due
Della giovane donna dall'apparente candore non v'è più traccia. E ora che ti guardi allo specchio ti rendi conto che t'ha abbandonata da un pezzo. Al suo posto, volto e corpo feriti e tumefatti di una criminale presa a pugni da un bestione. Il gonfiore se n'è andato, ma i segni violacei e le cuciture son rimaste in bella vista. Il segno dell'ennesimo fallimento è lì, sotto la fasciatura, il disgustoso ricordo del vile attacco di Roger Kray. Non ha esitato, non ti ha dato tempo di scappare, né di combattere o resistere ai suoi attacchi. Non ha provato rabbia o odio nel vederti... ha provato disgusto, un disgusto che l'ha spinto a disfarsi di te il prima possibile. Non funziona come nei film, dunque. I cattivi non perdono tempo con frasi cazzute prima di far fuori l'eroe. E la bella eroina di questa storia è stata persino sfregiata, marchiata dal piombo, dai pugni e dai graffi, i quali ti chiedi se mai lasceranno il tuo volto. E la parte peggiore deve ancora venire. Quella non l'avevi notata. Un occhio, quello destro, si è tinto di rosso. I vasi sanguigni sono stati danneggiati probabilmente da quel pugno, o meglio, dalla cannonata che Bobby ti aveva inflitto l'altra sera. La vista non sembra compromessa, ma ti gira la testa e ogni tanto provi fatica a riconoscere i colori che ti circondano. E forse non è neanche dovuto a quella ferita, ma ad altre di cui ancora non sei a conoscenza. Di certo però, che tu abbia un bel faccino non è importante ai fini della storia; se sei sopravvissuta una ragione dev'esserci, un lieto fine, anche se si concludesse con la morte di entrambe le parti, dovrà pur compiersi... costi quel che costi. Ecco perché hai accettato l'offerta di Dwight, senza nemmeno sapere cosa ne avrebbe ricavato.
"Posso farti arrivare a Roger Kray. Posso fartelo incontrare... da solo."
Quella promessa ti ha messo speranza e non hai potuto esitare dinanzi a tale proposta, per quanto incosciente possa dimostrarsi la tua scelta. La ragione ti fa diffidare di quell'uomo, ti dice di stare attenta e non abbassare mai le difese. Il tuo istinto si fida più di lui che di te stessa, il che è pericoloso perché non sai quanta verità ci sia nelle sue parole, in fin dei conti non sai nemmeno cosa sia accaduto nell'ultima settimana e ogni sua parola potrebbe esser stata un'abile menzogna.
Un martello batte contro la porta facendoti sobbalzare. Sono le nocche di Dwight, impazienti al di fuori del bagno. Inizialmente credi si stia solo assicurando della tua salute, che tu non sia svenuta in doccia o cose del genere, ma quando non dice nulla e spalanca la porta comprendi che sta succedendo qualcosa di diverso. E guardando dall'altra parte con educazione, ti comunica con tono controllato e basso che forse il suo luogo protetto non è più così protetto.
"C'è una volante. Stanno controllando il motel." La calma con cui te lo dice è devastante, il nervosismo che dimostra nel farlo innervosisce anche te e a quel punto non puoi che replicare con insolenza. È più forte di te. "Ma non eravamo al sicuro?"
Sul suo volto compare una smorfia di fastidio. Pessimo momento per rinfacciargli di averti dato rifugio. Ti senti immediatamente in colpa dopo tutto ciò che ha fatto, eppure riesci a reprimere quel sentimento mostrando, ad un interlocutore che nemmeno ti guarda, l'espressione più sorniona che possiedi.
"Non lo fossimo stati, non mi avrebbero avvisato." Spiega lui mettendoti a tacere con estrema facilità. E ora che avete discusso di tali idiozie, potete pensare a scappare. Scappare, sì... forse è un po' presto per quello, pensi lanciando un'occhiata alle tue gambe indolenzite. Sveglie sono sveglie ormai, ma le botte che hai preso e la conseguente assenza di movimento potrebbero rivelarsi un problema per la fuga. "Sei pronta?" Domanda liberando l'uscio. Pronta? Lo saresti stata, in ogni caso.
Il posacenere sul comodino avrebbe lasciato le vostre tracce, una presenza che si può odorare stesso nell'aria della stanza, contaminata da nicotina e fluidi corporei. Tu e Dwight siete usciti dalla finestra appena in tempo, nell'esatto istante in cui la chiave ha fatto scattare la serratura. Le tende, ora aperte, svolazzano nel buio della notte, trattenendo a stento la folata di vento che asciuga le perle di sudore sul tuo viso. Dwight ti precede lungo il cornicione. E tu, mordendo l'interno della guancia per sopportare il dolore che ha deciso di ricomparire più forte di prima, lo segui passo dopo passo strisciando con la schiena contro il ruvido muro. Se una cinepresa catturasse la vostra fuga dall'esterno, sarebbe suggestivo e adrenalinico vedere uomini in divisa camminare verso la finestra mentre voi percorrete pericolosamente la sporgenza della parete.
Due finestre più in là, un buco in cui infilarvi. Tu non lo sai, non puoi saperlo e se te lo dicesse faticheresti anche a crederci, perché trovi ancora assurdo che qualcuno abbia deciso di aiutarti, ma quei vetri sono stati spalancati dalla proprietaria del motel. Dwight aveva ragione: quel posto è sicuro e chi lo gestisce è decisamente dalla vostra medesima parte.
L'uomo coperto dall'impermeabile nero si infila silenziosamente nella stanza. Si sporge poi verso di te, tendendoti una mano. Non ti aspettavi tale galanteria, nonostante abbia ampiamente dimostrato di esser un uomo accorto, gentile. Buono. E dunque, proprio con quel gesto inaspettato, ha modo di notare sul tuo volto l'espressione della sofferenza. A seguito di un sospiro affranto afferra il tuo braccio, tira letteralmente il tuo corpo contro il suo e con l'ausilio di entrambi gli arti ti tiene sollevata da terra, come una delicata donzella in pericolo, il tutto proseguendo sulla strada del tempismo perfetto, salvandoti dalla vista del poliziotto che si affaccia oltre l'uscio per controllare che sia tutto regolare. Ti senti umiliata in quella posizione, ti senti piccola e insignificante, una ragazzina incapace di badare a sé stessa... non credi affatto di esserlo, ma decidi che va bene così, che sia giusto che Dwight continui a proteggerti perché in fin dei conti il fine ultimo di tutta quella vicenda è molto più grande del tuo orgoglio. Eppure non puoi star senza far niente e comportarti da zavorra. Così la tua mano torna sul cinturone dell'erede Kray e, sottraendogli la pistola per la seconda volta in un paio d'ore, decidi di prenderla in custodia.
"Ma non hai detto di poter camminare?" Ti scimmiotta in un sussurro, approfittando d'essere ancora nella stanza. Deduci non gli vada a genio la tua iniziativa, che la trovi irritante e che non possa però far a meno di approvarla, avendo le mani impegnate a sorreggerti. Ecco perché ti punzecchia in quel modo. "Sai sparare?" Domanda poi, rivolgendoti un sorriso di scherno. La tua risposta è silenziosa, ma è sufficiente quell'occhiataccia a farlo annuire, sospirare un "ok" e ritirare l'insinuazione.
La porta si apre, il tuo braccio gira attorno al suo collo per prender la mira e sparare dritto in faccia a qualunque poliziotto corrotto decida di venirvi in contro. Il silenziatore sulla canna dell'arma ti avrebbe di certo assicurato una fuga sicura, il peso morto del corpo che crolla a terra invece rappresenterebbe un rischio. È bene che tu sia cauta in questo momento. È bene tu non ti faccia prendere dall'istinto. Quel dannato istinto... quello è colpa dei geni. Non di quel mangia-hamburger di tuo padre, ma della volpe bianca. Tua madre aveva vestito i panni di un temibile sicario per anni, lavorando fianco a fianco con la Yakuza e guadagnandosi un soprannome che tra la gente del posto suona minaccioso come pochi: la kitsune, la leggenda di una donna sensuale, fatale, nonché un'abile manipolatrice. E proprio lei aveva dato alla luce la sua copia identica: te. La sola differenza è che la Yoshima Senior uno come Roger Kray lo avrebbe usato se avesse cercato la tua stessa vendetta, ne avrebbe tratto vantaggio per poi farlo fuori colta da un improvviso capriccio. Non saresti mai stata in grado di eguagliarla, troppo instabile emotivamente per fingere di allearti con un simile mostro, troppo onesta per mascherare le occhiate di disgusto e l'indignazione che stringe i tuoi denti ogni qualvolta tu lo veda.
Con passo svelto Dwight supera l'angolo e un po' di ansia scivola via liberandoti il petto, ma non è finita qui; sono molti i luoghi in cui avreste potuto incontrare uno sbirro e forse persino più d'uno. Ti aspettavi da Dwight, uomo alto e dal fisico prestante, movimenti meno aggraziati. E invece è riuscito a sorprenderti, svincolando ogni divisa, ogni pistola, ogni distintivo, fino al piano terra, lì dove la macchina era già stata preparata. L'arma ti è stata inutile finora; giace nella tua mano anche quando ti deposita sul sedile del passeggero. Ti si posiziona di fianco, infila la chiave ma non accende il motore. Ti guarda. Ti scruta meditando di dire qualcosa che sembra non voler dire. Poi lo ammette. "Mi fido della tua mira." Una confessione che irrigidisce i muscoli del tuo corpo, li sveglia, come una scossa elettrica ricarica le forze. Dolore o no, in qualche modo Dwight è riuscito a pronunciare le parole d'ordine in grado di far tornare in circolo l'adrenalina. Lui si fida di te, della tua mira, forse perché la reputazione ti precede anche in quello oltre che nella tua caratteristica incoscienza. Una grande responsabilità grava ora su di te e non sei disposta a perdere l'occasione di dimostrarti all'altezza. "Quando metterò in moto verremo circondati da poliziotti." Ti avvisa lui, proseguendo in un mormorio. "Sta a te. Sei tu a decidere quanto in fondo sei disposta a scavare."
Le sue non sono affatto frasi complicate ed enigmatiche. Sai per certo cosa intenda, sai quale sia il rischio che corri nel raschiare il fondo con quella pistola in mano. Morte dopo morte, ad ogni distintivo caduto, la tua condanna sarebbe stata più grande... e non dinanzi alla legge, ma dinanzi la tua coscienza. Perché sebbene tu non abbia alcuna stima per quei corrotti, ne hai per la loro professione. Eppure, sai che se non fossi tu a fermare loro, sarebbero loro a fermare te. Dunque che si fa in questi casi se non un azzardato all-in sul tavolo da gioco? "Sono morta in ogni caso." Sentenzi arrendevole prima che Dwight accenda il motore attirando l'attenzione.
Uomini in divisa vengono attirati dal rombo dell'auto come zombie. Due di loro salgono velocemente sulla volante e si appiccicano al culo della macchina per qualche secondo, ma tra i due motori non c'è competizione. La Chrysler Imperial del '57 sfreccia come una giovane tigre, mentre il micetto alle vostre spalle miagola e diffonde sui grigi palazzi luci blu e rosse. Ne dovete macinare di metri per rendervi conto che non hanno la minima intenzione di mollare l'osso, ne deve passare di tempo prima che abbandonino l'inseguimento. E, come se una piattola non fosse abbastanza, altre due si affiancano ad essa, più veloci, più arrabbiate.
Un proiettile colpisce il bagagliaio, un fanale salta, un vetro s'infrange. È giunto il momento.
Lasciali sparare. Lascia che si accaniscano contro di voi. Ne hanno di proiettili, ma non a sufficienza da coprire tutta la furia omicida. Sparano, sì, ma senza criterio, guidati dalla fretta di ammazzarvi, incapaci di sincronizzarsi col ferro che stringono in mano. Tu no, tu non farai lo stesso errore. Prendi tempo, ascolti il ritmo, respiri assieme a lei. Ti sporgi fuori dal finestrino. Allunghi il braccio, chiudi un occhio e segui la linea immaginaria dal mirino alla fronte del poliziotto impegnato a ricaricare la pistola. Il vento fa pressione sulla tua nuca, spinge i capelli in avanti ma, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, ti è d'aiuto. Non è l'arma a controllare te, come quelle dei tuoi inseguitori, né sei tu a controllare lei, come Roger Kray aveva fatto quando t'ha sparato. Siete amiche. Siete intime. Siete amanti. E quando premi il grilletto, lei ti ricompensa con un colpo pulito. La pallottola trapassa la fronte del nemico, lasciandolo penzolante al di fuori del finestrino e costringendo l'autista a rallentare. Tornerà, ma hai tempo per lui.
Giunge la seconda volante, quella meno prestante. La vedi in lontananza, s'avvicina con fatica ma la volontà è notevole. I due zombie neanche ci pensano a sparare, vogliono raggiungervi, forse persino ballare sui vostri corpi agonizzanti. Riconosci quello sguardo: quella è avidità, ti è familiare. Accarezzi la pistola con un dito. Ancora tre uomini e un tornado di vendetta ti aspettano sulla strada verso la tregua. Puoi farcela. Conti fino cinque, lo fai con calma. Riprendi la mira, prima sul passeggero e poi sul guidatore per non rischiare di avere superstiti. Ormai tu e la pistola di Kray avete una certa confidenza. Quando premi il grilletto, lo fai due volte. Testa di uno, occhio dell'altro. Entrambi crollano, la macchina sbanda, la canna fuma estasiata.
Ecco l'ultima volante. Uno smilzo la guida con aria agguerrita. Sembra un pirata.
Romba il motore come ha rombato il vostro, ruggisce tanto da eguagliare la velocità della Chrysler e camminare al suo fianco. Lo smilzo è furbo. Sa che la pistola è solo una, sa che Dwight non possiede armi. Ma tu sei agile, sei intuitiva e quando lo smilzo punta la canna contro la fiancata sinistra per prender la mira, tu sei già sulle gambe del tuo nuovo alleato. Abbassi il finestrino, dai allo sbirro la buonanotte e rubi lui il tempo di premere il grilletto, colpendolo al collo. Il palmo sinistro abbandona il volante per tappare la fontana di sangue alla sua destra. Non è lui a crollare, ma è la sua auto. Lo accompagna dal tristo mietitore cadendo oltre la banchina, nell'isolata campagna in cui ormai siete giunti, in periferia.
"Non rallentare. Ne manca uno." Comunichi a Dwight, tornando sul tuo sedile e tenendo d'occhio la macchina dietro di voi. Silenziosa, avanza nel buio a luci spente nella speranza di non esser vista. Tu ti infili sui sedili posteriori, strisciando per non esser vista dalla sua pistola. Ti accovacci, spii dal vetro rotto e adagi la canna dell'arma tra schienale e poggiatesta. Scalpita nella tua mano. Il proiettile è il penultimo. Non l'avresti sprecato, che Dwight ne conservi altri o meno non ha importanza. Lo devi a lei e alla sua precisione. Prendi la mira. Respirate assieme. Lasci che il tempo gravi su di voi e... cadi sul fianco. No, non hai perso l'equilibrio, non è colpa tua. È Dwight ad aver sterzato con violenza. Non ne comprendi il motivo fino a quando il clacson di un camion non invade i tuoi timpani. Vi supera, scivola sulla strada e fa ciò che hai fatto tu: cade, impattando con letalità contro il pidocchio dietro di voi.
"Mi potevi avvisare." Protesti contro l'autista, riprendendo fiato sdraiata sui comodi sedili in pelle. "E che gusto c'era?" Risponde entusiasta come un bambino al parco giochi.
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