Come cambiò la mia vita quando conobbi un delfino con una macchia bianca
"Vivo in un faro. Ho sempre vissuto in un faro. Vivrò tutta la mia vita in un faro. Cosa cazzo dovrei mettere in un testamento?"
Scrissi queste parole a quattordici anni. Ripiegai il foglio su se stesso e ne bloccai l'apice con la cera di una candela sciolta. Infilai la lettera nella scatola dove tenevo tutti i miei piccoli tesori, mi slacciai il laccio con la chiave che tenevo al collo e chiusi il lucchetto. Ero stanca della mia vita. Di già.
I miei "piccoli tesori" non erano altro che una pietra che forse (forse), se posizionata perfettamente a due metri dalla finestra, il 22 giugno, se c'era il sole, alle 12.02 in punto, forse, ma proprio forse, avrebbe avuto qualche riflesso azzurrino. In poche parole, era un sasso. Nero.
Il mio secondo "tesoro" era una collanina. Senza ciondolo, era una catenella di acciaio. L'avevo trovata sulla spiaggia. l'unica variazione di colore era qualche filamento d'alga che era rimasto impigliato alle maglie di metallo.
L'ultimo oggetto era una scarpa. Era uno scarponcino marrone scuro, con i lacci sfilacciati, la suola scollata per metà e la pelle della punta rovinata. Anche quella, trovata sulla spiaggia.
Aggiunsi il mio testamento a quel gruppo di oggetti inutili. Tanto, mi dissi, era inutile anche quello. Inutile...ma a quanto equivaleva il mio quoziente intellettivo a quattordici anni?!
Ero veramente una stupida ragazzina. Nient'altro che quello. Sì, sì, certo, avevo i miei buoni motivi, avendo vissuto la mia intera vita su una spiaggetta in mezzo al mare. Dovevo ringraziare che quel mare era pescoso e che nella foresta, dove con mia madre avevo sistemato delle trappole, ci fossero animali che si riproducevano in abbondanza, e bacche rosse e succose. Come ero finita su quella spiaggetta sperduta? Vi darò una risposta molto sincera. Non. Lo. So.
Mia madre è sempre stata molto vaga sull'argomento. Ha sempre detto che ci sono nata, ma non mi ha mai parlato di un'altra persona. Quella stramaledetta persona che ha certamente contribuito a "crearmi", e che poi se ne è andata mollandomi su quell'isoletta sperduta in mezzo al mare. Mia madre parlava veramente poco. E non sorrideva mai. Tutto ciò che sapevo sul mondo, sul mondo vero aldilà di quel faro, lo avevo imparato dall'enorme libreria che si trovava al piano più alto di quella costruzione dai colori di un salvagente. Odiavo leggere, eppure era l'unica attività utile e parzialmente divertente che rompeva la straziante monotonia di ogni monotona ora della mia monotona vita. Tra le cose avevo imparato un fatto esilarante: risalendo alle antiche origini dei cetacei, si giungeva ad animali parenti degli ippopotami.
Vivere in un faro. Wow. Bella storia. Molta gente lo sognerebbe come prospettiva di futuro. Un consiglio per tutte queste ingenue persone: non sognate.
Questo è quello che pensavo a quattordici anni. Ora cambierei il mio consiglio in: non sognate un futuro o, peggio, un'intera vita vissuta in un faro, perché (in questo caso devo trovarmi d'accordo con la mia versione quattordicenne), le isole sperdute in mezzo al mare fanno schifo. Seriamente.
Significano vivere una vita solitaria, con quell'unica persona che vive con te di cui poi ti stufi. Significa una vita passata a leggere e raccogliere "forsassi" (una geniale accoppiata delle parole "forse" e "sassi", ingegnata dalla sottoscritta all'età di dieci anni). Significa una vita a mangiare bacche, una vita a intrecciare strane liane, una vita a pescare e vedere morire sotto i tuoi occhi quello che sarà la tua cena. Significa niente amici, niente coetanei, nessuna persona antipatica su cui scaricare colpe e rabbia, nessun regalo di Natale, nessun vestito normale, niente strumenti musicali, o telefoni, o matite colorate, o qualsiasi cosa che potrebbe voler dire "normalità".
Niente orologi. Il tempo passava senza che io lo degnassi di un pensiero. Ho perso così tutta la mia infanzia.
Ma un giorno, Quel Giorno, poco dopo aver chiuso la lettera del mio precoce testamento, e essere scesa in spiaggia a cercare scarponcini per ottenere un paio di scarpe, Quel Giorno la mia vita cambiò. E fu grazie a una macchia bianca.
Sulla spiaggia dell'isoletta sono sempre venuti dei delfini, normali tursiopi rumorosi a circa dieci metri dalla riva. Non mi piacevano i delfini. Questo era quello che pensavo di loro...
Odiavo quel ghigno perennemente stampato in faccia, che sembra che stiano sorridendo e invece è la loro bocca che è semplicemente fatta così. Con tutti quei fischi e quei ticchettii che mi rendevano difficile il sonno, quelle pinne tutte diverse che mai avevo imparato a riconoscere. Quell'atteggiamento che hanno, che si sentono belli e sinuosi e amati, si sentono la creatura più bella dell'universo. Creano questo complesso d'inferiorità e tu sei dalla parte perdente, ti fanno sembrare di essergli amico e invece ti sottomettono alla loro bellezza, tu lo sai ma non te ne accorgi. Ti fanno pensare di piacergli, che ti capiscono, che sono intelligenti, quando invece non è così. Sì, sono belli, sono intelligenti, sono tutto quello che pensano di essere, quello che sanno di essere, ma sono anche estremamente vanitosi. La vanità è il loro difetto più grande, perché tutti li amano, tutti li elogiano, fanno loro credere di essere questo grande mito che sono, ma che non dovrebbero essere.
...Quindi sì, talvolta sguazzavo a qualche metro da loro, ma non avevo mai avuto grandi contatti. La famiglia di delfini che veniva spessissimo sulla spiaggia era molto socievole, non aveva per niente paura. Ma quello stesso giorno, il giorno che a soli quattordici anni scrissi il mio testamento, un nuovo delfino entrò a far parte del branco.
Quel giorno scesi alla spiaggia. Quando fui abbastanza vicino cominciai a sentire i soliti gorgheggi del gruppo di tursiopi grigi. Involontariamente, col tempo avevo cominciato a capire il loro stato d'animo e quel giorno sembravano... diversi. Preoccupati.
Erano disposti quasi a cerchio intorno a qualcosa che non potevo vedere. Combattei con la curiosità finché non mi decisi a raggiungerli. Mi immersi e diedi qualche bracciata. Erano a forse una cinquantina di metri dalla riva. Quando arrivai circa a cinque metri si accorsero di me e cominciarono a girare nervosamente in cerchio, velocemente, intorno alla cosa che stavano, ormai lo avevo capito, proteggendo. Quelli che non nuotavano in circolo spiccavano qualche salto poco alto e poco elegante, muovendo la coda nel verso sbagliato, o lanciavano fischi acuti. Mi allontanai di qualche metro e si calmarono un po'. Un delfino leggermente più giovane degli altri si spostò e mi permise di vedere cosa stava succedendo: un delfino aveva appena partorito, e il piccolo si trovava proprio lì con lei. E aveva una grande macchia bianca intorno all'occhio destro. Lanciava piccoli fischi, come dei pigolii. Il delfino che si era spostato si accorse dell'errore e tornò al suo posto, coprendomi la visuale.
Tornai a riva, con una strana sensazione.
Il giorno dopo una forza particolare mi spinse a ritornare alla spiaggia già di mattina presto. Il branco di delfini era sempre lì. Nuotai con foga fino a raggiungerlo e mi guardai intorno per cercare il nuovo arrivato. Quel giorno i delfini erano più tranquilli e mi fecero nuotare in mezzo a loro come se niente fosse. Mi allontanai di qualche metro, dirigendomi a largo. Scorsi una piccola pinna, distanziata dal gruppo. Uno sbuffetto uscì da sotto l'acqua, poi il cucciolo di delfino fece capolino tra le ondine che aveva creato spostandosi. Lo raggiunsi, forse troppo velocemente. Si spaventò e nuotò verso il largo.
Il giorno dopo ritentai, il delfino con la macchia bianca era molto più diffidente degli altri, ma alla fine si sciolse, abituato alle mie visite.
E io avevo sempre quella strana sensazione. Mi sentivo come...realizzata.
Giorno dopo giorno il mio legame con quel piccolo si strinse sempre di più. Mi cambiò la vita.
Un mese dopo riaprii il testamento, cambiandolo:
"Vivo in un faro, ho sempre vissuto in un faro, vivrò tutta la mia vita in un faro. Non ho molto da lasciare in eredità. Ma, non so neanche a chi, lascio l'amore di quel delfino"
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