La cella di Dora

Dora misurava il perimetro della sua gabbia: dodici mattonelle in orizzontale, ventiquattro mattonelle in verticale, per un totale di duecento ottantotto mattonelle, dopo aver lavorato fin dall'età di undici anni, cioè per due lustri esatti ecco che si ritrovava proprietaria di duecentoottantotto mattonelle di seconda scelta tutte bigie come il suo camicione ma cosa ci faceva la in quell'incessante andirivieni? Che senso aveva tutto ciò? Si disse disperata che lei era la titolare, che quello era il suo negozio e che tante persone avrebbero dato la mano destra per avere un salone di quel livello, sbuffo irritata, sposto il peso da una gamba all'altra e con la coda dell'occhio, nello specchio vide il profilo del marito Saro, ormai solo così riusciva a guardarlo, di lato, di soppiatto, di sfuggita, perché il suo sguardo rimbalzava stizzito dalle camicie vistose di lui, camicie a fiori.
Pure lo specchio finì con l'appannarsi e Saro fu nascosto dall'addensarsi del vapore, poi tra le gocce condensate si ricompose l'altro viso quello di Cece con i suoi capelli lunghi, quelle ridicole ciocche stoppose, decolorate dall'acqua ossigenata, platinate dall'ammoniaca: quante volte Dora lo aveva guardato con pena.
"Povero ragazzo" -mormorava, ragazzo diceva - non frocio ne ricchione come il quartiere tutto la apostrofava, a lei faceva pena quel poveraccio con quei pantaloni attillati, col sedere mille che andava balzelloni, e quei suoi gridolini acuti, che facevano il verso alle commediole all'italiana, scollacciate film etti che andavano tanto di moda in quei tristi anni 70, con Renzo Montagnani che recitava la nuova sguaiataggine.
Intanto la radio tra una canzonetta e l'altra elencava i cadaveri di Brescia, i cadaveri dell'italicus, i cadaveri di Monaco così gracchiava l'onnipotente stazione radio.
Cece abbasso gli occhi, Dora fece altrettanto cosa poteva fare dal momento che il ricchione il frocio era diventato l'amante di sul marito e assieme a lui ora con una forma fasulla, ora con un'ipoteca le avevano soffiato il negozio e lei non era più titolare di niente ma era diventata una semplice shampista vittima degli sfottò dei due che la umiliavano senza pietà:
"Dora? Devi usare le forbici no il rastrello per tagliare i capelli, Dora? Hai mai sentito parlare del taglio scalato? E lei tratteneva sospiri e singhiozzi sotto le mammelle troppo pesanti, evitava di guardare sul padre che sempre più spesso le sibilava:
Ma chi hai sposato? Chi ?
Dimenticava lui di averla mortificata per anni dicendole:
"Dora, le tue cugine si sposano, Dora ,tra poco pure le tue nipoti andranno a nozze, Dora ho puoi mangiare di meno? Sembri un elefante e i giorni si sfilacciavano lacerati da notti infinite , Sarò tornava a casa all'alba e profumava di gelsomino, di cannella, di violette appassite a volte le dava una pacca sul sedere, rideva di gusto Sarò dicendole:
-eppure non ti facevo così scema.
E allora? bisognava addobbare la prigione, nelle notti perdute Dora fissava il faro, il famoso faro che si illuminava solo in agosto, e durante quei giorni estivi lei lo guardava come se fosse un totem e guardandolo sognava la dieta miracolosa che la avrebbe fatta diventare snella e flessuosa perciò avrebbe avuto addosso gli sguardi degli uomini, tutti quegli sguardi dritti e sfrontati Oppure obliqui , le occhiate date di soppiatto, sarebbe stata sotto il fuoco di tutte quelle attente pupille che a volte sembrano indifferenti ma invece sanno dove indirizzare gli strali, sanno dove guardare, sotto a cosa guardare, o se lo sanno!
Oppure, alla luce del faro d'agosto tornava a rileggere l'inserzione di un giornale: cercavano una parrucchiera la in Dalmazia, dove era poi la Dalmazia? In alcune cartoline si vedevano i profili di invincibili scogliere e il mare era di un verde uncrespato quasi vizo come i limoni dimenticati sul lavello in cucina comunque in quella sperduta regionale cercavano una parrucchiera, la cercavano senz altro, tassativamente è, bastava solo rispondere e partire subito su un treno, un treno che puzzava di sigarette scadenti, tante sigarette che avevano bruciacchiato i sedili e in quel tanfo lei si sarebbe aggrappata ai sogni mentre era immersa nel sonno e il sonno avrebbe spezzettato la veglia e intanto il rullio delle rotaie avrebbe martellato le sue orecchie e il suo ervello, la dove si annidano rimorsi e rimpianti

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