40. ERITIS SICUT DII
Aidan attese ancora qualche minuto, per riguardo verso gli incantatori, poi cominciò ad assegnare le cavalcature, che erano state legate agli alberi sotto cui si erano riparati all'arrivo. Avevano portato alcuni cavalli di ricambio e, nello scontro, aveva perso degli uomini. Gli spettò quindi il triste compito di fare quel conto e di ridistribuire gli animali, in modo da potersi allontanare nel minor tempo possibile.
Quando l'immagine del monastero tornò a essere nitida, tutti si avvidero che un torrione era rimasto ancora intatto, assieme al lato dell'edificio che si trovava dalla parte opposta alla montagna. Il silenzio assordante che aveva ingombrato la scena dopo il terribile crollo di Valkano venne sopraffatto da uno strano rumore, simile al brusio di uno sciame di api che si riversa sopra un prato, sempre più vicino, sempre più fremente.
Aidan tese l'orecchio con sgomento a quella nuova sorpresa, scrutando l'aria attorno per comprenderne l'origine. In breve gli fu chiaro che i Nani erano riusciti ad aprirsi un varco e si stavano riversando nel monastero, alla ricerca delle ricchezze da depredare. Senza perdere un solo istante, l'arciere cominciò a lanciare ordini. Non poteva più curarsi dello stato d'animo degli incantatori, le priorità erano cambiate.
"Andiamo via", disse, cercando di attirare l'attenzione di Silanna, la sola che potesse aiutarlo a guidare gli Elfi. "Andiamo via adesso che sono impegnati a saccheggiare il monastero".
Silanna levò lo sguardo verso il torrione. Anche per lei era chiaro ciò che stava accadendo. Distolse lo sguardo, disgustata al pensiero di quella profanazione.
"Non troveranno nulla di quello che cercano", commentò con amarezza.
Aidan, d'istinto, le strinse il braccio, come per trasmetterle l'urgenza di quella situazione.
"Allora a maggior ragione dobbiamo allontanarci. Non devono trovarci qui quando scopriranno di aver fatto tanta fatica per nulla".
Silanna passò uno sguardo freddo sulla mano posata sul suo braccio, ma rinunciò a qualsiasi commento. Si limitò ad assentire, quindi si diresse con passo deciso verso il gruppo degli incantatori, seguita dall'arciere. Aidan assegnò le cavalcature, mentre i soldati aiutavano i più anziani a sistemarsi per lo spostamento.
Edhel, approfittando della confusione, si accostò alla novizia dai capelli dorati.
"Venite, devo parlarvi", sussurrò, tirandola in disparte.
La giovane Adwen, la novizia, trattenne il fiato quando avvertì le labbra di lui che le sfioravano l'orecchio. Ebbe paura di voltarsi, di incrociare quegli occhi brillanti di acqua lucida che già l'avevano fatta tremare. Chi era quel giovane che aveva fatto irruzione nella loro quieta esistenza? Sembrava uno di loro, eppure era abbigliato come un soldato. Aveva lo sguardo nobile e un bell'aspetto, ma il suo maestro aveva mormorato qualcosa di strano al suo indirizzo.
"Cosa c'è in quelle stanze?", chiese Edhel con urgenza.
Adwen seguì la direzione della sua mano che puntava all'edificio devastato, senza decidersi a rispondere. L'elfo avvicinò ancor più il viso a quello di lei, smaniando di ottenere quella risposta.
"Ho bisogno di saperlo, ve ne prego".
"C'è... l'erbario... e una parte della biblioteca", replicò lei a stento.
Edhel le lanciò un grazie frettoloso prima di allontanarsi e un sorriso. Quel sorriso ebbe il potere di cancellare in lei tutta l'ansia e la paura che stava provando.
Aidan tirò un sospiro di sollievo: era riuscito a sistemare Uomini ed Elfi nella maniera migliore che quelle precarie condizioni gli avevano permesso. Non gli restava che portare la spedizione in salvo. Diede l'ordine di scendere a valle e impose a tutti un ritmo di marcia sostenuto. Temeva ancora che i Nani potessero mettersi al loro inseguimento. Si voltò indietro per controllare la situazione e il suo cuore ebbe un balzo: due lingue di fuoco si levarono all'improvviso dalla sommità della torre, mentre già un incendio divampava tra le rovine dell'edificio principale. I Nani avevano rovistato nelle stanze e non avevano trovato nulla, così alla fine avevano dato fuoco al monastero. Non aveva più tempo. Cominciò a gridare ordini, spronando le cavalcature a scendere a valle. Non potevano affrontare quei saccheggiatori insoddisfatti nelle loro condizioni.
Silanna udì il comando nervoso di Aidan e, voltandosi verso Valkano, vide le fiamme levarsi. Incitò il cavallo ad andare più veloce e Adwen, che montava davanti a lei, dovette stringersi al collo dell'animale.
Non si erano ancora scambiate nemmeno una parola. Silanna le aveva dato un'occhiata sommaria, poi l'aveva fatta salire sul proprio cavallo senza tanti complimenti. Non sembrava nemmeno particolarmente contenta di rivederla. Adwen pensò che fosse distratta da pensieri più gravi e, dal momento che aveva sempre nutrito un timore reverenziale nei confronti della sorellastra, non osò intavolare un discorso per prima.
Mentre scendevano assieme alla colonna, Silanna trattenne le redini e fece rallentare il cavallo.
Aspettate!
Si guardò attorno, come alla ricerca di qualcosa e udì di nuovo quel richiamo. Arrestò l'animale di colpo, mentre Adwen si voltava a guardarla con stupore.
"Che succede?".
Silanna non rispose. Era certa che si trattasse della sua voce, eppure non riusciva a vederlo.
Aspettate!
Non riuscì a resistere alla tentazione. Senza dare ad Adwen alcuna spiegazione, girò il cavallo e tornò indietro. Superò le ultime cavalcature della spedizione e salì ancora di qualche metro, poi lo vide: Edhel era in piedi e guardava le rovine del monastero. Teneva in mano le redini del suo puledro, con lo sguardo fisso sull'incendio che divampava.
Nella strada che portava a Nord, lungo il fianco della montagna, la colonna di soldati e macchine da guerra del nemico si ritirava verso gli accampamenti. Le fiamme correvano veloci a divorare le travi, senza incontrare alcun ostacolo.
"Sono qua", gli rispose.
Edhel si voltò. Aveva quasi perso la speranza di vederla tornare. Corse verso di loro e aiutò l'elfa a smontare da cavallo.
"Benedetti gli dei, Silanna! Ho bisogno di voi".
Le prese la mano e la trascinò con sé. Lei ebbe appena il tempo di voltarsi e di intimare ad Adwen di non seguirli e di attendere lì. Guidata dalla furia di Edhel, si ritrovò in uno spiazzo, appena oltre le mura esterne. Schivarono le macerie, aggirandosi tra le pietre antiche che erano rotolate nel fango e nella cenere. Lui si fermò sopra una grande pietra angolare e lei gli fu subito accanto. Non le aveva ancora lasciato la mano, come se si fosse scordato di qualsiasi altra cosa che non fossero le fiamme riflesse nel lago dei suoi occhi. Silanna si accorse che anche la sua pelle bruciava.
"Invocate le nuvole, non vi chiedo altro", la pregò.
A quella richiesta, l'elfa lo guardò esterrefatta.
"Invocare le nuvole? Perché dovrei?".
"Devo far piovere, ma non posso farlo senza nuvole. Chiamate Vilya ed evocate le nubi per me. Poi correte a mettervi in salvo".
Lei scosse il capo.
"A cosa servirebbe? È tutto inutile! Non salverete Valkano spegnendo un incendio".
L'elfo la implorò con un'espressione densa di dolore.
"Vi prego...".
Silanna chiuse gli occhi. Sapeva che quelli di Edhel erano fissi su di lei. Era in fremente attesa della sua decisione, terrorizzato dal fatto che potesse negargli quel favore. Avrebbe dovuto farlo, in verità, perché era consapevole che quella folle idea non sarebbe servita a niente e che lei avrebbe disturbato il suo Daimon per nulla. Poteva rifiutarlo a Edhel, in effetti, ma non poteva rifiutarlo a Valkano.
Gli lasciò la mano e, con le palpebre socchiuse, allargò le braccia. Respirò piano mentre sprofondava in se stessa.
"Vieni, Vilya, e genera le nuvole", bisbigliò in un elfico musicale e antico.
Edhel sentì che tutto il suo corpo veniva attraversato da un benefico sollievo. Gli bastò sollevare lo sguardo per vedere il vapore che si condensava. Venti caldi e freddi cominciavano a scuotere lo spazio sopra di loro. Con calma innaturale, iniziò a invocare Nén, il Daimon dell'Acqua, levando la sua voce contro il cielo oscurato dai nembi agitati.
Le nuvole profusero una pioggia scintillante che si riversò sopra l'incendio. Edhel e Silanna, in piedi di fronte a quello spettacolo di distruzione e coperti dalla pioggia battente, proseguirono nel loro incantesimo. Non avvertivano più nulla al di fuori della magia che fluiva attraverso le loro parole.
Il fuoco si quietò e un fumo nero iniziò a innalzarsi a riccioli dalle travi scurite. Edhel, con i capelli che gli rilucevano stillanti di gocce, tacque. La pioggia cessò di colpo e Silanna liberò Vilya.
La luce di un sole pallido illuminò senza grazia ciò che rimaneva delle mura corrose e martoriate. L'edificio semidistrutto somigliava allo scheletro di una creatura mastodontica, scarnificato e privo di vita. Magie, spade, fuoco e acqua: sembrava che quel luogo ne avesse avuto abbastanza di subire violenza. Solo le travi bagnate emettevano ancora qualche cupo lamento. A quel punto Silanna pensò che Edhel se ne sarebbe fatto una ragione: non era rimasto davvero più nulla.
"Avete spento l'incendio, adesso torniamo indietro", disse con calma glaciale.
Lui nemmeno la guardò.
"Sì", annuì distratto. "Tornate indietro".
"Non c'è più nulla da fare qui", insistette lei, vedendo che non si muoveva dalla propria posizione.
"Non torno indietro, non a questo punto", esclamò l'elfo con voce caparbia. "Mi avete concesso il vostro aiuto e ve ne sono grato. Adesso mettetevi in salvo, io ho altro a cui pensare".
Con un balzo, scese dal masso su cui si erano arrampicati per dominare la scena e cominciò a farsi strada verso la torre, attraverso le macerie. Silanna non riusciva a credere ai propri occhi: quel giovane doveva essere pazzo, pazzo oltre ogni ragionevolezza! Non era disposto ad arrendersi neanche di fronte all'evidenza, non concepiva l'esistenza di un limite. Istintivamente gli corse dietro, cercando di trattenerlo per un braccio.
"Edhel, siate ragionevole! L'edificio sta per crollare".
"Non datevi pena, farò in fretta".
"Le travi non reggeranno a lungo".
"Io resto".
Lei scosse il capo e smise di seguirlo. Non aveva intenzione di morire. Non era quello il momento per lei, e non era il luogo. Edhel percepì la sua resa, si girò e le sorrise.
"Tornate indietro", scandì ancora una volta, prima di riprendere la strada verso l'unico edificio ancora in piedi.
Oh, sì! Lo farò senz'altro!
Non lo avrebbe seguito tra quelle mura devastate e pericolanti. Non aveva nemmeno l'obbligo di salvargli la vita, in una simile circostanza. Lo aveva già fatto una volta, solo una volta, ed era più di quanto gli dovesse.
Scese dalla pietra e fissò l'uscita, poi la figura dell'incantatore che si allontanava. Chiuse gli occhi e un attimo dopo gli corse dietro, gridando il suo nome. Edhel si arrestò, sorpreso, e lei riuscì ad afferrarlo. Cercò di trascinarlo via mentre lui provava a sottrarsi alla sua stretta. Avvinghiata al suo braccio, lottava con una foga che lo lasciò a bocca aperta: la Silanna che spandeva in battaglia la propria magia con un sussurro non poteva essere la stessa che stava ostacolando i suoi piani con tanta violenza.
Udì un tonfo sordo provenire dall'interno dell'edificio e capì che non aveva più tempo da perdere con lei. Afferrò Silanna per la vita con entrambe le mani e l'allontanò con decisione, spingendola contro il muro annerito dell'edificio. L'urto contro la parete le strappò un gemito di dolore e la obbligò a lasciare la presa attorno al braccio dell'incantatore. Edhel non si preoccupò di averle fatto del male. Voleva solo essere sicuro che lei andasse via senza trattenerlo. Le poggiò una mano sulla gola e fece pressione sul suo collo sottile.
"Tornate indietro, ho detto", le intimò. "Non vi voglio qui".
Guardò gli occhi di lei, sbarrati dalla paura, e le sue labbra socchiuse, come interrotte sul punto di proferire una supplica o un'offesa. Lo sfiorò il bizzarro pensiero che non li avrebbe più rivisti. Allentò la presa e le sorrise in modo strano.
"Addio, Silanna".
La schiacciò contro la parete con il peso del suo corpo e incollò la bocca alla sua. Approfittando della sorpresa, cercò di afferrare il sapore di qualcosa che non conosceva, ma che sentiva di voler portare con sé. Immagazzinò il ricordo di un brivido che voleva provare prima che fosse troppo tardi e le rubò quel bacio con furia, come se fosse stato l'ultimo respiro di vita che gli restava.
Silanna era rimasta immobile. Appiattita contro la parete, era diventata pietra lei stessa. Incapace di tirar fuori un fiato, lo aveva guardato allontanarsi e sparire dentro la torre. Il tempo che le ci volle per tornare a respirare le sembrò infinito.
Da una distanza che non riuscì a calcolare le giunse un rumore di zoccoli. Sollevò lo sguardo e vide che Adwen era andata a cercarla, contravvenendo al suo ordine. Teneva in una mano le redini del cavallo scosso di Edhel.
"Perché sei venuta?", la rimproverò con la rabbia che in cuor suo stava destinando a lui.
"Ho avuto paura, vedendo che non tornavate", bisbigliò la novizia con timore.
"Lascia perdere... andiamocene".
Si mosse per andarle incontro e quasi si sorprese di riuscire ancora a farlo, dopo quella staticità di sale che aveva attraversato il suo corpo mentre Edhel le stava addosso.
Adwen, intanto, si guardava attorno con aria preoccupata.
"Dov'è l'incantatore?", le chiese.
Quella domanda le provocò un moto di fastidio.
"Dimentica quell'incantatore".
Strappò le briglie del cavallo dalle mani della sorella. Adwen pensò che avrebbe preso per sé la cavalcatura dell'elfo, ma Silanna abbandonò le redini sul collo dell'animale e montò a cavallo dietro di lei. Non fece in tempo a chiederle spiegazioni: la sua voce fu interrotta da uno scricchiolio ruggente e fastidioso, subito seguito da uno schianto.
"Dannazione", mormorò Silanna, guardando verso l'edificio.
La sua voce era attraversata da un filo di esasperazione. Tirò le redini con tanta violenza che il cavallo nitrì. Esitò un istante, poi diede un colpo secco sul fianco dell'animale e lo guidò verso la strada che portava a valle.
Prima di lasciare il monastero, Adwen tentò di guardare oltre le spalle della sorella. Cercò un segno, un movimento tra le pietre annerite, ma non riuscì a scorgere nulla, tranne lo scalpicciare nervoso del cavallo che avevano abbandonato tra le macerie. Si sforzò di aguzzare anche l'udito, ma l'unico suono che raggiunse il suo orecchio fu il rumore oscuro e tonante del tetto della torre che cedeva, schiantandosi sul pavimento di basalto.
NOTA DELL'AUTORE
Eritis sicut Dii, ovvero "Sarete come Dio", sono le parole che, nel Libro della Genesi, il serpente dice a Eva per convincerla a mangiare la mela proibita dall'Albero della Conoscenza:
"Egli sa che, il giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come Dio, conoscitori del bene e del male".
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top