35. FERRO IGNIQUE AD EXCELSA
L'immobilità di un istante nel caos del momento, fragili equilibri che si disallineavano lungo catene di forza: Aidan li percepì senza averne davvero coscienza.
Con stupefacente lucidità, seppe solo che Edhel era caduto.
Con la sinistra libera, afferrò la lama elfica dal fianco e si fece strada tra i nemici con entrambe le mani armate.
Danzava, Aidan, come nella sala del trono di Arthalion, ma in quello spettacolo di sangue le sue armi incontravano la resistenza del metallo e della carne, e ogni suo gesto era pesante e rallentato. Spinse le proprie forze allo stremo per raggiungere il fratello. Quando lo vide, l'elfo stava cercando di liberarsi dai finimenti che lo tenevano imbrigliato alla sua cavalcatura, che si agitava terrorizzata.
Lo chiamò, superando le altre grida. Edhel sollevò il capo. Il cuore ricominciò a battergli nel petto e gli sembrò di ritrovare padronanza di sé. Prese al volo il pugnale che il fratello gli aveva lanciato mentre estraeva il secondo dalla sua scorta e insieme tagliarono le cinghie. Aidan ripose la lama, passò il braccio attorno alla schiena del fratello e lo trascinò via dal cuore dello scontro, brandendo la spada davanti a sé. Non sapeva in che direzione si stesse muovendo, se fuggiva il pericolo o se gli andava incontro. Si trascinava dietro Edhel, che si reggeva a stento, affidandosi solo all'istinto di sopravvivenza e infilandosi dove trovava un varco.
Nessuno, in quel trambusto, fece caso a loro: erano due ragazzi come tanti altri in quel campo, con le insegne di Arthalion che il sangue e il fango avevano cancellato.
Quando pensava di aver esaurito ogni energia, Aidan intravide il margine del bosco che delimitava un lato del campo di battaglia. Con uno sforzo di volontà, spinse se stesso e il gemello dietro un albero robusto, quindi entrambi si accasciarono sulle radici.
"Stai bene?", chiese l'arciere, quando ebbero ripreso fiato.
Edhel si mise a sedere, puntellandosi sulle mani ferite.
"Sì", rispose. "Credo di essere ancora intero, tutto sommato".
"Allora spostiamoci. Saliamo su quel costone. Da lì avremo una visuale migliore".
Si tennero bassi, corsero sopra una nervatura che sporgeva dal terreno e si ripararono sotto le fronde di un abete. A quel punto Aidan studiò la situazione. Sì erano spostati a est e si trovavano all'incirca a metà della pianura in cui i due eserciti si stavano affrontando, molto più vicini all'esercito nemico. Davanti a loro, lo scontro si era fatta campale. Non c'era un vero vantaggio, perché si era creata una grande mischia al centro, dalla quale sarebbero emersi i contendenti più resistenti nel corpo a corpo. Ogni strategia era stata messa da parte. Anche Galanár aveva abbandonato il cavallo e combatteva contro un robusto guerriero armato di ascia. Aidan lo riconobbe dallo scintillio di Ariendil e dalla dragona d'argento che vide muoversi nel vento. Edhel, invece, percepì la magia di Silanna e capì che si trovava in un punto lontano alla sua sinistra, ma non poteva vederla.
"Riesci a scorgere altro?", chiese l'elfo, dopo che si furono scambiati le rispettive impressioni.
"Tra un attimo te lo dirò".
Aidan cercò qualcosa che potesse essergli utile allo scopo. Quando guardò in alto, vide una coppia di corvi che volteggiava sopra il campo di battaglia. Cercò tra i vestiti la runa che portava appesa al collo e la strinse.
La Vista gli accese nella testa una gamma di colori incredibile. Gli alberi attorno e il groviglio di corpi sotto di lui divennero nitidi. Cercò di orientare il volo a est, nonostante la resistenza opposta dell'uccello in cerca di carcasse, ma alla fine ci riuscì.
Con uno sforzo enorme, ritornò in sé. Sgranò gli occhi e riconobbe Edhel che lo fissava preoccupato, quasi trattenendo il respiro.
"Ne stanno arrivando altri", riuscì a sputare fuori, mentre ancora boccheggiava. "Un altro contingente. Non sono molti, ma i nostri non credo se l'aspettino".
Edhel si mise a pensare più in fretta che poteva. Avvertire Galanár sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma non potevano raggiungerlo. Cercò Mellodîn con lo sguardo, ma il comandante era ancora più distante. Forse avrebbe potuto comunicare con Silanna usando i suoi poteri, ma non ne avrebbe ottenuto nulla.
"Dovremo cavarcela da soli", concluse.
Studiò il fratello e si accorse che aveva ancora il balestrino agganciato alla schiena.
"È ora di tirare fuori i tuoi colpi, arciere", esclamò con un sorriso, indicando a est con il capo.
Aidan non se lo fece ripetere due volte. Sganciò l'arma e la faretra, quindi si distese sul terreno, puntellò bene i gomiti e si preparò a tirare contro i soldati nemici che sciamavano verso il centro.
"Attendi il mio segnale", mormorò Edhel.
Il gemello annuì e mantenne il mirino sul bersaglio.
L'elfo abbracciò la scena con uno sguardo, poi prese un respiro profondo.
"Vai!"
La quadrella schizzò via con precisione. Quando raggiunse metà del volo, si incendiò e si tramutò in una sfera di fuoco incandescente. Colpì in pieno un soldato nemico. La punta lo trapassò da parte a parte, quindi esplose, bruciando i compagni che gli erano accanto.
Aidan si lasciò sfuggire un fischio d'ammirazione.
"Sapevo che non volevi fare la guerra solo con questi aghi", commentò divertito.
Vedendo che la sua intuizione aveva dato i suoi frutti, Edhel sentì il potere del Fuoco crescergli dentro. Cominciò a ritmare i tiri del fratello con frequenza crescente. I dardi e le esplosioni stendevano i nemici, gettando i Nani nella confusione.
"Finite", esclamò Aidan d'un tratto.
Edhel sbuffò.
"Be', non era che uno stratagemma temporaneo. Anche con un'intera scorta a disposizione, ci sarebbe voluto troppo tempo per farli fuori tutti in questo modo".
L'arciere si tirò su e si mise a sedere.
"Che facciamo adesso?", chiese, mentre riponeva la balestra nel suo astuccio.
L'altro non rispose. Era sprofondato nel pensiero ossessivo di dover trovare una soluzione a ogni costo. Il Fuoco in lui bruciava sempre più forte e le iridi gli erano diventate di fiamma. Aveva provato un'ebrezza avvolgente mentre incendiava i dardi di Aidan e aveva bisogno di un nuovo bersaglio verso il quale indirizzare la sua energia repressa.
Aidan rinunciò ad attendere una replica. Si aggrappò a un ramo basso dell'abete e si rimise in piedi. Agganciò un altro corvo con la Vista e sorvolò il campo di battaglia. Le frecce infuocate avevano rallentato la spinta del nuovo contingente nanico e sembrava aver dato un po' di fiato a Uomini ed Elfi, che continuavano a tenere botta al centro della pianura.
Quando riaprì gli occhi, era disteso sotto il grande albero ed Edhel non era più al suo fianco.
Silanna sentiva che la sua magia si affievoliva. Era al limite delle sue forze. Forse quella battaglia non sarebbe durata a lungo, considerato il massiccio impiego di energie che richiedevano quei duelli, ma proteggere Galanár in quel frangente si stava rivelando più estenuante del previsto.
Il corpo a corpo in uno spazio così ristretto la obbligava a un'assistenza continua: se la bravura di Galanár con la spada lo teneva al sicuro dal nemico che aveva di fronte, Silanna doveva stare attenta a ogni minaccia che poteva giungere alle sue spalle.
Si arrese all'idea di doversi concedere una pausa, seppur breve, dai suoi continui incantesimi. In quel momento percepì qualcosa di anomalo: Vilya si muoveva rapida e sovreccitata, come accadeva quando il Daimon dell'Aria si intrecciava con quello del Fuoco.
Il suo pensiero corse subito a Edhel. Era il solo, per quel che ne sapeva, ad avere a che fare con quell'Arcano, ma l'elfo doveva trovarsi ingaggiato al centro della mischia. Si era lanciato all'assalto assieme alla cavalleria e di certo non aveva tempo per dedicarsi agli incantamenti, nella baruffa feroce che stava impegnando quel reparto.
Nár, d'altra parte, era un Daimon feroce e imprevedibile, e i suoi usi in guerra potevano essere innumerevoli. Doveva scoprire se colui che se ne stava servendo era amico oppure nemico. Cercare la fonte di quella magia significava distrarsi dal suo compito di protezione nei confronti di Galanár, ma non indagare su quel potere rappresentava comunque un pericolo per tutti loro, e lei era l'unica in grado di scovare, ed eventualmente contrastare, quella minaccia.
A malincuore, si decise e spronò il cavallo, mantenendosi vicina al limitare del bosco. Seguendo i movimenti di Vilya, si trovò più vicina al centro dello scontro. Con la coda dell'occhio intravedeva le ali argentee dell'Idra nella mischia, ma la sua attenzione era rivolta al potere del Fuoco, che sentiva crescere d'intensità man mano che si muoveva a est.
Si spinse ancora oltre e alla fine lo vide: la tunica stracciata e sporca che lasciava intravedere i calzoni di cuoio e gli stivali; la spada lucente nel fodero, non più utilizzata; le mani candide che si muovevano con precisione ed eleganza, scagliando fiamme contro le retrovie del nemico. Con gli occhi socchiusi e un'espressione imperturbabile, Edhel dispensava morte come se stesse lanciando petali di fiori.
A colpirla ancor più, però, fu un altro dettaglio: non era da solo. Aveva radunato attorno a sé una mezza dozzina di maghi umani e li stava guidando negli incantesimi di attacco, dando loro ordini secchi e scrupolosi.
Edhel schiuse gli occhi per un istante, si girò e incrociò lo sguardo stupito di Silanna. Sollevò il capo trionfante nella sua direzione, poi lo rivolse verso il suo obiettivo. Sapere di averla sorpresa lo aveva fatto sentire più potente e la vicinanza dell'Arcano di lei aveva rinvigorito la magia del Fuoco. Con la forza degli altri maghi incanalata nella stessa direzione, lanciare incantesimi non gli era mai sembrato così semplice.
Una volta appurata la natura amica di quella magia, tuttavia, Silanna si disinteressò al loro lavoro. Si fermò a debita distanza dal gruppetto e scese da cavallo. Cercò un punto riparato e tornò a dedicare la propria attenzione al generale.
Edhel, nel frattempo, continuava a modellare il Fuoco con un'agilità mai sperimentata prima. I nemici cadevano colpiti dai suoi dardi incandescenti, mentre gli uomini di suo fratello prendevano vantaggio. L'ebrezza di quella forza che gli scorreva limpida sotto la pelle gli fece girare la testa. Si liberò il capo e abbandonò l'elmo per terra. I suoi capelli rossi si mossero nel vento e lui riprese la sua litania instillandovi ancora più forza.
I maghi che gli stavano attorno dovettero sospendere i loro incantesimi, colpiti dall'onda d'urto che si sprigionò dall'elfo quando un lampo scoccò in cielo sopra le due fazione nemiche. Una pioggia di lapilli si riversò sulle retrovie dei Nani, decimandoli, ma Edhel non riuscì a esultare a lungo del suo sterminio: una lancia gli sfiorò il braccio, mancandolo di poco.
Le sfere di fuoco lanciate in precedenza si curvavano seguendo i capricci del vento e confondevano gli avversari, ma la sua ultima esibizione di magia aveva attirato tutta l'attenzione su di lui. Era diventato il bersaglio dei lancieri nanici, decisi a far fuori quel pericoloso incantatore.
Ebbe appena il tempo di ordinare ai maghi di mettersi in salvo: un'altra lancia gli sfilò sopra la testa. Si gettò a terra, provando a strisciare verso un riparo. Cercò nella memoria un incantesimo di protezione efficace, ma non ne ricordò nessuno. Era tanto letale negli attacchi, quanto impreparato nella difesa magica. Un'altra lancia gli piombò addosso e l'elfo la schivò rotolando su un fianco, ma a quel punto il terrore si era impadronito di lui. Mentre tentava di trascinarsi fuori dalla portata delle armi da tiro nemiche, vide Silanna e istintivamente strillò il suo nome.
L'elfa si voltò e lo scrutò con i suoi occhi dorati. Intuì il pericolo e lesse il terrore negli occhi di lui, ma distolse lo sguardo e tornò a puntarlo su Galanár.
Non lo avrebbe salvato, glielo aveva giurato. Lo avrebbe lasciato lì, in balia dei dardi nemici, anche se l'avesse implorata.
La voce di Edhel la chiamò una volta ancora. Doveva essere più vicino, perché il grido di aiuto si era fatto distinto. Percepì addirittura lo spostamento d'aria provocato dall'ultima lancia scagliata contro di lui e, un attimo dopo, sentì che piangeva.
Aveva promesso di lasciarlo morire, di guardarlo morire, e non si mosse.
Vilya l'avvertì che un altro colpo di lancia era in arrivo. Edhel lanciò un urlo di dolore così acuto che Silanna fu obbligata a girarsi. Aveva scansato l'attacco con le ultime energie, rotolando sull'erba fin quasi a raggiungerla. Era riverso sulla schiena, senza fiato, ed era stato ferito perché la sua tunica viola era scura di sangue.
Un sussurro dell'Aria la spinse a guardare in alto: il colpo che stava arrivando l'avrebbe preso in pieno.
Silanna chiuse gli occhi, sollevò la mano e trattenne il fiato.
Lo scudo magico di Galanár andò in frantumi, mentre una violenta raffica di vento spazzava via la lancia e avvolgeva l'elfo in un abbraccio protettivo.
Galanár era esausto e sapeva che anche i suoi soldati erano allo stremo delle loro forze. Combattevano senza più alcuno schieramento, Uomini ed Elfi, e tutti erano provati allo stesso modo. Cercò di guardarsi attorno, di stimare per quanto ancora quella battaglia poteva prolungarsi prima che le energie e la speranza li abbandonassero del tutto.
D'un tratto si sentì privato di qualcosa, come se gli avessero sfilato di dosso l'armatura. Vacillò e dovette spostarsi per trovare un nuovo equilibrio. Il colpo del suo avversario andò a vuoto e lui lo finì. In quel momento il suono di un corno segnò la resa: i Nani si stavano ritirando.
I soldati del suo schieramento si accasciarono al suolo stremati, lasciando che i nemici arretrassero senza inseguirli, e il campo attorno a lui si svuotò. Con un gesto di stizza, Galanár piantò Ariendil sul terreno e si strappò l'elmo che non lo faceva più respirare.
In quello scenario desolato di polvere e sangue, si voltò per vedere cosa fosse rimasto del suo esercito ma, di ogni possibile immagine, una sola catturò il suo sguardo: al limite del terreno di battaglia, Edhel era raggomitolato sull'erba mentre Silanna, il braccio sollevato e la palma della mano aperta, curava le sue ferite.
NOTA DELL'AUTORE
Ferro ignique significa letteralmente "con il ferro e con il fuoco" e allude in generale alla violenza con cui si distrugge in guerra (da ferro ignique vastare viene, ad esempio, la nostra locuzione "mettere a ferro e fuoco"). Ferro ignique ad excelsa si traduce con "Con il ferro e con il fuoco tendiamo alle cose eccelse".
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