quattordici
Dwight si era procurato diversi vestiti femminili. O meglio, Molly e alcune delle altre ragazze dell'Amnesia gli avevano regalato una busta di abiti destinati a te: gonne con talmente poca stoffa da non coprire nemmeno le cosce, biancheria intima striminzita di materiali che irritano la pelle, persino un pantalone in latex di qualche taglia più grande e dunque inutile. E in fondo, un po' come degli scarti trovati all'ultimo minuto, c'erano un paio di jeans, una gonna a portafoglio e delle canottiere normodotate di stoffa. Senza dubbio la tua scelta è ricaduta lì, negli ultimi due giorni.
Allacciando i bottoni della gonna e rassegnandoti all'ennesima notte da fuggitiva in cui a malapena avresti chiuso occhio, ti sforzi di pensare a come l'indomani avreste portato avanti il vostro piano. Sembra buono, più di quanto lo siano stati i tuoi fino ad ora. Sebbene risulti difficile ammetterlo, Dwight ti è stato di grande aiuto e ancora adesso fatichi a credere a quel che è accaduto dopo aver sfiorato la morte in casa di suo padre. Sulle prime eri diffidente - in verità lo sei tutt'oggi - ed era colpa degli anni in cui hai dovuto badare a te stessa e ai tuoi problemi, senza che nessuno ti tendesse la mano. Tua madre, per quanto fosse disposta a lottare per te con unghie e denti, si è ritrovata colpita dal potente rinculo di un fucile con cui ha sparato per tutta la vita. Come si suol dire: raccogli ciò che semini. E lei, la volpe bianca, ne è la perfetta rappresentazione. Lei ha fatto i conti con tutti i suoi nemici, nessuno escluso.
Eppure, il ricordo della leggenda di tua madre e del suo atroce destino non sono sufficienti a farti concentrare. In particolare, non sono sufficienti a farti dimenticare la stanza 120 e chi vi dorme al suo interno. Un brivido ripercorre la tua spina dorsale solo a inquadrare nella tua mente il volto del giovane moro. Avresti dovuto dirlo a Dwight, fargli presente di aver avvertito in quella persona qualcosa di ambiguo, di minaccioso e del consiglio che egli ti aveva dato in merito alla scelta delle stanze. La vista di cui tanto parlava era la zona nord della città, lì dove sulla collina ergeva la villa dei Kray in lontananza. Quando l'hai notata affacciandoti alla finestra hai sentito un forte desiderio di rigettare la tua misera cena sul pavimento dell'hotel. In cuor tuo sai che l'uomo che giace nella camera di fronte alla vostra è il sicario mandato da Roger. Eppure, non vuoi dar retta alla ragione, vuoi illuderti di aver torto e di non esserti infilata nella sua trappola di tua spontanea volontà.
Davanti al moro che ti scruta l'anima guardandoti nello specchio del bagno, ti rendi conto di esser sopraffatta da uno stato di disagio non trascurabile. È come se lui fosse realmente con te, presente nell'aria circostante e si diffondesse attorno al tuo corpo. Si fa pesante come una cappa di vetro di cui non puoi liberarti e che ti porti appresso per tutto il bagno. E se pensi che sia colpa dell'umidità post-doccia, ti sbagli di grosso. Nemmeno una volta aperta la porta ti abbandona, anzi, si fa insostenibile. Ma allora cos'è che ti rende nervosa? Perché il tuo corpo reagisce così? A pensarci bene è da quando hai decapitato quel poliziotto che senti un brivido ghiacciato scivolarti lungo la schiena. E dunque qual è la fonte? Che tu stia cominciando ad avvertire del senso di colpa?
Nah... è impossibile.
La risposta alle tue domande giunge inaspettata e a procurartela è la semplice fiamma di un accendino. Illumina un volto nell'angolo della stanza, è giovane e - merda! - ora che lo guardi di nuovo cominci a sospettare sulla sua identità. Non c'è bisogno che quel debole ciuffo di fuoco si protragga nel tempo, anche perché dopo la notizia della morte di Molly non ti è difficile comprendere chi sia il vostro sicario, l'uomo incaricato ad eseguire la tua condanna. Ed è furbo, è una scelta maledettamente geniale perché sembra aver pensato proprio a tutto. Quando infatti la tua mano raggiunge l'interruttore, scopri che questo non funziona e realizzi di esser completamente e irrimediabilmente fottuta. Il tuo occhio sano si ritrova costretto a lavorare anche per quello malato, non distingui bene le forme, ogni oggetto è stato privato dei suoi bordi a causa della pochissima luce che filtra dall'esterno, attraverso le serrande chiuse. L'uomo che siede sulla poltrona e fuma lo sa. Chissà da quando vi segue, chissà quanti passi è avanti a voi.
"Codardo." Sussurri in risposta al buio, provocando un sorrisetto nel ragazzo che, però, tu non puoi vedere. La sua voce, invece, ti arriva forte e chiara.
"Incosciente." Risponde lui, facendo chiaro riferimento alla richiesta della camera 101."Preferisco non rischiare." Prosegue poi, causando una risposta istintiva che ti sfugge di bocca, provocatoria, pungente, ancor prima di riuscire a bloccarla.
"Non sai che ti perdi." E chi meglio di te potrebbe dirlo? Rischi sei volte su cinque, non ti accontenti mai, sei alla costante ricerca di un terremoto che mantenga il caos. È ormai chiaro sia il tuo unico metodo di sopravvivenza, il più infallibile. Che sia questo il segreto delle nove code delle volpi? Che sia questo il motivo per cui non riescono a farti fuori?
È una cosa che odi, la perdita quasi totale di uno dei cinque sensi, soprattutto se in presenza di un nemico pronto ad attaccare. Colin Kray ti osserva, senti l'intensità delle sue iridi su ogni centimetro del tuo corpo. Non c'è malizia, ma curiosità. Ti guarda come se facessi parte di una specie rara, in via d'estinzione. E al tempo stesso avverti il suo desiderio di farti a fettine e portare i tuoi resti dal padre.
"Lui dov'è?" Domandi, sola come mai ti sei sentita in vita tua. Senza Dwight al tuo fianco in quella lotta, non sei più così presuntuosa. Lo avevi previsto: in presenza del mostro cattivo non avresti performato come tuo solito. Ora comprendi il motivo della reputazione che precede Colin. Povera Molly. Chissà come si è sentita ad appartarsi con lui, a sentire l'intero universo abbandonarla nel momento del bisogno e cadere in quel cratere profondo che precede la tortura. Perché è quel che si prova: non sai cosa abbia di speciale Colin Kray, ma emana l'odore del pericolo, ti getta nella consapevolezza che tra l'incontro e la morte dovrai affrontare un'interminabile sofferenza. E non osi immaginare come sia guardarlo negli occhi in quel frangente, se tu in tali condizioni ti senti trascinare all'inferno solo a sapere di averlo tra le stesse quattro mura.
"Sei preoccupata per un Kray?" Colin china di lato la testa, un debole cenno di perplessità, come un cane da caccia che sente il suono di un giocattolo nuovo, capace di distrarlo dall'obiettivo. Tu sei ignara di quel movimento.
Non sai se il suo tono incredulo sia sintomo di un pensiero espresso erroneamente ad alta voce o se Colin stia attendendo risposta, ma non è quel che otterrà e il silenzio che torna a riempire lo spazio tra voi ne è la prova. Si dilata, tanto che una gocciolina di sudore freddo si avvale di quel tempo per scivolare sulla tua fronte. E poi, finalmente, il giovane Kray si muove nell'ombra provocando sussurri di oggetti inanimati. Senti chiaramente il tappo di una bottiglia svitarsi, una piccola cascata d'alcol trovar riposo nel letto d'un bicchiere e poi richiudersi e depositarsi su d'una superficie solida. Deduci si tratti di Gin. Lo avete trovato nell'angolo delle bevande, un ripiano insignificante e strabordante di bottiglie tutte uguali e bicchieri da shot. E solo infine, il suono pesante del metallo mette in allerta le tue orecchie.
Una pistola giace ora sul tavolo.
"Nana." Riprende a parlare con timbro deciso. Avverti persino un velo d'ironia nella sua voce. "Hai ucciso davvero tanta gente. E, come potrai immaginare, io sono qui per fermare questa carneficina; non posso permetterti di mettere la mia città a soqquadro." Autoproclamatosi possessore di Dustville, come se non fossero in ballo vite umane, continua recitando il copione così com'era stato scritto. "Ma lasciami dire che non è un compito facile per me. Trovo sia uno spreco di talento, giustiziarti, a differenza di mio padre. Ciononostante..."
"Ciononostante, non sei tu il capo. Non prendi tu le decisioni." Lo interrompi per metterti ancor più a repentaglio con una provocazione che sfoggi anche fiera, sorridente e col mento ben alto, in attesa di una reazione che non arriverà mai. È paziente, è controllato, ma se lo pensi è solo perché non riesci a vedere i suoi muscoli irrigidirsi: la mascella contratta, le labbra sigillate tra i denti, il petto gonfio che si svuota pian piano per mantenere una respirazione regolare e la mano... una mano delineata da due vene in particolare, in procinto di esplodere a causa della stretta presa che infligge al bicchiere. Tu non puoi saperlo, ma hai colpito in pieno centro.
"Il fatto è che ha ragione quando dice che sei la sua copia sputata. E questo potrebbe provocare molti più danni qui a Dustville, lo capisci?" No, non lo capisci, non sai nemmeno perché l'abbia messa in mezzo in quella discussione. Ma non devi aspettare troppo per comprendere che la sua risposta è volta a un fine più grande. Diamine, la tua provocazione dev'esser stata davvero efficace per ottenere una simile minaccia. "Sebbene io sia convinto che finirai come lei... insomma, è inevitabile."
Come lei? Finalmente hai una ragione per sorridere, scettica alle sue parole, tant'è che pronunci la tua domanda scandendo bene il labiale. "Morta?"
"No." Risponde lui con aria saccente, togliendoti il ghigno dal volto. "Eremita. Ma anche lasciando la città rimarresti un nostro problema."
Eremita, ripete la tua coscienza. Quel pugno al cuore non te l'aspettavi proprio. Sul tuo viso si legge ogni segno di terrore misto a sconforto. Se stavi per scoppiare a ridere, convinta che Colin conoscesse l'epilogo sbagliato, ora sei una statua di cera pallida e incapace anche solo d'alitare un respiro. Come ha scoperto un tale segreto? Che informatori può avere per esser riuscito a seguire le sue tracce? Saprà anche dov'è nascosta o è ancora in corso d'indagine? Con tutta la fatica che hai fatto per tenere la sua scomparsa nascosta sotto il tappeto, anche con Dwight, dinanzi alle farneticazioni del vecchio giapponese in negozio! E poi è arrivato Colin, con una faccia da schiaffi che non vedi, e ha lanciato la bomba come se niente fosse.
Quel bastardo ti ruba il sorriso e se ne appropria. Lascia il bicchiere sul tavolo nell'angolo e poi si alza in piedi per avvicinarsi a te. Lento. Come la morte che avanza. Il ritmo dei suoi passi rimbomba nelle tue viscere sempre più intenso. "Ho bramato. Questa reazione." Gutturale, la sua voce è colma d'eccitazione. Rallenta, dilata le parole con lo scopo di schiaffeggiarti ad ogni sillaba. "Per. Mesi." Quattro lettere che strisciano fino alle tue orecchie, trionfanti e agghiaccianti. Ti mette i brividi. Vorresti ucciderlo con le tue mani, fermare quella sensazione di disagio con il più selvaggio dei metodi perdendo la tua umanità, quella che ti resta. Ma Colin non si avvicina mai abbastanza da consentirtelo. "Tranquilla. Non gliel'ho ancora detto." Eppure, è troppo tardi.
Con un gesto istintivo ti fiondi sul primo oggetto di cui hai ricordo: l'abat-jour sul comodino tra il letto e la porta del bagno diventa la tua vittima, giusto giusto a portata di mano. L'afferri e la scagli contro Colin, che la schiva magistralmente. "Usi mia madre per minacciarmi? È l'unico modo che hai per battermi?" La voce squillante tipica di una Yoshima ferita nell'orgoglio, si solleva nell'aria. "Come osi, tu misero verme, nominare mia madre?" Un urlo liberatorio fuoriesce dalla tua gola mosso dall'istinto, portando alla quiete prima della tempesta. Colin si ferma sul posto, lancia uno sguardo all'arma che hai usato per colpirlo e poi riporta le iridi scure su di te. Sei andata ben oltre la provocazione, hai oltrepassato ogni limite e il giovane dei Kray non è disposto ad accettarlo.
Ti si fionda addosso, un camion ti investe con tanta potenza da non darti modo di reagire tempestivamente. Hai una mano alla gola e, neanche a dirlo, stringe come un pitone affamato trascinandoti contro lo stipite della porta, alle tue spalle. E la botta fa male, ti dà una legnata che prende tutta la schiena e parte della testa, ma il tuo corpo non lo realizza, si rifiuta. È così che trovi il modo di contrattaccare: agitando le mani incontri la sua faccia e con uno schiaffo fai cadere a terra la sigaretta che si era acceso poco fa. Il palmo spinge, schiaccia il suo fetido muso lontano da te, cercando di porre tra voi una distanza sufficientemente ampia da allentare la sua presa. È però il calcio allo stinco a darti una via di fuga più rapida.
Approfitti del debole cedimento prima che torni ad attaccare e stringa più forte la presa, per colpire il braccio che ormai fa da ponte tra i vostri corpi. Ti ritiri, accovacciandoti e dileguandoti a quattro zampe come un ratto, di fianco alle sue lunghe gambe. Eppure continui a non avere la meglio quando riesce ad abbassarsi rapidamente e ad afferrarti una caviglia. È forse persino più frustrante del combattimento con Bobby la bestia. Il suo corpo era una gigantesca armatura di ferro e le sue tecniche di combattimento erano pulite e basate sulla resistenza. Con Colin invece è come combattere con una tua copia più alta e massiccia: agile, selvaggio e serpentino, si arrotola alle tue caviglie con facilità estrema, annodandosi e tormentandoti come nessun nemico aveva mai fatto fino ad ora. E bloccata in quella morsa, più tiri in avanti e cerchi di sottrarti, più cadi, offrendogli su d'un piatto d'argento la possibilità di colpire le zone più sensibili.
Agilmente ti gira a pancia in su e ti blocca le gambe inginocchiandosi su di esse, non prima - certamente - di essersi preso un calcio sulla mascella. Questo gli costerà un bel livido, quantomeno.
La vostra è una lotta fugace, più rapida di quelle a cui sei abituata nel corpo a corpo, seppur confusionaria e preda delle emozioni. E se solo riuscissi a raggiungere la katana sotto il letto, ad appena un metro da te, allora porresti fine a tutto con un colpo di lama. Ma non ti è concesso; una testata, fronte contro fronte, rischia seriamente di farti perdere i sensi, ancor prima che lui si accorga del tuo tentativo di prendere l'arma. Mentre il capo fluttua verso il pavimento con qualche accenno a contrastare la forza di gravità sempre più pesante, distingui un ghigno illuminato da segmenti di luce. Poi il buio incerto della stanza vien sostituito da un arcobaleno di colori che non hai mai avuto l'onore di osservare. Per un istante sorridi persino, beata come non ti eri mai sentita in precedenza, rassicurata dagli sgargianti e avvolgenti colori. Ti chiedi se sia questo l'effetto di un allucinogeno.
Ma l'oblio torna a cullarti, il buio e lo sporco grigio della polverosa Dustville ti risucchiano mentre una sottile e letale corda trova conforto attorno alla tua gola. Devi reagire, non è tempo di cedere al sonno.
Le mani impegnate di Colin rendono le tue libere. Si muovono in cerca di qualcosa di concreto, di materiale, nel raggio di un metro. Non tentano di allentare la morsa, ma ne creano una propria all'altezza dei due buchi neri affamati sopra di te. Riesci a farli chiudere e la corda si stringe di più in reazione alla cecità dell'aguzzino. Un verso soffocato libera la tua bocca nel momento in cui un gemito di dolore libera quella del mostro ed è allora che capisci di aver centrato i suoi bulbi oculari con entrambi i pollici.
L'ossigeno torna violento nei tuoi polmoni, gonfiandoli all'improvviso, graffiandone le membra. Colin si sbilancia all'indietro, seduto sulle tue cosce, pesante come un'intera montagna. È alto, lo ricordi molto alto, ma ora sembra decisamente di un altro pianeta, un colosso gigantesco che ti priva della fuga. Ti agiti, cerchi in ogni modo di liberarti dalla sua presa, mentre le mani ti massaggiano la gola per allievare il dolore che aveva lasciato il ricordo della corda. Poi una risata vibra fino alle tue tempie. Ora che lo hai così vicino ne vedi la stanchezza. Nonostante la brevità del primo round, la resistenza che avete posto è stata talmente intensa da estenuarvi. I profondi respiri che riempiono il silenzio ne sono la prova. Ma non è finita, tu lo sai bene. E per il secondo round vuoi trovarti preparata.
Con uno scatto laterale del busto ti tendi il più possibile verso la katana. Colin ti precede, prova a rigettarti dov'eri, ma sei testarda, non hai intenzione di mollare senza aver dato il cento percento. Così ti dai l'ennesimo slancio, distendi il braccio oltre il consentito e la sfiori. Ne avverti il materiale contro i polpastrelli di indice e medio. Ci sei quasi, riesci a spostarla di qualche millimetro. Ma lui ti afferra dai fianchi. Tirandoti lontana dal letto, la montagna è costretta a sollevarti. È il momento giusto. Non demordi, ti rilanci.
Sei a pancia in giù, sei riuscita a girarti sul pavimento, mentre Colin ha cominciato a tirarti verso di sé e ad allungare il braccio sul tuo per impedirti di afferrare l'arma. Ma proprio quando eri convinta di doverti dar per vinta e che non ti fosse dovuto più nulla al di là della rassegnazione, senti l'impugnatura nel tuo palmo.
Ottimo. Ottima mossa.
E ora?
L'arma è troppo lunga per uscire da lì senza incontrare prima il braccio di Colin. Ed è ancora nel suo fodero rosso. Il mostro ride di nuovo, stavolta più vicino alla tua nuca di quanto sia mai stato. Ti è col fiato sul collo, nel vero senso della parola, e non hai libertà di manovra. Lui lo sa. Se la gode dal suo privilegiato posto in prima fila. "Pensavi di battermi?"
Saccente figlio di buona donna. La lotta non si è ancora conclusa, siete immobili, in una sorta di stallo alla messicana, con la differenza che nessuno punta l'arma contro nessuno ma che ella si trova nella tua mano e ad un passo dalla sua, incastrata sotto un maledettissimo pezzo di mobilio che avrebbe dovuto essere tuo amico, non metterti i bastoni tra le ruote. Eppure Colin sente di aver già la vittoria in pugno. "Credevo che Colin Kray non avesse bisogno di faticare." lo schernisci tu, provocandogli l'ennesima risata nervosa. O che forse si stia divertendo davvero?
I tuoi occhi scrutano la katana, poi poco più in là una forma rettangolare di stoffa morbida blocca la luce e la deforma attorno alla sua sagoma nera. Ti eri dimenticata di lei, della tua unica speranza di liberarti del tuo mostro.
Non sorridi, non esibisci il benché minimo cambio d'umore. Colin ha dimostrato furbizia, non vuoi dargli modo di intuire la tua prossima mossa.
"Neri. Tua madre invece bianchi, perché Gonshiro ha regalato. Era un legame affettivo, simbolico. Ma tu vivi in città di ombre e fumo. Devi agire nel buio." Kudo aveva presentato così i tuoi nuovi kunai. Poi li ha avvolti in una stoffa dello stesso colore e te li ha consegnati con un inchino del capo e un sorrisone sul volto. I kunai. Come avevi potuto dimenticarli?
"Nemmeno tu sembri in forma. Con quel poliziotto eri tutt'altra persona."
Colin annienta i tuoi dubbi con quella frase, l'ammissione della sua presenza all'interno dell'auto del vicolo. Lo avevi salutato, ti aveva agghiacciata, ma ti era piaciuto come riposava nell'ombra da bravo spettatore. Ora sai che avevi ragione: vi ha osservati altre volte.
Dinanzi a tale consapevolezza capisci che non puoi permettergli di sopraffarti e d'un tratto rischi di nuovo; muovi il braccio verso il suo, sfili la katana da sotto il letto e le azioni si seguono rapidissime da parte di entrambi. Colin non aspettava altro che quella mossa.
Così quando la katana torna sotto la fioca luce della stanza, il moro l'afferra, consapevole di non darti spazio per sfoderarla. La spinge contro il letto, la mantiene in verticale e si concentra su di essa, ma la tua seconda mano è astuta e silenziosa. Afferra la stoffa nera sotto al letto, la tira con un fugace colpo di polso e rivela un gran numero di lame nere come la pece. Ne sfila uno e quello basta a cogliere alla sprovvista Colin piantandoglielo nell'addome.
Il moro finalmente barcolla, ma non perde il sorriso. Quel ghigno costante ti fa rabbrividire ancora una volta. E ora che sangue nero tinge la lama ti chiedi che cosa diamine passi per la testa di quel matto. Per un attimo ti convinci che il suo obiettivo non sia ucciderti, che non ci abbia nemmeno provato, ma scrolli il pensiero prima che si diffonda il terrore nel tuo petto.
Tentenna, intestardito non sembra volersi arrendere, ma infine cede. Crolla indietro liberando il tuo corpo e, sebbene tu ci metta un po' a rialzarti per guardarlo con occhi sbarrati, ti sollevi sulle tue gambe indolenzite, afferri la stoffa nera e mantieni ben salda la katana prima di correr via da lì, incredula.
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