Capitolo 42

Ai's POV

Lentamente sollevai le palpebre, ogni singolo muscolo del mio corpo bruciante come se mi fossi appena fatta una nuotata nella lava. Fin da subito notai che mi trovavo in una stanza d'ospedale.

E con me c'era il mini Sherlock.

Era seduto su una sedia a fianco del lettino, e, con le braccia incrociate sul materasso e la testa posata su di esse, sembrava palesemente addormentato.

-Cos'è successo?- mormorai stordita, fissando spaesata le mura bianche e le fasciature al mio braccio sinistro.

Provai a muovermi, ma come risultato ottenni solo una fitta lungo tutto il braccio apparentemente ferito, che mi fece gemere e digrignare i denti.

Iniziai a ricordare l'accaduto, dal rapimento a quando Gin mi aveva conficcato quell'ago nella carne.

-Akemi...- sussurrai sgranando gli occhi.

Subito mi tolsi le lenzuola di dosso, ovviamente usando il braccio sano, e cercai di muovere cautamente le gambe, scendendo dal lettino nonostante il dolore.

Però quelle mie azioni sfortunatamente destarono il piccolo detective, che alzò di scatto il busto e mi guardò con il volto ancora assonnato.

"Ho solo qualche secondo di tempo prima che si renda conto di cosa sta succedendo, ora è stordito" mi dissi mentre cercavo di camminare velocemente verso la porta di quella stanza.

-Ma che cacchio stai facendo?!- urlò infine precipitandosi verso di me, e non feci in tempo nemmeno a toccare la maniglia che mi ritrovai di nuovo sdraiata sul lettino.

-Ma sei cretina?!- gridò infuriato -ti rendi conto che fino a qualche ora fa avevi due proiettili ficcati nella carne?!-

-Ho passato di peggio- borbottai cercando di togliermelo di dosso e scendere dal materasso -lasciami andare-

-Col cacchio che ti lascio andare! Tu resterai qui finché non ti sarai del tutto ripresa!- tuonò determinato a non lasciarmi vincere.

-Ti prego, mini Sherlock- mormorai con gli occhi lucidi -devo trovarla. Devo trovare mia sorella-

-Cosa stai dic...?- sgranò gli occhi, ma non lo lasciai finire.

-E' viva. Akemi è viva-

-Stai scherzando?- esalò in un sospiro shoccato.

-No, e ora fatti da parte- lo spostai, ma mi bloccò di nuovo.

-Ok, d'accordo, ma prima devi spiegarmi cosa è successo- mi ordinò fermamente.

-Ero andata a comprare del latte, a sulla via del ritorno un tizio mi ha rapita e mi ha buttata in un furgone, quindi mi ha sparato un dardo tranquillizzante. Non sono riuscita a vederlo in faccia, portava il passamontagna. Quando mi sono svegliata ha iniziato a blaterare qualcosa riguardo soldi e sequestri di persona, e alla fine ho capito che pensava di aver rapito la figlia di un uomo ricco sfondato. Gli ho spiegato la situazione, ma mi ha sparato due volte, quindi dopo qualche ora si e reso conto che dicevo la verità e mi ha fatta svenire. Per finire qualche minuto fa mi sono risvegliata qui. Tutto qua- scrollai le spalle, cercando di sembrare tranquilla nonostante le stratosferiche cazzate che avevo sparato.

-E' stato Gin, vero?- sospirò serrando gli occhi e passandosi le mani sulla faccia.

-Ti ho detto ch...- iniziai a protestare, ma mi interruppe di scatto.

-E ti ho detto non so quante volte di non mentirmi. Cacchio, non puoi capire quanto voglio ho di ammazzarti, in questo momento. Perché cazzo non mi hai chiamato?!- sbottò infuriato.

-Perché dovevo comprare solo una fottutissima bottiglia di latte! In più erano le sei del mattino, e di certo tu stavi russando beato nel tuo letto!- tuonai con un tono più alto del suo, ma non si arrese.

-E perché cazzo ti sei svegliata alle sei di mattina?!-

-Perché ho avuto un incubo!- ringhiai.

Presi a respirare affannosamente, a corto di fiato nei polmoni, ma dopo qualche minuto mi decisi a darmi una calmata: se avessimo continuato così, la situazione non avrebbe giovato a nessuno.

-Cosa ti ha detto?- sospirò con le mani tra i capelli.

-Cosa?- inarcai un sopracciglio.

-Gin, cosa ti ha detto?- ripeté.

-Le solite stronzate: posso spararti quando voglio, la tua vita è nelle mie mani, potrei ucciderti quando più mi aggrada... cose simili- scrollai semplicemente le spalle.

-Ho sempre più voglia di darti un pugno- borbottò contrariato dalla mia nonchalance -è stato lui a rapirti?-

-No, lo scimmione- scossi la testa.

-Lo scimmione?- ripeté, confuso.

-Si, Vodka- alzai gli occhi al cielo.

-Perche Vodka dovrebbe essere uno scimmione?- ridacchiò divertito.

-Ma hai visto la sua mascella? E il suo corpo? E' più simile ad uno scimmione che ad un essere umano- ribattei con un mezzo sorrisetto.

-Non posso darti torto...- annuì ridendo.

-Ora, se permetti, io ho una sorella da cercare e trovare- posai i piedi a terra.

-Te lo scordi, prima aspetterai i medici che ti faranno gli ultimi controlli- ribatté.

Non cercai neanche di controbattere, sapendo che non sarebbe servito a nulla, quindi tornai a sdraiarmi sul lettino.

-Ora che ci penso... chi mi ha trovata?- mi incuriosii.

-Jodie- sospirò lanciandomi una breve occhiata.

-Merda- imprecai sbattendo la testa contro il muro alle mie spalle.

-Puoi dirlo forte, ha detto di volerti parlare-

-Merda merdosa- continuai, sempre più affranta -mi ammazzerà, me lo sento- borbottai.

-Ritieniti fortunata che non lo abbia già fatto io- ribatté con fare scocciato.

-Tu? Non ti illudere, bello, anche in questo stato posso stenderti senza alcun problema- gli rivolsi un ghigno di sfida.

-Ah si?- disse sarcasticamente.

-Provare per credere- gli feci l'occhiolino, a cui rispose sbuffando e arrossendo leggermente.

-Ci stanno mettendo troppo- cambiò strategicamente argomento, lanciando uno sguardo al suo orologio da polso -sono già le quattro-

-Cavolo, ho dormito per più di sei ore- mi sorpresi.

-In realtà hai dormito per più di un giorno, sbadigliona- mi corresse.

-Mi stai prendendo per il culo- affermai.

-Temo di no- cantilenò.

-Quindi oggi è domenica, e domani dobbiamo andare a scuola- sbuffai contrariata.

-Io devo andare a scuola, tu puoi anche scordartelo- ribatté severo.

"Meglio così, almeno avrò tempo per lavorare all'antidoto e cercare Akemi" dissi tra me e me.

-So cosa stai e pensando, e sappi che nessuno ti lascerà farlo- sembrò leggermi nel pensiero -l'unica cosa che potrai usare sarà un portatile-

-Stai scherzando?- sbottai irritata dal suo comportamento iperprotettivo.

-O questo o niente- scrollò con fare ovvio le spalle.

-Il dottore?- chiesi dopo un po.

-Non abbiamo potuto nascondergli la questione, visto che ti abbiamo ritrovata più di dieci ore dopo che sei uscita di casa. In questo momento dovrebbe essere a casa sua, aspettando di ricevere notizie sul tuo conto- mi informò tranquillo.

-Di male in peggio- sussurrai abbassando le palpebre.

-Vado a chiamare i medici, tu non ti azzardare ad andartene- mi fulminò con lo sguardo.

-Tranquillo, vai pure- sventolai una mano in aria.

Seppur titubante se ne andò e, appena chiuse la porta alle sue spalle, mi misi a lavoro.

Scesi con cautela dal letto e lanciai uno sguardo al di fuori della finestra.

-Siamo troppo in alto, non posso uscire da qua- sussurrai, dirigendomi quindi verso la porta.

Abbassai lentamente la maniglia e spinsi, ma non si aprì, quindi provai a tirare, ma ottenni lo stesso risultato. Quando l'occhio mi cadde sulla serratura, notai che non si trovava nessuna chiave al suo interno.

-Quel piccolo bastardo mi ha chiusa dentro- realizzai, ma non potei comunque trattenere un sorriso.

Mi avvicinai di nuovo al letto e vi salii sopra, quindi aspettai che qualcuno facesse la sua comparsa.

Qualche minuto dopo entrarono in tutta fretta dei medici, subito seguiti dal mini Sherlock, che, davanti al mio sguardo truce, rispose con un occhiolino divertito.

Mi fecero dei controlli, quindi cambiarono le fasciature delle mie ferite e mi consegnarono delle stampelle, seguite da dei vestiti con cui mi sarei potuta cambiare.

Entrai in bagno e me li misi velocemente, quindi seguii il piccolo detective verso la sala d'attesa. A quanto mi aveva detto Jodie era corsa qui appena l'aveva chiamata per dirle che mi ero svegliata.

Camminare con le stampelle era scomodissimo, ed a mio parere anche inutile, dato che non avevo nulla di rotto, ma mi avevano praticamente costretto a portarle. Credo sia inutile dire che appena arrivata a casa le avrei buttate in un angolo remoto dello sgabuzzino.

-Shi... Ai!- esclamò Jodie vedendomi arrivare, correggendosi appena in tempo.

Le rivolsi un cenno del capo inteso come saluto, quindi sia io che il mini Sherlock la seguimmo fino alla sua macchina.

-Shiho, vorrei parlarti di una cosa- esordì quando fummo lontani da orecchie indiscrete.

-Parla, allora- incrociai le braccia al petto, appoggiandomi allo schienale del sedile.

-Voglio proporti una soluzione a questa situazione. E' drastica, ma credo che sia la scelta migliore per te- disse enigmatica.

-Cosa intendi?- aggrottai le sopracciglia.

-Un programma di protezione-

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