Cenerentola si veste solo in nero

Il ballo in maschera al castello era un avvenimento eccezionale poiché si svolgeva ogni trenta anni.

I proprietari e il loro illustri ospiti arrivavano in carrozze luccicanti, bordate d'oro e d'argento, velluti rossi e stemmi cangianti, trainate da destrieri neri come la notte con pennacchi blu cobalto sulla testa e le criniere intrecciate con piume di pavone. Attraversavano la strada principale della cittadina, che per l'occasione veniva abbellita con fiori e frutti multicolori, con le coperte e i tappeti migliori appesi ai davanzali delle finestre, o alle ringhiere dei balconcini. Lo sfarzoso corteo sfilava tra gli sguardi curiosi degli abitanti accompagnato dalle urla dai bambini eccitati alla vista di cotale splendore, ma mai alcuno si affacciava al finestrino delle vetture per ricambiare il saluto.

Nessuno aveva mai veduto i signori della magione, né prima, né dopo la festa, ma solo in occasione di questa.

Chi aveva avuto la fortuna di partecipare al ricevimento ne narrava i fasti. Cibi succulenti; bevande esotiche; musiche celestiali. Saloni immensi, dagli alti soffitti da cui calavano, fluttuando come forniti di vita propria, enormi lampadari in ottone lucido, ognuno ardente di cento candele che non si consumavano mai, che non emettevano fumo, ma profumo di erba fresca appena tagliata.

I prescelti tra il popolo avevano un unico obbligo per partecipare alla festa: indossare una maschera per tutta la serata. Arrivare con il volto celato e con il volto celato andar via.

I signori non erano abituati ad avere tra loro, come loro pari, umili plebei. La vista dei volti cotti dal sole cocente ed essiccati dal freddo intenso; delle rughe che precocemente andavano a solcare i visi; dei sorrisi meravigliati e delle espressioni estasiate, ma mai invidiose, potevano turbare gli animi delicati delle dame o il senso estetico degli amabili cavalieri.

Si narra che anni or sono una fanciulla per il gran caldo tolse la maschera.

Si racconta che era di nobile aspetto e che con le gote illuminate dal sole nascente e i capelli rubati al grano maturo, avesse attratto lo sguardo dell'allora signore del castello.

Sì dice che questi ne volesse fare la sua sposa.

Si favella di una damigella custode di antichi poteri, amante del nobile, che gelosa della ragazza, avesse gettato su questa un'oscura maledizione.

Ali di corvo
non più oro per capelli
Pallore di Luna
non più Sole sulla guance
Coda di scorpione
a fare da strascico

La fanciulla da fulmine colpita
si contorse in tremenda agonia
La veste d'oro sulla schiena si squarciò
una mostruosa coda ne spuntò
Corvi gracchiarono
le ali per capelli le regalarono
Il sangue le sue guance rifuggì
pallore mortale le ricoprì

Il principe inorridito
da lei fuggì
"Guardie a me!"
Ordinò
La strega nelle segrete
imprigionò
La fanciulla
in gabbia
relegò

La leggenda dice che da allora chiunque si tolga la maschera in presenza dei nobili del luogo, venga preso in consegna dalle guardie reali e in pasto alla ragazza gettato.

***
«Madre! Guardate! Un invito!»

Avevo sentito un leggero bussare alla porta di casa, ma quando ero giunta ad aprirla, nessuno era presente all'uscio. Solo una busta, di un delicato azzurro pallido su un cuscino di broccato, era in attesa. Avevo raccolto l'invito guardando a destra e a sinistra lungo la strada, avevo anche fatto qualche passo curiosa oltre la soglia, ma non avevo visto alcuno, se non un corvo che guardò verso di me con occhi dorati prima di spiccare il volo e sparire inghiottito da una nuvola grigia.

Già so cosa mia madre mi dirà, e tutto a causa della legenda di famiglia.

La mia bisbisnonna raccontava di quando era bambina e la sorella aveva partecipato alla festa, ma non ne aveva fatto più ritorno. Si pensa sia fuggita con un nobile. Oltre lei altri ragazzi e ragazze erano svaniti nel nulla durante altre feste organizzate al castello.

Il Consiglio degli anziani decise che solo a donne e uomini di una certa età da allora in poi sarebbe stato concesso di andare al ballo.

I nobili offesi avevano deciso che le porte della magione si sarebbero riaperte per il popolo, non più ogni cinque anni, ma solo ogni trenta.

Guardo il ritratto della mia bisbisprozia e mi sembra di specchiarmi, stesso naso un po' all'insù, stessi occhi grandi e dorati, stessi boccoli ribelli, i suoi biondi come un raggio di sole, i miei color del miele d'acacia.

«Caterina, conosci le leggi, tu non andrai al ballo, sarò io ad andare al posto tuo. E chissà la sorte potrebbe esserci favorevole, potrei incontrare un nobile vedovo ancora piacente e convolare a nuove nozze. Non ti piacerebbe andare via da questo buco di città?»

Mi viene da sbattere la testa al muro. Mia madre è una sognatrice nata, certo, sarei felice per lei se incontrasse di nuovo qualcuno da amare, ma lei non vuole qualcuno da amare, ma solo qualcuno da sfruttare.

A malincuore acconsento, ma la curiosità mi divora e una voce dentro me mi esorta a non arrendermi, non so perché, ma so che io devo andare a quella festa.

Mentre guardavo il corvo ho infilato la mano nella busta dell'invito senza neanche accorgermene e al suo interno c'era ripiegata una maschera in seta rossa con ricami in oro, senza rifletterci su l'ho messa nella tasca dell'ampia gonna.

Ed ora, dopo che mia madre è uscita, salutandomi con un bacio sulla fronte, per recarsi al castello, me ne sono ricordata.

Salgo le scale in fretta ed entro nella stanza della mia defunta nonna, lei conservava tutti gli abiti di quando era ragazza, ed eccolo un magnifico vestito da sera in seta celeste. Lo indosso, raccolgo i capelli con due pettinini in madreperla e indosso la maschera.

Arrivo al castello appena in tempo, prima che le porte si chiudano dietro all'ultimo ospite.

La magnificenza dello scalone in marmo, la sala immensa illuminata dai lampadari che riflettendosi negli specchi si moltiplicano, moltiplicando la luce, l'orchestra che suona e gli abiti degli invitati rende il tutto uno scenario da fiaba.

Vengo coinvolta nel vortice della danza, non ho bevuto ma mi sembra di essere ubriaca, la testa mi vortica, il riso esplode sulle mie labbra senza un perché e l'euforia si è impadronita del mio animo.

Mi fermo un attimo ed esco sul balcone per prendere aria quando una figura attira il mio sguardo, una donna con la chioma nera come una notte senza luna, la pelle pallida come la neve d'inverno e lo strascico, del vestito in velluto nero, che ondeggia sinuoso ad ogni suo passo.

Mi guarda in viso, ha una maschera ornata di piume di corvo, mi saluta inchinando il capo prima di sparire dietro una colonna.

È più forte di me: devo seguirla, devo sapere chi sia.

Riesco a scorgere lo strascico che si muove a destra e a sinistra con il suo terminale a punta.

Per non perderla di vista inizio a correre. La stoffa del vestito inizia a pesare come un fardello dal peso superiore alle mie forze, lascio cadere lungo le scale la sopragonna; i guanti pizzicano, mi procurano orticaria e me ne libero; lo scialle è un sudario, lo lascio cadere su una sedia lungo un corridoio; quando arrivo alla porta della stanza in cui è sparita la donna l'affanno non mi lascia respirare e la maschera mi toglie l'aria, una mano corre al petto a sedare il cuore che batte impazzito e l'altra a slacciare la maschera che è diventata strumento di tortura.

Mi accosto allo spiraglio della porta socchiusa. Mia madre è in quella stanza, ride e scherza con un essere mostruoso vestito come un re, ha la pelle attaccata allo scheletro, pochi radi, lunghi capelli, unghie come artigli, sembra che non se ne accorga, ride e scherza con questi come se la stesse corteggiando un principe azzurro.

«Madre adorata, volevo presentarle la mia futura moglie.» Il mostro si rivolge alla donna che solo ora mi accorgo è in un angolo della stanza seduta su un trono. Il lungo strascico non è uno strascico, ma una coda di scorpione con il pungiglione alla sua fine. Mi copro la bocca con entrambe le mani per non urlare, ma quando la coda si muove di scatto e infilza mia madre sollevandola da terra e inondando il pavimento di sangue, un grido mi sfugge dalle labbra. Resto pietrificata quando i due mostri si girano verso di me.

«Figliolo, la tua sposa è finalmente giunta.»
Sibila la donna scorpione.

L'orrido mostro mi guarda aprendo l'orrida bocca in una parvenza di sorriso.

Io indietreggio inorridita e inizio la mia folle corsa verso l'uscita. Esseri mostruosi escono da ogni dove cercando di afferrarmi, schivo tentacoli, zampe, ali e mani scheletriche. Raggiungo lo scalone e correndo lungo questo perdo una scarpetta, tolgo l'altra per essere più veloce e fuggo, fuggo via più velocemente che posso.

È notte, la stanza è illuminata da fievoli candele, la camicia da notte in tessuto pregiato impalpabile ricopre il mio corpo nudo. Fremo al pensiero di ciò che sta per accadere, questa è la mia prima notte di nozze.

Cenerentola non può sfuggire al suo destino. Una volta tolta la maschera vedrà il principe per ciò che è, e il principe azzurro la ritroverà sempre ogni qualvolta perderà la scarpetta.

***
TenebrisIT

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