20. MODERATIONIS TEMPŬS
C'era un forte odore di legno nella stanza e coperte pesanti sul letto, anche se l'inverno non era ancora arrivato. Silanna le rimosse e si lasciò cadere sfinita. I suoi occhi si concentrarono sul bagliore della candela accesa, che penetrava attraverso il velo del baldacchino. Un filo di vento lo faceva ondeggiare assieme al bagliore della fiamma. La sua mente scivolò in un dormiveglia in cui i ricordi si mescolavano al presente.
Colori, profumi, tessuti: stava attraversando un grande mercato. La piacevole brezza marina del Nord la sfiorava mentre camminava accanto a sua madre. Passava sotto le stoffe che fluttuavano leggere e sollevava le mani per giocare con la luce. D'un tratto i raggi divennero così intensi da costringerla a chiudere gli occhi, e un attimo dopo era sola in mezzo alla confusione. Lei non c'era più. Avvertì una fitta allo stomaco. Avrebbe voluto gridare, ma non ci riusciva, e gli occhi le si riempirono di lacrime...
"Non abbandonarmi!"
Si svegliò col volto coperto di pianto, la gola asciutta e le dita serrate.
"Non vi abbandonerò, non temete".
Trasalì nell'udire la voce di Galanár. Era seduto sul letto e la osservava incuriosito. Non indossava l'armatura, ma una semplice tunica ricamata sopra i calzoni. E non aveva Ariendil al fianco. Per un istante le sembrò parte stessa del suo sogno, poi comprese di essere sveglia, seminuda e vicina a lui più di quanto fosse ragionevole. Si mise a sedere con uno scatto repentino e modulò la voce per non sembrare spaventata dalla sua presenza, mentre cercava di assumere l'aria più dignitosa possibile.
"A cosa devo la vostra visita, generale?"
"Mi hanno riferito che non avete mangiato nulla. Dopo questo viaggio estenuante, la trovo una scelta discutibile".
Silanna vide, in effetti, un vassoio di legno poggiato sul letto, con carne, vino e frutta. Pensò che non sarebbe stata in grado di ingerire nulla, ma rifiutare quella gentilezza sarebbe stata una scortesia.
"Così rischiate di fare dei cattivi sogni", concluse lui, mentre estraeva dalla manica un fazzoletto e asciugava le lacrime che lei aveva dimenticato di scacciare via.
L'elfa gli permise di sfiorarle il viso senza dir nulla, limitandosi a fissarlo con gli occhi sgranati. Dopo la notte a Lauregìl, lui era stato sempre freddo e distaccato. Non le aveva più concesso le sue confidenze e lei si era convinta che si fosse trattato solo di episodi sporadici, figli della magia notturna della capitale elfica. Si impose, quindi, di recuperare la propria lucidità: Galanár era volubile e lei non poteva abbassare la guardia. Oscillando tra l'imbarazzo di dover affrontare le sue richieste e il timore di cedere al desiderio che sentiva nascere dentro, affondò le dita tra i frutti di bosco che spiccavano su un piatto e iniziò a mangiare, al solo scopo di non dover parlare.
Galanár lo intuì e si fece sfuggire una risata sincera che lei aveva udito solo quando scherzava con il capitano.
"Siete davvero imprevedibile!"
Le prese la mano, se la portò alle labbra e le baciò la pelle che profumava di mirtilli. Lei non oppose resistenza, ma iniziò a tremare. Il principe interruppe il suo gesto e la guardò senza allentare la stretta delle dita.
"Ormai potete fidarvi di me, sapete?", puntualizzò con tono serio.
"Mi fido", rispose lei in un soffio.
Ci credeva davvero, nonostante fosse ancora sconcertata dalla delicatezza dei suoi gesti. Aveva conosciuto Galanár come un principe abituato a prendersi ciò che desiderava e a infuriarsi quando non lo otteneva. Vederlo esitare, attendere il suo permesso, era inconcepibile, eppure stava accadendo e lei non poteva che acconsentire. Lasciò che avvicinasse il viso al suo e conquistasse infine quel bacio.
La sua bocca aveva ancora il gusto di more. Le sue labbra sapevano di fresco e di alberi, di vento e di rugiada. Galanár indugiò a lungo in quel contatto, godendolo come una vittoria prima di tornare a fissarla. Silanna trattenne il fiato e chinò le ciglia. Paura e desiderio si confondevano con l'incredulità di aver sfiorato ciò che aveva tanto agognato, con l'innegabile attrazione che provava verso quell'uomo e con lo stupore di quella resa improvvisa. Da quel coacervo di emozioni, riuscì a tirare fuori un solo pensiero logico: che succederà adesso?
Lui non era diverso da tanti altri uomini: se l'avesse avuta subito, altrettanto in fretta l'avrebbe dimenticata. Lei, però, non aveva faticato tanto per essere principessa di una notte. Doveva rimandare quel momento senza offenderlo. Lo allontanò con un gesto delicato ma fermo.
"Vi prego, generale... andate adesso".
Galanár le bloccò la mano contro il suo petto. Il sorriso gli si cancellò dal viso, mentre la guardava con una nota di preghiera negli occhi azzurri.
"Sono io che vi prego: non mi mandate via stanotte".
"Non posso".
Per tutta risposta, lui cercò di attirarla a sé. Silanna si irrigidì e tentò di sottrarsi alla sua presa, ma Galanár non la lasciò andare. Le affondò una mano tra i capelli e, con enorme stupore di lei, la strinse in un abbraccio. Non tentò di baciarla, né di toccarla in altro modo. Si limitò ad appoggiare il viso sul capo di lei e a respirare il profumo dei suoi capelli. Sembrava perfino intenerito dal suo timore. Le avvicinò le labbra all'orecchio.
"Ho agito da sciocco con voi", mormorò con una voce tormentata e profonda che ebbe l'effetto immediato di placarla. "So cosa siete, l'ho sempre saputo. L'avevo intuito la notte in cui sconfiggemmo i Troll, ma ho scelto di ignorarlo. Vi volevo, lo ammetto, per il mio divertimento e, come uno stupido, non ho voluto riconoscervi il rispetto che vi era dovuto. Non commetterò più quell'errore, adesso. Ho bisogno di sentirvi vicina. Non mi negate la grazia di dormire al vostro fianco. Chiedo solo questo".
Silanna si sentì mancare il respiro. Si scostò da lui e cercò di non guardarlo negli occhi, di non far trasparire il suo turbamento.
"Potete restare", sussurrò a fatica.
Galanár sospirò e rise allo stesso tempo. Frenarsi era di certo frustrante, ma insieme eccitante. Una partita con regole tanto strane non l'aveva mai giocata, prima di allora. Fu lui, in ogni caso, il primo a scendere a patti con quella situazione tanto lontana dalle abitudini di entrambi. Senza il minimo imbarazzo, si spogliò della tunica e si distese tra le lenzuola.
Silanna, al contrario, impiegò più tempo per adattarsi alle circostanze. Restò immobile, decisa a non chiudere occhio. Era la prima volta che un uomo dormiva nel suo letto, e il fatto che si trattasse proprio di quello che aveva sempre desiderato non le era di nessun aiuto. Per sua fortuna, non dovette arrovellarsi per molto: lui si addormentò subito, così lei si decise a distendersi al suo fianco.
Le braci del camino era quasi spente, ma un bagliore rossastro colorava ancora la stanza. L'espressione del principe era quella di chi fa sogni felici. Incuriosita, Silanna gli studiò il viso. Gli sollevò una ciocca di capelli con cautela e la sistemò piano sul collo, quindi tese le dita a sfiorargli le orecchie. Come una bambina di fronte a una creatura leggendaria, seguì il profilo di quella punta così diversa da quella di qualsiasi razza conosciuta.
Dimenticando la stanchezza, rimase a vegliare il suo respiro. Che uomo straordinario doveva essere, quello che dormiva accanto a lei! L'unica impresa gloriosa da compiere era fare sì che accadesse ancora per molte, molte notti.
Andò via prima che si levasse il sole e che lei potesse destarsi. Di notte poteva talvolta permettersi una simile sospensione ma, alla luce del giorno, l'inquietudine non lo abbandonava mai.
Erano tempi strani, quelli che avvertiva, in cui gli sembrava che un nuovo ordine stesse spingendo per venire al mondo e sovvertire gli equilibri secolari. Quella sensazione lo esaltava e lo esasperava al contempo. Era partito da Arthalion con un'idea ben chiara e aveva mantenuto il controllo fino a quando non erano penetrati nel regno degli Elfi.
Quel confine aveva segnato una incrinatura sul suo cuore: era la percezione di sentirsi straniero in quelle terre, e insieme la crescente consapevolezza di voler forgiare a propria immagine un mondo che scopriva diverso da come l'aveva immaginato, e che forse non gli piaceva nemmeno.
Decise di raggiungere le scuderie e farsi sellare un cavallo. Una passeggiata avrebbe alleggerito i suoi pensieri. Il saluto di Mellodîn lo accolse senza nessuna sorpresa. Sembrava sapere che sarebbe arrivato. Si scambiarono solo un cenno, attesero che i palafrenieri preparassero le cavalcature, quindi uscirono dal castello.
Il sole scintillò sulla cresta imbiancata delle montagne che si stagliavano a est, si infranse sul ghiaccio perenne che vi dimorava, quindi rimbalzò a valle prima di iniziare la scalata del cielo. In pochi minuti, un chiarore velato e freddo riempì il paesaggio. La luce dorata di Laurëgil sembrava un ricordo lontano.
I due cavalieri cominciarono a percorrere il perimetro della fortezza. L'ingresso principale del castello si affacciava a sud e loro si diressero a ovest. In quella direzione si apriva una fitta foresta, che sembrava estendersi per tutto il fianco della vallata. La costeggiarono in silenzio, senza osare esplorarla.
Il tempo, in quel mattino algido, sembrava sospeso. Il rumore degli zoccoli era l'unico accompagnamento, assieme ai bassi suoni della natura che si svegliava. Perfino il vento taceva e tutto sembrava fissato in una gelida immobilità. Galanár non staccava gli occhi dalla distesa di tronchi nodosi. Quel bosco calamitava la sua attenzione, ma tenne quel pensiero per sé. L'eloquenza era un dono che sfruttava ampiamente quando voleva ottenere qualcosa, ma in generale era un uomo di poche parole. "Chi comanda, deve solo impartire un ordine", diceva spesso, "e chi obbedisce, deve solo eseguirlo". Così Mellodîn aveva imparato presto ad assecondare i suoi silenzi e ad attendere che fosse lui a parlare per primo.
Puntando a nord e lasciandosi il castello alle spalle, giunsero nel punto in cui la foresta si interrompeva. Davanti a loro si apriva uno strapiombo roccioso che li separava da una brulla vallata. Galanár aguzzò la vista fino a scorgere il lucore delle tende elfiche: l'accampamento di re Anárion. Si chiese come fosse possibile raggiungerlo, poiché dall'altezza sulla quale si trovavano sembrava impossibile scendere giù per il burrone.
"Questo posto è molto strano", commentò.
Mellodîn guidò con cautela il cavallo fino all'orlo del dirupo e abbracciò il panorama con una lunga occhiata prima di tornare indietro.
"Io e Aegis abbiamo discusso a lungo, ieri sera. Tu dov'eri? Ti ho fatto cercare, ma sembravi sparito nel nulla".
"È un rimprovero, questo?", chiese il principe con evidente fastidio.
Il capitano volse lo sguardo verso i crinali ghiacciati che delimitavano l'orizzonte e non rispose subito.
"Vorrei andare a chiamare dama Silanna e chiedere il suo parere, con il tuo permesso".
Lo sguardo di Galanár si incupì ancor di più.
"Non è necessario. Ispezioniamo la zona e troviamo il passaggio per raggiungere l'accampamento. Sono certo che lì troveremo tutte le risposte che ci occorrono".
Mellodîn scosse il capo.
"Perché ti comporti così?"
"Perché non conosco questo dannato luogo e questa dannata fortezza!", sbottò il principe, confessando infine la propria agitazione. "Perché dovrò andare in quel maledetto accampamento, piegare il ginocchio davanti a uno di quegli elfi irritanti e offrirgli la mia spada, e non porterò un Elfo Scuro nella tana del lupo!"
"Allora non avresti dovuto portarla fin qui", mormorò l'altro. "Ma quel che è fatto è fatto, giusto?"
Il principe continuò a fissare la valle senza replicare
"Sai che è pericolosa, ma sembra non importarti, quindi agirai come sempre: ti spingerai fino al limite e userai la forza, se necessario".
"Non stavolta, Mellodîn. Stavolta non posso. C'è troppo in ballo per rischiare", dichiarò, mentre tornava a guardarlo negli occhi. "Troverò da solo un valico per scendere a valle. Tu cerca Aegis e portalo qui. Andrò con lui a porgere il mio omaggio al re di Foroddir".
Prese una pausa e gli rivolse un sorriso tirato.
"Se ti annoi, potresti accompagnare dama Silanna a fare una passeggiata attorno al castello. Una passeggiata lunga e accurata".
Mellodîn chinò il capo e scosse il cavallo per tornare al castello.
L'aria all'esterno della fortezza era nitida e muta, perché nessuno dei due cavalieri sembrava intenzionato a parlare.
Silanna era intenta a studiare le mura. Percepiva la magia elfica, le bastava poco per entrare in risonanza con il pulsare regolare di quell'energia. D'un tratto si fermò, con la foresta alle spalle e i torrioni del castello a sovrastarla. Si scoprì il capo e socchiuse gli occhi, lasciando che l'aria le sfiorasse le guance e le scompigliasse i capelli. Smontò da cavallo, si chinò a raccogliere un mucchietto di terra, quindi si avvicinò alle mura e liberò la polvere. I granelli scivolarono via dalle sue dita, si sollevarono e tornarono indietro, come sospinti da due forze uguali e contrarie.
Si girò trionfante a cercare Mellodîn, che nel frattempo aveva abbandonato la cavalcatura e l'aveva raggiunta.
"Potreste scagliare una freccia, capitano?"
Lui la osservò con sospetto.
"Scagliare una freccia? Contro le mura del castello?"
"Sì, ve ne prego".
Lo disse con una sicurezza tale che lui non obiettò. Non aveva armi con sé, solo un balestrino che teneva agganciato ai finimenti del cavallo. Lo prese e vi caricò un dardo. Puntò senza sganciare e guardò l'elfa, a cercare l'ennesima conferma. Al suo silenzioso segnale, la quadrella schizzò via. Giunta a metà altezza, a oltre un braccio di distanza dalla parete di pietra, parve perdere potenza di gittata, si arrestò come se avesse incontrato un ostacolo e precipitò al suolo.
Mellodîn seguì quella caduta con stupore, ma Silanna non sembrava affatto colpita.
"C'è uno scudo magico", spiegò, con un misto di ammirazione e curiosità. "Un enorme scudo magico che copre l'intera fortezza".
Lui continuava a fissare lo spazio vuoto di fronte a sé, incredulo.
"È impercettibile", continuò lei, "ma provate a guardare adesso con più attenzione".
Prese un sasso dal terreno e lo scagliò. Mellodîn si sforzò di seguirne la traiettoria. Ebbe la fugace impressione di un movimento incerto, come se un lieve pulviscolo si fosse sprigionato al momento del presunto impatto. Percepì nell'aria un tremore simile a quello che si intravede al tramonto nelle giornate di afa intensa, poi nulla.
"È una magia grandiosa", osservò Silanna. "Posso solo immaginare quanti incantatori siano messi continuamente all'opera per tenere in piedi una simile protezione".
Il capitano finalmente si riscosse dalla sorpresa.
"Dovremo dirlo al generale, appena sarà di ritorno".
Lei ebbe un sussulto, poi si ricompose e lo fissò pensosa.
"Come mai non siete con lui all'accampamento elfico?"
Mellodîn sembrò riflettere sulla risposta da dare.
"Perché dovevo essere qui con voi".
L'autorevolezza sfoggiata dall'elfa fino a quel punto mutò in un'espressione compunta.
"Voi avete paura di me, capitano?"
"No. Siete un Daimonmaster: confido nella vostra correttezza e nella vostra disciplina", dichiarò, passandole sul viso e sulla figura uno sguardo eloquente. "Io temo ciò che non si può controllare, come le passioni degli uomini. Desiderio, ambizione, disprezzo, sono materia distruttiva contro la quale non vorrei dovermi scontrare".
"Sono armi", commentò lei, scoccandogli un'occhiata di fuoco. "O possono diventarlo. Ma noi siamo in guerra, capitano. Non è così?"
"Sì, signora. Noi siamo in guerra".
NOTA DELL'AUTORE
Moderationis tempŭs è la stagione (o il tempo) della misura.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top