01. CALCULUS IN TABULA
Nei suoi ventotto anni di vita, Galanár aveva avuto centinaia di occasioni per ascoltare leggende su se stesso. Fin da quando ne aveva memoria, gli aedi avevano cantato per lui la storia del Figlio dell'Idra, il principe Mezzelfo nato dal discusso matrimonio tra Maldor, il re di Arthalion, e Laurëloth, la principessa elfica di Laurëlindon.
Si diceva che, nella notte in cui l'erede era venuto al mondo, strani segni erano apparsi nel cielo. Fiamme cremisi e viola avevano solcato la limpidezza del manto stellato, e tutti i bardi di Laurëlindon avevano fatto il medesimo sogno.
Molti dei portenti narrati nelle ballate erano, in effetti, poco più che favole, alle quali non aveva mai creduto, ma c'era almeno un dettaglio di cui il principe aveva assoluta certezza: pochi giorni prima della sua nascita la regina aveva chiamato presso di sé i più potenti incantatori elfici.
Gli Alti Maestri avevano cantato notte e giorno le loro litanie, tessendo magie sulla partoriente e invocando i poteri segreti di Amilendor, affinché al nascituro fosse concesso ogni possibile dono derivabile dalle due razze. Così era nato il primogenito di Arthalion: elegante e slanciato come un elfo ma con la muscolatura tenace degli uomini, dai lineamenti delicati ma senza le lunghe orecchie a punta della stirpe silvana. Possedeva l'intelligenza acuta degli uni e l'abilità manuale degli altri, la sapienza arcana e la morale umana. Era in perfetto equilibrio tra i due mondi, capace di comprenderne e superarne i confini.
Gli era stato imposto il nome di Galanár, Fuoco splendente, e alla luce di quella fiamma, ad appena ventidue anni, aveva guidato per la prima volta un esercito, con la fiera consapevolezza che non esistessero limiti o pericoli abbastanza grandi da fermare il suo sogno.
D'altra parte, il re era cresciuto in un mondo in pace. Prosperando nella frangia più a ovest di Amilendor, per secoli i sei territori degli Uomini si erano governati autonomamente e avevano condotto la propria storia indifferenti al destino delle altre razze. Un felice equilibrio durato fino all'inizio delle scorribande dei Troll che popolavano l'Ambit, la larga e inospitale catena montuosa che divideva i territori degli Uomini da quelli degli Elfi.
Calemar era stata la prima a essere attaccata. Di fronte alle rigogliose foreste tagliate per ricavarne legna e nuovi insediamenti, ai villaggi saccheggiati e alla selvaggina decimata, il signore di quelle terre comprese ben presto di non possedere le forze necessarie per respingere le incursioni.
La contea di Turfalas, con le sue spiagge di sabbia rossa, era popolato da gente semplice e dedita alla pesca. Non possedeva il contingente adatto per fornire supporto e, se il nemico si fosse spostato a sud, sarebbe stato il nuovo obiettivo delle tribù. I territori dell'Ovest, Amfalas, Medthalion e Aermegil, erano stati da sempre votati alla difesa e al pattugliamento dei mari. Proteggevano già le coste dalle incursioni e dalle razzie dei pirati che giungevano dalle Terre Remote. Nessuno di loro era in grado di soccorrere Calemar.
Arthalion, invece, occupava il cuore di quelle terre. Distesa all'interno di una vasta pianura e protetta da ogni insidia, era un regno ricco e prospero. Il giovane Maldor aveva quindi risposto senza esitazione alla richiesta di aiuto. Aveva accolto nelle fila del suo esercito chiunque desiderasse combattere per la causa degli Uomini e aveva respinto i Troll sulle montagne dell'Ambit.
Alla fine della guerra tutti avevano accettato di buon grado di firmare l'accordo da lui proposto. Quell'Atto sanciva la nascita della Lega degli Uomini e vincolava i territori all'alleanza e al sostegno reciproco sotto l'egida di Arthalion. Il comando e la corona vennero concordemente offerti al condottiero e, in cambio, egli mantenne in carica i vecchi governanti, investendoli del titolo di Arconti.
Quando, però, a distanza di anni da quella prima campagna, i Troll avevano ricominciato a minacciare i confini, Maldor aveva affidato a Galanár il comando senza troppi rimpianti. Era più che mai certo di quale innato istinto della battaglia possedesse il suo primogenito e, pur giovanissimo, gli lasciò la libertà di gestire gli affari di guerra secondo il suo estro.
Il principe aveva organizzato in fretta il nuovo l'esercito, richiamando al suo fianco l'amico d'infanzia e compagno d'armi Mellodîn. Per due lunghi anni, il giovane comandante condusse i suoi uomini all'assalto con piglio spregiudicato e audace, introducendo nuove armi e nuove strategie nel vecchio esercito del padre. Costringendo il nemico all'ennesima ritirata, il comandante concluse con successo quella che gli storici di corte avrebbero archiviato come Seconda Campagna contro i Troll.
A quella vittoria erano seguiti quattro anni di pace, durante i quali Mellodîn aveva ottenuto l'incarico di addestrare i migliori giovani alle armi. A ventotto anni non ancora compiuti, il capitano vedeva soltanto un immenso futuro di fronte a sé. Lui e il principe si trovavano in quella stagione perfetta della vita di un uomo in cui lo scorrere del tempo sembrava indifferente. Protetti dalla loro reciproca amicizia, si sentivano invincibili. Galanár inseguiva i suoi sogni e Mellodîn non poteva che essere abbagliato dalla sua luce.
Era proprio un'oziosa mattina del tutto simile a quelle che l'avevano preceduta, quando il capitano fu mandato a chiamare con la massima urgenza. Era trascorso così tanto tempo dall'ultima volta in cui era accaduto, che il suo cuore non poté evitare di avere uno spiacevole sussulto.
"Mi duole averti messo in allarme", si scusò il principe appena lo sentì entrare nella sala centrale della reggia.
Mellodîn si arrestò sotto l'arco di ingresso nel vedere la scena che gli si presentò dinanzi: Galanár era ritto sul grande tavolo di legno usato per i banchetti e, da quella curiosa posizione, osservava delle carte geografiche disposte ordinatamente ai suoi piedi. Con uno stiletto sottile tracciava croci su vari punti. Sembrava preda di un'inquietudine che celava una strana forma di eccitazione più che di preoccupazione.
Galanár sembrava perennemente ossessionato dalla propria battaglia. Perfino nella quiete del suo palazzo, pur vestito di sete decorate, aveva l'aria di dover scendere in campo da un momento all'altro. Anche quella mattina aveva i lunghi capelli argentei stretti con un nastro e portava la cintura scesa sui fianchi come se dovesse sostenere il peso della spada, secondo il suo bizzarro costume. Il capitano aveva smesso di badare a quella stranezza ormai da tempo, ma quel giorno trasalì di fronte all'unico dettaglio che differiva dalla consuetudine: Ariendil, la lama che aveva sempre accompagnato il generale in guerra, era affibbiata e penzolava al suo fianco.
Del tutto incurante di fronte a quella reazione, Galanár scese dal tavolo con un balzo e lo raggiunse.
"Ho bisogno del tuo aiuto: è giunta l'ora di andare nuovamente in battaglia!", esclamò esultante.
Mellodîn lo studiò con sospetto, cercando di inquadrare quell'informazione.
"Una battaglia? Perché? E con chi?"
"Andiamo a dare una mano ai cugini Elfi contro i Nani".
NOTA DELL'AUTORE
Il titolo è l'inizio del verso Calculus in tabula mobile ducit opus, dal Satyricon di Petronio: La pedina sulla scacchiera fa il suo lavoro (compie la sua opera) muovendosi.
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