26. MELLE LITUS GLADIUS

Era una guaritrice. Era un Daimonmaster. Era stata definita in molti modi, ma di certo non poteva essere la fanciulla che vedeva riflessa nell'argento.

La seta, color avorio, era la più preziosa che si fosse vista in Arthalion e i ricami che decoravano il bordo erano mirabili. Una cinta con tre fili d'oro adornava la veste. Il taglio, però, era parecchio inusuale: il tessuto, drappeggiato intorno al corpo, era fissato su una spalla. 

Prima di passarlo attraverso la stoffa, Silanna ne osservò il fermaglio che avrebbe dovuto, da solo, sostenere quel capolavoro di stoffa: l'idra di Arthalion si curvava sinuosa, scolpita nell'argento più puro. Una delle zampe ungolate era sollevata e reggeva una fiamma. Era l'insegna personale di Galanár. 

Sospirò e l'affibbiò con cura, cercando di non pensare al turbamento che l'aveva assalita: quei doni sembravano un anticipo su un conto che prima o poi avrebbe dovuto pagare, e quel fermaglio aveva tutto l'aspetto di un marchio di appartenenza.

Lei non era mai stata proprietà di nessuno e lui intendeva mettere un sigillo sul suo corpo? E quanti altri sigilli erano stati posti su entrambi da quando erano giunti a corte?

La vita che conducevano a Formenos o nei giorni di marcia era per loro l'unico modo per stare insieme, ma non era reale. Sul campo, Galanár era il generale, l'eroe. I suoi uomini lo amavano e accettavano senza condizioni qualsiasi sua decisione, persino la più bizzarra. A corte, però, era l'erede di Arthalion, il futuro reggente della Lega, le cui scelte erano soggette a innumerevoli influenze esterne, che a lui piacesse o meno.

Silanna chiuse gli occhi. Pur senza chiederlo apertamente, aveva preteso dal principe una presa di posizione nei suoi riguardi. Si era comportata, in definitiva, come qualsiasi altra donna e forse lui stava solo provando a far fronte alla sua richiesta, nei limiti che gli erano concessi.

Cercò con lo sguardo il fermaglio d'argento che risaltava sulla seta: in fondo, per raggiungere i suoi scopi, doveva accettare qualche compromesso. Che importanza aveva se, per una notte soltanto, si fosse mostrata a tutti come lui desiderava? Docile, bellissima e di sua proprietà.

Se fosse stato necessario a renderla regina, lo avrebbe fatto.

I valletti impiegarono un'ora per accendere le candele e sollevare i candelieri sopra le tavole. Il maestro delle cerimonie aveva ordinato stoviglie di oro sbalzato e i cacciatori avevano portato la migliore selvaggina. Il principe Galanár aveva indetto un banchetto per celebrare l'investitura dei fratelli.

In realtà, quella cena rispondeva a un'urgenza ben diversa: doveva rafforzare il patto di alleanza  con gli Arconti, dal momento che, di lì a poco, avrebbe dovuto chiedere loro un nuovo tributo di sangue.

La presenza di Silanna non era stata pianificata: semplicemente non era riuscito a rinunciare a lei. Era stata senza dubbio una debolezza ma, dal momento che non conosceva mezze misure, aveva deciso che era meglio sfoggiarla invece che nasconderla. Il cerimoniale di corte prevedeva che al suo fianco sedessero gli Arconti in ordine di anzianità, quindi dispose per lei il seggio di fronte, tra i due principi gemelli, come andava fatto per un ospite d'eccezione.

A piccoli gruppi, i nobili e i cavalieri si inchinarono per porgere omaggio ai sovrani, che presiedevano l'evento da un desco decorato con foglie di acero, sistemato su una pedana rialzata in fondo alla sala. Gli invitati avevano preso posto attorno alle due lunghe tavolate che ne occupavano i lati ed erano intenti nella conversazione, quando Silanna fece il suo ingresso.

La sua carnagione, di un colore mai visto in quella corte, era esaltata dalla tinta del vestito. Il drappeggio lasciava scoperte le braccia ben disegnate. I capelli neri erano acconciati in trecce elaborate, costate alle ancelle ore di lavoro. Mentre avanzava verso il suo seggio, la stoffa leggera si attorcigliava alle sue gambe tornite e lasciava intravedere le forme flessuose. Era così distante da qualsiasi forma di bellezza umana, che ogni uomo presente fu obbligato ad ammirarla.

"Bella, è bella", ammise Maldor, mescolando ammirazione e disapprovazione, mentre Laurëloth la scrutava per tutta la sua altezza.

Il re la osservò prendere posto di fronte al suo erede, scosse il capo e tornò a fissare la zuppa che gli avevano appena servito. Ne assaggiò un sorso senza troppo interesse, per permettere agli invitati di iniziare la cena, quindi lasciò cadere il cucchiaio sul piatto.

"Ma è un errore", concluse.

"Mi sorprende che sia proprio tu a biasimarlo".

L'uomo si incupì.

"Non dovrei biasimarlo per questo suicidio politico?", si lamentò. "La situazione a Foroddir sta peggiorando. Galanár ha bisogno di rinforzi, per questo ho riunito gli Arconti. Speravo che nostro figlio fosse più saggio: doveva venire qui per convincerli, non per scandalizzarli".

Mentre parlava, la regina continuava a sorridere all'indirizzo degli ospiti, senza far trasparire l'ansia per quella discussione.

"Il tuo biasimo", replicò infine, a bassa voce, "arriverebbe da una fonte troppo debole".

Rivolse lo sguardo al marito e, quando i loro occhi si incontrarono, Laurëloth sorrise.

"Non hai forse agito alla stessa maniera, quando tutti si aspettavano da te una scelta differente?"

Anche lui sorrise a quel ricordo. Erano trascorsi molti anni dal giorno in cui erano fuggiti da Laurëgil insieme, ma il fatto che la loro vita fosse stata gioiosa, non garantiva ad altri uguale successo.

"La Lega è cambiata da allora. Le necessità e le ristrettezze di un tempo hanno lasciato spazio al benessere, e gli Arconti sono meno avvezzi alle rinunce. Galanár potrebbe trovarsi nella condizione di dover accettare parecchi compromessi, e in più... in più, tu eri una principessa di sangue reale, non una fuori casta!"

Laurëloth sospirò: a quel dettaglio aveva pensato anche lei.

"Forse non dovremmo preoccuparci tanto", rispose. "Galanár è stato contrariato, si è sentito sfidato. Lo conosci, sai che non ama le imposizioni. Non l'avrebbe nemmeno condotta a corte se non gli avessero fatto sapere che non era gradita. Gli parlerò più tardi, se questo ti può dare sollievo".

"Sarebbe meglio", sentenziò il sovrano.

Guardò di nuovo il figlio: Galanár ascoltava con attenzione l'Arconte di Medthalion, che illustrava la disponibilità dei suoi armamenti, ma di tanto in tanto i suoi occhi correvano a cercare lei.

Che se la goda, finché glielo permetteranno, pensò Maldor con una punta di tristezza.

Anche la regina osservava la scena, ma i suoi ragionamenti erano molto diversi da quelli del marito: Galanár sembrava felice, ma quanto sarebbe stato disposto a sacrificarle? Si sarebbe privato di un regno o anche solo di una battaglia per lei?

Laurëloth non aveva bisogno di ascoltare le chiacchiere di palazzo. Non la credeva una strega e non pensava che avesse fatto a suo figlio alcun genere di incantesimo: se avesse voluto un uomo, quell'elfa aveva tutta l'aria di sapere come prenderselo, e senza simili trucchi. Inoltre Galanár, anche se non lo dava mai a vedere, ne sapeva abbastanza di magia. Era in grado di difendersi, almeno da quel tipo di fascinazione.

Guardò Silanna con un misto di curiosità e di apprensione: se quella fanciulla fosse riuscita a conquistare il tradizionalismo della corte di Arthalion e, soprattutto, se fosse riuscita a legare a sé il suo indocile figlio, allora sarebbe stata lieta di scambiare due chiacchiere con lei.

Aidanhín non nutriva alcun interesse nei confronti di dama Roselyne che, in quanto regina della giostra, sedeva alla sua sinistra. Giocare con un nastro del suo vestito e ascoltare la sua conversazione, però, erano ottime scuse per ignorare Silanna. Il suo rifiuto di giostrare per lei sarebbe stato oggetto dei pettegolezzi per settimane, ma per lui quell'episodio era solo molto divertente. Come Galanár, anche Aidan non conosceva mezzi termini ma, al contrario del fratello, lui discriminava con il cuore e non con la mente.

Edhel, dal canto suo, esaminava con finta attenzione il contenuto della coppa che stringeva in mano e Silanna guardava il piatto come se lo trovasse di grande attrazione, dal momento che non aveva nessuno con cui conversare. Percepiva il turbamento del giovane al suo fianco, ma ne conosceva la natura, perché aveva vissuto per troppo tempo in un consesso maschile: era nervoso ed eccitato dalla sua presenza.

D'istinto cercò di coprirsi, ma incontrò soltanto la pelle nuda. Non era a proprio agio in quel vestito che la esponeva agli sguardi di tutti ma, appena Galanár le accarezzò il viso con una fuggevole occhiata, Silanna si sentì al sicuro. Capì che l'erede di Arthalion le aveva fornito la migliore armatura: dichiararla di sua proprietà la rendeva inviolabile. Che il principe elfo si struggesse pure di desiderio, allora, e con lui tutti gli uomini presenti! Lei, da quel momento, avrebbe solo cercato di godersi la festa e di compiacere il suo principe.

Edhel, nel frattempo, cercava di distrarsi dai cattivi pensieri che gli ronzavano in testa osservando il movimento che si era creato attorno alle tavolate. Il vino cominciava a scaldare i commensali, e la lunga pausa tra una portata e l'altra aveva portato scompiglio nell'ordinata disposizione iniziale.

Galanár era accerchiato dai cinque Arconti, che si erano disposti più vicino a lui per poter discutere di chissà quali accordi. 

Aidan aveva trovato una scusa per allontanarsi dalle due donne che, per un motivo o per un altro, gli stavano complicando la serata e aveva raggiunto il capitano Mellodîn. In piedi, appoggiato allo scranno del maestro, gli stava riportando qualche buffo episodio della giornata, a giudicare dall'espressione divertita di entrambi. 

Poco distante da loro, un gruppetto di giovani ufficiali faceva capannello attorno a Bellator e alla ragazza che gli sedeva accanto. I due stavano raccontato alcune storie sui pirati che avevano attaccato le loro terre, con grande enfasi di lui e sottile imbarazzo di lei. Dai frammenti di discorso che gli giungevano, Edhel capì che era sorella di Amalion, il principe di Aermegil, e aveva accompagnato il padre in sua assenza. Il che spiegava la confidenza con Bellator, che di Amalion era amico fraterno, ma non l'interesse che mostrava nei confronti di scontri e duelli.

Era pur vero, considerò il ragazzo, che le donne e gli uomini di corte erano maestri nel fingere. Lui non era ancora un artista, in tal senso. Gli riusciva spesso di recitare il proprio ruolo come si conveniva, ma non in ogni occasione. Guardò il contenuto della coppa con cui aveva giocato tutta la sera. Non aveva intenzione di consumarlo. Bere lo disgustava. Eppure, in quel momento, mandare giù fino all'ultima goccia gli sembrò un buon modo per non annoiarsi. Chissà se quel liquore era davvero in grado di trasmettere buonumore, come dicevano tutti.

Una fila di valletti entrò nella sala e dispose sui tavoli dei vassoi d'argento colmi di selvaggina arrostita, insaporita con frutta e spezie.

Silanna studiò con curiosità le portate e la reazione entusiasta degli ospiti. Non aveva mai partecipato a un evento del genere, ma tutto le suggeriva che stava andando per il meglio. Pensò alla soddisfazione che doveva provare Galanár. Per fargli piacere, avrebbe assaggiato ogni pietanza che non conosceva e perfino il vino, così da poterne parlare dopo il banchetto. Prese un sorso e indugiò con le labbra sulla coppa. Mentre analizzava quel nuovo sapore, la voce di Edhel la fece sobbalzare.

"Le giostre sono state di vostro gradimento?"

Allontanò il calice e rispose senza girarsi.

"Le ho trovate... bizzarre".

"Uno spettacolo inusuale per una come voi, suppongo", ironizzò il principe.

Silanna sorrise tra sé.

"Inusuale, sì, quanto vedere un cavaliere disarcionato".

"Ho vinto quello scontro per voi, mi pare", fu la replica infastidita.

"Avreste almeno potuto evitare di farvi atterrare".

"Vorrà dire che la prossima volta atterrerò voi. Potreste trovarlo più interessante".

A quelle parole, lei si irrigidì ma si impose di non guardarlo.

"Non siete interessante, siete sciocco", puntualizzò. "E non dovreste tenere una simile condotta sotto gli occhi di vostro fratello".

Senza alcun preavviso, avvertì le labbra di Edhel che le sfioravano l'orecchio.

"Mio fratello non ci sta ascoltando", le sussurrò. "E non ci sta nemmeno guardando".

Nella sua voce Silanna percepì un'ombra di desiderio che le tolse il fiato. Si girò sorpresa e si trovò di fronte il suo viso. Edhel sorrise con i suoi occhi cangianti, poi si scostò da lei. Staccò un boccone da una grande forma di pane e lo intinse nel condimento che guarniva il capriolo che troneggiava di fronte a loro. Lei seguì il movimento della sua mano, stregata, e fissò la soffice mollica che si colorava di porpora. L'elfo la sollevò tra due dita e glielo accostò alla bocca. Colta alla sprovvista, non oppose resistenza. Gustò il sapore intenso della cacciagione mescolato a quello del miele e delle bacche di ginepro. Chiuse gli occhi e sentì un rapido tocco che le carezzava l'interno delle labbra. Provò una fitta allo stomaco così feroce che si affrettò a respingerla. Si allontanò dal ragazzo e cercò di recuperare il controllo di sé.

Edhel, in effetti, aveva avuto ragione a metà: Galanár non li stava ascoltando, ma di certo li stava guardando e la sua espressione, prima attonita, era diventata furiosa. Interruppe la conversazione con gli Arconti e poggiò la mano sul tavolo con un colpo secco.

La sala si fece silenziosa mentre il principe si levava in piedi senza staccare gli occhi da Silanna, che lo guardava con l'aria smarrita di una preda in trappola.

A pochi passi da Galanár, qualcosa si mosse con rapidità e una mano gli serrò il braccio.

"Fratello!"

Il principe non rispose. Si girò verso colui che aveva parlato e lo scrutò come fosse stato un insetto molesto. Aidan rabbrividì, ma si fece coraggio.

"Se la vista non mi ha ingannato", proseguì, tentando di apparire tranquillo, "prima del banchetto avete mostrato al re delle splendide lame".

"La vostra vista non vi ha mai ingannato", replicò l'altro infastidito. "Sono due pugnali elfici, portati da Laurëgil come dono per voi... e per vostro fratello".

Aidan si sforzò di sorridere.

"Potrei vederle?"

Galanár sgranò gli occhi.

"Vederle? Adesso?"

"Sì, se non vi dispiace".

Il principe lo fissò con sospetto: quale altro guaio aveva in mente quel ragazzino? Se non fossero stati circondati da gente che li osservava, lo avrebbe ignorato. Ordinò con tono brusco che fosse portato il cofanetto. Aidan lo prese e lo aprì con cura. La bellezza delle lame gli tolse il fiato. Avrebbe voluto accarezzarne le incisioni, ma non poteva. Qualsiasi perdita di tempo poteva nuocere al suo progetto.

"Miei signori", esclamò rivolto all'intera sala, mentre sfilava le armi dalla custodia, "permettetemi di mostrarvi qualcosa".

Si spostò al centro mentre tutti tacevano, lasciando spazio al suono dei cembali e dell'arpa. Chiuse gli occhi e si accordò al ritmo della musica. Sollevò le braccia e i pugnali brillarono alla luce delle candele. Con un sorriso a fior di labbra, cominciò a far roteare le lame con destrezza e un attimo dopo l'attenzione fu tutta su di lui.

Aidan non vedeva nulla, pensava solo a scambiarsi i pugnali da una mano all'altra, senza sbagliare. Doveva stupirli, distoglierli dal gesto di Edhel e dalla furia di Galanár, così proseguì l'esibizione finché non udì levarsi dai tavoli parole di ammirazione, che culminarono in un brindisi generale in onore del giovane principe.

NOTA DELL'AUTORE

Melle litus gladius, ovvero una spada cosparsa di miele 😉 

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