18 - L'arte della persuasione

Quando arrivo, la sede della Proloco è ancora chiusa e la piazzetta su cui si affaccia è deserta.

Ammazzo il tempo camminando un po' sulle punte e un po' sui talloni, cercando di poggiandoli perfettamente al centro dei sampietrini. Il silenzio intorno a me è disturbato soltanto dal brusìo elettrico di un lampione che si spegne e si accende. Parto per andare a tirargli un calcio, ma quando sono a un passo dal palo sento il rombo di un motore. Desisto, mentre aspetto di scoprire chi sbucherà dal vicolo a senso unico che sfocia qui davanti. Purtroppo è la Renault Scenìc di Aladino. Si ferma entro le strisce di un parcheggio e noto subito il paraurti nuovo di zecca.

Scende e mi viene incontro in un modo che sembra stia per affrontarmi in duello.

«E così fai sul serio» dice non appena è abbastanza vicino da farmi sentire il suo fiato avvelenato dalla rabbia e, forse, anche da una peperonata piena d'aglio.

«Buonasera» rispondo con un che di frizzante nella voce.

Lui muove la bocca in un ghigno, tanto che sembra un ventriloquo quando mi dice: «Peccato, non puoi partecipare all'incontro».

«E perché?»

«Perché non sei un socio.»

Dalle labbra mi scappa uno sbuffo che sfocia in una risata. Sapevo che ci avrebbe provato. Prendo il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo apro, senza sganciarlo dalla catenella con cui lo tengo assicurato a un passante. Tiro fuori una tessera associativa fresca fresca e gliela metto davanti al muso, godendomi la sua reazione: occhi che si riducono a fessure, sottili come lame, e uno spasmo muscolare che gli fa contrarre il volto.

«Ma c'è la data di oggi! Chi te l'ha fatta?»

Sto per rispondere, quando una breve coda di auto si riversa nella piazzetta.

Con l'indice, le punto una ad una fino a fermarmi sulla quarta, la Panda di Pollice.

Aspetto che parcheggi e, non appena scende, dico: «Lui».

Aladino scuote la testa e apre il portone della sede mentre, intorno a noi, si spande il vociare allegro dei primi arrivati. Spero davvero che stasera ci sia il pienone perché ho bisogno di convincere un sacco di persone per averla vinta. Aladino non sarà mai dalla mia parte, ma se lo saranno in tanti dovrà capitolare per forza.

Pollice mi stringe una spalla con affetto, come se fosse davvero molto contento che io sia qui, che stia uscendo dal mio guscio. Entriamo e prendiamo posto su delle vecchie sedie di plastica. Lui non ha idea dello spettacolo che ho preparato e mi dispiace di non averlo messo al corrente, ma la verità non posso dirla neanche a lui, stavolta, e mentirgli a quattr'occhi sarebbe stato troppo infame.

La saletta inizia a riempirsi.

Giulia, dove diavolo sei? A ogni voce femminile sussulto e poi rimango deluso, fino a che non sento la sua risata cristallina. Eccola lì, in fondo alla sala. C'è una sedia vuota accanto a me e le faccio un cenno per farglielo capire. Lei però non capisce, o forse finge, di non capire, e si siede con Erika all'ultima fila. Aladino si precipita ad adularla: dal labiale e dal fatto che le sfiora una ciocca, comprendo che le stia facendo i complimenti per i suoi capelli, sciolti e setosi. Poi le fa un buffo a una guancia.

Poco prima che io frigga, la molla e raggiunge il punto verso cui sono rivolte tutte le sedie.

Accende un microfono abbandonato su un tavolo e parla: «Buonasera a tutti.» 

Tutti in coro, come a una riunione degli alcolisti anonimi: «Buonasera!» 

A occhio e croce siamo una cinquantina di persone, infinitamente meno di quante ce n'erano alla serata mangereccia, però è comunque un buon numero.

«Come sapete, la festa del vino novello è alle porte ed è ora che iniziamo a parlare di come vogliamo che si svolga e di tutto ciò che compete l'organizzazione di un evento di tale portata».

Si siede sul tavolo, accavalla le gambe e inserisce una mano sotto un'ascella come se cercasse di difendersi o se volesse fare una pernacchia.

«Abbiamo molto su cui lavorare, soprattutto perché le previsioni sull'affluenza di pubblico sono  incoraggianti. Ho delle idee grandiose sugli ospiti da invitare quest'anno.»

Non posso permettergli di andare avanti rischiando che bruci ciò che ho da proporre, così alzo la mano.

«Di solito si aspetta che uno finisca il suo discorso, prima di intervenire» mi fa.

«Lo so, ma devo dire una cosa molto importante, e tu lo sai, riguardo quello che è successo a casa di Peppe.» 

Alzo la voce di un tono sull'inciso 'e tu lo sai' per far sì che si senta implicato e, soprattutto, che gli altri lo ritengano tale. Anche se in realtà lui non c'entra un bel niente, è solo caduto nella mia trappola.

Subito si leva un mormorio, ho catalizzato l'attenzione.

Aladino si guarda intorno, spaesato, e quando la gente inizia a chiedere spiegazioni, è costretto a darmi la parola.

«Alzati, e vieni a riferire» mi dice.

Il brusio diventa sempre più forte.

Pollice mi guarda come se gli avessero detto che ho avuto una storia con Belen Rodrigez, o che ho quattro testicoli, oppure che gli ho nascosto il barattolo della Nutella.

«Scusa, non ho avuto tempo di spiegarti» gli dico mentre faccio leva sulle gambe, che adesso un po' mi tremano, per alzarmi e andare a piazzarmi di fronte a tutta questa gente.

Anche se Aladino mi ha concesso di parlare, il microfono se lo tiene stretto, come se pure il suo inconscio si rifiutasse di darmelo. Glielo strappo dalle mani, ma poi mi intimidisco nel vedere le facce dei presenti che sembra stiano aspettando l'esibizione del caso umano ad una corrida paesana. Esito, ma alla fine penso che in fondo non ho nulla da perdere e allora, che cazzo, mi butto.

«Salve a tutti» dico.

Di rimando sento solo il ciao familiare di Pollice, perché tutti gli altri tacciono.

«So che vi sembrerà strano vedermi qui e ancor più strano vi sembrerà che, appena arrivato tra voi, io voglia già dire la mia. Ma c'è una ragione più che valida per questo. Sapete, oggi, come Aladino già sa...»

Al 'come Aladino già sa' tutti lo guardano come se lo sospettassero di chissà quale tradimento. I più cominciano a borbottare, così lui si mette sulla difensiva: «È una cosa successa poco fa!»

Mi piace vederlo in difficoltà.

«Come Aladino già sa,» ribadisco «ho capito che abbiamo la possibilità di fare un gesto grandioso per una persona cara a tutti noi, per l'uomo che di Villagaia è simbolo, riferimento e pilastro.»

Tra il pubblico, vedo menti che si sollevano e schiene che si protendono in avanti. Segno di interesse.

«Naturalmente parlo del povero zi' Peppe. Ebbene, questo pomeriggio sono andato a fargli visita e ho fatto una scoperta strepitosa! Avete presente il nipote di cui parla sempre?»

Annuiscono in massa.

«Be' esiste davvero! Cioé, non è proprio un nipote a dire il vero, è un cugino di secondo grado, ma è l'ultimo dei legami familiari che ha ancora al mondo. E sia io, sia Aladino abbiamo capito che, pur avendolo forse idealizzato, Peppe ha davvero bisogno di credere in lui e nella possibilità di rivederlo.»

«Io, però...» fa Aladino.

«Aspetta,» lo interrompo «sto per finire.»

Torno a rivolgermi alla platea: «La cosa più sensazionale è che questo parente è un noto cantante.»

Sui volti dei più, spuntano ampi sorrisi, mentre Aladino si limita ad aggrottare la fronte.

«Vive in America, ma si dà il caso che in questo periodo sia a Londra per una mostra pittorica, visto che è un artista a tutto tondo. In questi mesi inoltre, è impegnato in un tour che prevede diverse tappe europee. Sapete cosa significa? Che se lo invitassimo a suonare alla festa del vino, per lui potrebbe essere un impegno fattibile, mentre per noi i costi sarebbero accessibili. Cosa vuol dire tutto questo? Be', ve lo dico io: vuol dire che abbiamo la possibilità di avere una star internazionale sul nostro palco, ma soprattutto di esaudire il più grande desiderio di zi' Peppe: quello di incontrare colui che ha cercato per tanto tempo. E tutto in un colpo solo!»

«E chi sarebbe questo cantante?» domanda uno.

Qui mi concentro, perché è un momento catartico: devo ricorrere a un'arte sopraffina di persuasione, perché devo riuscire a farlo sembrare molto, ma molto, molto, importante.

Faccio un sorriso larghissimo.

«Tenetevi forte, eh! Qui si sta parlando niente di meno che del grandissimo, celeberrimo, portentoso, Adam Green!» urlo e spalanco le braccia.

In risposta, si diffonde un brusio a basse frequenze.

Pericolo.

Prime frasi che riesco a comprendere:

«E chi diavolo è?»

«Boh, non l'ho mai sentito.»

«Nemmeno io, manco per niente.»

Anche Pollice purtroppo rimane perplesso, lo vedo dagli occhi a palla.

«Da queste parti non è conosciutissimo in effetti, a questo mi riferivo quando ho parlato di rischio» dico veloce, riducendo a zero le pause tra frasi in modo che nessuno possa interrompermi e insinuare dubbi pericolosi prima che riesca aggiungere gli elementi che potrebbero convincerli. «Ma nel mondo è molto famoso. È una star internazionale, è uno che piace ai giovani, agli anziani e pure ai bambini, per via del suo stile brioso, a tratti romantico, a tratti allegro, per la sua personalità carismatica e per la sua simpatia!»

«Ah sì? E quanto ci costerebbe questo personaggio così famoso?» spara uno.

«In base alle mie stime, il costo per averlo qui rientra perfettamente nel nostro budget, tranquilli.»

«Allora non è poi così famoso» fa un altro.

«Be', è chiaro che non stiamo parlando della fama di Elton John, di Bruce Springsteen o Stevie Wonder» dico e mi viene il magone nel rendermi conto, sulla base delle espressioni facciali, che ad alcuni dei presenti sono sconosciuti anche questi nomi.

«Però vi garantisco che è vero: Adam Green è un artista di indubbia fama!»

Prendo il cellulare e vado su YouTube. Senza esitazione, seleziono la canzone che mi sembra più appropriata per il target con cui ho a che fare: Emily!

https://youtu.be/GnSvrnoKiYA

La faccio partire e mi avvicino al pubblico. Alzo il volume al massimo e inizio a girare per la saletta in modo che tutti possano ascoltare. Non mi è chiaro se stiano apprezzando o meno il brano, hanno l'espressione di chi assaggia per la prima volta una pietanza nuova e cerca di capire di cosa sa. 

Mi trattengo un po' di più quando arrivo da Giulia che ha un luccichio eloquente negli occhi. Volta la testa verso Erika, seduta accanto a lei, ed entrambe annuiscono, sorridendo.

Quando il brano termina, la prima reazione in sala è un lungo silenzio: la fase di metabolizzazione. Mi sento delle goccioline di sudore che colano lungo la schiena. Mi contorco per grattarmi il prurito che provocano, mentre la mia sofferenza fisica si somma a un senso opprimente di ansia per la possibilità concreta che questa gente mi si lanci addosso per condurmi alla forca.

Ma invece ecco che sento un timido clap. Poi ne arriva un altro e poi ancora, fino a che scoppia tutto! Applausi, urla estatiche, occhi felici. Approvazione!

«Fermi, fermi, aspettate!» dice un signore coi baffi, smontandomi come albumi poco sbattuti. «Sarà anche bravo, però non lo conosce nessuno. E chi ci verrebbe a sentirlo? No, no, è un rischio troppo grande.»

«Eh, già, ha ragione» dice un altro.

Lo scetticismo si propaga come un virus e all'improvviso mi ritrovo tutti contro. È il momento di giocarmi il jolly!

«Aspettate un momento, devo ancora spiegarvi come funziona il rapporto di parentela tra Adam e Peppe, e non solo, c'è dell'altro. Qualcosa di grosso, credetemi!»

Adocchio un tabellone con dei grossi fogli di fianco al tavolo su cui è seduto Aladino.

Ci vado vicino e inizio a scrivere i nomi chiave con un pennarello che trovo appeso a uno spago: Adam, Rachel, Heinz, Peppe e, soprattutto, Felice Bauer!

Indico prima di tutto il nome 'Heinz'.

«Quest'uomo, Heinz Moritz, è il nonno di Adam Green e, udite udite, è niente meno che il cugino di Rachel, la defunta moglie di zi' Peppe» spiego.

Poi traccio una freccia che va da Heinz a Felice Bauer.

«Qualcuno di voi ha già sentito questo nome, Felice Bauer?» domando.

Manco a dirlo, nella sala cala il silenzio.

«Nessun problema, ve lo spiego io: Felice Bauer è la mamma di Heinz ma, soprattutto, è stata fidanzata con Franz Kafka, lui lo conoscete, no? Peppe non fa altro che decantarlo.»

«Oooh» fanno in coro.

«Capito adesso, perché Peppe era in fissa con Kafka? Chissà quanto ne avrà sentito parlare da Rachel e magari dallo stesso Heinz. Oh, a Heinz era molto legato, lo dimostra la corrispondenza che conserva in casa sua e che anche Aladino ha visto.»

Aladino abbassa la testa come se, evitando gli sguardi altrui, potesse nascondersi al mondo.

«E infine, non so se l'avete capito, ma Adam Green, il noto cantante, è pronipote di Felice Bauer!» urlo, orgoglioso dell'unica cosa sicuramente vera di tutta questa storia, oltre al fatto che Felice sia stata fidanzata con Kafka e abbia avuto, non con lui, un figlio di nome Heinz. Wikipedia docet.

«Cioè, Felice Bauer! Vi rendete conto? Capite le implicazioni di questa cosa? Qui abbiamo l'occasione di organizzare un evento grandioso: possiamo unire tradizione, spettacolo e cultura. No, dico, cultura!»

Punto l'indice verso l'alto.

«Se facciamo della pubblicità alla radio, se coi manifesti ci allontaniamo dai nostri consueti confini, possiamo davvero spaccare. E non dimentichiamoci la gioia che daremmo a zi' Peppe!» esulto e mi premo i pugni chiusi contro le guance, come una ragazzina di un manga.

Cerco di decifrare le espressioni dei presenti, chissà se li ho convinti.

«Ok, ok, adesso però vorrei dire qualcosa anch'io» interviene Aladino, per la prima volta da quando ho preso parola. «Perché è vero che è una grande occasione, ma dobbiamo valutarla bene, senza lasciarci trascinare dall'entusiasmo.»

«Facciamolo!» dice uno.

«Sì, dai, facciamolo!» dice un altro.

Così come lo scetticismo di poco fa, anche l'ottimismo si propaga per contagio e il timido tentativo di Aladino cade nel vuoto, sconfitto da un'inattesa euforia generale: urla, applausi, cori da stadio!

Tanto che ne rimango addirittura spiazzato.

Dulcis in fundo, mentre mi lascio inebriare dal successo, come un sole all'orizzonte vedo il dolce volto Giulia.

I suoi occhi mi sorridono, confermando la sua approvazione.

È fatta, I win.

Per ora.

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