jebediah, ma non riuscì a resistere all'impeto. Jebediah lo abbatté come un birillo e gli fu sopra. A separarli c'erano le canne del fucile poste di traverso.
«Sei pronto a morire?» disse Jebediah.
Isaac avrebbe voluto dirgli che no, non era pronto a morire ma era molto vicino a cacarsi addosso, ma non gli uscì neanche un fiato.
Jebediah tirò fuori la lingua umidiccia e grassoccia. Un filo di bava si allungò sulla canna del fucile. La lingua anche si allungò, raggiungendo le dimensioni di un serpente, e avvolse le canne del fucile. Jebediah fece scattare la testa all'indietro e il fucile volò via senza che la molle presa di Isaac riuscisse a impedirlo. La lingua scivolò sul mento ispido di Isaac, contorcendosi, poi si spostò sul viso. Isaac era congelato. Il terrore lo immobilizzava.
Dopo aver saggiato le narici di Isaac, la lingua si ritirò nel suo buco dentato. Il viso di Jebediah, che un attimo prima era pallido, ora aveva acquisito colore ed era imprigionato in una ragnatela di vasi sanguigni che affioravano come radici. Quel che scorreva nelle venature aveva il colore del catrame.
«Ho scordato di dirti una cosa», fece Jebediah. «Non è che muori proprio tutto. Una parte di te sopravvive e tu te ne vai a zonzo come quei tizi morti che mi stavano attaccati al culo. Solo che quella parte è talmente insignificante che tu neanche te ne accorgi. Serve appena a far muovere quelle quattro ossa e quel culo secco che ti ritrovi.»
Sorrise con un angolo della bocca, dal quale fece capolino una porzione di denti e gengive marci.
«Sei pronto, culo secco?»
Isaac scosse la testa con forza. La cosa fece ridere Jebediah a crepapelle.
«Che sagoma!»
Jebediah srotolò un pezzo di intestino con un movimento del braccio. Ne afferrò l'estremità e con lentezza metodica e morbosa lo fece girare intorno al collo di Isaac. Mentre compiva l'operazione, fischiettava. Formò un cappio intorno al collo di Isaac e disse: «Ora sei pronto.»
Si alzò e iniziò a trascinare Isaac manco fosse un cane che non voleva saperne di muoversi. Isaac non provò nemmeno a opporre resistenza. L'ultima volta non era servito. Si limitò a guardare l'invasato che, dopo un'energica stantuffata, esplodeva in una spruzzata di sborra.
Jebediah lo trascinò in strada. Il resto dei morti sopraggiungeva dondolando.
«Sei fottuto, bello», disse. «Adesso quelli si mangiano il tuo culo secco. A meno che...»
Guardò Isaac con fare pensoso. L'espressione era talmente artefatta che, in un altro tempo e in un altro luogo, Isaac avrebbe avuto sentore dell'inganno. Ma la paura, unita alla nebbia del sogno, gli impedirono di annusare la trappola.
«Di' un po', ci tieni al tuo culo?» chiese Jebediah.
Isaac provò ad annuire, ma gli intestini glielo impedivano. Jebediah lo liberò dalla morsa.
«Ci tieni o no?»
Isaac annuì.
«Allora possiamo metterci d'accordo. Il nuovo arrivato, lo spilungone... hai capito chi dico?» Isaac annuì. «Non deve lasciare la città.»
Isaac fece per dire qualcosa, ma Jebediah l'anticipò.
«Lo so che stai pensando, e hai ragione. Ѐ un tipo pericoloso. Ma è solo un uomo. Ti basta trovare il momento giusto. Un colpo in testa e ce lo siamo tolti dalle palle.»
Isaac aprì bocca, ma ancora una volta Jebediah lo anticipò.
«Se non vuoi, mica ti obbligo. Ti rimetto il cappio e ti tengo qui mentre quelli ti aprono la pancia e si spartiscono quello che c'hai in corpo.»
Spolliciò verso il gruppo di morti che si avvicinava.
«Decidi tu.»
Isaac provò a dirgli che avrebbe fatto tutto quello che voleva, bastava che gli tenesse lontano quei mostri, ma non riusciva a parlare. Iniziò allora a gesticolare.
«Non ti capisco.»
Isaac gesticolò con più foga: puntò il dito verso il gruppetto pencolante, poi scosse la testa con energia. Quando Jebediah si accigliò, giunse le mani come se pregasse e, messosi in ginocchio, iniziò a dondolare come in preda a un'estasi religiosa.
Jebediah sorrise.
«Ti sto pigliando per il culo. Non serve che apri bocca, ti leggo in quella testa di cazzo. E poi non puoi parlare. Questo è uno di quei sogni dove non molli un fiato neanche se ficchi l'uccello in un tritarifiuti. Lo sai cos'è un tritarifiuti? Chiedilo a Tootsie.»
La mandria di morti era più vicina. Isaac se ne accorse e ricominciò a dondolare, le mani giunte.
«Sai che sei un cagacazzi?» fece Jebediah.
Si rivolse ai morti parlando loro in una lingua gutturale, le cui parole Isaac non riuscì a intendere. Sembravano suoni mischiati a lettere buttate un po' a caso. I morti udirono la sequela di insensati colpi di glottide e arrestarono la propria avanzata, restando a ciondolare sul posto, a una manciata di metri da Isaac.
«C'è mancato un pelo di figa», fece Jebediah. «Ricordati quello che ci siamo detti. E mo' che ti svegli non pensare che è stato soltanto un sogno. Se non mandi al Creatore lo spilungone, io e i miei soci, qui, veniamo a cercarti e ti mangiamo cuore, fegato e intestini. Entiende?»
Isaac annuì.
«Voglio fidarmi. E adesso svegliati.»
Come? avrebbe voluto chiedere Isaac.
«Il metodo più efficace è prendersi un bello spavento», disse Jebediah. Si abbassò di scatto e sollevò le braccia. «BUH!»
Isaac arretrò, spaventato, ma restò imprigionato nella palude del sogno. Jebediah si mise dritto e lo guardò con fare pensoso.
«Mmm... forse ci vuole qualcosa di più forte.»
Si rivolse ai morti e sfornò altri versi gutturali. Quelli si agitarono. Le teste di Abigail ed Ezequiel vibrarono incazzate. I bulbi oculari, impegnati a sciogliersi, caddero nelle orbite come grumi di gelatina. Senza Faccia dondolò quella sua testa a forma di cucchiaio.
Alla fine si rimisero in moto come se i singhiozzi di Jebediah avessero dato loro la carica. Isaac li vide arrivare e gli parve che fossero più rapidi. Provò a mettersi in piedi ma scoprì che non poteva, e non perché il sogno glielo impedisse. Quando si guardò le caviglie, le trovò imprigionate tra dagli intestini di Jebediah.
«Così ci sbrighiamo prima», disse Jebediah.
Isaac si allungò e cercò di liberare le caviglie dai quei vermi spessi e insanguinati. Non riuscì a smuoverli neanche di poco. Erano come i tentacoli di una piovra.
«Fai il bravo, che dura un attimo.»
I morti accerchiarono Isaac. Le loro ombre si fusero e lo ricoprirono come un sudario semovente.
«Ricorda quello che ti ho detto», fece Jebediah.
Pronunciò una parola, che somigliava più a un colpo di glottide condito di lettere, e il capannello di mostri calò su Isaac.
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