31. AMORIS TEMPŬS
Le notizie, prima solo sussurrate, avevano infine assunto carattere ufficiale: dopo innumerevoli colloqui e incontri, Galanár aveva distribuito le nuove cariche all'interno dell'esercito.
Mellodín era stato nominato comandante, così il primogenito di Medthalion e l'erede di Aermegil erano stati promossi capitani, assieme ad Aidanhin. Decisione che avrebbe dovuto suscitare scalpore a causa della sua totale inesperienza, ma che tutti si guardarono bene dal commentare. Galanár, in cambio, aveva ottenuto nuovo sangue per le sue truppe da ogni governante della Lega. Tutta carne da macello, costata qualche titolo, qualche baule d'oro e qualche promessa di futuri accordi. Suo padre Maldor non era stato chiaro al riguardo, ma Edhel si era comunque fatto una sua idea ed era giunto alla conclusione che il prezzo più alto non lo stava di certo pagando il fratello.
C'era stata, poi, l'altra cruciale faccenda che aveva tenuto banco per giorni, a causa delle animate discussioni tra padre e figlio: il re non approvava la scelta di Galanár di condurre entrambi i gemelli in guerra. Era una decisione folle, esporre al pericolo tutta la discendenza diretta di Arthalion! Visto che Aidanhín era stato scelto per guidare il corpo degli arcieri, Maldor voleva che Edheldûr restasse nella capitale. Galanár, senza addurre alcun valido motivo, si era ostinato nel negare al padre quell'unica richiesta.
Il punto era che, sebbene non avesse alcuna voglia di schierarsi dalla parte del fratello, Edhel voleva partire, e tutto sembrava giocare a suo favore. Lo aveva compreso già da un po', da quando Mellodîn gli aveva chiesto il permesso di rivelare a Galanár i dettagli del suo apprendistato magico. Il suo tutore sembrava molto in ansia per quella questione. Edhel era certo che non gli avesse rivelato tutto, ma aveva comunque accettato. Solo l'ultima raccomandazione del maestro, quel "Fate molta attenzione, principe" con cui si era congedato, gli aveva fatto venire i brividi.
Da quando era stata comunicata la data della partenza, Edhel aveva trascorso le ultime giornate ad Arthalion quasi in solitudine, se escludeva i momenti trascorsi con il gemello. La sera della vigilia aveva partecipato alla cena di commiato per far felice suo padre ma, quando si era reso conto di quanto fosse tardi, era sgattaiolato via. A corte aveva sempre avuto la fama di essere stravagante, quindi nessuno lo avrebbe notato.
Si era fermato nel loggione centrale a respirare l'aria della notte. Aveva ancora qualcosa di importante da ultimare, ma il tempo era poco e lui non aveva le idee chiare. Passeggiava indeciso avanti e indietro, facendo scorrere distrattamente la mano sulla balaustra di pietra, quando il rumore del cancello lo distolse dai suoi pensieri. L'ora era insolita e tutti gli ospiti presenti erano riuniti nella sala centrale. Incuriosito, si appoggiò alla cimasa e seguì con interesse la misteriosa figura che attraversava la corte a passo svelto, coperta da un pesante mantello.
Quando si accorse che la luna era alta in cielo e la rocca illuminata a festa, si ricordò della cena. Come aveva fatto ogni giorno, durante quella noiosa e solitaria permanenza, aveva fatto una passeggiata fino al lago, per poi perdersi nel boschetto, a studiarne le piante o a giocare con il vento. Era troppo tardi per recarsi nella sala, ma il pensiero in verità non le dispiacque. In fondo, si trattava di sopravvivere una notte soltanto in quella reggia. Se fosse andata a dormire subito, il tempo dell'attesa le sarebbe parso più breve. Al mattino, sarebbe stata di nuovo in marcia, di nuovo libera.
Le guardie, all'ingresso, la fecero passare senza una parola. L'elfa prese una torcia e si fece luce lungo le scale. Il cerchio luminoso che si spostava assieme a lei accarezzava le pareti ruvide della galleria centrale. Nella penombra, gli arazzi mostravano a intervalli squarci di cavalli rampanti e di donne con lunghe trecce.
Un'ombra si disegnò sul muro, distorta. Nella penombra, Silanna riconobbe la sagoma di Edhel. Non aveva avuto occasione di incrociarlo dalla sera del banchetto. Finse indifferenza, ma l'elfo avanzò verso di lei. Il chiarore della fiamma illuminò di bagliori perlacei il suo viso e la sua tunica elegante appena le fu di fronte.
"Mia signora", esordì determinato, "una parola prima di partire".
SIlanna dovette arrestarsi e subito assunse un atteggiamento guardingo. Non doveva permettergli di parlare. Era sciocco, avventato e pericoloso.
"Non credo di avere tempo per le vostre parole, altezza, né che lo meritiate".
Il giovane arricciò le labbra.
"Siete scortese. Che ho mai fatto per non meritarlo?"
"Se aveste un po' di vergogna, non lo chiedereste nemmeno", lo apostrofò autoritaria, sperando di cancellargli quel sorriso beffardo dalla faccia. "Il vostro comportamento ha molto offeso il principe Galanár".
L'espressione sul volto di Edhel mutò come lei si era augurata, ma la sua voce si contrasse in un'esclamazione di cupa rabbia.
"Lui ha molto offeso me!"
Silanna si sentì quasi investire dall'onda d'urto di quelle parole ed esitò prima di replicare.
"Siete ancora un ragazzo, principe Edheldûr. Non sapete nemmeno di cosa parlate".
Il giovane scosse il capo e un sorriso amaro gli increspò la bocca.
"So benissimo di cosa parlo, e lo sapete anche voi, anche se fingete di ignorarlo. Mio fratello offende me, l'intera corte di Arthalion e tutta la nobile ascendenza di mia madre. Lo fa da sempre, deliberatamente, perché è senza morale e senza dei. Ha in spregio ogni cultura e ogni tradizione, e voi non siete altro che la sua ultima provocazione. Perché pensate che vi abbia messa in mostra alle giostre, obbligando me e il mio gemello a quella farsa? E perché avrebbe esibito in modo tanto volgare la vostra bellezza, durante il banchetto?"
Silanna sentì l'imbarazzo arroventarle le guance e pregò che la scarsa luce riuscisse a celarlo: se Edhel l'avesse notato, si sarebbe sentito nel giusto e lei non poteva permetterlo. Già il tono della sua voce stava crescendo e lui cominciava a perdere la propria compostezza.
"Eppure siete un Elfo anche voi. Venite da una stirpe di traditori e questo, in effetti, non depone a vostro favore, ma siete comunque un Daimonmaster... come fate a tollerarlo? Non avete occhi? Non vedete di che pasta è fatto colui che dorme al vostro fianco? Galanár mi darà in moglie la figlia del signore di Calemar o la principessa di Aermegil, e spezzerà così la linea di sangue puro di Laurëlindon".
Silanna si sentì annegare in quelle affermazioni. Lui gliele stava gettando addosso senza alcun garbo e senza lasciarle tempo di trovare una spiegazione.
"E anche voi, perfino voi", continuò lui implacabile, "se mai un giorno doveste dargli un figlio, non potrete che mettere al mondo un bastardo!"
Un velo scuro le scese sugli occhi e le offuscò la mente. Silanna pensò solo a zittirlo e lo schiaffeggiò.
Edhel tacque. Si portò una mano al viso e la fissò come un animale ferito. Un attimo dopo, però, le afferrò il polso con uno scatto felino e la tirò a sé, incollando il viso al suo.
"Non fatelo mai più!", sibilò con la voce arrochita dall'ira. "Io sono Edheldûr, principe di Arthalion, e voi solo una delle sue tante amanti. Non lo dimenticate!"
Silanna represse il desiderio di colpirlo ancora.
"Vi pentirete di averlo detto", fu la sua risposta crudele. "Vi guarderò morire in battaglia e non alzerò un dito su di voi. E quando mi supplicherete di essere curato, io ve lo negherò".
Edhel la lasciò andare e rise sarcastico dell'espressione che le si era disegnata in volto. Si ricompose e tornò a fissarla con la solita sfacciataggine.
"Attendo con ansia quel giorno, mia signora. E allora vedremo".
Le fece un inchino, ma senza abbassare il capo, e si allontanò con un sorriso sicuro. Silanna lo seguì con lo sguardo finché non fu avvolto dall'ombra, poi prese fiato. Forse c'era una parte di verità nelle parole di Edhel, ma non aveva importanza. Lei avrebbe seguito il suo destino a qualsiasi costo.
Quando Silanna poggiò la mano sulla porta della stanza, udì un rumore alle sue spalle. L'elfa trattenne il fiato mentre si girava: quale altra sorpresa nascondevano gli oscuri corridoi di quel castello? Il principino le aveva fatto già perdere tempo a sufficienza, non aveva voglia di altri incontri.
Ebbe un moto di stupore quando riconobbe Galanár. Con le braccia e le gambe incrociate, stava in piedi contro la parete ed era evidente che la stava aspettando. Silanna non si mosse e attese che fosse lui ad avvicinarsi.
"Vi ho spaventata?"
"Ci vuole più di un'ombra per spaventarmi".
Il principe abbozzò un sorriso, ma subito ridivenne serio.
"Sono qui per scusarmi".
Lei lo guardò con sospetto.
"Voi? Scusarvi?"
"Vi devo delle scuse, credo. Per il mio comportamento dell'altra notte... e per un paio di questioni di cui non vado molto fiero".
La luce della torcia vacillò un istante, confusa come colei che la reggeva. Silanna non aveva mai udito Galanár scusarsi con nessuno e per alcun motivo al mondo. Stentò a trovare una risposta adeguata.
"No, sono io che devo scusarmi", snocciolò in fretta. "Vi ho avvilito con il mio cattivo carattere e mi dispiace".
Lui la scrutò in silenzio, come se attendesse qualcosa.
"Mi fareste entrare?", chiese infine, di fronte alla sua immobilità.
Silanna sospirò.
"Se lo comandate...".
Collocò la torcia sul muro ed entrò. Il fuoco era acceso e illuminava la stanza di una luce morbida. Lei avanzò fino al camino e tese le mani gelide verso la fiamma. Quando si girò indietro, si accorse che lui non si era mosso dal vano della porta e lo fissò interrogativa.
"Io non ve lo sto comandando", puntualizzò il principe. "Io voglio sapere se vi fa piacere avermi qui, stanotte".
"Ha importanza, dal momento che potete comunque comandarlo?"
Galanár scosse il capo, spazientito, poi parve decidersi e chiuse l'uscio dietro di sé con un rumore secco. Fece qualche passo verso di lei, si fermò e si slacciò la cinta di cuoio.
Silanna sobbalzò e trattenne il fiato di fronte a quel gesto. Di tutte le buone raccomandazioni che aveva fatto a se stessa dopo il banchetto, non ne rammentava più nemmeno una.
Il principe strinse in un pugno la guaina della spada e la sfilò dalla cintura, che cadde a terra con un pesante suono metallico. Lei arretrò di un passo e, di fronte a quella reazione, lui si interruppe, l'arma ancora stretta tra le mani.
"Silanna, ma non capisci?"
Lei sbatté le palpebre. No, non capiva cosa stava per accaderle e soprattutto perché il principe avesse di colpo rinunciato a ogni formalità.
Galanár estrasse Ariendil dal fodero. Prese fiato, come se avesse dovuto affrontare un ostacolo, e protese la spada verso di lei.
"È la mia resa", dichiarò. "Hai vinto".
Lei vacillò.
"Che significa?", chiese con un fil di voce.
Il principe poggiò Ariendil tra le sue mani, le chiuse con delicatezza le dita attorno alla lama, poi indietreggiò.
"Significa che non sopporto più l'idea di passare una notte lontano da te. Significa che sono disposto ad accettare ogni tua richiesta. Significa che sarai la mia compagna, in battaglia e ovunque tu vorrai, e sarai rispettata da tutti come tale. In cambio, mi aspetto che non ci sia da parte tua nemmeno una parola di biasimo se mi dovesse accadere di cercare compagnia altrove. Ed è il minimo che tu possa concedermi perché, se mi hai condotto fino a questo punto, dovresti già sapere che nessuna prenderà mai il tuo posto".
Silanna adagiò con cura la spada sul letto, quindi tornò a guardarlo mentre si tormentava le mani.
"In pratica, quello che accade in qualsiasi matrimonio umano di convenienza".
"In pratica sì, suppongo. Ma senza che io faccia voti e senza che tu venga meno ai tuoi. E in ogni caso, noi ci siamo scelti".
"Ma tu non puoi sposarmi", commentò lei con un velo di tristezza.
"Non posso farlo", confermò lui con lo stesso tono.
Silanna chinò gli occhi e cercò di prendere tempo, per mettere ordine nel caos del suo cuore. Si sistemò sul letto e passò una mano sul ricamo della coperta.
Il principe attese un istante, poi le sedette accanto. Ammirò l'esitazione che emanava dal suo viso, che la rendeva più fragile e più bella, alla portata dei suoi desideri, e l'attirò a sé per baciarla. Quella sensazione fisica, viva e reale, trasmise un brivido a Silanna. Ricambiò quel bacio con trasporto, cercando di imprimere nella memoria il tocco delle sue labbra, l'intensità della sua passione, il calore di quella stretta. Quando si staccò da lui, l'elfa vide che era calmo, determinato, come se quel bacio avesse sancito un accordo e riportato pace nel suo spirito.
"Ho un compito da portare a termine e non posso tirarmi indietro, non posso permettermi di distogliere lo sguardo. Ma un giorno sarò re, e quel giorno... Troveremo una soluzione, Silanna! Esiste sempre una soluzione".
L'elfa assaporò la promessa di felicità contenuta in quelle parole, poi decise di girarsi e, per la prima volta, gli permise di slacciarle la veste. Mentre il principe tirava via le stringhe che si intrecciavano sulla schiena, la mano di lei sfiorò l'elsa di Ariendil. Il freddo del metallo le trasmise un profondo senso di sicurezza e, in quell'abbandono, Silanna scoprì che le piaceva il tocco delle sue dita. Era delicato, ma preciso. Lo lasciò fare ma, quando si fu tolta la veste, si infilò in fretta sotto le coperte. Galanár si distese sul letto, con ancora indosso gli abiti, e lei lo accarezzò con lo sguardo.
"Vieni a dormire", mormorò.
Galanár scosse il capo e sorrise.
"Stanotte voglio restare sveglio".
Iniziò a carezzarle i capelli con un movimento delicato. Silanna chiuse gli occhi e scivolò nel sonno, sfinita da quell'altalena di emozioni. Il principe rimase a studiare il suo profilo. L'immagine di lei lo aveva tormentato per giorni. A tratti aveva persino pensato di odiarla.
Le passioni erano fatte per essere dominate, e lui non era mai stato uomo da sottrarsi al combattimento. Così aveva cercato di figurarsi il rapporto con Silanna come una battaglia, con un esercito di emozioni a comporre le linee nemiche, perché quello era un linguaggio che poteva comprendere.
In un simile contesto, anche la sconfitta era una condizione sopportabile, persino onorevole, perché si era comunque vincitori quando si accettava di affrontare l'avversario. Il disonore era nella fuga, ma lui non era mai arretrato di un passo. Aveva combattuto fino alla fine e lei aveva vinto. Non restava che consegnare le armi e patteggiare la resa, ed era quello che aveva appena fatto.
Certo, ci sarebbe stata di tanto in tanto una Roselyne, o qualcuna di cui non avrebbe ricordato il nome al mattino dopo, ma non avrebbe rappresentato nulla per lui. Non aveva mai conosciuto nessuna in grado di catturare la sua mente come aveva saputo fare Silanna.
Era innamorato di lei. Ammettendolo a se stesso, poteva scendere a patti con quel sentimento. Poteva dominarlo e non esserne dominato, e quella certezza gli faceva guardare con serenità ai giorni foschi cui stava andando incontro.
Finalmente placato, anche lui si addormentò. Nel sonno, le cinse la vita con un braccio, come per proteggerla. Nel sonno, lei intrecciò la mano alla sua e se la strinse al petto, sopra il cuore.
NOTA DELL'AUTORE
E con Amoris tempŭs siamo giunti alla "stagione dell'amore"... 😊
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