15. CAELUM HOC ET CONSCIA SIDERA TESTOR

Galanár fece davvero condurre Silanna a corte, ma dispose che le fosse data una stanza distante dai suoi alloggi, nell'ala opposta del castello: non vi era alcun motivo che la si ritenesse la sua amante.

L'arrivo a Laurëgil aveva mutato di molto il suo umore, lo aveva reso scostante e pensieroso. Non poteva ignorare l'ostilità del re degli Elfi e, per quanto il loro incontro si fosse svolto come aveva immaginato, una sensazione di angoscia lo aveva attanagliato da quando aveva lasciato la sala del trono. Un nemico nascosto, che non rivelava il proprio volto, era più temibile di uno che poteva fronteggiare apertamente su un campo di battaglia. Quella lotta interna lo eccitava, ma insieme lo spaventava, perché tutta la sua esperienza di guerriero non gli sarebbe servita a nulla contro quell'avversario. Doveva stare attento e aprire bene gli occhi su quella minaccia che lui stesso aveva risvegliato. Tenerla legata al suo volere fino al momento in cui avrebbe potuto togliere il velo e affrontarla.

Con un piede che si reggeva su una rientranza tra i merli delle mura, Galanár appoggiò il gomito sul ginocchio piegato e affondò il viso nella mano. Rimase a lungo in quella posizione, osservando lo strapiombo che si apriva sotto le alte mura. Era sul torrione di nord-est, che si ergeva sul fianco più alto della collina. In quel punto la cinta muraria raggiungeva la sua massima altezza e sembrava un'immensa parete d'avorio che brillava sotto la luna. Il vento le sbatteva contro senza incontrare ostacoli. Le case che si intravedevano in fondo erano minuscole macchie scure puntellate di luci dorate. 

"Credevo che sareste passato a farvi medicare stasera, ma è evidente che ho aspettato invano".

Galanár sobbalzò e si levò sulla schiena, girandosi per cercare colei che aveva parlato. Silanna si staccò dall'ombra del muro. Indossava una tunica di un azzurro pallido che riluceva di perla e aveva i capelli sciolti. Dalla sua pelle si levava un sottile profumo di fiori che il vento portava fino a lui.

"Silanna", domandò con stupore, accorgendosi solo in quel momento quanto fosse alta la luna, "mi avete davvero atteso tutto questo tempo?"

Lei non rispose e si limitò a sorridere. Suo malgrado, Galanár si sentì conquistato da quel pensiero. La sua resistenza nell'ammettere l'attrazione che esercitava su di lui quella donna subì l'ennesimo, possente attentato. Le tese una mano, cui lei si appoggiò con una lieve esitazione, e la guidò al suo fianco, sulle mura esterne. Incuriosita, anche lei guardò giù, per vedere con i suoi occhi cosa stesse attirando l'attenzione del principe.

Lui la scrutò, non visto, soffermandosi sulla forma delle sue labbra, socchiuse per lo stupore di poter ammirare il mondo da quelle altezze. L'attirò verso di sé con gentilezza e, quando le fu proprio di fronte, la fissò a lungo negli occhi splendenti. Sembrava cercarvi dentro la risposta a una domanda che non era stata ancora espressa, e lei lo lasciò fare.

"Silanna, cosa cercate?"

L'espressione di lei si fece confusa.

"Vostra altezza, non capisco".

"Io vi ho mancato di rispetto e voi mi avete salvato. Sono stato scortese e voi non mi avete negato le vostre attenzioni, e stanotte siete perfino rimasta sveglia ad aspettarmi. Perché? Cosa cercate davvero?"

Silanna piegò appena il capo e prese un lungo respiro.

"Dovreste saperlo già da voi, mio signore".

L'espressione del principe si fece seria.

"Voi non mi trovate indegno?"

"Io vi trovo straordinario".

Gli aveva risposto con sincero trasporto. La sua voce era calda e trepidava, ma Galanár non parve impressionato. Seguitò invece a scrutarla pensoso.

"Straordinario, dite? Provate a cancellare l'immagine del vostro generale e guardatemi con i vostri occhi di elfa. Guardatemi come fanno le donne di questa corte. Sono ancora così splendido?"

Una volta ancora lei non esitò.

"Di più, se è possibile".

Il principe le lasciò andare le mani e si girò a osservare il cielo puntellato di stelle. Silanna carezzò in silenzio la palma che lui aveva stretto fino a qualche istante prima, quindi si sedette sul muro di cinta, in attesa.

Galanár ammirava la notte. Respirava il vento che ancora non aveva cessato di muovere con forza le fronde degli alberi. Appena coperte da quel leggero tintinnare lontano, le sue parole arrivarono a lei portate da una folata improvvisa.

"Silanna, voi di certo sapete bene quanto il concepimento sia un evento raro tra le nostre due razze".

"Sì".

"Si dice che, quando gli Uomini e gli Elfi si uniscono tra loro, sia quasi impossibile che il frutto di tale unione arrivi a vedere la luce. Per quanto ne so, io e i miei fratelli siamo l'unico caso di cui si abbia notizia in Amilendor".

Lei piegò il capo, poggiò la guancia sulla palma aperta e rimase a studiarlo, curiosa di capire dove li avrebbe portati quel discorso.

"E questa non è forse un'ottima ragione per affermare che siete speciale?"

"Forse lo è. Dovrebbe esserlo, in effetti. Eppure questi elfi mi guardano con disprezzo. Io porterò loro la vittoria e loro mi guardano con disprezzo! Non comprendono ciò che mia madre, per prima, ha intuito: questa doppia natura è la mia vera forza. Io posseggo ogni virtù, ogni gemma e ogni perfezione di entrambe le razze. Ciò che essi giudicano alterato e contaminato è, al contrario, il sangue più genuino, come le essenze pregiate che si ottengono distillandone due di diversa natura".

Silanna lo ascoltava trattenendo il fiato: quel discorso la colpiva in prima persona. Se fosse stata davvero sincera, avrebbe dovuto ammettere che anche lei tendeva a giudicare il mondo con occhi alteri. Per quanto la sua diversità fosse vista con sospetto dai suoi stessi simili, era  comunque autorizzata a considerare gli Uomini come a una razza inferiore. Se Galanár non fosse stato il principe che era, quel sangue misto che gli scorreva nelle vene sarebbe stato soltanto una vergogna agli occhi di lei. Sentendogli pronunciare quelle parole con tanta sicurezza contro il chiarore stellato di quella notte, contro il favore del vento e delle nubi, avvertì nel suo cuore una crescente ammirazione che contrastava con ciò che sempre aveva creduto come una giusta e incontrovertibile legge di natura.

"Forse", intervenne dopo un lungo silenzio, "il loro giudizio potrebbe essere corretto se voi..."

Esitò e Galanár si girò verso di lei. Silanna comprese di colpo che le sue parole avrebbero avuto un peso e le scandì con lentezza.

"Se voi mostraste più attenzione nei riguardi della vostra natura elfica".

"È di questo che mi si accusa?"

Non c'era acredine in quella sua richiesta, ma quasi una nota di dolcezza, mista a incredulità.

"Voi avete scelto di vivere come un Uomo, di combattere come un Uomo. Siete grande e siete invincibile in battaglia, ma disprezzate la magia e rigettate la nostra sapienza antica. Voi pretendete di essere amato da un popolo di cui non conoscete nulla".

Galanár si portò un dito alle labbra, poi scosse il capo.

"Vi sbagliate. Per anni, quando ero bambino, sono stato istruito alla conoscenza arcana. Il maestro Vargas Quenthar", disse, pronunciando quel nome con freddezza, "il capo degli incantatori di corte, è stato il mio tutore. Lui mi ha insegnato la magia, sostenendo che dovevo dare ascolto alla mia parte elfica e cercare di evocarne i poteri arcani".

"E non l'avete fatto?"

Il principe rise d'istinto, come se gli fosse tornato in mente qualche episodio lontano.

"Purtroppo, nonostante io abbia rivelato una forte affinità con gli elementi magici, non posseggo nessuno degli Arcani. Un problema al quale neppure la sfrenata ambizione del maestro Vargas, che avrebbe tanto voluto trovare in me un Daimonmaster, ha potuto porre rimedio".

"Non occorre essere un Daimonmaster per praticare degnamente la magia", ragionò lei a bassa voce. "Eppure non vedo traccia di questi insegnamenti in voi, né nelle vostre azioni".

"Ho passato anni a studiare quei libri, ma in nessuna di quelle fonti ho trovato le risposte che cercavo", replicò lui con voce franca. "E mentre, allo stesso tempo, venivo addestrato alla guerra, ho visto quale enorme difformità ci fosse tra questi due mondi".

Prese un'altra pausa, ma in quella sospensione non c'era titubanza. Era piuttosto il preludio a un'emozione che voleva esplodere, a un pensiero nascosto troppo a lungo che aveva infine l'occasione di essere espresso in parole.

"Ho imparato che non c'è alcuna dignità nel vincere uno scontro grazie alle arti magiche. La pratica della spada, l'accortezza della strategia, l'impeto del comando: sono questi gli elementi essenziali per vincere la battaglia e che fanno di un uomo un vero guerriero, un vero capo. Durante uno scontro, un incantesimo può essere uno splendido diversivo o uno stratagemma risolutivo, ma la magia da sola non basta a nulla".

Silanna si lasciò sfuggire una smorfia di dissenso, ma non ebbe il tempo di protestare. Galanár si inginocchiò di fronte a lei e le prese le mani tra le sue. La guardò dritta negli occhi e lei non poté impedirsi di avere un fremito.

"Noi non siamo un esercito di mercenari che lotta solo per l'oro e per la vita", proseguì lui con passione. "Noi combattiamo per la gloria, noi combattiamo per scrivere la storia del nostro popolo... noi combattiamo una battaglia in cui stiamo mettendo in gioco il nostro onore. E l'onore, Silanna, l'onore è solo nelle armi".

In quel momento lei stabilì con certezza che non potevano esistere riserve nei confronti di quell'uomo. Nello stesso tempo, comprese come mai un così folto gruppo di soldati aveva deliberatamente affidato a lui la propria vita e il proprio destino. I dubbi che aveva nutrito in principio sul valore della sua natura non avevano più ragione di esistere. Lui aveva ragione. Doveva avere ragione.

Disciolse le dita dalla stretta di lui e gli sfiorò il viso. Galanár si prese il tempo di godersi quel gesto, poi si levò in piedi e tornò a osservare lo spazio oltre le mura del palazzo.

"Tutti questi nobili elfi, con i loro libri ricolmi di sapienza, non sanno fare la guerra", esclamò con veemenza, mentre il vento si fermava a esaltare il silenzio e la notte si stendeva incorrotta sopra di loro, quasi a fare da testimone a quel momento. "Ed è per questo che perderanno".

Mentre diceva così, avvertì il calore di una mano che stringeva la sua. Il corpo dell'elfa aderì al suo fianco, la testa di lei si appoggiò alla sua spalla con timore. Senza smettere di fissare il cielo, Galanár le sfiorò il viso con una carezza silenziosa.

"Io insegnerò loro come si vince e con quali arti si scrive la storia dei popoli. E sarò re, Silanna, perché così è scritto nelle stelle. Perché è per questo che sono nato, per comprendere in me il meglio di questi due popoli, e guidarli".

Lei chiuse gli occhi e si lasciò attraversare da quelle parole che l'avevano conquistata, che lenivano le sue antiche ferite come un balsamo e che giungevano opportune a fugare qualsiasi dubbio.

"E io sarò al vostro fianco per aiutarvi in questa vittoria", sussurrò piano. "Se mi vorrete, io sarò con voi, Galanár".


NOTA DELL'AUTORE

Caelum hoc et conscia sidera testor: Lo attestino [invoco a testimoni di ciò] il cielo e le consapevoli stelle.

La frase, che tuttavia ricorre spesso con qualche variante, è tratta dal Libro IX dell'Eneide, dalla parte che riguarda il famoso episodio di Eurialo e Niso ❤️

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