12. CONTRA SPEM

Galanár giaceva privo di coscienza nella sua tenda. Nell'accampamento regnava un silenzio ingombrante e carico di preoccupazione mentre la notizia si diffondeva tra i soldati. Il generale sprofondava nel delirio e i suoi sommessi lamenti crescevano di intensità con il passare delle ore. Sembrava che la pozione lenitiva di Silanna non fosse più sufficiente a placare il dolore, ma Mellodîn non osava contravvenire alle disposizioni di lei a quel riguardo, nonostante la sofferenza dell'amico apparisse straziante.

Una febbre crescente era sopraggiunta ad agitargli il sonno e il suo volto pallido era imperlato di sudore. Il capitano sedeva in silenzio nel fondo della tenda, lo fissava e pregava gli Dei che non li abbandonassero proprio in quel giorno. In un cantuccio nascosto, uno degli scudieri di Galanár, un ragazzino di tredici o quattordici anni appena, singhiozzava sommessamente.

La stoffa si levò d'un tratto e un raggio di luce cinerina tagliò la penombra. Entrò Silanna, e Mellodîn la fissò come si ammira l'alba di un nuovo giorno dopo la battaglia.

"Venite", disse lei, sforzandosi di sorridergli. "Non possiamo perdere tempo".

Come se quell'ordine avesse sciolto l'incantesimo della sua immobilità, l'uomo le fu accanto in un batter d'occhio, pronto a eseguire i suoi comandi. Si chinarono entrambi sul corpo del generale ma, quando l'incantatrice gli scoprì il petto, ebbe un sussulto: il bordo scuro si era inspessito, la spalla era ancora più gonfia e sembrava piena di un liquido verdastro. Silanna, d'istinto, si portò le dita alle labbra per trattenere l'esclamazione che le sfuggì alla vista della ferita. Le sarebbero occorse tutte le sue conoscenze per far fronte a quell'infezione.

"Estraete la freccia, capitano", disse in un soffio.

Mellodîn annuì e fece cenno al fanciullo di aiutarlo. Quello tirò su con il naso e sgattaiolò svelto al loro fianco. Il capitano bloccò la spalla di Galanár con il suo braccio forte, prese un profondo respiro e, mentre lo scudiero lo aiutava a tenerlo fermo, estrasse il dardo con un unico movimento.

Galanár gettò un urlo agghiacciante, che infranse il mormorio dell'accampamento e si spense nel silenzio assoluto. Reclinò quindi il capo e socchiuse le labbra, mentre un fiotto di sangue scuro cominciava a sgorgare dalla ferita.

Mellodîn spezzò la freccia e la gettò via con disprezzo, sputando sul terreno dov'era caduta. Silanna, invece, non staccò gli occhi dal principe nemmeno per un secondo. Sollevò la mano sinistra e gliela poggiò sulla fronte gelida, mentre la destra restava sospesa a pochi centimetri dalla sua spalla. Chiuse gli occhi e cominciò a recitare una preghiera muta. In pochi istanti, Mellodîn vide il sangue che si arrestava, così come era accaduto al suo taglio durante la battaglia, ma il foro sulla pelle di Galanár prese a pulsare e il principe iniziò ad agitarsi. Silanna, indifferente a ciò che le accadeva dinnanzi, continuava a sussurrare la formula. Il capitano riusciva solo a vedere le sue labbra che si muovevano senza posa mentre lei si ostinava a snocciolare il suo incantesimo.

"Tenetelo fermo", ordinò di colpo, senza nemmeno guardarli.

Obbedirono, mentre l'elfa prendeva un sacello di cuoio e ne premeva il contenuto sulla ferita. A contatto con la pelle, l'unguento rossastro sembrò bruciare la carne al punto che Mellodîn fu obbligato ad aumentare la stretta sulle braccia del generale. Silanna approfittò della sua assistenza per distendere la sostanza su tutta la ferita. Dopo qualche minuto, Galanár parve placarsi e solo a quel punto Silanna si abbandonò a un sospiro. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi spaventati del fanciullo, che per tutto quel tempo le era rimasto di fronte, fissandola sgomento.

"Vai a dormire, ragazzo", disse. "Per oggi hai visto abbastanza".

Lo scudiero non se lo fece ripetere due volte. Abbozzò un maldestro inchino e scappò via dalla tenda. Silanna si guardò attorno, come per assicurarsi che non ci fosse qualcun altro, quindi tornò a studiare l'espressione di Galanár.

"Trattandosi di voi", esclamò, rivolta all'unico interlocutore possibile che le fosse rimasto, "non penso che me ne vorrà".

Fatta quell'osservazione incomprensibile per il capitano, si slacciò il mantello, lo fece scivolare sulla schiena e si scoprì il capo. Si passò una mano sulla fronte, per scacciare l'ombra della fatica.

Mellodîn non poté trattenersi dall'osservarla. Il suo viso, sebbene stanco, era molto ben fatto. La sua pelle era splendente come l'alabastro e la sua capigliatura corvina si accendeva di riflessi blu tra una ciocca e l'altra. Sebbene non potesse paragonarla al concetto di bellezza che conosceva, c'era nella sua eccezionalità qualcosa di profondamente desiderabile. Mentre restava a guardarla in silenzio, Silanna estrasse delle bende da una sacca, le incantò e iniziò ad avvolgere la ferita, attenta a non procurare al principe ulteriore sofferenza.

"Adesso possiamo solo aspettare che la febbre scenda in fretta", mormorò. "E pregare che tutto vada per il meglio".

Si girò senza preavviso e Mellodîn si ritrovò i suoi occhi dorati addosso. Di fronte alla sua espressione sorpresa, Silanna parve recuperare il ricordo degli eventi che si erano accavallati nel corso di quella turbolenta giornata.

"Vi chiedo perdono, capitano", disse con voce stanca e dolce insieme, abbandonando il tono urgente che aveva usato fino a quel momento. "Non vi ho neanche domandato se siete ferito".

"Grazie, signora. No".

Rassicurata da quella risposta, lei poté concentrarsi di nuovo sul principe. Galanár aveva ripreso a respirare con regolarità. Non era ancora tornato in sensi e la sua fronte era calda per la febbre, ma i lineamenti del volto non erano più serrati dal dolore. Sembrava piombato in un sonno profondo. Silanna gli prese la mano, la poggiò sulla sua palma aperta e prese a carezzarne il dorso. Era ancora gelida. Avrebbe dovuto attendere ancora prima di avere la certezza che i suoi sforzi fossero andati a buon fine.

Mellodîn entrò e uscì parecchie volte dalla tenda senza che lei sapesse quantificarne le assenze. Qualcuno accese un lume, qualcuno poggiò vicino a lei una brocca d'acqua e una ciotola di zuppa calda, ma Silanna sembrava non percepire nemmeno lo scorrere del tempo.

Restava a vegliare il respiro di lui, mentre pregava. I suoi poteri da Daimonmaster restavano sopiti. Vilya, il Daimon dell'Aria cui era legata, non sarebbe stata utile ai suoi scopi in quella situazione. Amaurea, la Dea benevola, invece, poteva accrescere le sue capacità di guaritrice, così Silanna la stava invocando con tutte le sue forze.

Il capitano tornò nella tenda una volta ancora. Diede un'occhiata all'amico, quindi si sedette su un ceppo di legno, vicino alla lampada.

"Se siete stanca, andate a dormire. Resterò io qui", le offrì con cortesia.

"Vi ringrazio, ma per questa notte preferisco vegliarlo di persona. E poi voi avete combattuto. Avete più bisogno di me di riposare".

Mellodîn non rispose. Per un lungo istante di silenzio guardò altrove, verso il punto della tenda dove il buio era più fitto.

"Per tutte le volte che lo avete guarito... e per tutte quelle in cui lo guarirete... io vi sarò eternamente grato".

Silanna gli rivolse un sorriso.

"Gli siete amico da molto tempo, capitano?"

"Da tutta una vita".

L'elfa annuì.

"L'avevo inteso dal modo in cui vi comprendete".

"E voi, invece?", chiese lui all'improvviso, cogliendo quell'occasione di dialogo insperato che si era aperto. "Cosa vi ha spinta a unirvi a noi?"

Lei vacillò un istante, turbata. In quelle ore, spinta dall'urgenza di salvare Galanár, aveva accettato di condividere con il capitano intenzioni, pensieri e azioni. In quel momento, in cui l'ansia iniziava a scemare nel silenzio della notte, Silanna si ricordò chi fosse lui, e chi fosse lei, e quali fossero le reali ragioni che la spingevano a restare al fianco del principe ferito. E nessuna di quelle ragioni era confessabile, tantomeno a Mellodîn.

"Le leggende che avevo sentito sul suo coraggio", replicò, consolandosi di essere riuscita a dire almeno una parte di verità.

Silanna, però, non conosceva ancora Mellodîn. Non sapeva che un buon segugio non abbandona mai la sua preda, ma la insegue fino a stanarla, persino sul terreno più impervio. Tra tutti, un pensiero in particolare tormentava il capitano senza dargli pace, e almeno su quel punto non aveva intenzione di mollare.

Come aveva più volte ammesso, lui non aveva grande familiarità con la magia ma, a differenza del principe, aveva grande considerazione di quell'arte. Se già provava rispetto per gli incantatori, uomini o elfi che fossero, ne aveva ancor di più per i Daimonmaster. Loro non erano come gli altri, perfino lui lo sapeva. Non apprendevano la magia, non la imparavano: nascevano già con un dono, che chiamavano Arcano e che permetteva loro di stabilire un contatto con uno dei Quattro Grandi Daimon. Erano essi stessi un legame tra cielo e terra, tra comune e divino. Il loro potere, nei limiti dell'esperienza e dell'Elemento che controllavano, poteva essere senza pari. Erano solo Elfi, e i loro simili li chiamavano nella lingua antica con il titolo di Fëantúri, ma ogni razza mostrava loro rispetto in ugual misura.

Capire se l'elfa che aveva di fronte lo fosse o meno era diventata per lui una questione della massima urgenza, perché quell'informazione avrebbe potuto cambiare eventi e decisioni.

"Ditemi, dunque", rilanciò in modo diretto, togliendole la possibilità di elaborare altre risposte vaghe. "Siete o non siete un Daimonmaster?"

Silanna chinò il capo.

"Lo sono".

"Di quale Arcano, se posso chiederlo?"

"Dell'Aria".

"E allora perché non ne avete messo al corrente il maestro Aegis?", la incalzò, sempre più diffidente. "Perché al vostro arrivo avete chiesto di unirvi ai guaritori, invece di seguire gli incantatori?"

Silanna si sentì mancare il terreno. Cosa avrebbe risposto? Come poteva confessare il motivo che l'aveva spinta all'assoluta segretezza? Come spiegare che soltanto presentandosi come guaritrice avrebbe avuto l'occasione di avvicinare il principe?

Pregò la Dea affinché le suggerisse la maniera migliore per aggirare quell'ostacolo e la Dea, evidentemente, le prestò orecchio: uno scudiero entrò nella tenda e riferì a Mellodîn che il maestro Aegis richiedeva la sua presenza con la massima urgenza.

Il capitano si levò in piedi, contrariato da quella interruzione, ma ugualmente obbligato ad andare: era lui l'ufficiale più alto in grado in quel momento e a lui spettava ogni decisione in attesa che Galanár si riprendesse. Guardò Silanna con un misto di sospetto e di curiosità inappagata.

"Devo lasciarvi, ma voi potete mandarmi a chiamare quando vi occorre. Metterò uno scudiero di guardia fuori, se mai aveste bisogno di qualcosa".

Lei annuì. Sul suo viso si era dipinto il sollievo che quel diversivo aveva portato e riuscì perfino a sorridergli con grazia.

"Che la benedizione di Amaurea sia con voi stanotte, capitano".

Silanna restò sola e ben lieta di esserlo. Mellodîn l'aveva del tutto spiazzata con la precisione delle sue domande. Quell'uomo era più perspicace di quanto avesse immaginato. Doveva stare attenta. Prendendosi cura di Galanár, così come stava facendo, aveva di certo conquistato la sua benevolenza, ma non era ancora tutto. Doveva averlo come suo alleato. Se, al contrario, l'avesse avuto come nemico, sentiva che sarebbe stato pericoloso e implacabile.

Mentre era persa in quei ragionamenti, Galanár sbatté le palpebre e aprì gli occhi. Articolò il suo nome con difficoltà e con un fil di voce, ma tanto bastò a restituirgli la sua attenzione. L'elfa tornò a stringergli la mano e lo guardò con dolcezza. 

Il principe indirizzò lo sguardo verso il suo viso e riuscì a distinguerne i lineamenti. Desiderò sfiorarli e provò a sollevare una mano, ma non vi riuscì. Il corpo si rifiutava di rispondere alla sua volontà. Si sentiva svuotato di ogni energia e preda di un invincibile torpore.

"Non riesco a muovermi", biascicò con voce profondamente afflitta.

A Silanna parve che tutta l'umanità che Galanár teneva celata dietro la lucente armatura d'argento, stesse esplodendo. Il cuore le tremò: non aveva mai pensato di dover affrontare quella parte della sua natura. Lui, così sicuro e grande mentre sfoderava la lama contro il nemico, le aveva fatto dimenticare che in fondo era solo un Mezzelfo. Si sforzò di trovare le parole più adatte per confortarlo.

"Non c'è nulla che vi debba turbare, principe", rispose delicata.

Lui chiuse gli occhi, come se quell'accento avesse avuto il potere di placarlo.

"Nulla di cui avere timore. Niente può accadere a coloro che sono stati benedetti dalla luce dorata di Laurëgil".

Silanna gli si accostò per controllare la febbre e sentì che stava lentamente passando. In quel gesto gli sfiorò un orecchio e per un istante si soffermò a osservarne la forma: uguale a quella degli Uomini, ma leggermente a punta nell'estremità superiore. Non c'era da stupirsi che lui non ne facesse gran sfoggio. L'elfa non poté fare a meno di mettere in dubbio, una volta ancora, la missione che si era fissata, di legare il proprio destino a quello di lui.

"Dormite adesso", sussurrò con dolcezza.

Gli lasciò la mano e fece per allontanarsi. Non era più tanto sicura di riuscire a restargli accanto.

"Silanna, non...".

L'elfa percepì il tormento di quella frase mozzata e vide le dita di lui che si contraevano, a cercare quel contatto. Si sentì travolgere da quella preghiera inespressa, ancor più intensa che se fosse stata interamente pronunciata in parole mortali. Senza pensare, gli afferrò la mano e se la portò alla guancia.

"No, non me ne vado"

Come se quelle parole fossero state un balsamo, lui si addormentò. Lei rimase a guardare le sue labbra socchiuse, gli sfiorò le ciglia abbassate e si fece scivolare una ciocca d'argento tra le dita, sorpresa della propria audacia. E quella notte la passò davvero nella tenda del generale, sebbene non nella maniera che lui aveva immaginato.


NOTA DELL'AUTORE

Contra spem significa Contro ogni aspettativa

Di solito si ricorda questa locuzione nella frase di Paolo di Tarso, Spes contra spem, La speranza contro ogni speranza, per sottolineare l'incrollabilità della fede.

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