17. ARCUS ET GLADIUS
Edhel aprì gli occhi di colpo e realizzò di essere ancora seduto nel cortile. Un paio di cani si erano messi a sonnecchiare a pochi passi da lui, indifferenti alla sua immobile presenza. Nell'aria si percepivano solo i bassi nitriti dei cavalli. Il ricordo vivo che gli era esploso in testa, facendogli rivivere le emozioni del passato, gli trasmise un'ansia vibrante e il respirò gli si fece agitato. Scattò in piedi come se si fosse svegliato di soprassalto da un brutto sogno. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso e il rischio di essere visto da qualcuno si era fatto più elevato. Schizzò via come un furetto per raggiungere gli appartamenti che divideva con il suo gemello.
Arrestò la corsa davanti all'ingresso della camera dove riposavano, cercò di calmare il fiato, poi entrò in punta di piedi. Si chiese se avesse ancora senso, quella pantomima notturna. Con l'udito eccezionale che si ritrovava, Aidan doveva averlo sentito ogni notte, anche se fingeva sempre di essere profondamente addormentato.
Si disinteressò del tutto al letto ancora intatto e si diresse verso la finestra. Si sistemò sul davanzale e osservò il panorama. Da quel punto sovrastava il dirupo su cui si ergeva la rocca. In basso, bordato da fitti alberi, si stendeva il lago di Arthalion. In cielo, la luna passeggiava con il suo codazzo di ancelle argentate. Gli piaceva stare a guardare le stelle. Lo calmavano quando era inquieto, e quella notte ormai gli era passata ogni voglia di riposare.
"Edhel... vieni a dormire, ti prego".
Il borbottio assonnato del fratello gli colpì l'orecchio, ma lui non distolse lo sguardo dallo spettacolo che stava ammirando.
"Non posso", tagliò corto.
Percepì un sospiro soffocato provenire dalle coltri. Aidan sembrava davvero preoccupato.
"Devi smetterla di restare sveglio la notte. Domattina il maestro Gundech ci aspetta per gli allenamenti... sai quanto ci tenga alla puntualità. Non è Mellodîn, lui! Non ti perdonerà se continui ad arrivare in ritardo e tu... tu ti consumerai se ti ostini a comportarti così".
Edhel aspettò che il gemello finisse quella tirata, interrotta di tanto in tanto da uno sbadiglio, poi si limitò a scuotere il capo.
"È accaduto qualcosa, stanotte. L'acqua del lago ha cambiato colore", dichiarò.
La sagoma di Aidan si disegnò al suo fianco. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli arruffati, si appoggiò senza troppi complimenti al fratello e si sporse dalla finestra per studiare l'oscurità che ricopriva la valle.
"L'acqua del lago ha esattamente il colore che dovrebbe avere", borbottò seccato. "È nera, perché è notte fonda e non si vede un accidente".
Edhel lo seguì con una strana ansia nello sguardo mentre si girava e tornava a buttarsi sul letto.
"Aidan, puoi giurarmi di non aver mai raccontato niente a nessuno?", chiese tutto d'un fiato.
Il ragazzo ruotò su se stesso, si puntellò sui gomiti e lo fissò con un sorriso tranquillo.
"Te l'ho giurato un migliaio di volte ma, se serve, lo farò di nuovo".
Sollevò la mano destra sforzandosi di assumere un'espressione compita anche con gli occhi semichiusi.
"Io, Aidanhin di Arthalion, giuro..."
Osservando quel gesto e la solare trasparenza della sua espressione, Edhel provò quell'emozione vibrante che solo il fratello riusciva a suscitargli. Era un miscuglio di sentimenti cui l'elfo non sapeva dare un nome preciso, che confondeva affetto e sconforto, fiducia e nostalgia, armonia e rimpianto. Si pentì di aver dubitato anche solo per un istante della lealtà del suo gemello. Aidan era la sola certezza viva e reale della sua esistenza. Interruppe la sua solenne dichiarazione saltandogli addosso con una risata, e rotolò al suo fianco sulla superficie morbida.
"Come fai a volermi bene?", domandò divertito.
"Non lo so. Non ha importanza", sbadigliò il fratello. "Ma sono pronto a smettere subito se non ce ne andiamo a dormire".
Gli diede una gomitata, poi affondò il viso nella stoffa candida, ma Edhel continuò a fissare il soffitto, ripensando alle strane sensazioni provate quella notte. Chissà se sarebbe mai stato capace, solo guardando le stelle, di decifrare i cambiamenti che avvenivano a miglia e miglia di distanza da lui.
"Io, però, ti dico che il cielo aveva qualcosa di diverso", mormorò, pensando ormai di parlare solo a se stesso.
La voce impastata di Aidan lo sorprese nel silenzio che si era aspettato.
"Se anche fosse, il cielo non può finire, Edhel... me l'hai insegnato tu, no? Andiamo, non è successo nulla, stanotte"
L'elfo, suo malgrado, si arrese. Sorrise tra sé e finalmente si decise a chiudere gli occhi.
Già... il cielo non può finire, Aidan...
"Vieni con me, presto!"
"Dove?"
"Oh, andiamo! Seguimi e basta".
Era passato mezzogiorno, l'aria era immobile e pesante, e Aidan stava trascorrendo le sue ore di libertà dagli allenamenti all'ombra dei merli, sfogliando un libro che illustrava lame elfiche.
L'elfo lo afferrò per un braccio e lo trascinò giù dalle scale del torrione. Attraverso la corte, poi oltre le scuderie, lontano dagli occhi del palazzo, fino ad arrivare alle mura di nord-est. Superata la cinta muraria, Edhel si fermò infine nel boschetto che circondava il lago, dopo una corsa sfrenata.
"Insomma, Edhel: cosa succede?"
Aidan era confuso e curioso allo stesso tempo, mentre il fratello si sforzava di riprendere fiato. Senza ancora aver detto una parola, sollevò la mano destra del gemello. Stando ben attento a scegliere il dito che non usava per tendere il suo arco, gli fece una rapida incisione sul pollice con la punta del suo falcetto. Con una goccia di sangue bagnò una piccola pietra, non più grande di un ciondolo, che teneva sulla palma aperta. Aidan ritrasse la mano appena l'altro lasciò la presa.
"Mi spieghi che succede e che diamine stiamo combinando?", chiese di nuovo, leccandosi la ferita.
"Tu fai troppe domande", lo zittì Edhel brusco.
Era intento a osservare il sangue del fratello che colorava la superficie della pietra. Quando parve soddisfatto, chiuse gli occhi e la coprì con l'altra mano. Un lampo di luce rossastra baluginò attraverso le dita dell'incantatore e si disperse nell'aria. Aidan smise di protestare e iniziò a scrutarlo con sospetto.
"È questo che fai, ogni notte?", osò chiedere, stufo di fingere oltre.
Edhel ignorò quella provocazione. Fece un sospiro e finalmente lo guardò trionfante.
"Tienila, è per te!", esclamò contento, tendendogli quel bizzarro monile.
Aidan lo prese tra le dita e lo studiò con curiosità. La magia era per lui un concetto distante. Quando aveva avuto il sospetto che Edhel avesse iniziato a praticarla, aveva preferito non chiedere spiegazioni. Personalmente credeva nel suo arco e nella sua spada, non aveva utilizzato unguenti e magie nei suoi combattimenti, e non pensava che la cosa lo avrebbe mai interessato.
"Che me ne faccio?"
Edhel lo squadrò per accertarsi di avere la sua attenzione.
"Stai bene attento: vedi quell'allodola che poggia sul ramo? Stringi la pietra nella mano destra e fissala intensamente".
L'arciere obbedì. Edhel lo seguì con trepidazione. Non era del tutto certo che la cosa avrebbe funzionato, dal momento che non l'aveva mai sperimentata prima.
"Adesso chiudi gli occhi e continua a visualizzare l'allodola".
Aidan eseguì. L'oscurità delle palpebre chiuse divenne nebbia e poi si diradò, ed egli ebbe l'impressione di trovarsi sospeso nel vuoto. La luce del sole gli abbagliava gli occhi, entrando irregolare tra una foglia e l'altra. Cercò di sbattere le ciglia, perché gli sembrava che la vista gli si fosse offuscata e che la sua angolatura fosse bizzarramente squilibrata, ma non ci riuscì. I suoi occhi ruotavano e si muovevano a scatti improvvisi e regolari. Sotto di sé riconobbe la sagoma sbiadita del fratello che fissava un giovane biondo. Sobbalzò per la paura e cacciò un urlo. Edhel lo afferrò al volo per non farlo cadere.
"Non devi avere paura! Se ti spaventi così, la magia si interrompe e il contatto va in frantumi".
L'aveva detto come se fosse facile a farsi. Aidan si lasciò cadere sull'erba alta, incapace di stare in piedi. Respirava affannosamente, chiedendosi ancora cosa diamine fosse accaduto.
"Cos'era... che cos'era?", balbettò appena fu di nuovo in grado di parlare.
Edhel si sedette accanto a lui e prese a studiargli il viso, ansioso.
"Tu che hai visto?"
"Mi sembrava di stare appeso su un albero e... ma non ha senso!"
"Ho incantato una runa con una magia che ti permette di vedere attraverso gli occhi di un animale. È un incantesimo del sangue, quindi puoi usarla solo tu".
"Vedere con gli occhi di un animale?", ripeté Aidan, incredulo.
"Sì. Ti occorre maggiore concentrazione, ma con un po' di esercizio ci farai l'abitudine".
L'arciere annuì. Rimase seduto e con lo sguardo seguì un'ape che svolazzava tra i fiori. Chiuse gli occhi e si concentrò sull'insetto. In pochi istanti, una miriade di colori sgargianti invase la sua vista. Il mondo intorno gli apparve sproporzionato e immenso, e volteggiava in aria ad un ritmo sfrenato. Sentì che stava prendendo confidenza con il suo ospite e quasi tentò di guidarne la direzione. Dopo qualche minuto, però, si sentì terribilmente stanco. Riaprì gli occhi sul volto di Edhel che lo scrutava ancora con apprensione.
"Ho detto con un po' di esercizio", rimarcò l'elfo.
Aidan si abbandonò sull'erba e guardò l'aria intorno piena di pulviscolo e polline in mezzo alla quale aveva svolazzato fino a qualche istante prima. Si domandò se non avesse dovuto avere paura delle stregonerie di Edhel, ma poi pensò che era assurdo temere il proprio gemello. Si sollevò su un gomito per guardarlo.
"È bellissimo, ma a che mi serve?"
Il volto di Edhel, a quella domanda, si fece scuro.
"Forse a nulla. Forse a tanto".
"E allora?", chiese Aidan, convinto che l'altro non gli avesse detto tutto.
"Non lo so, Aidan. È solo una sensazione, non ha una forma concreta. Qualcosa sta cambiando, qualcosa sta per succedere".
Il gemello sbalordì di fronte a quelle parole, e all'aria grave e assorta che si era disegnata sul viso dell'elfo. Lo osservò con il timore di non riuscire a seguirlo, in quella dimensione distante in cui sembravano essersi persi i suoi pensieri, e non disse nulla.
"Voglio che questa pietra ti sia di aiuto in tutte quelle occasioni in cui dovrai scovare il tuo avversario e indirizzare le tue frecce contro il cuore del nemico".
L'arciere pensò, a quel punto, che non aveva alcuna importanza se non riusciva a star dietro alla mente di Edhel. Gli bastava essere nei suoi pensieri e nel suo cuore. Gli bastava percepire l'ombra di quel mondo incomprensibile e, anche se non sarebbe mai stato in grado di entrarvi dentro o di sposarlo al proprio, lo avrebbe amato comunque. Si levò in piedi e tese una mano al fratello perché lo imitasse.
"Anche io ho qualcosa per te, sai?"
Imboccarono la strada che li avrebbe riportati alla reggia, poi raggiunsero le loro stanze. Lì il ragazzo sollevò l'arazzo che copriva una delle pareti e tirò fuori un lungo involto da una rientranza del muro. Lo poggiò sullo scrittoio e lo aprì. Due lame brillarono alla luce: una recava dei decori in oro, l'altra in argento. Edhel le fissò incredulo: non avrebbe potuto confonderle con nient'altro.
Erano le loro prime spade. Gliele aveva regalate il padre, il re, quando avevano compiuto dieci anni. Aidan aveva trascorso l'intera giornata ad ammirare la propria, passando e ripassando con attenzione le dita sulla lama, soppesandola con una mano e con l'altra, studiando con meraviglia la complessa decorazione dorata che impreziosiva l'impugnatura.
"Che cosa ci trovi di così bello, da starla a guardare per ore?", aveva esclamato Edhel con disgusto. "È solo un pezzo di ferro".
"È un regalo bellissimo", aveva risposto senza badargli troppo.
"Questa non è una spada da battaglia, Aidan. È solo una spada da cerimonia. A noi non serve. A noi due non serve a nulla, questa spada!"
Con un gesto rabbioso, l'elfo aveva gettato l'arma argentata in mezzo all'erba alta della radura, vicino al lago, e si era incamminato verso il palazzo.
Ciò che lui non poteva sapere era che Aidan, rimasto solo nel tiepido bagliore del tramonto, si era chinato e l'aveva raccolta. Aveva versato una lacrima per il dolore di Edhel, che ogni volta percepiva come se venisse dal suo petto, e aveva promesso alla luce del giorno e all'acqua del lago che l'avrebbe custodita. Le avrebbe custodite entrambe, vicine, fino al giorno in cui avrebbe potuto ridare loro un senso e un valore.
"Per la Dea!", esclamò Edhel. "Sono le spade che nostro padre ci ha regalato anni fa. Le hai davvero conservate per tutto questo tempo?"
Aidan annuì felice.
"In verità le ho fatte riforgiare e molare. Adesso sono vere spade da battaglia".
Edhel ne impugnò una e la sfilò dalla stoffa. La lama tagliò l'aria con un sibilo. L'elfo la fece volteggiare con rapidità più volte, poi l'abbassò di colpo. Sapere che Aidan l'aveva raccolta e conservata per tutto quel tempo, lo fece sentire indegno del suo affetto. Quasi avesse intuito quel pensiero triste, Aidan lo abbracciò di slancio. In quella stretta Edhel avvertì che non c'era nessun rimprovero nel cuore del suo gemello. Rinunciò a ogni scusa e a ogni resistenza per non rovinare la gioia di quell'istante, così perfetto da sembrare l'ultimo.
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