11. DRACONIS SANGUIS

Quando Mellodîn, Aegis e i loro uomini tornarono indietro, non trovarono l'esercito dove l'avevano lasciato. I soldati si stavano spostando verso nord-est, in un avvallamento che si stendeva al fianco della foresta. I due, superando in fretta la colonna, videro dall'alto gli scudieri che si affaccendavano ad approntare le tende, i palafrenieri che aiutavano i cavalieri a smontare e radunavano i cavalli, mentre i più giovani preparavano la biada e l'acqua.

Mellodîn si affrettò per raggiungere il fondo della vallata. Aegis gli aveva comunicato, sulla via del ritorno, di non aver mentito sulle condizioni del generale e aveva aggiunto che lui stesso, a quel punto, ne ignorava la sorte. Il capitano aveva dunque fretta di sapere da chi provenissero gli ordini e quale fosse lo stato del suo amico, e trovò presto risposta a entrambe le domande: in fondo alla distesa, sotto l'ombra di un grande albero, Silanna stava in piedi e si stagliava nella luce nascente del nuovo giorno, nera e sottile come una linea d'inchiostro tracciata su una pergamena.

Sembrava persino più alta e per nulla sminuita dalla possanza fisica dei cavalieri che l'attorniavano in quel momento. Andandole incontro, il capitano poté distinguere il gesto imperioso del suo braccio alzato e il suo tono di voce deciso: stava dando ordini agli uomini con una precisione che colpì lo stesso veterano. D'altra parte, i soldati le stavano obbedendo senza fiatare. Avevano visto quella donna cavalcare al fianco del generale e, di conseguenza, le avevano attribuito una qualche importanza. Inoltre, quella figura nera, di cui non potevano scorgere il viso, li inquietava. In assenza dei loro superiori, nessuno aveva osato contraddirla o ignorarla.

È davvero un Daimonmaster, si disse il capitano, sempre più convinto della sua prima intuizione, mentre fermava abilmente il cavallo a pochi passi da lei.

"Capitano Mellodîn!", esclamò l'elfa con una nota di gioia. "Avete fatto ritorno".

Aveva sollevato il viso verso di lui e, in quel gesto, lui ebbe l'impressione che le fosse sfuggito un sospiro di sollievo.

"Il generale dov'è?"

Le labbra di Silanna si contrassero in una piega.

"È un bene che voi siate qui, ho urgente bisogno del vostro aiuto".

Senza che gli occorresse sentire altro, il capitano smontò da cavallo e la seguì. A pochi metri dal grande albero, in un luogo appartato, Silanna aveva fatto alzare un piccolo riparo di fortuna. Sulle pelli di daino stava disteso Galanár, privo di sensi. Una ciocca di capelli era sfuggita al suo laccio e gli ricadeva disordinata sul volto pallidissimo, sfiorandogli le labbra senza colore.

Mellodîn si strappò l'elmo dal capo e lo gettò a terra, rivelando un'espressione colma di dispiacere e di ansia. Silanna lo studiò per un istante, quindi rivolse la sua attenzione al principe, si inginocchiò accanto a lui e gli prese una mano tra le sue.

"Il giovane principe di Aermegil e il capitano di Medthalion, che è sopraggiunto poco prima di voi, si stanno occupando di dirigere gli uomini", spiegò, prima di voltarsi nuovamente verso l'uomo che era rimasto immobile alle sue spalle. "Voi restate con me, capitano".

Se anche lei non glielo avesse chiesto esplicitamente, Mellodîn non avrebbe comunque fatto un passo lontano da lì, almeno fino a quando qualcuno non lo avesse rassicurato che il principe non stava morendo. Perché quell'abbandono in cui l'aveva trovato aveva una perfetta parvenza di morte, e il capitano sentiva che la mente gli sarebbe scoppiata al solo immaginare un simile evento.

"Gli ho dato una delle mie pozioni per alleviargli il dolore. In questo momento non sente nulla, ma devo curargli in fretta quella ferita. Aiutatemi a togliergli tutta questa roba di dosso".

Quelle parole lo fecero tornare in sé, risvegliando il suo spirito pragmatico da combattente. Con un gesto rapido sfilò i guanti e slacciò la giubba pesante, abbandonandoli vicino all'elmo. Si inginocchiò accanto all'esile figura di lei e cominciò ad armeggiare con le cinghie degli spallacci.

Il dardo si era conficcato nella giuntura tra questi e la corta cotta di maglia leggera che il principe indossava durante gli spostamenti. Questo rese più semplice il compito di Mellodîn, ma gli fece intuire allo stesso tempo che la freccia aveva avuto modo di insinuarsi in profondità, trovando quel varco aperto tra le protezioni. Pensò che sarebbe stato oltremodo stupido e inutile arrabbiarsi per la superficialità e la noncuranza di Galanár. Il principe aveva sempre avuto una sfrontata sicurezza nei riguardi della propria persona. Con tutte le cure che aveva sempre ricevuto in battaglia, aveva finito per credersi immortale come un dio, e sfidava la sorte con troppa leggerezza e troppa superbia, a suo giudizio. Poiché rimproverarlo era impossibile, il capitano annotò mentalmente che, da quel momento, lo avrebbe obbligato a indossare l'usbergo anche durante gli spostamenti.

Quando lo ebbe spogliato da ogni indumento, Mellodîn tagliò con un coltello la camicia, scoprendogli la spalla. Solo allora l'elfa, che era rimasta in disparte lasciandolo libero di agire, appoggiò una mano sul petto del principe e si chinò a esaminarlo. Come Mellodîn aveva immaginato, il dardo era profondamente conficcato nella carne, ma non era quella la maggior preoccupazione di Silanna. Il punto in cui era stato colpito non era vitale e, in circostanze normali, quella ferita non le sarebbe nemmeno sembrata particolarmente grave. Il foro intorno alla freccia, però, si era scurito. La pelle era tesa, lucida e gonfia. Le vene ingrossate, in rilievo, avevano assunto un livido colore verdognolo. Passò un dito piano su quella parte e il corpo di Galanár si contrasse. Il principe emise un roco lamento e Silanna ritrasse la mano.

"Voi sapete cos'è questo?", chiese al capitano.

"Sembra veleno".

Lei annuì.

"Sì, ma non è un veleno qualunque. È prodotto da una specie di ragni che prospera soltanto in alcune insenature dell'Ambit. Gli sciamani Troll si sono tramandati, nel tempo, il modo di allevare questi ragni e ne hanno fatto colonie tra le loro rocce, per poterne estrarre il plasma venefico che utilizzano per gli incantesimi e le armi".

Silanna si interruppe, sorpresa: perché stava perdendo tempo a spiegare quelle cose a un semplice uomo? Tentare di istruire quelle creature era una fatica inutile, o almeno così aveva sempre pensato. Quando incrociò lo sguardo del capitano che seguiva la sua spiegazione con viva attenzione, pensò per la prima volta che valesse la pena condividere le proprie considerazioni con qualcuno che non fosse della sua razza.

"È un veleno potente, capace di immobilizzare un uomo e di condurlo alla morte".

A quelle parole, lui ebbe un sussulto e lei gli restituì un'occhiata silenziosa. Sapevano bene che, in una maniera inspiegabile per Mellodîn e inaccettabile per Silanna, stavano condividendo lo stesso pensiero e la stessa apprensione.

"Ne conoscete la cura, mia signora?", azzardò l'uomo.

"Sì, ma dovrò andare a cercare le erbe per questo unguento. Mi occorre una grossa quantità di Fiori di Krasiz. È quella pianta dalle foglie piccole, che fiorisce con piccoli boccioli triangolari di color rosso sangue".

Mellodìn rifletté un istante, poi annuì.

"La mia gente la chiama Sangue di Drago. So che è molto rara", concluse preoccupato.

Silanna si concesse un sorriso.

"Ad Arthalion, forse. Qui siamo tra le foreste di Laurëlindon, capitano".

Si levò in piedi e frugò dentro il borsello che portava legato alla cinta.

"È solo il tempo quello che ci pressa. Restate qui e non lasciatelo un solo istante. Dategli dell'acqua e, se dovesse nuovamente provare dolore, fategli bere due gocce di questa pozione".

Gli tese una piccola ampolla che Mellodîn prese con cura tra le mani.

"Non più di due gocce, capitano", precisò l'incantatrice con severità. "E non appena i vostri uomini avranno finito di montare le tende, sistematelo in un luogo più confortevole".

Si aggiustò il mantello e fece per andare. Sentì una mano che la tratteneva e si girò sorpresa. La presa di Mellodîn era rovente sul suo polso e il suo sguardo carico di una indicibile angoscia.

"Silanna...".

Non gli permise nemmeno di finire. Dalle sue dita, lungo il suo braccio, percepì violento il bisogno che il capitano aveva di potersi fidare di lei. Annuì come chi ha compreso e gli sorrise.

"Non abbiate timore, sarò di ritorno al più presto... Mellodîn".

Pronunciò il suo nome come se gli avesse impartito una benedizione, quindi si voltò e corse svelta attraverso la foresta.

Nonostante tutta la sicurezza che aveva ostentato di fronte al capitano, il suo cuore era pieno di paura.

Sfrecciava attraverso il bosco, e tuttavia il suo andare le appariva lento se paragonato all'urgenza della propria missione. Non voleva nemmeno pensare a quello che sarebbe accaduto se avesse fallito.

Cominciava a comprendere meglio il triste stupore del capitano e la sua inquietudine: Galanár non poteva morire. Ancor più, non poteva perire trafitto da una freccia scagliata a tradimento. Lui, così giovane e glorioso agli occhi di tutti coloro che lo seguivano in battaglia, non poteva trovare la fine in quella maniera. Sarebbe parso a tutti inaccettabile.

Cosa ne sarebbe stato, poi, di quell'immenso esercito, se lui fosse morto? E di tutta quell'immensa impresa? E del regno?

Certo, Arthalion aveva ancora i suoi principi. Silanna aveva sentito raccontare la strana leggenda che circolava sulla nascita di due gemelli, figli della principessa esiliata, ma non ne ricordava il contenuto con esattezza. Le parve di rammentare qualcosa di infausto a quel proposito, qualcosa che la fece rabbrividire. Cercò di scacciare quell'idea, così come scacciò i suoi cupi pensieri sulla sorte di Galanár, portatori di sventura anche solo a figurarseli nella mente. Perché nessun principe sarebbe stato come lui, nessuno al pari di lui.

Una lacrima le rigò il viso a tradimento: e cosa ne sarebbe stato di lei, se lui fosse morto?

Silanna non riusciva nemmeno a immaginarlo. Era un destino amaro, quello cui stava tentando di sfuggire con tutte le sue forze. Un destino contro il quale stava lavorando con dedizione giorno dopo giorno al solo scopo di cancellarlo. E ce l'aveva quasi fatta, perché Galanár aveva finalmente rivolto il suo sguardo su di lei. No, non poteva certo morire. Non lo avrebbe permesso, non lo avrebbe permesso mai!

Con enorme sollievo e con un grido di gioia interiore, Silanna accolse la vista di un cespuglio che sembrava macchiato di piccole gocce di sangue rilucente. Sorridendo soddisfatta, estrasse il sottile falcetto che portava affibbiato alla cinta e cominciò a tagliare i rami.

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