13 - Patate e figuracce


La vecchia palestra comunale è uno stabile pieno di crepe che viene impiegato principalmente per allenamenti e partite di pallavolo. Ma noi non siamo qui per un evento sportivo. Invoco per l'ennesima volta la pietà di Pollice, ma lui è implacabile, un Caron dimonio che mi traghetta senza pietà verso l'inferno.

Le luci sono accecanti dentro l'edificio, trasformato per l'occasione in una specie di taverna. Davanti agli occhi, mi trovo una lunghissima serpentina di tavoli apparecchiati con stoviglie di plastica.

Su dei banchi, accostati a una parete, ci sono enormi vassoi che emanano profumo di cucina casereccia, nonostante siano ben coperti con la carta stagnola. Su un ripiano a parte invece  troneggiano acqua, cola, birre e fiaschi di vino.

In molti hanno già preso posto a tavola, altri conversano in piedi sorseggiando qualcosa dentro bicchieri di plastica. Ogni singola persona che incrociamo, entro questo campo di pallavolo da cui è stata smontata la rete, è una faccia conosciuta e mi tocca scambiare con tutti qualche parola di cortesia mentre avanziamo senza una direzione precisa.

Seguendo Pollice, giro in tondo, come una nave che non sa dove attraccare. Io però voglio solo poggiare il culo da qualche parte e mangiare qualcosa.

Mi decido a dirglielo, che sono già stufo, quando sentiamo urlare il suo nome. Guardiamo nella direzione da cui proviene la voce e vediamo Aladino. Solleva un braccio per farsi meglio identificare e indica i posti a sedere alla sua sinistra. Spero che sia solo una buffa coincidenza, che non sia stato davvero lui a chiamare Pollice e che, con quel braccio agitato a mo' di bandierina di segnalazione, si stia rivolgendo qualcun altro. Giro la testa indietro, con nel cuore la speranza di trovare qualche persona che risponda ai suoi cenni. Ma tutti quelli che si trovano alle mie spalle guardano altrove e così decade ogni residuo di dubbio sul fatto che Aladino ce l'abbia davvero con noi due.

Siccome stento a credere che la mia compagnia gli sia gradita, mi metto sul chi va là.

Intuisco che anche Pollice non prevede nulla di buono, perché prova a darmi una scelta rivolgendomi uno sguardo interrogativo. Per un attimo prendo in considerazione la via di fuga che mi viene tacitamente offerta, ma poi rifletto: sul serio ho paura di affrontare uno scoglio così  piccolo? Che mi sta succedendo?

No, non esiste proprio! Qui si decide la mia reputazione e allora mi faccio coraggio e mi impongo di prendere in mano la faccenda. Parto deciso verso la tavola, la mia arena questa sera. Sono  pronto a mangiare polvere, ma deciso a farne mangiare un po' anche ad Aladino. Non appena arrivo però, lascio tra me e lui lo spazio per una persona, in modo che sia Pollice a sederglisi immediatamente accanto su questa panca di legno che subito mi dimostra ostilità anche lei: non appena ci monto sopra, alla cavallina, e faccio per scavalcare con l'altra gamba, mi schiaccio i testicoli.

Fai finta di niente, fai finta di niente.

«E bravo Pollice, ce l'hai fatta a tirare fuori dal guscio il nostro Giacomo» esordisce Aladino. Si sporge in avanti, per riavere la visuale su di me, dopo che Pollice si è seduto tra noi occultandomi.

Mi passo una mano sopra la bocca e mi pinzo il labbro superiore con le dita mentre mi chiedo perché, tra tanti spermatozoi, abbia vinto proprio lui.

«È stato bravo davvero per convincermi,» dico, « mi è presa la fissa dell'arte digitale e sto tutte le sere a lavorare al computer, però sono contento che ci sia riuscito.»

«Ah, sì? E come mai sei contento che sia riuscito a convincerti?» domanda Aladino, mentre poggia il gomito sul tavolo e schiaccia il mento contro il pugno chiuso.

Lo stronzo mi ha fatto una domanda difficile, soprattutto perché non è affatto vero che sono contento: ho detto una cazzata. Afferro una brocca d'acqua e me ne verso un po' in un bicchiere di plastica. Lo faccio molto lentamente, in modo da guadagnare preziosi secondi per inventarmi qualcosa di verosimile. Prendo un piccolo sorso, deglutisco con calma, tracanno il resto e rimetto giù il bicchiere.

«Be', perché sto uscendo poco ultimamente. Mi sono perso un sacco di occasioni per stare un po' con voi.» 

Faccio un gesto ampio col braccio per riferirmi a tutta la gente sparpagliata nella palestra. 

«Sono curioso di sapere che è successo da queste parti fintanto che non ci sono stato. Ci credi che non ho avuto modo di fare una chiacchierata come si deve con nessuno, a parte Pollice, da quando sono tornato?»

Aladino aggrotta le sopracciglia e fa un ghigno di scherno, come se avesse capito benissimo il bluff e allora dico qualcosa di più credibile: «E poi non vedevo l'ora di riassaggiare qualche prodotto tipico delle nostre parti».

Indico il tavolo con le cibarie.

«Sai cosa mi è dispiaciuto più di tutto perdermi?» domando e poi resto in silenzio.

Non dirò nulla fino a che non mi chiederà: 'Cosa?'.

Anche Aladino fa il sostenuto e lascia passare un discreto lasso di tempo prima di rassegnarsi a chiedere: «Che cosa?»

Scuoto la testa per simulare un grande rammarico e faccio un sospiro.

«La sagra della patata!» sparo alla fine. «Le patate al forno, lo sformato di patate e gli gnocchi che fanno le donne di Villagaia sono da ristorante a cinque stelle, altro che sagra. Ma avevo davvero troppo lavoro nel periodo in cui si è svolta. Tra quello diurno da imbianchino e quello digitale di notte ero oberato, sul serio.»

«Ah, davvero?» fa Aladino e scatta in piedi con un braccio alzato, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Spingo lo sguardo avanti per capire con chi ce l'abbia e mi prende un colpo quando vedo che si rimane a tema con l'argomento che ho appena tirato in ballo: parlavo di patate ed ecco che sono arrivate Giulia ed Erika. Mentre rifletto sulla strana coincidenza, le ragazze sono già qui e prendono posto di fronte a noi.

Giulia getta la borsa sotto alla panca e si porta i capelli dietro le orecchie lasciando solo una frangia bionda a velarle il viso. In quel preciso istante mi rendo conto che ha totalmente catalizzato l'attenzione di Aladino, che la guarda come se fosse una dea. E un po' dea lo è davvero, fasciata in un body scollato, scuro, che aderisce al suo corpo valorizzando una bellezza carnosa e piena. Modelle pelle e ossa, levatevi proprio. Un velo di matita verdone le incornicia gli occhi e io non faccio altro che implorare, nei miei pensieri, che mi si posino addosso. 

Ma lei, prima ancora di accorgersi di me, si accorge della signora che sta distribuendo dei panieri lungo la tavolata. Afferra una fetta dorata e se la mette nel piatto.

«Sei affamata?» le domanda Aladino.

«Sì, oggi non ho pranzato, hai fatto male a invitarci a sedere con voi, non vi lascerò nulla da mangiare» risponde e ammicca.

Si fionda sugli affettati prima che il tagliere raggiunga il tavolo. Aladino sorride, dico: sorride! Nei suoi occhi scorgo una scintilla di dolcezza che mi sconvolge e irrita allo stesso tempo. Le passa un'oliera d'acciaio.

«Devi assolutamente provarlo sul pane, questo, è olio d'oliva nuovo. Ha un sapore speciale.»

Mi sento messo fuori gioco, all'angolo, e me ne sto impotente a guardare questi due, intenti in uno scambio culinario dai toni sensuali.

«Come mai non hai pranzato?» domanda lui, mentre afferra una saliera. Si sporge avanti, al di sopra del tavolo, e le fa cascare una pioggia fine di cristalli sulla fetta che lei ha unto con abbondanza.

«Colpa del capo che ha voluto fare una riunione del personale alla fine del primo turno» dice Giulia e addenta il pane.

Fa un'espressione di goduria mentre mastica, poi conferma:

«Hai ragione, è divino.»

Ho la nausea e mi sento come se tanti tarli mi stessero rosicchiando dentro. Rabbia, invidia, frustrazione.

«Non mangi?» mi domanda Pollice e indica il mio piatto.

Scopro che sopra ci sono pane, salumi e formaggio, ma non sono stato io a metterceli. Di sicuro è stato lui, e io non me ne sono nemmeno accorto. 

«Ti conviene fare in fretta, prima che Giulia ti rubi tutto» mi schernisce Erika.

E grazie alla sua osservazione, alleluja, Giulia si accorge di me. Scoppia in una risata che sembra un cinguettio e lo so che è veramente poca cosa l'attenzione che mi ha rivolto, ma io mi sento emozionato come un bambino.

«L'importante è che non mi tocchi il salamino» me ne esco. 

Solo in un secondo momento, quando intorno mi esplodono le risa, mi accorgo del doppio senso. Aladino è l'unico che non sembra divertito e decide subito di ripristinare i ruoli, lui il maschio alfa e io la nullità.

Lo fa scuotendo la testa in segno di disapprovazione e trovando un modo carino per sminuirmi:

«Perdonatelo,» dice «forse non sa che l'umorismo inglese qui non attacca. Questa battuta era proprio fuori luogo.»

Se prima la cosa era parsa divertente e nessuno si era turbato per la mia defiance, ora tutti tacciono imbarazzati. Uscirne bene è difficile e allora dico solo la verità:

«Secondo me è la tua immaginazione ad essere fuori luogo. Io non avevo nessuna intenzione di fare ironia, volevo solo difendere il mio salame» dico.

Visto che torno a sentire dei risolini mi spiego ancora meglio: «Questo salame qui!»

Prendo una delle fette nel mio piatto e me la infilo in bocca. Esagero il moto di masticazione e sfido Aladino guardandolo dritto negli occhi.

Lui scaccia qualcosa con la mano e smette semplicemente di calcolarmi, come se fosse sufficiente a farmi sparire per davvero.

Si mette nel piatto del prosciutto e lo taglia con forchetta e coltello. Sempre con l'aiuto delle posate, ne ripiega con cura un pezzetto e si porta alla bocca il piccolo boccone che ne ha fatto. Mi domando se tutta questa classe gli appartenga o se sia solo un modo per rimarcare la differenza tra lui e me, che ho preso il salame con le mani e me lo sono mangiato senza levargli nemmeno la pellicola intorno.

Torna a rivolgersi a Giulia: «Come mai il capo ha voluto una riunione?»

Lei si pulisce le mani unte col tovagliolo.

«Niente di che, vuole che ci assumiamo maggiori responsabilità, che siamo più concentrate, sai, le solite cose.»

«Be', mi pare che siate tutte molto professionali daTatishine» dice Aladino, rivelandomi senza rendersene conto il posto in cui lavora Giulia, un grosso negozio d'abbigliamento in un centro commerciale a venti minuti da Villagaia.

«Mah, non saprei, facciamo ciò per cui siamo pagate. Ma lui adesso si è messo in testa di promuovere una di noi a store manager e nessuna se la vuole pigliare questa rogna» ride e guarda il suo bicchiere vuoto.

Aladino coglie al volo questo micro segnale e si fionda su una brocca di vino rosso. Le versa da bere e chiede anche a Erika se gradisce. Figurarsi, a Erika farebbe prima a sostituirle il bicchiere con la brocca. Brindano tutti e tre insieme, mentre io e Pollice ce ne stiamo lì come due reietti, tanto che mi sento in colpa perché inizio a credere che il fatto di accompagnarsi a me nuoccia alle sue relazioni.

I taglieri si vuotano in fretta e delle signore li sostituiscono con sperlunghe di pasta al ragù. Poi arrivano le salsicce al forno con patate, il tutto innaffiato da litri e litri di vino. L'unico con cui scambio qualche parola, durante questo assalto culinario, è Pollice e mi sento molto a disagio, anche se cerco di non darlo a vedere. Così, quando a tavola vengono portati i dolci, sono contento, perché significa che siamo agli sgoccioli. Mi gusto un cannolo alla crema, deliziosa consolazione per questa serata di merda. Dai che è finita!

Ma ecco che Aladino si alza in piedi, va verso il fondo della palestra e accende un microfono. Gli dà dei colpetti con un dito per assicurarsi che funzioni e si accinge a parlare.

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