Capitolo 8

Conan's POV

Mi svegliai a causa di un verso che sembrava un urlo strozzato, ma pensai di essermelo immaginato. Cercai in tutti i modi di riprendere sonno, ma dopo un paio di minuti ci rinunciai aprendo gli occhi.

Non l'avessi mai fatto.

Davanti a me c'era Ai.

Che si stava mettendo un maglione.

Forse era una reazione esagerata, ma avvampai e chiusi gli occhi di scatto cercando di sembrare addormentato.

Nella mia mente continuavo ad urlare:

"Porco cacchio! Porco cacchio! Porco fottutissimo cacchio!"

Sentii il suo sguardo addosso ma comunque continuai a far finta di dormire. Sentivo colare del sangue dal naso: la mia solita reazione davanti a situazioni del genere. Sperai che Ai non ci avesse fatto caso.

Appena la porta si chiuse, rilasciai un sospiro di sollievo. Guardai l'ora sul cellulare e notai che erano circa le otto. Decisi di stare ancora una mezz'oretta in camera prima di scendere, per non destare sospetti.

"Sembro un assassino che cerca di non farsi scoprire" pensai ridacchiando e rilassandomi un po.

Mi concessi qualche secondo per osservare la stanza di Ai, dato che fino a quel momento non lo avevo fatto: davanti alla parete opposta a quella dove si trovava la porta, c'era il letto matrimoniale in stile moderno in cui mi trovavo. A destra c'era un comò bianco con uno specchio che copriva gran parte della parete. A sinistra invece si trovava il suo armadio. Era di legno scuro e neanche troppo grande per essere l'armadio di una ragazza. Di fianco all'armadio, inoltre, c'era uno specchio da terra.

Le pareti erano tutte dipinte di bianco, un classico secondo me. Notai che in quella stanza non c'era nemmeno una foto o comunque un quadro, cosa che mi stranì quanto il fatto che non avesse nemmeno un peluche o una bambola. Era molto spoglia, non aveva quasi nessun effetto personale.

In compenso aveva una libreria che strabordava di libri, ma non mi soffermai a osservarli per svelarne il genere: ero certo che erano i soliti romanzi rosa pieni di diabete gratuito.

Dal soffitto pendeva un semplice lampadario bianco, nulla di speciale.

Non era molto allegra e colorata come stanza, ma tutto sommato mi piaceva.

Controllai se c'erano chiamate perse o messaggi, ma nulla. Giocai un po col telefono e passata circa mezz'ora mi alzai dal letto stiracchiandomi e avviandomi alla porta. Prima però controllai allo specchio se ero ancora rosso in viso per l'imbarazzo provato. Fortunatamente la mia pelle aveva ripreso il suo colorito naturale.

Presi un profondo respiro e aprii la porta. Scesi le scale e trovai Ai intenta a preparare la colazione, con un sorriso malevolo che sinceramente mi spaventava.

Non sembrava essersi resa conto della mia presenza, quindi mi presi un attimo per studiarla. Indossava un semplice paio di leggins e un maglione gigante. Vestita in quel modo sembrava dolce e indifesa. Però io che conoscevo, anche se da poco, il suo carattere... mi si accapponò la pelle al solo pensiero.

Ritornai in me e mi resi conto che non avevo ancora sceso tutte le scale, quindi mi dipinsi un sorriso in faccia e, vedendo che si era accorta di me, la salutai. Sembrava delusa da non so cosa, ma riassumendo il suo menefreghismo, mi rispose in modo brusco.

A quel punto mi sorse uno spaventoso dubbio.

"Non è che si trova in quel periodo del mese?" raggelai all'istante davanti a quella possibilità.

Quando espressi il mio pensiero ad alta voce, lei scoppiò a ridere, sconvolgendomi. Mi sarei aspettato qualunque cosa tranne che una risata. Di solito se chiedi una cosa del genere ad una ragazza, quella si arrabbia e ti risponde in malo modo. E per una volta che Ai non lo faceva, in un contesto in cui avrebbe avuto il motivo di farlo, e non senza una ragione come suo solito, lei non lo fece.

Però, comunque, anche se al momento mi dava fastidio perchè non ne capivo il motivo, la sua risata era davvero rilassante. L'avevo sentita si e no un paio di volte: non l'avevo mai vista esprimere i suoi sentimenti in pubblico, o semplicemente aprirsi con qualcuno, a parte con me la notte precedente, e mi dispiaceva.

La cosa che mi spavento di più, oltre ai pensieri che la mia mente aveva appena formulato sulla sua risata, furono le sue seguenti parole:

-No, tranquillo. Quando ho "le mie cose", come dici tu, sono molto peggio, fidati...-

Credo che in quel momento avessi assunto un'espressione terribilmente divertente, dato che lei iniziò a ridere ancora più forte. Poi arrivò il dottor Agasa che, con espressione ancora assonnata, ci chiese con una nota preoccupata nella voce:

-Tutto bene?-

Io e Ai ci guardammo confusi e rispondemmo contemporeanamente:

-Certo, perché?-

-Ho sentito un rumore forte e mi sono svegliato subito. Cos'era?-

Ci chiese ancora più perplesso.

Intervenni io, pronto a dare una risposta che sicuramente avrebbe innervosito Mrs. Sbadiglio:

-Tranquillo, dottor Agasa. Era solo la qui presente sbadigliona dallo sguardo truce che rideva come se non ci fosse un domani-

La mia risposta non sembrò infastidirla più di tanto, e la cosa mi frustrava: pensavo che il soprannome che le avevo affibbiato l'avrebbe fatta arrabbiare.

Il dottor Agasa si congedò poi andando nuovamente a dormire.

Dopo un paio di secondi Ai si girò verso di me e, incrociando le braccia al petto, mi chiese:

-Allora... vuoi startene lì imbambolato o vuoi fare colazione?-

-Vado a vestirmi, prima che la furia di Satana si scateni su di me già di prima mattina- le risposi io alzando le braccia al cielo e continuando a volerla far innervosire.

Anche questo tentativo, però, fu inutile. Volevo stupidamente sfidare la morte? Probabile.

Andai in camera sua per recuperare i miei vestiti e cambiarmi. Dopo aver acquisito un aspetto per lo meno decente, escludendo i capelli sparati in tutte le direzioni possibili ed immaginabili, scesi le scale per fare colazione.

Ai era concentrata sul telegiornale pallida in volto, cosa che mi stranì leggermente. Mi concentrai sul tavolo e notai che c'era solo un piatto: quello che supponevo fosse il mio. Prima di chiederle spiegazioni, però, volevo capire con cosa avrei dovuto sfamarmi quella mattina. Alla vista dei pancake alla nutella, mi si illuminarono gli occhi, e mi appuntai di chiederle se avesse una scorta di nutella in casa.

Comunque, decisi di domandarle il perchè di un solo piatto sul tavolo. Quello che pensavo fosse del dottor Agasa, a quanto ne sapevo lo aveva messo nel microonde, quindi il suo dov'era? Feci per aprire bocca e parlare, però pensai che quella poteva essere la volta buona che le facevo perdere la pazienza, quindi tentando di nascondere un sorrisino, le chiesi:

-Tu non mangi?-

-No- mi rispose schietta.

-Perchè?- le domandai quindi.

-Perchè no- continuò con ancora il suo sguardo attaccato alla TV.

Mi sembrò che avesse un tono irritato, e repressi un sorriso all'idea di star riuscendo nel mio intento.

All'improvviso mi balenò un'idea in testa:

"E se la facessi ingozzare di pancakes? Sono buoni, questo è poco ma sicuro, però dopo l'undicesimo iniziano a pesare..." pensai.

Ma se le avessi semplicemente chiesto di mangiare una quantità spropositata di pancake, mi avrebbe mandato a quel paese con calcio in culo. Quindi, a mali estremi, estremi rimedi.

-Se ti pago?-

Si girò immediatamente nella mia direzione.

"Bene, ha abboccato"

Mi lanciò un sorriso di sfida e assottigliò gli occhi, arrivando dritta al punto senza inutili giri di parole.

-Quanto?-

Assottigliai gli occhi a mia volta e le risposi sfoggiando il suo stesso sorriso:

-Cinque dollari-

-Dieci- replicò lei.

-Cinque-

-Dieci-

-Cinque-

-Dieci-

-Cinque-

-Cinque-

-Dieci-

-Cinque-

-Dieci-

-Cinque-

-Dieci. O così o niente- conclusi io.

-Va bene, come vuoi tu- acconsentì lei.

Solo in quel momento mi accorsi che mi aveva fregato guadagnando cinque dollari in più.

Sbuffai frustrato e con voce roca, sfoggiando il mio infallibile sguardo da cucciolo bastonato, tentando di addolcirla, mi lamentai:

-Non vale-

Ma lei, sempre con la risposta pronta, mi rispose:

-Non fare storie e sgancia i soldi, detective dei miei stivali-

Sbuffai nuovamente infastidito dalla inefficacia del mio viso dolcioso, ma comunque, seppur riluttante, estrassi il portafogli dalla tasca posteriore dei miei jeans, e le porsi i dieci dollari.

Comunque non ero ancora completamente demoralizzato: anche se avevo perso cinque dollari in più del previsto, sapevo come vendicarmi.

Lei dovette accorgersi che mi comportavo stranamente, perche mi chiese:

-Dove sta la fregatura?-

A quel punto le sorrisi malevolmente e le risposi:

-Decido io quanti pancake dovrai mangiare-

Mi accorsi che stava aprendo bocca per parlare, quasi sicuramente per ribattere, quindi io mi affrettai ad aggiungere:

-Ah, e non puoi controbattere nè tirarti indietro-

Ora quello che aveva in mano la situazione ero io, e la cosa mi piaceva.

Però poi la sentii mormorare con un tono di voce preoccupato:

-Porca merda, sono fottuta. Gli ho fregato dieci dollari, me la farà pagare...-

Non credevo che la prendesse così male, infatti ero alquanto stranito dalla sua reazione a mio parere esagerata, ma dopotutto aveva ragione: gliela avrei fatta pagare cara.

Ero piuttosto sicuro che non sapesse che l'avevo sentita, quindi evitai di commentare.

Quando poi vide la porzione che avevo scelto da farle mangiare, spalancò gli occhi e sbiancò, sussurrando con voce quasi terrorizzata:

-Ora si che sono fottuta...-

Non capivo tutta quella sua preoccupazione e paura, visto che le avevo messo solo dieci pancake per pietà nei suoi confronti, ma anche questa volta, non dissi nulla.

Titubante si sedette al suo posto e cominciò a mangiare, quindi seguii il suo esempio.

Stemmo in silenzio fino a quando Ai, che non aveva neppure finito il suo primo pancake, con voce tremante, mi chiese:

-Shinichi?-

Alzai lo sguardo dal mio piatto e incontrai il suo. Il suo viso era pallido come quello di un fantasma, ma non credevo che riguardasse, almeno non del tutto, la questione dei pancake.

Le feci un cenno con la testa per invitarla a continuare, e lei, seppur con voce tremendamente insicura, lo fece.

-Verso che ora ti sei svegliato?-

La fissai stranito. Non capivo il senso di quella domanda, infatti risposi senza pensarci:

-Verso le otto-

-Porca merda... e se...- mormorò con un tono quasi impercettibile.

Ma poi continuo con voce leggermente più alta:

-E quando ti sei svegliato...-

-Si...?- la incitai, non riuscendo a capire.

-Ero in camera?- finì con voce flebile, abbassando lo sguardo.

In quel preciso istante capii dove voleva andare a parare, e nello stesso momento avvampai.

Non ricevendo risposta, dopo alcuni secondi rialzò lo sguardo, e guardando il rossore della mia faccia esclamò terrorizzata:

-Porca fottutissima merda!-

Decisi di spostare la conversazione sulle sue imprecazioni, sia per cambiare argomento che per lasciare il tempo al mio viso di tornare al suo colore naturale.

-Ma tu bestemmi così spesso? Sarà la quinta volta in un quarto d'ora!-

-Prima mi hai sentita?- si irrigidì.

-Si. Allora? Perché imprechi così spesso?-

Sbuffò scocciata.

-Ma che razza di domanda è?! Cosa dovrei dire?! "Acciderbolina"?! "Perdindirindina"?! O forse "miseriaccia"?!- iniziò guardandomi torva -comunque mi viene automatico quando sono preoccupata, emozionata o... impaurita- continuò abbassando lo sguardo.

-Quindi, in pratica, imprechi continuamente!- conclusi.

Mi congelò sul posto con un'occhiataccia paralizzante, poi abbassò nuovamente lo sguardo, giocherellando con la forchetta sul piatto ancora colmo di cibo.

Dopo alcuni secondi lo rialzò e guardandomi negli occhi mi chiese:

-Esattamente... cos'hai visto?-

La mia faccia, che aveva recuperato quasi del tutto il suo colorito naturale, arrossì nuovamente, e questo sembrò preoccuparla ancora di più, quindi per non scombussolarla più del dovuto, mi affrettai a dirle:

-Tranquilla, non ho visto niente: ti stavi aggiustandi il maglione-

Non era del tutto una bugia, ma nemmeno la pura verità visto che quando avevo aperto gli occhi lei se lo stava ancora infilando, il maglione. Non sembrò molto convinta, ma sospirò comunque leggermente sollevata, anche se il suo viso lentamente stava assumendo lo stesso colore del mio: fino ad allora era stata troppo impegnata a imprecare contro il mondo per poter arrossire.

Quando sembrò calmarsi mi azzardai a chiederle:

-Era per questo che prima eri impallidita?-

Come risposta annuì impercettibilmente.

Continuammo a fare colazione in un silenzio quasi imbarazzante, quindi decisi di cercare di cominciare una conversazione che non lo fosse per nessuno dei due.

Infatti chiesi:

-Come hai fatto a fregarmi cinque dollari in più?-

Il mio piano riuscì, visto che sorrise e mi rispose tranquilla.

-E' utile come strategia per vincere- commentai quando ebbe finito di spiegarmela.

-Già. Però sono stata fortunata, ho sopravvalutato la tua astuzia- disse sospirando teatralmente.

Mi portai una mano al petto e, fingendomi arrabbiato, esclamai:

-Mi sento offeso!-

Lei rise nuovamente, e dopo qualche secondo mi ritrovai a ridere anche io, trasportato da quel suono delicato e caldo, che trasmetteva gioia e positività; niente a che vedere con la sua voce, la cui tonalità fredda e distaccata ti dava l'impressione di parlare con una persona di cui non importava nulla di niente e nessuno.

Per distrarmi dai miei pensieri alquanto strani, cercai un nuovo argomento di conversazione. Mi ricordai delle volte che mi aveva chiamato "mini Sherlock Holmes" e stavo per chiederle il motivo di quel soprannome, ma lei mi precedette porgendomi una domanda:

-Perché prima mi hai chiamata "sbadigliona dallo sguardo truce"?-

Aveva assottigliato gli occhi, e in quel momento mi chiesi che cosa mi fosse saltato in testa quando stavo cercando di innervosirla.

-Beh, perché sbadigli praticamente sempre e spesso, molto spesso, lanci degli sguardi che ti trucidano-

-Non è vero!- esclamo lei, ma come se il suo subconscio l'avesse sentita, non riuscì a trattenere uno sbadiglio.

Con sguardo beffardo le chiesi:

-Dicevi?-

In tutta risposta, senza neanche accorgersene, mi trucidò con lo sguardo, e quando se ne rese conto incrociò le braccia e sbuffò alquanto infastidita.

-Touchè...- farfugliò.

Sembrava una bambina che non aveva ottenuto il suo lecca-lecca. A quel punto non potei non commentare:

-Senti, va bene trucidare la gente con lo sguardo, ho capito che ti viene naturale, ed è anche abbastanza inquietante come cosa; ma il continuo sbadigliare? Oggi sono certo che tu abbia dormito abbondantemente, visto che ero lì con te-

Appena terminai l'ultima frase la sua faccia divenne una melanzana. Capii che forse non era stata una buona mossa tirare fuori quell'argomento. Quindi per cercare di rimediare guardai il suo piatto e notai che aveva mangiato solo due pancake su dieci.

Riportai lo sguardo su di lei e vidi che aveva abbassato il capo, con ancora una melanzana cotta al posto della faccia.

La chiamai per attirare la sua attenzione:

-Ai?-

-Che vuoi?- rispose bruscamente alzando il viso e riassumendo quell'aria da "non me ne frega di te neanche se muori".

Mi maledii mentalmente per averle fatto cambiare umore: era così dolce e simpatica quando era a suo agio.

-Hai mangiato solo due pancake-

Inarcò un sopracciglio:

-E quindi?-

-E' quindi se non mangi i restanti otto, mi riprendo i dieci verdoni-

-Rompipalle- sbuffò.

-Sarò pure un rompipalle ma se non vuoi perdere i tuoi dieci dollari, ti conviene mangiare- ribattei.

Dopo questo nessuno dei due parlò più.

O almeno nessuno parlò più finché...

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