* * *

Il saloon era ampio e affollato. Al confronto, quello di Golgota era un monolocale. Richie si guardò intorno: tavoli coi giocatori armati di carte e sigari, puttane in giro per la questua e pure un banco con una roulette. Le voci degli avventori si accavallavano in una cacofonia che, dopo i silenzi sperimentati sulle montagne, era quasi traumatica.

In fondo al locale c'era una scala che portava al secondo piano. Richie si avviò. Una puttana gli si parò davanti.

«Sei nuovo? Non hai una faccia conosciuta, e io conosco tutti», disse.

«Ci credo che li conosci», fece Richie.

«Ti vuoi divertire?»

«C'avevo una mezza idea.»

«Bene, perché mi sono appena liberata.»

«Che culo, però cercavo una tipa bionda con la mercanzia bella in vista.»

La maschera di cordialità della donna crollò. Il sorriso allusivo divenne una mezzaluna rovesciata e la posa sciolta si fece rigida di colpo.

«Ma che diavolo ci trovate in quella sgualdrina?» sbottò.

Spintonò Richie, menandogli una spallata bella vigorosa, e passò oltre.

«Mi sa che si è offesa», fece un tizio che aveva assistito alla scena.

«Mi sa pure a me», fece Richie.

«La tipa che stai cercando si chiama Loreena. Chiedi al barista, ti apparecchia lui.»

«Grazie, amico.»

Raggiunse il bancone e chiese al barista di Loreena. L'uomo annuì, si tolse lo stuzzicadenti di bocca e urlò a una puttana: «Caroline! Avvisa Loreena che c'è un cliente!»

Caroline reagì con una smorfia, come la tizia che aveva spintonato Richie, ma obbedì senza fiatare.

«Ti avviso io quando è pronta», fece il barista. «Intanto fatti un drink, offre la casa.»

«Siete sempre così gentili da queste parti o è solo con gli stranieri che fate moine?» chiese Richie.

«Se uno si trova bene poi torna. E se torna è capace che poi qua ci rimane, e a noi non dispiace.»

Versò a Richie due dita di torcibudella.

«Alla tua», fece Richie, accennando un brindisi.

Il barista rispose con un cenno del capo. Richie buttò giù e fece una smorfia.

«'rca troia, 'sta roba è dinamite.»

«Niente male, eh?» fece il barista.

«Se scoreggio saltiamo tutti per aria.»

«Hai uno strano modo di parlare. Da dove vieni?»

«Golgota.»

«Mai sentita.»

«Vorrei vedere, è un foruncolo sul culo di una chiattona. È un miracolo che le tempeste di sabbia non l'hanno seppellita.»

«È per questo che te ne sei andato? Per le tempeste di sabbia?»

«Non me ne sono andato, poi ci ritorno. C'avevo bisogno di passare un po' di tempo in un posto dove sei sicuro che, quando la mattina ti alzi, non rischi di finire impanato come una cotoletta.»

Il barista si accigliò un attimo. Accennò poi un sorriso forzato, come se avesse capito, e lo stuzzicadenti viaggiò da una parte all'altra della bocca.

«Vado a vedere quanto ci mette Loreena», disse. «Se vuoi farti il secondo giro, approfitta pure.»

«Senz'altro.»

L'uomo si allontanò e Richie intuì che s'era allontanato con una scusa. Era talmente palese che anche uno con mezzo cervello se ne sarebbe accorto. Forse il suo frasario lo aveva messo a disagio. Anche la gente di Golgota, all'inizio, sembrava parecchio interdetta dal suo modo di esprimersi.

Al diavolo, si disse, e mandò giù un altro bicchierino.

Aveva scordato cosa volesse dire sentirsi una mosca bianca. A Golgota aveva trovato una sua dimensione, riuscendo persino a contagiare qualcuno. Certi avevano iniziato a usare le stesse espressioni gergali che usava lui, forse perché le trovavano divertenti o forse per sfotterlo, chi lo sa, e lui aveva fatto altrettanto con loro. Ora, dovunque andasse, avrebbe fatto i conti con quella sua diversità. Non che la cosa lo spaventasse – zio Jacky diceva che aveva la faccia come il culo, intendendo che avrebbe potuto cavarsela in qualunque situazione, per quanto scomoda fosse –, ma era una gran rottura ricominciare tutto da capo.

Il barista tornò con buone nuove.

«Sali le scale. È la terza porta a destra», disse a Richie.

Richie lo ringraziò per i drink e si allontanò. Ringalluzzito dalla bevuta e da quello che l'aspettava di sopra, saltellò su per le scale, raggiunse la porta e bussò.

«Avanti», disse una voce, morbida come seta.

Richie aprì e si ritrovò davanti la tipa che aveva visto quando erano entrati in città. Si era tolta il corpetto. Ora aveva una camicia da notte trasparente. Si vedevano i capezzoli e il monte di venere. Richie restò a contemplarla con le labbra leggermente dischiuse.

«Hai intenzione di restare lì impalato tutto il tempo?» fece la donna.

Richie si riebbe, entrò e chiuse la porta.

«Sei uno dei tre nuovi arrivati o mi sbaglio?»

«Non sbagli», disse Richie, e tossì fuori il rospo che gli si era impigliato in gola.

«Rilassati», fece la donna, avvicinandosi e mettendogli un braccio intorno alle spalle.

Prese a carezzargli il petto. La mano scese fino allo stomaco e si fermò sopra la cinta.

«Perché non ti metti comodo?»

Richie occhieggiò le grosse tette e i capezzoli che premevano sul tessuto della camicia da notte, e il suo compagno calvo prese a capocciate la patta dei calzoni. La donna lo accompagnò fino al letto e lo fece sedere, quindi gli si accomodò accanto.

«Sei teso come una corda per il bucato.» La mano scivolò con naturalezza sull'interno coscia di Richie e risalì lenta. Loreena avvicinò le labbra all'orecchio di Richie e sussurrò: «C'è qualcosa in particolare che gradisci?»

Il compagno calvo di Richie menò un'altra capocciata, come a dire che gradiva qualsiasi cosa Loreena gli avrebbe fatto. Lei se ne accorse e rise. Gli prese la mano, se la portò alle labbra e gli succhiò l'indice, poi gli spuntò il bottone dei calzoni. Richie iniziò a sudare.

«Rilassati», gli disse Loreena.

Fece scivolare la mano nei calzoni e carezzò il rigonfiamento nelle mutande. Gli schioccò qualche bacio sul collo, si fermò e s'allontanò.

«Sicuro di star bene? Stai sudando come un porco scannato.»

«Devo aver esagerato col whisky», disse Richie.

In realtà, ora che lei glielo faceva notare, si sentiva accaldato. Forse non aveva smaltito del tutto quella bottiglia che s'era scolato durante il viaggio.

Loreena gli toccò la fronte.

«Ma porca... sei più caldo di un forno a legna.» Saltò in piedi e corse alla porta, la spalancò e urlò: «Angus!»

Da giù: «Cosa?»

«Il tizio che m'hai mandato sta male!»

Passi concitati su per le scale. Loreena si scostò e sulla soglia apparve il barista, che vide Richie seduto, il pantalone slacciato e un'aria imbambolata.

«Che ha?» chiese a Loreena.

«Mi hai preso per un dottore? Che ne so, suda come un porco e brucia peggio di una stufa.»

«Meglio portarlo da Doc.»

Schizzò verso Richie, gli abbottonò i calzoni e l'aiutò a mettersi in piedi.

«Ce la fai a star su?» gli chiese.

Richie annuì e un secondo dopo le ginocchia cedettero per un attimo. Il barista lo acchiappò prima che cadesse, gli prese un braccio e se lo buttò sulle spalle, poi gli cinse un fianco e l'aiutò a uscire. Fece le scale e ignorò gli avventori che gli chiedevano cosa fosse accaduto e quelli che pigliavano per il culo Richie. Chiese a un ragazzotto dalla faccia butterata di sostituirlo al bancone e uscì in strada. Risalì la Via Maestra e arrivò in vista della baracca di Doc. Bussò. Aprì un uomo alto e stempiato, con una pancetta educata e gli occhi vispi.

Si fece da parte e lasciò entrare i due uomini, poi chiese ad Angus: «Che gli è successo?»

«Bella domanda. Stava su con Loreena e di colpo si è sentito male», fece Angus.

«Mettilo sulla lettiga.»

Angus poggiò Richie sulla lettiga e si fece da parte. Richie si afflosciò subito. Doc gli sollevò le gambe, le poggiò sulla lettiga e prese a visitarlo. Gli tastò la fronte e mormorò qualcosa. Poi, senza voltarsi, disse ad Angus: «Ti spiace portarmi un panno bagnato?»

Il barista pigliò uno straccio che trovò accanto al catino, lo inzuppò d'acqua e lo portò al medico, che lo esaminò e lo allungò di nuovo all'uomo.

«Prima devi strizzarlo.»

Angus lo strizzò nel catino e il medico lo posò sulla fronte di Richie. Gli sbottonò la camicia e gli auscultò il petto, poi si accorse di qualcosa. Prese la mano di Richie. Notò che l'indice era gonfio e arrossato, e c'erano due segni come di punture di un qualche insetto, forse, ai lati del polpastrello.

«Questi come te li sei fatti?» chiese a Richie.

Richie mormorò qualcosa.

«Che ha detto?» fece Angus.

«Cose senza senso. È la febbre», rispose il medico. Rifletté un attimo, quindi si voltò verso il barista. «Dovresti farmi un favore.»

«Ho lasciato il locale in mano a Sam...»

«Il locale può aspettare, il nostro amico no. Vai da Maureen, dille che ho un tizio con la febbre alta che è stato morso da qualcosa, e che ho bisogno di uno dei suoi infusi e di una sua Pietra della Luna. E dille di fare in fretta. Tutto chiaro?» Angus annuì. «Allora fila.»

Angus uscì di corsa mentre il medico restava ad accudire Richie. Schizzò fino alla baracca di Maureen e prese a bussare come un forsennato.

«Un secondo!» disse una voce dall'altra parte.

Il barista attese il secondo e riprese a bussare, stavolta con più foga.

«Arrivo! E che maniere! Che sarà mai tutta 'sta fretta!»

La porta si aprì e una donna anziana e bassina, la pelle del colore di un mattone e una ragnatela di rughe poco marcata in volto, apparve sulla soglia.

«Angus McHarrigan», disse la donna. «A momenti mi butti giù la porta.»

«Mi spiace...» fece l'altro, riprendendo fiato.

«Ti inseguono i pellerossa, per caso?»

Angus le spiegò la faccenda. Maureen lo invitò a entrare e, senza aspettare che l'altro venisse dentro, filò in cucina.

«Mettiti comodo, ci vorrà un po'», disse mentre spariva in cucina.

«Doc ha detto...»

«Ho sentito, non sono mica sorda, ma non sono più un fulmine di guerra. E poi è un secolo che non preparo uno di questi intrugli, perciò sta' zitto e non mettermi fretta, che rischio di sbagliare.»

Angus si accomodò e attese in silenzio. Dalla cucina gli giungevano i passi strascicati di Maureen. Ogni tanto la sentiva mormorare tra sé e sé.

Dopo quella che parve un'eternità, la donna uscì dalla cucina.

«Bene, nell'attesa conviene fare quattro chiacchiere», disse, prendendo posto accanto ad Angus.

«L'infuso...»

«È sul fuoco, rilassati. Un paio di minuti ed è pronto. Chi è questo tizio che sta male?»

«Non lo so... è da poco sbarcato in città. È venuto al saloon e ha chiesto di Loreena. Gli offro da bere e lo mando su, e dopo neanche cinque minuti Loreena mi chiama perché quello sta male.»

«Starà meglio non appena manda giù un po' del mio brodo», disse Maureen.

Era rilassata come un cane disteso pancia all'aria.

«Vuoi sapere cosa ci metto?» E prima che Angus potesse rispondere: «Mi ero completamente scordata come si prepara, meno male che ho l'abitudine di scrivermi le cose. Ho certi gessetti che ho comprato da Matt Faber – chissà lui dove li prende – e ogni tanto ci scrivo le robe che rischio di scordare, che non sono poche. Ho riempito le pareti della cucina. Giuro che non c'è spazio neanche per metterci un chiodo. Dovrei decidermi a comprare una lavagna come quella che la Clayton usa per insegnare le addizioni e le sottrazioni ai marmocchi, ma mi sentirei ridicola con un affare del genere in casa...»

Quando Maureen attaccava a blaterare non c'era verso di farla smettere. Mai vista una pellerossa parlare tanto e tanto in fretta.

«... la ricetta era in basso, a uno sputo dal pavimento. Ci credi? Non so come ci è finita, devo averla scritta qualcosa come un secolo fa, quando riuscivo ancora a chinarmi e a rimettermi dritta senza paura di bloccarmi e rimanere rigida come un ciocco di legno...»

Il fischio del bollitore interruppe Maureen.

«Ci siamo», disse, alzandosi.

Sparì in cucina. Quando tornò aveva una tazza di legno dalla quale saliva un serpentello di vapore.

«Vedi di non farlo cadere», disse porgendola ad Angus. «E bada che la beva tutta, anche se non vorrà per via del sapore.»

A quel punto si cacciò di tasca qualcosa. Angus vide che si trattava di una pietra bitorzoluta e bianca come un osso. «Doc sa come usarla», disse Maureen, prima di ficcarla in una delle tasche di Angus.

Lo accompagnò alla porta. Angus uscì in strada e tornò alla baracca di Doc. Non poteva correre, perché avrebbe versato mezzo infuso lungo la Via Maestra, e gli parve di metterci un secolo. Quando arrivò, Doc stava bagnando lo straccio. Vide Angus, mollò lo straccio e gli andò incontro. Prese l'infuso, sollevò la testa di Richie con la mano libera e glielo fece bere fino all'ultima goccia. Richie si lamentò, ma Doc ignorò le proteste e lo costrinse a ingurgitarlo.

«Mi ha dato anche questa», fece Angus, porgendo al medico la pietra.

Doc la prese e prese anche un coltello. Tagliò un poco la pelle intorno ai morsi del ragno e, quando il sangue cominciò a sgorgare, posò la pietra sulla ferita. Angus vide che da bianca diventata scura.

«Assorbe il veleno», spiegò Doc, vedendolo interessato.

«Quindi si riprenderà?» chiese Angus.

«Aspettiamo e vediamo. Le diavolerie di Maureen non hanno mai fatto cilecca, e non vedo perché dovrebbero cominciare ora.»

Guardò Angus e lasciò andare un sorriso.

«Grazie dell'aiuto. Ci penso io a restituire tazza e pietra a Maureen.»

Angus sloggiò dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Richie, che si era assopito. Quel beone gli risultava simpatico. Aveva un modo di parlare ancor più bizzarro di quello che usava Maureen, ma sembrava un tipo a posto.

Tornò al saloon augurandosi che Sam non l'avesse mandato in malora nel poco tempo che era stato al timone. Alle volte quel ragazzo gli dava da pensare. Forse il Buon Padre s'era distratto un attimo mentre gli plasmava il cervello.

Doc si tolse la giacca e coprì Richie. Raggiunse un angolo della stanza dove stava un piccolo comodino. Aprì l'anta, pigliò la bottiglia nella quale galleggiavano quattro dita di torcibudella e sedette in poltrona.

Visto che doveva aspettare...

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