25. NULLO INTERVENIENTE ODIO


Le giostre erano iniziate e i cavalieri si alternavano sul terreno di prova. Galanár continuava a non rivolgerle la parola, ma almeno gli sguardi della folla erano rivolti altrove, lontano da lei.

Silanna trovò una posizione più comoda sul rigido seggio di legno e si dedicò allo studio di quello spettacolo. Durante le loro conversazioni su Arthalion, il principe le aveva illustrato il cerimoniale dell'investitura. Lei l'aveva ascoltato con curiosità, poiché non esisteva nulla di simile nella società elfica. Tra gli Elfi non occorreva che qualcuno affermasse che un altro era cavaliere. Si era combattenti o non lo si era, e non c'era molto da aggiungere.

Quanto alle giostre, nonostante tutte le spiegazioni di lui, non era riuscita a trovare alcun senso in quella finzione di battaglia. Così non ci volle molto perché quell'esibizione di colori e di armi le venisse a noia.

Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse tenere desta la sua attenzione. Alla sua destra, Aidan tendeva un grande arco lucido con un gesto elegante. La freccia scoccò con un rumore secco, tranciò l'aria e si piantò al centro del bersaglio. I giudici conteggiarono i punti, l'araldo proclamò il giovane principe vincitore della gara di tiro e un clamore esultante si levò al suo indirizzo. Mentre lo osservava, Silanna si sforzò di ricordare le storie udite a Valkano a proposito dei principi gemelli di Arthalion. Strani scherzi della natura, così li definivano i Maestri, e lei li aveva finalmente di fronte, in carne e ossa.

Aidanhín rivelava tutta la sua ascendenza umana. Re Maldor doveva avere avuto lo stesso aspetto negli anni della sua giovinezza. La loro somiglianza era sorprendente, soprattutto nei lineamenti del viso e nell'azzurro degli occhi. Aidan portava i capelli biondi in un taglio corto, al modo dei guerrieri umani, e il suo fisico atletico doveva essere stato forgiato da anni di addestramento. Tuttavia lo sguardo di Silanna riusciva a scorgere in lui qualcosa di meno evidente: la sua vista era superiore a quella di qualsiasi altro cavaliere in gara, e i movimenti del suo corpo rivelavano una grazia e una scioltezza che non appartenevano agli Uomini.

Si sporse per vedere meglio il campo di terra battuta: dov'era il principe elfo? Lo aveva adocchiato solo di sfuggita e la collera di Galanár le aveva impedito di interessarsi davvero a lui. Lo cercò con lo sguardo, ben attenta a non farsi vedere.

Edheldûr era in piedi ai lati del campo, lo sguardo chino sul polso che stava armando con un bracciale. Uno scudiero, in ginocchio davanti a lui, gli affibbiava i cosciali. Era quasi giunto il suo turno nella giostra. Come se avesse percepito il suo sguardo addosso, il principe sollevò il capo nella sua direzione, così lei poté vederlo con chiarezza: i capelli rossi come fiamma e gli occhi di un colore cangiante che non aveva nessun legame con la dinastia che lo aveva generato.

Troppo fuoco... e troppa acqua! 

Scosse il capo a quel pensiero, quindi seguì il ragazzo che attraversava il campo e tendeva la mano verso il palafreniere che gli stava porgendo le briglie. La sua figura sottile spiccava in quel consesso di Uomini come una margherita in un prato d'erba. Era quasi impossibile non notarlo.

Un moto di compassione attraversò Silanna: quanto doveva essergli pesata quella diversità? Quanto doveva aver odiato il suo aspetto, che ricordava a tutti in ogni istante la sua difformità dalla razza? Provò simpatia per quel ragazzo, ma un attimo dopo realizzò che si trattava solo di una suggestione: stava trasferendo su Edhel un'emozione che apparteneva a lei. Lui era un principe, Elfo o Uomo che fosse. La diversità non doveva essere stata un ostacolo, dal momento che poteva comunque esercitare il potere.

Silanna non era l'unica a fissare Edhel: anche Aidan stava assistendo allo scontro del fratello. L'elfo aveva impugnato la lancia e sostava al limitare della staccionata. Il suo cavallo scalpicciava, segno che la stretta del cavaliere non era ferma. 

L'araldo diede il segnale di inizio. Aidan vide il gemello spronare il cavallo e scosse il capo. Edhel odiava giostrare. Dalla foga con cui si era lanciato, era evidente che desiderava mettere fine a quell'esibizione nel minor tempo possibile, ma non era quello il modo giusto.

La prima lancia si infranse senza che nessuno dei due contendenti perdesse l'equilibrio. Ne fu data loro una seconda ed Edhel si lanciò con impeto, senza quasi attendere il segnale. L'impatto fu troppo violento. La sua lancia si spezzò ma quella dell'avversario, centrandolo in pieno petto, lo sbalzò via da cavallo.

Silanna ebbe un sussulto nel vedere il suo campione cadere nella polvere. Galanár sbuffò annoiato e lanciò un'occhiata infastidita a Mellodín, che aveva preso posto dietro di lui.

"Speravo almeno che gli avessero impartito i rudimenti delle giostre, prima di mettergli una lancia in mano", commentò irritato.

"Lo scontro non è ancora finito", rispose il capitano, senza fare una piega.

Conosceva la caparbietà del suo giovane allievo, che infatti si era già rimesso in piedi. Il suo contendente era sceso da cavallo ed entrambi erano stati armati di spada. L'elfo respirava a fatica. La caduta lo aveva stordito e l'arma gli sembrava troppo pesante, ma nessuno lo avrebbe umiliato quel giorno.

C'era sempre stata, nell'ossessione di Edhel per il perfezionamento delle armi, una sorta di funesto presagio. Aidan, almeno, la pensava così, ma non aveva più osato manifestare apertamente la sua opinione dopo l'incidente accaduto qualche anno prima.

Albeggiava, quella mattina, e da qualche mese i gemelli avevano iniziato l'addestramento militare con il capitano Mellodín. Aidan si era svegliato presto e ne aveva approfittato per fare una corsa prima degli allenamenti quotidiani. Gli piaceva sentire il vento, lo metteva di buon umore. 

Di ritorno dal boschetto che costeggiava una parte del lago, intravide il gemello seduto sul ramo di un grande albero, le spalle poggiate al tronco nodoso e il viso rivolto alle stelle che sbiadivano in lontananza.

Lo raggiunse e lo salutò con la solita allegria.

"Visto che sei già in piedi, possiamo andare insieme agli allenamenti", propose.

L'elfo distolse lo sguardo dal cielo e lo abbassò fino a lui, che restava ai piedi dell'albero con il naso in su.

"No, vai pure", replicò distratto. "Io verrò più tardi".

Più tardi, nel gergo di Edhel, spesso si tramutava in mai. Aidan rimase a osservare la sua espressione triste, poi pensò che fosse l'occasione giusta per tirare fuori il pensiero che si portava dentro da settimane.

"Io credo che sia sbagliato fare ciò che non si ama", disse d'un fiato, per paura che quelle parole non gli uscissero più dalla bocca.

Il fratello non si scompose.

"Ci sono cose che si fanno per necessità, anche se non le si ama".

Di fronte a quella reazione gelida, Aidan provò una fitta al cuore.

"Vero, ma non è necessario che tu continui ad allenarti con la spada solo per restare con me".

Edhel gli piantò addosso uno sguardo feroce.

"Ma io non resto per te! Resto perché devo, anche se non ne ho voglia. A me non piacciono le armi, detesto rotolarmi per terra e odio mettermi addosso quel terribile usbergo. Ciononostante, io continuerò l'addestramento, perché la spada è il mezzo per aprirmi la via e gli insegnamenti di Mellodîn mi saranno necessari per guidare il mio esercito".

A dispetto del tono solenne con cui erano state pronunciate quelle parole, Aidan esplose in una sonora risata.

"Che sciocchezza! Tu non avrai un esercito".

Con un agile salto, l'elfo balzò dal ramo e gli atterrò di fronte.

"Perché?"

"Perché l'unico tra noi che guiderà un esercito", seguitò il gemello, ancora incapace di trattenere l'ilarità, "è nostro fratello Galanár, che è già comandante e che presto sarà generale".

Il gemello sembrò adombrarsi ancor più e trattenere a stento la rabbia.

"Non dirlo mai più!", urlò.

Tutto il divertimento dell'altro svanì di colpo. Non aveva mai avuto paura del fratello. Nelle loro baruffe, lui aveva sempre avuto la meglio. In quel momento, però vide un bagliore di fuoco guizzare veloce nelle sue iridi azzurre e ne ebbe timore.

"Ho detto la verità", si schermì.

Edhel gettò un grido che mescolava frustrazione e rabbia. D'istinto, Aidan serrò le palpebre e, nel medesimo istante, una violenta raffica di vento gli schiaffeggiò il volto e lo costrinse a indietreggiare. Uno schianto improvviso gli fece spalancare gli occhi: un ramo dell'albero giaceva spezzato ai suoi piedi, a dividerlo dal gemello. Quando si rese conto di quanto vicino gli fosse caduto, cominciò a tremare. Guardò Edhel in cerca di conforto, ma il gemello sembrava più terrorizzato di lui.

L'elfo, in effetti, era rimasto di sasso: non riusciva a spiegarsi come un banale desiderio, dettato solo da un accesso d'ira, si fosse realizzato in modo tanto misterioso e repentino. Cercò goffamente di scusarsi, di spiegare ad Aidan che non era sua intenzione metterlo in pericolo, che non gli avrebbe mai potuto fare del male, ma lui non lo ascoltò. Corse via senza guardarsi indietro, senza far caso a dove andava, graffiandosi le gambe e la faccia. Corse senza prendere fiato e sgattaiolò nel primo nascondiglio che gli capitò a tiro. Entrò nell'armeria, barrò la porta con il chiavistello e crollò a terra.

Non riusciva a credere a ciò che aveva appena visto: a Edhel era bastato uno sguardo per spezzare il ramo. Se non si fosse tirato indietro in tempo...

Scosse la testa per scacciare quel pensiero ma, pur sforzandosi, non vi riuscì. Aveva appena scoperto di non conoscere per intero il cuore di Edhel, che era l'altra metà della sua anima, e quella consapevolezza mandò in pezzi il suo.

Edhel parò un colpo di prima, poi riuscì ad allontanare l'arma dell'avversario. Le lame risuonarono di un cupo stridio mentre l'elfo spostava tutto il peso del corpo per respingere un altro attacco. Cominciava a perdere terreno. Il cavaliere che lo aveva disarcionato si muoveva con tremenda abilità. La sua spada roteava come se non avesse peso e solo l'agilità permetteva all'elfo di schivarla.

Aidan, dalla sua posizione, seguiva con ansia quello scontro, e le sue labbra si muovevano piano, suggerendo attacchi e parate. Quando Edhel fu sul punto di indietreggiare per scansare l'ennesimo affondo, il cavaliere perse l'equilibrio. L'elfo ne approfittò per assestargli una stoccata e lo obbligò a inginocchiarsi sotto la minaccia della sua lama. Aidan scosse la testa, come se disapprovasse, ma sul suo volto si accese un sorriso beffardo.

"È sempre il solito", commentò in una risata. "L'ha fatto un'altra volta".

Il cavaliere sollevò il braccio in segno di resa e il principe fu proclamato vincitore della gara.

Galanár tirò un sospiro di sollievo e si girò a cercare Mellodín con uno sguardo eloquente, così non colse l'espressione di stupore sul volto di Silanna. Era certa di ciò che aveva visto: quell'elfo avventato aveva evocato la magia dell'Acqua! Non si era fatto scrupoli di utilizzare un incantesimo per vincere lo scontro, sotto gli occhi dell'intera corte! Il bagliore lucente non era durato che una frazione di secondo, ma non poteva sfuggirle.

Edhel si avvicinò per offrirle il suo omaggio e la sua vittoria. Mentre le mostrava la spada, lei non poté impedirsi di incrociare il suo sguardo. Sorrideva sfacciato, fiero della sua vittoria, e l'elfa si incupì: pensava davvero, quello stupido ragazzino, che lei non avrebbe notato il suo misero trucchetto da apprendista? Il sorriso ironico di lui la costrinse ad arrendersi all'evidenza: quanti di quegli Uomini sarebbero stati in grado di riconoscere l'intervento della magia nell'accidentale caduta del cavaliere? Forse nessuno.

Galanár fece cenno di proseguire e l'araldo annunciò l'ultima gara, che avrebbe decretato il vincitore del torneo. Il campione della gara di tiro e quello della giostra si sarebbero scontrati sulla pedana della spada, al meglio dei tre assalti.

Aidan diede una pacca sulla spalla del gemello.

"A quanto pare le cose non cambiano".

Edhel sorrise di rimando.

"Io e te, come sempre".

L'arciere sollevò le braccia per farsi affibbiare il giubbetto di cuoio leggero e guardò il fratello, ancora alle prese con l'armatura di metallo con cui aveva giostrato.

"Ma niente magia con me!", esclamò lanciandogli un'occhiata d'intesa.

L'elfo rispose con una sonora risata.

"Niente magia, è una promessa".

Aidan saggiò l'arma facendola volteggiare, mentre attendeva che Edhel finisse di indossare le protezioni. L'elfo lo raggiunse sulla pedana con un balzo. Si guardarono un istante, poi sollevarono le spade. Era un gioco, quello. Era il loro gioco. Un rituale antico ed elegante che avevano perfezionato per anni, per dare spettacolo agli occhi della corte senza mai stancarsi né ferirsi. Edhel invitò l'avversario. Aidan sorrise e sferrò il suo attacco. Parata e affondo, e poi di nuovo a cercare il bersaglio. Con un'abile finta, il principe umano si assicurò il primo assalto, ma lasciò che il suo gemello vincesse il secondo.

Per la prima volta in quella giornata, Silanna sembrò davvero interessarsi a qualcosa. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel duello. Sembrava quasi che il suo stesso onore dipendesse da quello scontro, tanto ansiosi diventavano i suoi occhi ogni volta che Edhel schivava un attacco di misura o era costretto ad arretrare. Quanto maggiore sarebbe stato il suo trionfo se, grazie a lui, fosse diventata la regina del torneo?

Arrivò a desiderare che vincesse a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Edhel, però, non avrebbe mai usato la magia contro suo fratello. Glielo aveva giurato anni prima, dopo l'incidente del ramo. Così Aidan, con una stoccata che andò subito a segno, pose fino all'ultimo assalto e fu proclamato vincitore del torneo.

Silanna sospirò di delusione. Galanár le rivolse uno sguardo teso. Doveva essere scontento quanto lei per quella sconfitta.

"Desiderate ritirarvi, mia signora?"

"Lo preferisco".

Il principe abbozzò un sorriso, sufficiente per confortarla. Lei si alzò in piedi e gli uomini attorno la imitarono.

"Vado a prepararmi per il banchetto di stasera".

Fece un inchino perfetto, poggiando le dita sulla mano che lui le offriva.

"Andate pure. C'è una sorpresa che vi attende", disse con espressione addolcita.

Lei sorrise, deliziata: tutti stavano seguendo quella scena. Appoggiò una mano sul braccio del principe e si sporse a sfiorargli le labbra con un bacio, con lentezza sufficiente perché nessuno si perdesse lo spettacolo.

Galanár avrebbe voluto guardarla con rimprovero, ma rinunciò: le avrebbe spiegato più tardi quale condotta avrebbe dovuto tenere di fronte alla cerimoniosa corte di Arthalion. Attese che lei si fosse allontanata, quindi scese nel piazzale del torneo a ricompensare il vincitore e Aidan ricevette dalle mani del fratello il premio della giornata: uno splendido falchetto.


NOTA DELL'AUTORE

Nullo interveniente odio era la definizione data ai combattimenti che si svolgevano durante le giostre. Le regole, infatti, stabilivano che i cavalieri dovessero scontrarsi "senza odio reciproco", e senza accanimento contro l'avversario, dal momento che la competizione doveva essere intesa come una sorta di gioco guerresco.

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