Epilogo

Sin da quand'ero piccola, avevo sempre saputo ciò che avrei voluto fare da grande, quello che sapevo che mi avrebbe reso felice.
Ahimè, non sempre le cose vanno come avevi immaginato, ma questo non significa che vadano in modo peggiore, semplicemente sono diverse da come credevi.

Sorrisi, ripensandoci, perché se tutto fosse andato come pensavo, come volevo, non mi sarei mai iscritta a medicina. È strano accorgersi di quanto una manciata di mesi possano cambiare qualcuno, eppure appena un anno prima non avrei avuto idea che sarei voluta diventare reumatologa per votare la vita ad aiutare chi, come me, aveva visto la propria quotidianità scivolargli fra le dita.
La strada sarebbe stata lunga, a maggior ragione col dolore perenne che a volte sembrava durare settimane intere, però ero motivata. La mia iniziativa, proposta al vicepreside del liceo alla fine dell'anno precedente, era stata accettata e, nonostante sapessi che una piccola campagna di sensibilizzazione alle malattie invisibili non avrebbe fatto tanto, il cuore mi scoppiava di felicità.

Complice dell'allegria che negli ultimi giorni mi permeava da capo piedi, probabilmente, era anche la sudata diagnosi che ero
riuscita ad ottenere.
Quando ero tornata a casa, strillando di gioia, avevo appeso quel foglietto spiegazzato sulla testata del letto e da allora lo riguardavo sempre prima di addormentarmi.
Dee e io, dopo il nostro periodo di pausa ( sì, lo so, a volte sembriamo una vecchia coppia sposata ) , avevamo anche ripreso a vederci con una certa frequenza e il nostro rapporto, da sempre piuttosto particolare, cresceva come una piantina rigogliosa.
Quella sera stessa ci saremmo incontrate al Flavor Fusion, un piccolo ristorantino nei pressi del paese.

Mentre ci passavo davanti, diretta a casa dopo un'estenuante giornata di lezioni e una lunghissima corsa in autobus, notai qualcosa che mi fece voltare lo sguardo.
O meglio, qualcuno.

Vincent, del tutto e per tutto identico all'ultima volta che l'avevo visto se non per un lieve accenno di barba non rasata, sedeva a un tavolo con un'espressione felice in volto.
Il cuore mi saltò un battito quando notai che non portava la felpa e che, mettendo in mostra le cicatrici, portava fieramente una t-shirt morbida.

Chiusi gli occhi per un istante, ripensando a quel fatidico giorno in cui avevo deciso di rovinare le nostre esistenze. Col senno di poi, sapevo di aver fatto la cosa giusta sia per me che per lui,  ma sul momento sentivo solo il cuore lacerarsi contro il petto e le orecchie che fischiavano mentre lacrime bollenti mi scorrevano in viso.
Non ci eravamo concessi nessun bacio d'addio e i nostri corpi erano rimasti lontani l'uno dall'altro per tutta la conversazione, nonostante io fremessi per abbracciare la sua figura tremante.
All'ultimo momento, mentre già i miei piedi mi stavano costringendo a prendere la strada opposta alla sua, la mia testa mi aveva suggerito di afferrarlo per la manica della giacca e così ci eravamo ritrovati uno di fronte all'altra, a una distanza pericolosamente infinitesimale.
Mentre i nostri occhi si bruciavano a vicenda, ghiaccio contro miele, avevo incorniciato il suo volto con una mano.

“ Se mi aspetterai, Vincent, sappi che sarò tua.”

Avevo abbassato lo sguardo sul suo collo, spostandolo poi sui piercings alle orecchie.

“ E se anche tu volessi essere mio, qualunque cosa tu deciderai di fare, comunque, io ti aspetterò” avevo concluso.

Lui aveva scavato nella mia anima, aveva smosso mari e montagne con un solo sguardo di fuoco, mi
aveva incendiata dentro e, solo dopo, si era mosso.
Per un meraviglioso e terribile attimo avevo pensato che volesse baciarmi sulle labbra.
Scoccandomi un bacio leggero sulla fronte, invece,
aveva sussurrato: “ Addio, Bella Addormenta” e dopo, senza girarsi indietro, era sparito fra le vie della città.

Quando, dopo quello che mi era sembrato meno di un istante, riaprii gli occhi trovai un paio di iridi azzurro ghiaccio puntate su di me.
Le sue pupille ripercorsero tutto il mio corpo, vagarono sulle mie braccia e il mio sguardo, si soffermarono sul caschetto ondulato che iniziava già a ricrescere. 
Vincent mi sorrise da lontano e io non potei trattenermi dal sorridere a mia volta.
Una cupa stretta al cuore mi avvertì di soffocare ogni speranza, di notare la ragazza seduta al tavolo accanto a lui mentre questa, incurante della mia presenza, gli parlava animatamente come se non fossero in gruppo ma fossero rimasti da soli.

Sentì qualsiasi sentimento stesse venendo a galla essere rispedito ovunque lo avessi conservato per tutto quel tempo e all'improvviso ebbi le gambe fatte di melassa.

Era rammarico quello che provavo?

Mentre mi avviavo per la mia strada, sentii lo sguardo di Vincent seguirmi attentamente e seppi, seppi per certo, che anche se separarmi da lui mi era costata la mia occasione di sperimentare l'amore, non avrei potuto fare altrimenti.
Era stata una follia, ne ero consapevole, eppure ero anche sicura che darci del tempo per conoscere noi stessi, per accettarci, fosse stata la migliore decisione della mia vita.

Ripensandoci dopo tutto questo tempo, forse sono stata proprio una scellerata ma ,d'altronde, se è vero che il dolore rende pazzi, io, che l'ho conosciuto molto presto e ho sentito le sue spire stringermisi intorno e intrappolarmi, dovrei già essere impazzita.












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