27. CARPE NOCTEM

La corta cappa decorata in oro si era spostata, scivolando giù dalla spalla su cui era fissata. La stoffa si era stropicciata sotto la gamba che teneva piegata, le nappe sfioravano il pavimento polveroso e il giustacuore slacciato lasciava intravedere il bordo rifinito della camicia. Aveva l'aspetto magnifico e scomposto di un guerriero a riposo ma, allo stesso tempo, c'era qualcosa in quell'abbandono che lo faceva sembrare innocente come un fanciullo.

 La ragazza si era fermata a osservarlo, con le braccia incrociate sul petto e un lieve sorriso.

Mellodîn socchiuse gli occhi e cercò di ricordare dove si trovasse. Doveva essersi appisolato su quella panca, nell'anticamera della regina. Sarebbe potuto restare al banchetto, in effetti. Le dame, a un certo punto della festa, si erano ritirate nelle loro stanze, e così la maggior parte degli ospiti. Galanár era rimasto a gozzovigliare con gli ufficiali e i giovani nobili della Lega. Di certo doveva essere ancora lì. Lui, però, era andato via prima. In parte perché non aveva nessuna voglia di assistere ai danni che rabbia, gelosia e livore erano in grado di produrre nel suo migliore amico. In parte perché, dopo un'intera giornata trascorsa a fargli da ombra, seguendo ogni passaggio scandito dal cerimoniale, riteneva di aver meritato un po' di libertà.

Dal momento che l'aveva di fronte, Mellodîn la ammirò da capo a piedi, come se avesse bisogno di segnare ogni dettaglio della sua figura, dall'abito elegante che le disegnava il corpo alla lunga treccia bionda, fino a concentrarsi sul viso. Si drizzò, si mise a sedere e cercò di dare una sistemata sommaria al proprio aspetto sgualcito. Piegò un angolo della bocca quando si rese conto degli scarsi risultati ottenuti, quindi rinunciò a ogni altro tentativo e si concentrò sulla ragazza, che continuava a scrutarlo divertita.

"Dama Alis", scherzò, fingendosi formale, "avete finito di svolgere le vostre mansioni per la regina?"

"Sì", rispose lei nel medesimo tono. "E voi, capitano? Non dovete più fare compagnia al nostro grazioso principe?"

Lui scosse il capo e sorrise, mentre si levava in piedi per avvicinarsi.

"Suppongo che il nostro valente principe stia indulgendo in attività che non richiedono la mia presenza al suo fianco. Avete programmi per questa notte?"

Lei sospirò vistosamente e rivolse gli occhi al soffitto.

"Nulla. Dopo una simile giornata, vorrei solo distendermi".

Fu un lampo, un'ombra o un riflesso. Forse il modo buffo in cui aveva pronunciato la frase, o atteggiato le labbra, o sgranato gli occhi chiari. Qualcosa si accese nella memoria del capitano e lui rivide l'immagine di Alis com'era quando l'aveva conosciuta, quando aveva perso il sonno e la ragione per quella ragazzina bionda appena arrivata alla corte di Arthalion per servire Laurëloth. 

Quel ricordo gli suggerì un'ispirazione improvvisa.

"Permettete che vi accompagni?", chiese con fare galante.

Erano le stesse parole che le aveva rivolto la sera di tanti... ma quanti, ormai? Sei, forse sette anni prima. Temette di aver perso il conto, e forse lo aveva fatto anche lei. Di certo, però, non aveva smarrito il pensiero di quel momento. Ne custodiva ogni dettaglio nel cuore. Così, nell'udire quella frase, Alis decise subito di stare al gioco e lo sfidò.

"Temo che sia una premura inutile, la vostra. Sono una dama della regina, non do il mio amore ai soldati".

Lo stesso sguardo altero, lo stesso tono gelido e orgoglioso con cui gli aveva risposto la prima volta. Mellodîn sorrise alla sua replica e di se stesso: come in quella notte lontana, gli era salito alla testa un desiderio irrefrenabile di baciarla.

"Forse", suggerì passandole un braccio dietro la schiena e sollevandola tra le braccia, "potrei farvi cambiare idea".

Alis rise, gli allacciò le braccia attorno al collo e non lasciò la presa fino a quando lui non spalancò la porta della propria stanza e l'adagiò sul letto. Rimase distesa a farsi ammirare alla luce della luna, e a fissarlo con la medesima intensità.

Rivedersi dopo mesi di separazione era, ogni volta, una tortura e una scoperta. Un'emozione così variegata era difficile da illustrare a parole. Mescolava l'ansia dell'attesa e il sollievo per il ritorno, l'amaro della solitudine e la speranza di un futuro, il cieco desiderio del corpo e le esigenze del cuore. Era una relazione, la loro, che non tollerava domande e non poteva fornire risposte, ma che resisteva come un miracolo al tempo, alle distanze e alle follie di Galanár.

Quando il capitano pensò di aver fatto sua la nuova immagine di lei, che si andava a sommare a tutte quelle che aveva collezionato, si chinò e cominciò a slacciarle il vestito. Cercava di non mostrare troppo fretta, provava sempre a essere gentile quando si rivedevano dopo lungo tempo, ma quel giorno trattenersi era più difficile del solito. Trascorrere un'intera giornata alle giostre aveva significato poterla vedere ma non poterla toccare, sfiorarla senza mai afferrarla, piangere o ridere senza poter scambiare una parola.

"Sono disarmata", mormorò Alis con voce lieve, quando lui l'ebbe spogliata. "Pretendo un combattimento leale".

Quel sussurro gli rivelò quanto anche lei fosse fremente, quanto avesse atteso quel momento con lo stesso desiderio e la stessa frustrazione che lui aveva in corpo. Annuì e slacciò la cintura.

"Sta bene", replicò, mentre si levava gli abiti e li lasciava cadere senza ordine sul pavimento. "Mi batterò a mani nude".

Cominciò a fare scorrere le dita sulle sue gambe piegate e risalì lungo i fianchi, fino a stringerle i seni. Le sfiorò il corpo con le labbra, con una delicatezza che contrastava con i suoi modi militari e che riusciva sempre a sorprendere Alis. Lei si sollevò sui gomiti, poi si drizzò sulle ginocchia e lo obbligò a fronteggiarla, mentre i loro corpi si incollavano come se non avessero atteso altro. Le mani del capitano le scorrevano sulla pelle sempre più frenetiche, prendendo possesso di ogni lembo, di ogni piega, di ogni anfratto. Si insinuarono tra le sue gambe, iniziando la loro tortura del piacere che, di lì a breve, le avrebbe tolto ogni lucidità e ogni freno. Prima di perdersi in quel languore, però, lei avrebbe almeno strappato un'insegna al suo avversario. Si ancorò al suo collo e gli rubò un lungo bacio, cogliendolo di sorpresa.

Alis ridacchiò per quell'agguato ben riuscito, che aveva obbligato il capitano a rallentare la sua corsa, per soffermarsi sulle sue labbra e sul suo viso. Mellodîn le lanciò un'occhiata complice, poi si lasciò cadere con la schiena sul letto e l'attirò sopra di sé. Nella penombra, le cercò le dita e le intrecciò alle sue, in un nodo saldo. Alis si strofinò contro il suo corpo, poi si lasciò affondare fino a sentirlo completamente dentro di lei. A quel punto cominciò a muoversi flessuosa, alla ricerca del piacere per entrambi. 

Quando la danza finì, la ragazza si abbandonò sopra di lui e rimase immobile, le ciglia serrate, a godere degli ultimi spasimi che le attraversavano il corpo. Mellodîn le circondò la schiena con le braccia. Restarono a lungo in silenzio, preda del torpore, oscillando tra la percezione ancora viva dei loro corpi uniti insieme e la tranquillità dei pensieri. In quello stato beato, Alis schiuse le labbra e sfiorò la sua pelle, trasmettendogli un brivido.

"Sono così felice che tu sia qui...", mormorò con la voce pesante di una bambina che non riusciva a svegliarsi.

Mellodîn, a quell'accento, serrò le palpebre per impedire alle ciglia di bagnarsi. Provò una fitta al cuore che gli mozzò il fiato, ma non voleva che lei lo avvertisse. Si concentrò sul profumo di lavanda dei suo capelli per tornare a respirare e per allontanare l'idea del dolore.

"Anche io", sospirò quando fu certo che lei si fosse addormentata sul suo petto.

Silanna si era ritirata molto prima, assieme alle altre dame. Galanár, invece, aveva dovuto attendere che gli ospiti fossero andati via per rimanere da solo. Per tutto il tempo la sua mente era stata altrove, persa in quella scena cui non avrebbe mai creduto, se non l'avesse avuta davanti agli occhi.

Si raccontò che la vista di un uomo poteva essere ingannata e mandò giù l'ennesima coppa di vino, sperando di demolire nell'ebbrezza la precisione delle sue percezioni. Fissò il vuoto della sala che fino a qualche ora prima era piena di chiacchiere. I servitori entravano e uscivano cercando di non far rumore. Era stato ordinato loro di tenere acceso il fuoco e di non recare disturbo al principe. Galanár continuò a bere e a pensare fino a quando non ne ebbe abbastanza, quindi si alzò di scatto e uscì.

Caracollò lungo i corridoi deserti. Non sapeva a che punto fosse la notte. Il buio era ancora fitto e la luce delle torce gli faceva male agli occhi. Appoggiò una mano contro la parete ruvida di pietra per fermare il mondo che gli ruotava attorno.

"Il tuo spirito è inquieto".

La voce che lo colpì alle spalle gli parve d'improvviso un balsamo delizioso per la sua testa pulsante. Prese fiato prima di voltarsi.

"Madre...".

"Galanár, vieni a farmi compagnia".

Silenzio. In basso, nella corte, udì lo scatto delle alabarde delle sentinelle che si scambiavano il turno di guardia. Parlarle gli avrebbe di certo giovato, ma in quel momento desiderava solo andare da Silanna. Esitò.

"Dove sono le vostre dame?"

"Le ho congedate. Vieni, siamo soli".

Con un leggero velo di riluttanza nel cuore, la seguì. 

La stanza della regina era riscaldata da fiamme vivaci, che disegnavano ombre sulle pareti e facevano danzare le figure immobili degli arazzi. Galanár si sorprese di ricordare ancora alla perfezione ogni singola scena di quei ricami, tanto a lungo li aveva fissati da bambino. Sua madre, davanti allo specchio, scioglieva i lunghi capelli d'argento. Il principe fissò i riflessi del fuoco che ondeggiavano al movimento delle ciocche. Le sue percezioni erano alterate e il desiderio di chiudere gli occhi era sempre più forte. Si mise a sedere sul letto con un lieve sospiro.

"Il tuo spirito è inquieto", ripeté Laurëloth a bassa voce, spiandolo attraverso la superficie lucida.

Quella sottolineatura riaccese i suoi sensi sopiti. Il giovane sollevò lo sguardo con piglio deciso e l'espressione del suo viso si irrigidì.

"Inquieto, certo, e a ragione! È questa l'educazione che viene impartita ai giovani di Arthalion? Son via da troppo tempo, o sono cambiati i costumi di questa corte?"

"Stai indirizzando la tua ira contro il bersaglio sbagliato".

"Al contrario, non vedo come potrei indirizzarla meglio! L'uno mi rende ridicolo, l'altro mi offende, e tutto sotto gli occhi dell'intera corte! Hanno forse dimenticato, i vostri figli, il rispetto che devono portare al loro fratello maggiore?"

La regina cominciò a raccogliere i capelli in una treccia, lasciando cadere qualche minuto di silenzio.

"Galanár", disse infine, quando ritenne di averlo lasciato aspettare abbastanza, "conosco i tuoi fratelli come tu non potrai mai avere la pretesa di fare, e ti ripeto che non è su di loro che devono ricadere le tue preoccupazioni. Sono giovani e forse troppo impulsivi, te lo concedo, ma non trovo nulla di incomprensibile o pericoloso nel loro comportamento".

"Non osate giustificarli, madre!", tuonò il principe, alterato da quelle parole e dalla calma con cui erano state pronunciate.

A quel punto l'elfa si girò a guardarlo dritto negli occhi.

"Aidan vive all'ombra della tua luce. Quando sei in guerra non fa che parlare di te e di quando potrà servire nel tuo esercito. Voleva solo la tua attenzione".

Galanár brontolò qualcosa, irritato, ma non osò interromperla.

"Ed Edhel", puntualizzò la regina, senza esitazione, "è ancora un ragazzino. Non ha mai messo piede fuori da queste mura e non ha mai conosciuto una donna. La sua è stata la sciocca spavalderia dell'inesperienza, e tu hai comunque la tua buona dose di responsabilità, in quello che è accaduto".

Il principe scosse il capo e non rispose, ma la sua ira iniziale sembrava mitigata, come se avesse almeno accettato di riflettere. Lei ne approfittò. Si levò in piedi e andò a sedersi al suo fianco.

"Sai fin troppo bene quanto importanti siano per te le amicizie e le inimicizie. Giudica con la saggezza della tua età quanto eccessivo sia il tuo biasimo e comincia a guardare con occhio benevolo i due principi di Arthalion".

Galanár fissò le iridi luminose della madre e pensò di aver ereditato proprio da lei l'arte della bella parola, perché in quel momento non sarebbe riuscito a negarle nulla. La ferita dell'orgoglio, però, era ancora troppo fresca perché la sua resa potesse essere incondizionata. Si limitò ad assentire col capo. Il viso di Laurëloth, prima teso e contratto, si sciolse in un sorriso affettuoso.

"Adesso sii gentile", riprese con tono più leggero. "Slacciami la veste, così che possa cambiarmi da sola, poi bevi l'infuso che ti ho preparato. Ti farà sentire meglio".

Lui obbedì senza protestare. Mentre tirava via le stringhe, si sorprese a ricordare le tante volte in cui aveva fatto quel gesto: sete, broccati, stoffe più o meno costose, tante e diverse quanto le donne che erano state ansiose di amarlo, di amare il principe, anche solo per una notte.

Silanna non gli aveva mai concesso l'intimità di quel gesto. Dormiva al suo fianco da mesi, eppure non aveva sciolto nemmeno un laccio dei suoi indumenti o il nodo della sua cintura. Forse era quello il motivo per cui, al banchetto, le aveva imposto una veste senza maniche né legacci. Cercò di ridere di se stesso, ma si accorse che quella riflessione era troppo amara per il suo cuore.

NOTA DELL'AUTORE

Carpe noctem, come avrete intuito, è l'altra versione del più famoso Carpe diem e ha il medesimo significato di "afferrare la notte" o "godersi la notte", invece che il giorno 😉 

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