37. AD IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR

Erano trascorse quasi due settimane da quell'ultimo scontro. Galanár aveva eseguito alla lettera gli ordini del re e cercava di riempire le ore occupandosi del castello. Aveva fatto inventariare e controllare le fortificazioni e le armi di difesa, passato in rassegna le truppe e gli uomini abili, e revisionato gli armamenti. Sebbene continuasse a non avere in simpatia il siniscalco, sentimento condiviso anche dall'elfo, il principe era comunque giunto ad apprezzarne la precisione e l'affidabilità.

A impegnargli il resto del tempo ci pensavano i dispacci, che giungevano regolari a informarlo degli attacchi che si susseguivano: il re di Foroddir si ostinava ad assaltare i Nani, nella speranza di ricacciarli oltre il confine.

Le sue crescenti paure, tenute a bada dall'illusione dei giorni che passavano, si materializzarono tutte in una mattina, condensate in poche righe. Galanár si rigirò a lungo tra le mani la missiva, vergata a mano dallo stesso Anárion. Quando si arrese al pensiero di non avere più tempo, riunì il suo concilio di guerra.

Mentre tutti attorno a lui restavano in silenzio, Galanár distese una grande mappa sul tavolo e rimase a osservarla. Scrutava i segni di inchiostro brunito dal tempo, pregando che da qualcuno di essi gli arrivasse l'illuminazione, l'idea geniale che avrebbe risolto ogni suo problema, ma non accadeva niente.

Due scudieri entrarono recando nuovi dispacci. Per non disturbare il generale, il maestro Aegis se li fece consegnare e cominciò a rompere i sigilli. Dopo averli letti con attenzione, li poggiò sul legno uno dopo l'altro, alla portata degli occhi del principe. Lui gettò uno sguardo al messaggio che campeggiava in cima e scosse la testa.

"La resistenza a Nord-Est sta cedendo", dichiarò a quel punto. "Ci chiedono di intervenire al più presto e di andare a rinforzare le schiere elfiche in questi tre punti".

Mentre tutti erano impegnati a seguire le indicazioni del principe e a scambiarsi considerazioni, Aegis aprì l'ultimo dispaccio e rimase a fissarlo a lungo. Un'espressione sconfortata gli si disegnò sul viso.

"Potrebbe esserci un impedimento", scandì.

Il principe sollevò il capo e lo squadrò con gravità, quindi tese la mano per farsi consegnare la lettera.

"I Nani hanno aperto un nuovo varco a Sud", dichiarò l'incantatore.

Galanár lesse con attenzione e il suo sguardo corrucciato ritornò sulla cartina.

L'esercito dei Nani che aveva invaso il regno di Foroddir si era mosso da Gonthalion, ma le terre dei Nani comprendevano un secondo reame: il regno di Lossmir, che per secoli aveva scritto la propria storia lontano dalle attenzioni del mondo. Isolato dal reame principale e dalla capitale, coperto dalle nevi perenni cui doveva il nome, era sempre apparso a tutti pacifico e inoffensivo. Gli abitanti di quelle terre avevano abbracciato la causa dei loro fratelli del Nord e si erano mossi per attaccare Helegdir, il più fragile dei regni elfici.

Né Uomini, né Elfi avrebbero potuto prevedere quella mossa. Galanár poggiò entrambe le mani sulla mappa, con le palme aperte. Vi spostò sopra il proprio peso, come se curvarsi verso quel mondo piatto, disteso sul legno, potesse garantirgli l'accesso a qualche segreta informazione, poi guardò le vette di Lossmir che si disegnavano eleganti e ondulate sulla pergamena.

"In qualche oscuro modo", mormorò quasi ragionando tra sé, "i Nani conoscono le mie tattiche e vogliono mettermi alla prova. Loro si aspettano che io divida il mio esercito. Pensano che correrò a riparare i confini caduti degli Elfi... ma se io dividessi il mio esercito, le nostre forze stavolta non sarebbero sufficienti a contrastarli... moriremmo tutti!"

Passò in rassegna con lo sguardo i suoi ufficiali, finché incrociò gli occhi di Silanna. Indugiò un istante sulla sua espressione interrogativa e preoccupata, poi guardò altrove.

"Mi dispiace, signori, ma non vedo altra scelta", concluse ad alta voce, rivolgendosi infine a Aegis. "Talvolta, per vincere, occorre pure rinunciare a qualcosa".

L'elfo comprese il significato di quell'occhiata e il suo viso si velò di tristezza, ma chinò lo stesso il capo verso il principe, in segno di accettazione. Galanár annuì, quindi annunciò:

"Attaccheremo i Nani su un unico fronte e cercheremo di respingerli nel modo più celere possibile. Quando avremo conquistato la nostra posizione, potremo andare a sostenere la resistenza elfica sul secondo fronte. O a vendicarne la morte".

Si levò un fitto brusio ma, mentre gli altri cercavano di comprendere le reali conseguenze di quella decisione, la voce di Mellodîn ristabilì il silenzio nella sala.

"Non resta quindi che stabilire quale fronte difendere, se il Nord o il Sud".

Galanár poggiò una mano sull'elsa della spada, mentre con l'altra si accarezzò piano il mento.

"Spostare l'esercito a Sud ci prenderebbe troppo tempo e i valichi per Helegdir potrebbero essere ancora ghiacciati".

"A Nord, dunque", dedusse il comandante.

"A nord", confermò Galanár, chiudendo gli occhi per ricacciare indietro ogni possibile ripensamento.

Aegis scosse il capo. Il principe lo avvertì con la coda dell'occhio, ma non si adirò. Sapeva che non era il dissenso a guidare quel gesto, ma solo un profondo dispiacere. Aegis era l'unico elfo che da sempre aveva fatto parte della sua cerchia di ufficiali. Era così abituato alla sua rassicurante presenza da aver dimenticato che non veniva da Arthalion. La sua patria era un'altra, e in quel momento Galanár stava arbitrariamente decidendo di sacrificarne una parte sull'altare di una ancora incerta vittoria. Poteva solo confidare nel fatto che, da vecchio amico e da veterano qual era, l'incantatore lo avrebbe compreso.

"Sono davvero spiacente, Aegis", disse a bassa voce.

L'elfo fece un passo verso il tavolo, quindi carezzò con le dita la sagoma ondulata di Helegdir.

"No, generale", rispose senza staccare gli occhi dal disegno, come se avesse voluto imprimere nella memoria i tratti di quella terra. "Così deve essere. Il fronte Sud cadrà. Valkano cadrà".

Quelle parole, scandite dal maestro nel silenzio della stanza, rimbalzarono da parte a parte, turbando la calma precaria di quel consesso.

"Valkano?"

La voce sottile di Silanna aveva ripetuto quel nome. Il suo sussurro si amplificò nel silenzio di piombo come un'eco funesta che fece rabbrividire i presenti. Galanár, quella volta, sostenne lo sguardo di lei senza esitazione.

"I Nani stanno attaccando il confine Nord di Helegdir, a poche miglia dal monastero", spiegò.

Le porse il dispaccio e Silanna lo lesse in fretta, concentrandosi su un'unica parola.

"Valkano", sospirò di nuovo, non più con sorpresa, ma con dolore. "È questo il prezzo che dovremo pagare?"

Gli occhi di tutti si posarono su di lei e sul tremore che, dalle sue mani, si trasmetteva alla sottile pergamena.

Valkano.

Quella parola era sfuggita come un rimpianto dalle labbra di Silanna. Era il tempio della sapienza antica, la culla della storia e della conoscenza. Edhel non lo aveva mai visto, eppure aveva sempre abitato le sue fantasie. Da quando ne aveva memoria, aveva coltivato la segreta speranza di poterlo visitare, di avere accesso a quell'incomparabile sapere.

Valkano.

Avvertì la bruciante nostalgia che si prova soltanto davanti a ciò che non si possiede.

Cosa può esistere al mondo di più importante?

"Galanár, aspetta!", esclamò.

Il fiato gli tremava per l'emozione. Non sapeva nemmeno come, ma voleva fargli cambiare idea, convincerlo a salvare quel luogo a qualunque costo. Si fece avanti, si puntellò sul tavolo e si rivolse con veemenza al fratello. Galanár si limitò a sollevare il sopracciglio, urtato da quella reazione, ma non disse nulla e lasciò che esponesse il suo pensiero.

"Non decidere tanto in fretta, te ne prego. Il fronte Sud non può cadere, Valkano non può cadere".

"Mi stai chiedendo una cosa irragionevole", fu la calma risposta che ricevette.

Edhel si morse il labbro inferiore per trattenere il fremito che lo stava attraversando.

"Irragionevole è abbandonare quelle terre al saccheggio e alla rovina. Valkano è la fonte primaria e antica di ogni magia, di ogni scienza e di ogni sapienza. Tu davvero non puoi permettere che tutto questo venga cancellato. Hai giurato davanti agli dei di difendere questa gente, è giusto che tu difenda anche la loro cultura".

Galanár distolse lo sguardo e sospirò, prima di tornare a fissarlo con gli occhi azzurri che brillavano intransigenti.

"Noi siamo in guerra", rispose con voce rigida come il metallo, "e in guerra non esiste giusto o ingiusto, esiste solo ciò che è utile e ciò che non lo è".

"E non è utile difendere una simile mole di conoscenza?".

Ormai accalorato nel perorare la causa, Edhel non controllava più il tono della voce. Gli gettò contro ogni riserva senza alcuna grazia e Galanár, che era riuscito a stento a conservare un signorile distacco di fronte al suo fervore, si lasciò sfuggire un moto di insofferenza. Non era stato facile per lui prendere quella decisione. La fiera opposizione che il fratello stava portando avanti era più di quanto potesse tollerare e non era disposto a sentire altro. Lo lacerò con uno sguardo severo.

"Adesso basta, Edheldûr! Tu stai parlando come loro, stai ragionando come loro!"

Colpì il legno con un colpo secco e la pergamena si accartocciò sotto la sua mano. Edhel, d'istinto, si ritrasse. Non ribatté. Di fronte a quel termine, a quel loro urlato come se fosse una colpa, un errore, sentì di non avere più nulla da dire.

"Come fai a non capire?", proseguì l'altro. "La resistenza elfica è allo stremo delle sue forze. I Nani lo sanno, o non oserebbero tanto. La nostra forza è, adesso, l'unica speranza! La fine dell'esercito di Arthalion sarebbe anche la fine del mondo degli Elfi: quale utilità ci sarebbe nel salvare un libro, se nessuno potrà mai leggerlo?"

La domanda pungente di Galanár rimase sospesa nell'immobilità generale. L'elfo lo fissò ancora per un istante, poi abbassò lo sguardo. Inghiottì il boccone amaro di quella sconfitta e indietreggiò, tornando a occupare il suo posto accanto ad Aidan. Il gemello non lo guardò nemmeno. Non occorreva. Lo conosceva abbastanza da sapere che Edhel stava ferocemente combattendo contro i suoi più vivi desideri.

Galanár passò lo sguardo sugli uomini che lo circondavano, interrogandoli in silenzio e insieme sfidandoli a mostrare qualsiasi ulteriore segno di disapprovazione. Quando fu certo che nessuno desiderava contrariarlo, recuperò la calma.

"Potete tornare alle vostre faccende. Entro stasera invierò gli ordini per tutti i reparti".

Galanár si trattenne nella sala dopo che tutti ne furono usciti. Aveva bisogno di restare da solo, a mettere ordine nei propri pensieri. Qualunque cosa pensasse Edhel di lui, non era con leggerezza che aveva deciso. Guardò un'ultima volta la mappa e ripeté a se stesso di aver fatto la scelta giusta, prima di mettere via le carte.

Appena ebbe varcato la soglia, si trovò di fronte una scena inaspettata: Edhel e Silanna discutevano in maniera animata, ma si sforzavano di mantenere un tono di voce basso, tanto che il principe non riuscì a udirli. Solo l'espressione del viso e l'agitazione del fratello gli permisero di intuire lo spirito di quel battibecco.

I due tacquero di colpo al suo apparire. Silanna parve dimenticare la presenza di Edhel, gli voltò le spalle e andò incontro a Galanár. L'elfo fece un passo indietro e si spostò in disparte, senza decidersi ad andare, come avrebbe dovuto.

Il principe guardò entrambi con sospetto: Silanna ed Edhel avevano in genere così pochi contatti che Galanár non riusciva a immaginare i motivi di uno scambio di opinioni tanto acceso tra loro. Rivolse all'elfa uno sguardo diffidente, ma lei gli strinse una mano tra le sue con un gesto febbrile e gli cercò gli occhi con tanta veemenza da impedirgli di chiederle spiegazioni.

"C'è qualcosa che non ti ho detto", sussurrò lei.

Galanár non fu in grado di sottrarsi alla prigione delle sue iridi dorate. La nota di sincera preoccupazione e di rammarico che vi scorse, lo mise in allarme più della sua premessa.

"Parla", ordinò.

Silanna sostenne il suo sguardo senza alcun timore.

"Io ho una sorella. Che vive a Valkano".

La sua prima reazione fu quella di adirarsi: perché aspettare un simile momento per fargli quella rivelazione?

Il dubbio successivo fu che Silanna avesse inventato una bugia per convincerlo a cambiare i suoi piani. Se così era, avrebbe pagato caro quel maldestro tentativo. Se poi avesse scoperto che, in qualsiasi modo, Edhel aveva avuto una parte in quell'inganno, la sua punizione sarebbe stata esemplare. In ogni caso, non avrebbe prestato il fianco a quell'attacco trasversale ai suoi piani.

"Questa notizia mi sorprende e mi addolora", ribatté con calma costruita, "ma non vedo come possa cambiare la situazione per me".

"Non la cambia per te, la cambia per me: ho intenzione di recarmi al monastero il prima possibile".

Erano le parole esatte che aveva temuto di udire.

"Capisci che non posso darti il mio consenso per questo viaggio".

L'elfa abbassò le ciglia, come per nascondergli i suoi pensieri.

"Oh, puoi fare più che non darmi il consenso, se vuoi", mormorò con voce dura. "Puoi ordinarmi di non andare. Se Valkano dovesse essere distrutta e lei perdesse la vita, però, non potrai obbligarmi a scendere in campo, al tuo fianco, con il lutto nel cuore".

Galanár non avrebbe saputo dire quale delle tre divinità di Amilendor, quel giorno, avesse deciso di essergli così ostile. Di certo doveva averla molto offesa, se lo stava punendo a quel modo. L'agitazione per la pubblica contestazione di Edhel non era ancora sfumata, e già Silanna interveniva per metterlo in una difficoltà ancora maggiore!

Avrebbe dovuto essere inflessibile e non concederle nulla, e quella era la linea più logica da seguire, non foss'altro che per mantenere la sua credibilità. Tuttavia conosceva bene l'ostinazione di lei: poteva costringerla all'obbedienza, ma non le avrebbe fatto cambiare idea. Sarebbe stata più che capace di seguirlo in battaglia e di non muovere un dito in suo soccorso, se così aveva deciso.

"Non ti darò un ordine che possa addolorarti", capitolò infine, vinto da quei ragionamenti e dal suo sguardo, "ma non posso mutare le mie decisioni, nemmeno per amore tuo".

Lei annuì.

"Non te lo chiederei mai...", rispose piano.

"Puoi andare a Valkano", la interruppe lui, per impedirle di aggiungere altro o per impedire a se stesso di pentirsene, "ma non potrò esserti di grande aiuto. Posso darti al massimo venti uomini come scorta, e Aidan ti accompagnerà con una dozzina dei suoi arcieri".

Si interruppe e il suo sguardo si indirizzò oltre le spalle di Silanna, a fissare Edhel che, per tutto il tempo, era rimasto a seguire la scena da lontano.

"Puoi andare anche tu, e qualcuno degli incantatori", scandì a voce più alta.

Edhel gli rivolse un lieve inchino con il capo.

"Non occorre", rispose con un sorriso sicuro. "Andrò da solo. Quando arriveremo a Valkano avremo a disposizione tutta la magia di cui abbiamo bisogno".

"Se non sarà troppo tardi", aggiunse Silanna, con voce fosca.

Edhel le lanciò un'occhiata di fuoco e ignorò il suo commento. Voleva credere fino alla fine che quella spedizione avrebbe salvato il monastero e la sua scienza.

Lui l'avrebbe fatto.

NOTA DELL'AUTORE

Ad impossibilia nemo tenetur significa "Nessuno è tenuto [a fare] le cose impossibili".

Si tratta di una delle prime leggi nate nella civiltà romana per regolare la convivenza civile, e giustifica coloro che vengono meno a un impegno che si sono assunti, se tale mancanza è dovuta a cause di forza maggiore.

L'espressione è tuttora usata come massima giuridica all'interno del diritto italiano.

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