36. SI VIS PACEM...

Nonostante la stanchezza, Galanár non era riuscito a riposare. Appena tornato nella tenda, si era fatto subito aiutare a togliere l'armatura. Gli sembrava di soffocare. Quando era rimasto con indosso solo la camicia e le chausses, si era lasciato cadere sul suo giaciglio di pelli e lì era rimasto, immobile, a fissare il nulla senza poter dormire.

Non aveva lasciato disposizione di non essere disturbato, quindi iniziò presto un viavai di scudieri, che entravano e uscivano dalla tenda per consegnargli i dispacci.

Mellodîn, con Bellator, Amalion e Aidanhîn, era rimasto sul campo a quantificare le perdite e a coordinare il recupero dei morti e dei feriti. Il fatto che il comandante gli stesse inviando regolari aggiornamenti significava già di per sé che sia lui che i suoi capitani stavano abbastanza bene da potersi occupare di quel triste incarico. Almeno di loro non avrebbe dovuto preoccuparsi. Ciò che invece lo turbò fu il messaggio di Anárion che gli giunse nel pomeriggio.

Il re lo esortava a riorganizzarsi nel più breve tempo possibile. Inappagato dall'esito della battaglia, l'elfo aveva deciso di incalzare i Nani che si erano ritirati. Voleva indebolire l'avversario quanto più possibile e, soprattutto, voleva fare arretrare la linea di guerra che, prima dell'inverno, si era fatta troppo prossima alla fortezza di Formenos. Voleva respingere i Nani verso i loro stessi confini, per allontanare il pericolo dalla sua gente.

Galanár non avrebbe saputo esprimere quanto fosse contrario a quell'idea. Non con parole educate, e di certo non in quel momento. Restò inerte, nella penombra della sua tenda, senza rispondere a quel dispaccio che stava quasi disintegrando tra le dita.

Avevano appena ottenuto una vittoria stentata e la stagione calda era ancora di là da venire. Quella manovra era affrettata e incauta, a suo parere, ma a quel punto pensò di riuscire a vedere la situazione con gli occhi di Anárion.

La campagna più lunga che lui aveva combattuto era durata quattro anni e già gli era parsa un'eternità. Forse non sarebbe mai riuscito a liberarsi da tutti i suoi fantasmi, ma si era comunque disfatto del suo nemico. Un rivale che, invece, vive e respira accanto a te, separato solo da un sottile confine, finisce per diventare l'estensione stessa del tuo braccio armato, l'insanabile tormento di tutta la vita, la battuta di caccia perenne. Il cacciatore non può esistere senza la sua preda e, quando i due ruoli cominciano ad alternarsi in un ciclo di scambio infinito, il loro legame diventa assoluto e necessario. Per questo Galanár sapeva che Anárion non avrebbe rinunciato a quell'inseguimento: era il suo turno di essere il cacciatore, quando fino all'inverno era stato la preda.

Lo sapeva, sì. E declinò l'invito.

Il secondo messaggio che il re gli fece recapitare fu invece messo da parte con molta cura. Il principe non si era fatto illusioni sulla reazione dello zio: il re gli rimproverava, con cortese veemenza, di essere un codardo. Anche l'allusione alla differenza di razza era velata, ma palpabile. Tuttavia gli aveva scritto quello che lui si attendeva: se non aveva abbastanza fegato da seguirlo, che restasse con il suo esercito a presidiare il castello. Gli intimava di difenderlo con tutte le sue forze in caso di necessità, e di tenersi comunque pronto e a sua disposizione se avesse avuto bisogno di rinforzi. Sì, esattamente ciò che Galanár si attendeva e che voleva vedere messo per iscritto, nero su bianco.

Solo a quel punto la mandò a chiamare. Forse rispose più all'abitudine che alla reale volontà di vederla perché, subito dopo aver impartito l'ordine, si rese conto che non aveva nulla da dirle.

Silanna scostò la tenda con cautela. Non gli avrebbe fatto pesare di averla chiamata al calar della sera. Sapeva che il generale detestava essere biasimato per le sue scelte e, dopo tutto l'impegno profuso per lui quella mattina, non le andava a genio l'idea di essere rimproverata come se fosse stata una qualsiasi donnetta capricciosa.

Quando entrò, un po' si stupì: c'era ancora odore di polvere e sangue. Galanár non aveva cambiato gli abiti, non aveva nemmeno tolto dal viso e dal corpo le tracce dello scontro, e quel comportamento era del tutto inusuale per lui. Dai suoi occhi stanchi, comprese che non aveva per nulla riposato.

Per terra giacevano una decina di dispacci srotolati. Visto che il principe non le aveva ancora rivolto la parola, Silanna si mise a raccoglierli, cercando di metterli in ordine. Lui seguì i suoi gesti con lo sguardo, in silenzio perfetto, come un felino che studia la preda prima del balzo. Appena l'elfa ebbe poggiato le carte sul piccolo scrittoio da campo, Galanár le bloccò la mano sul tavolo con la sua. Silanna sentì l'odore acre della battaglia e dell'ira non ancora sopita emanare da lui, vicinissimo al suo viso. Si voltò per costringerlo a guardarla negli occhi. Lui glielo concesse, ma non rinunciò a trattenerla. Anzi, la prese per il polso e le scoprì l'avambraccio, liberandolo dalla stoffa della tunica. Le sollevò la mano, portandola davanti ai suoi occhi. Le dita sottili e delicate di lei restavano sospese al centro dei loro sguardi, mentre il principe sembrava volerne osservare ogni minuscola piega.

"Questa mano mi appartiene", disse infine, con rabbia malcelata. "Come tutto il resto. Abbiamo un accordo, Silanna. Io sto cercando di onorarlo, e tu?".

Lei riuscì a comprendere, a quel punto, il motivo di quell'assurdo comportamento: doveva averla vista mentre salvava Edhel e gli curava la ferita sanguinante.

Si divincolò dalla stretta e si accarezzò il polso dolorante.

"Ho fatto solo il mio dovere. Sono un guaritore, vado in battaglia per far questo, mi pare".

"Hai fatto qualcosa di più, mi pare. Hai fatto una scelta, e non hai scelto me".

"Non dire assurdità!"

"E tu non prenderti gioco di me! Distinguo ancora la presenza di uno scudo magico, quando l'ho intorno. Non dimenticare con chi stai parlando".

Silanna sostenne il suo sguardo senza indietreggiare. Era triste e delusa per le sue parole, e non si preoccupò di nasconderlo.

"Non mi hai dato notizie di te per un intero giorno e mi hai fatta chiamare solo per dirmi questo? Francamente non ne vedo l'utilità".

Scosse il capo, come per scacciare una cattiva parola o una lacrima.

"Chiedo congedo, generale", concluse risoluta. "Prenderò un cavallo e andrò a riposare al castello stanotte. Non sono più di alcuna utilità qui".

Lui assentì con il capo. Non cercò di fermarla mentre andava via, non ne aveva la minima intenzione. Nel vino e nei bagordi avrebbe annegato quella notte. Non gli occorreva altro per concludere la giornata.

Lasciò trascorrere un po' di tempo, solo per essere certo che lei avesse avuto modo di recuperare una cavalcatura e di raggiungere la rocca. A quel punto chiese dell'acqua e una camicia pulita. Diede una sommaria sistemata al proprio aspetto, ma senza badarci troppo: la serata che intendeva trascorrere non richiedeva ordine.

Quando uscì dalla tenda, il sole era calato e i fuochi erano stati accesi nell'accampamento. I primi canti di vittoria cominciavano a insinuarsi tra le tende e attorno alla legna scoppiettante. Per la prima volta da quando era iniziata quella giornata, Galanár sentì di potersi rilassare. Prese un profondo respiro e stirò i muscoli delle braccia ma, quando riaprì gli occhi, capì che il suo momento di svago era ancora di là da venire: Edhel attendeva fuori dalla tenda. Dalla sua postura era evidente che lo stava aspettando e che non aveva nessuna intenzione di andarsene senza prima avergli parlato. 

Edhel: proprio la seconda persona con cui aveva bisogno di scontrarsi quel giorno. Un modo perfetto per chiudere il cerchio.

"Che vuoi?", gli chiese senza garbo, piazzandoglisi davanti.

L'elfo lo sfidò con i suoi occhi color dell'acqua e non indietreggiò di un millimetro.

"Voglio stare al mio posto".

Galanár si lasciò sfuggire un moto di stizza e gli piantò l'indice sul petto.

"Tu eri già al tuo posto, prima di abbandonarlo per agire di testa tua".

"Ti ho aiutato a cambiare le sorti del combattimento", ribatté il ragazzo senza farsi intimorire.

"Può darsi. Resta il fatto che voglio non è il verbo adatto per rivolgerti a me".

Edhel prese fiato un istante e parve dover ragionare su quell'affermazione prima di continuare:

"Se è solo questo il problema, cambierò i termini della richiesta: non più voglio, ma vuoi... vuoi vincerla, questa battaglia?"

Il discorso del fratello, la sua stessa voce, il suo fastidioso modo di provocarlo lo stavano facendo diventare furioso. Quella domanda, però, conteneva in sé due delle parole alle quali Galanár non sapeva resistere. Non gli concesse la soddisfazione di una risposta, ma gli lasciò intendere che adesso lo stava ascoltando, e l'altro continuò come se avesse incassato quel sì.

"Allora rimettimi al mio posto. Oppure lasciami dove sono, se preferisci, ma libero di intervenire a mio piacimento".

Galanár si passò una mano sulle labbra, un po' per riflettere, un po' per lasciare che Edhel si consumasse in quell'attesa. Qualunque cosa avrebbe disposto per lui in futuro, era chiaro che il ragazzo andava messo in riga, prima che la sua irruenza potesse causare problemi.

"Sei stato bravo questa mattina", ammise. "Ci penserò".

Edhel annuì. Non aveva ancora finito.

"Bene, e già che ci pensi... vuoi darmi il posto che mi spetta nel concilio di guerra?"

Galanár si lasciò sfuggire una leggera risata, che però non impressionò affatto l'elfo.

"Io sono un Daimonmaster, e tu dovresti sempre avere i tuoi Daimonmaster in consiglio quando decidi le strategie in battaglia":

Poiché il fratello continuava a guardarlo con aria divertita, il tono di Edhel assunse a quel punto la medesima, crudele ironia.

"Non starò qui a ricordarti che questo è un legame che tu non puoi capire, generale. Piuttosto ti spiegherò qualcosa che puoi capire: non puoi tenerci a bada, relegandoci al semplice ruolo di soldati, e pretendere che evochiamo i Daimon solo quando lo vuoi tu. Non funziona così".

C'era qualcosa di oscuro, in quelle parole, che colpì la mente di Galanár perché contenevano un fondo di verità: esistevano cose in cielo, nelle acque e sulla terra, che lui non poteva capire. Esitò di fronte a quell'evidenza.

"C'è già Aegis nel consiglio", si schermì senza troppa convinzione.

Edhel scosse il capo, sempre più sicuro di sé e della propria posizione.

"Non è sufficiente. Io siederò nel consiglio. E anche dama Silanna".

"Perché devi mettere in mezzo dama Silanna?", ringhiò Galanár, reprimendo a stento la rabbia.

Gli costava quello sforzo di volontà, ma gli avrebbe dato ancor più fastidio mostrarsi succube della sua ira di fronte alla calma determinazione del fratello.

"Perché? Davvero non ci hai pensato? Aegis, Silanna e me: Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Che tu voglia la pace oppure la guerra, che altro ti potrebbe servire?"

Silenzio. Galanár scrutava i suoi occhi e l'altro sosteneva il suo sguardo.

"La vuoi vincere, questa battaglia?", ripeté.

Difficile sfuggire a quella tentazione, difficile persino provarci, e non l'avrebbe fatto. Edhel aveva ragione.

"Va bene", acconsentì, "ma lascia che ti dia un avvertimento: d'ora in poi usami la cortesia di non pronunciare più il suo nome, in nessuna circostanza. Per il suo bene e per il tuo. E credimi se ti dico che non ho mai avuto paura di usare la forza, uomo, donna o elfo che fosse, da che ne ho memoria".

Il ragazzo fece un gesto di assenso, come se quella richiesta non rappresentasse per lui il minimo impedimento.

"Allora abbiamo un accordo?", chiese diretto, guardandolo negli occhi.

"Abbiamo un accordo".

NOTA DELL'AUTORE

La locuzione, nella sua interezza, è Si vis pacem, para bellum (Se vuoi la pace, prepara la guerra).

Le si attribuiscono molti significati (che solo chi ha dimestichezza con la guerra può apprezzare la pace, ma anche che fare la guerra a un nemico esterno è il modo migliore per tenere unito un popolo e poterlo governare meglio). Io mi attengo, per questo capitolo, al senso più comune, ovvero che il mezzo più efficace per assicurarsi la pace consiste nell'essere armati e in grado di difendersi.

La variante di questo motto è Si vis pacem, para iustitiam (Se vuoi la pace, prepara la giustizia), che nel presente contesto potrebbe avere comunque un suo significato 😉 

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