Capitolo 10


Ai's POV

Gliel'avevo fatta. Nessuno doveva conoscere la verità sulla mia scorta di nutella. 

Appena il mini Sherlock varcò la soglia di casa Agasa e si richiuse la porta d'ingresso alle spalle, non potei fare a meno di ridere sollevata. Io prima scherzavo dicendo che lo credevo più astuto, però in effetti non avevo avuto tutti i torti. Non potei che essere orgogliosa della mia mente geniale.

Dopo appena un minuto la porta della camera del dottor Agasa si spalancò. Il suo aspetto era pietoso e si vedeva che era ancora molto assonnato. Mi chiesi che ora fosse quindi estrassi il telefono dalla tasca del maglione, restando allibita quando scoprii che erano le dodici e un quarto.

Il dottor Agasa era andato in bagno e appena uscì si diresse in camera sua. Quando uscì dalla sua stanza era come nuovo.

-Buongiorno, Ai- mi saluto sbadigliando.

-Buongiorno, dottore, dormito bene?-

-Si, anche se non abbastanza a lungo- mi rispose tristemente -Tu, piuttosto? Hai delle occhiaie che farebbero paura anche ai panda...- mi guardò attentamente sgranando sempre di più gli occhi -ora che ci penso... Perché tu sei sveglia già a quest'ora?!-

-Non credo si sia dimenticato che oggi Kudo ha dormito da noi, quindi sono stata costretta a svegliarmi prima per preparargli la colazione- spiegai sbadigliando a mia volta.

-Ti sei svegliata presto di sabato?!- urlò indicandomi.

-Si, ma la smetta di gridare!-

-Demone, esci da questo corpo!- gridò ancora facendo il segno della croce con le dita verso la mia direzione, e non badando ai miei rimproveri.

-Molto divertente, dottor Agasa!- risi ironicamente.

"Solo perché nei weekend mi sveglio verso l'una, non vuol dire che dormo tanto. Sono fortunata se riesco a farmi quattro ore di sonno, dati gli incubi che mi svegliano continuamente. Però giustamente il dottore non può saperlo dato che non gliel'ho mai rivelato. Si preoccuperebbe troppo..." 

-Se vuole ci sono un po di pancake alla nutella nel microonde-

-Volentieri!- si illuminò e trotterellò tutto felice verso il microonde, dal quale estrasse il piatto, e si sedette a tavola divorando tutto di gusto.

"Meglio iniziare a preparare la pasta, visto che non so fare altro. In effetti dovrei leggere un po di ricette, non ci tengo a diventare una palla di lardo, anche se mangio poco o niente" pensai mettendo a bollire una pentola d'acqua.

Accesi anche un altro fornello per fare una semplice salsa ai frutti di mare. Aspettando che quest'ultimo si scaldasse e che l'acqua bollisse, mi sedetti sul divano e cercai qualche ricetta su Internet.

"Telefono di merda" imprecai mentalmente mentre si bloccava per l'ennesima volta.

Sospirai rassegnata e lo lasciai sul tavolo.

"Dovrei mettere un po di soldi da parte" pensai, ben sapendo però che anche se li avessi accumulati, li avrei spesi comprando barattoli di nutella a non finire.

Sentendo l'acqua bollire mi avvicinai al piano cottura e versai gli spaghetti, assicurandomi di non dimenticare di aggiungere un po di sale.

Nell'altro fornello ormai scaldato, misi una padella con un filo d'olio in essa. Versai della salsa e i frutti di mare, e di tanto in tanto diedi una veloce mescolata per evitare di mandare a fuoco la cucina. Appena la pasta fu pronta, la scolai e la versai nella padella nella quale la salsa ai frutti di mare era ormai pronta. Mescolai nuovamente per ricoprire tutti gli spaghetti con il mio "capolavoro" e spensi i fornelli che avevo utilizzato.

"E... voilà!" diedi fine alla preparazione del pranzo, annuendo soddisfatta davanti al mio "esperimento" riuscito.

Misi un coperchio sulla padella per evitare che la pasta si raffreddasse, dopo di che andai in salotto e guardai l'ora sulla TV, dato che ormai il mio telefono era deceduto. Era l'una meno dieci, quindi chiesi al dottor Agasa, che dopo aver finito la colazione si era comodamente sdraiato sul divano a guardare un film, se voleva mangiare.

La sua risposta, ovviamente affermativa, non tardò ad arrivare, e mentre io versavo il pranzo nei nostri rispettivi piatti, lui se la rideva continuando a guardare il film. Mi tappai le orecchie per evitare di sentire eventuali battute dei personaggi alzando le spalle e pressandole alla testa, visto che le mani le avevo occupate, e digrignai i denti infastidita.

Infatti quel film avevo pianificato già dal giorno prima di guardarlo quella sera, davanti ad una ciotola strapiena di pop-corn ed una bottiglia di Coca-Cola; il dottore questo lo sapeva, quindi le opzioni erano due: o lui aveva raggiunto l'età in cui un apparecchio acustico non avrebbe guastato, oppure si divertiva a provocarmi facendo finta di niente.

"Spero per lui che la prima ipotesi sia quella giusta..." pensai, ormai incazzata con tutti.

Ci voleva poco a farmi cambiare umore, e nel caso in cui questo "sbalzo" fosse negativo, se la sarebbero vista brutta anche gli innocenti, nessuno escluso.

Prendemmo posto a tavola e molto silenziosamente consumammo il nostro pasto. Non volava un moscerino. Con la coda dell'occhio lo notai mentre mi lanciava continuamente sguardi curiosi.

"Ok, lo ha fatto apposta. Mossa tremendamente sbagliata, dottor Agasa. Mai, e dico mai, provocarmi"

Mi alzai da tavola pochi minuti dopo, lasciando il mio piatto ancora mezzo pieno. Il dottore, come previsto, non mi chiese spiegazioni: era un mio comportamento abituale, dato il rapporto che avevo con qualsiasi cosa fosse commestibile tranne la nutella; quella l'avrei mangiata pure in fin di vita, con il cancro o con il diabete.

In realtà non fu neanche molto sorpreso di vedermi mangiare un minimo di mia iniziativa, (sicuramente Kudo aveva aggiornato il dottore sul fatto che avrei mangiato sempre il più possibile; evitando ovviamente la parte in cui lui mi costringeva a farlo ferendomi nell'orgoglio), di solito era lui a pregarmi di mangiare a pranzo.

Mi diressi con passo felpato alla stanza in cui il dottore svolgeva i suoi esperimenti e inventava nuovi gadget, e sgattaiolai all'interno di essa.

Era arredata semplicemente: un tavolo era posto davanti alla parete di fronte alla porta, il quale era costantemente sommerso da scartoffie. Sopra di esso si trovava un piccolo armadietto che usava per tenere i suoi vari attrezzi. Davanti alla parete di destra c'era un altro tavolo su cui il dottore progettava nuove invenzioni a suo parere utilissime, e sul quale poi costruiva. Infine la parete di sinistra era interamente coperta da un armadio dove si trovavano motori, batterie, vetri, fili, cavi, e cose del genere. 

Il pavimento era di marmo bianco, mentre le pareti erano invece dipinte con un azzurro molto leggero. Il "lampadario" non era un gran che: una misera lampadina penzolava dal soffitto, anch'esso azzurro, con il rischio che si fulminasse, o che questa sorte incrociasse il cammino di qualche malcapitato essere vivente.

-Allora- ragionai a bassa voce -la chiave della porta si trova nella cassaforte dietro il quadro. Devo riuscire a trovarne il codice, ma prima mi devo procurare della cipria per rivelare i raggi x, per poi superarli e arrivare al quadro sorvegliato da una telecamera. Poi... no, ok. Devo smetterla di leggere libri di spionaggio-

Camminai verso il tavolo posto di fronte a dove mi trovavo, presi la chiave da sopra di esso ed uscii dalla stanza. Dopo di che chiusi tranquillamente la porta a chiave da fuori.

"Ora vediamo se proverà più a provocarmi, dottor Agasa. Questa stanza rimarrà inutilizzata per un po di tempo..." pensai con un ghigno maligno in volto.

Non scherzavo quando dicevo che chiunque si mettesse contro di me se la sarebbe vista brutta: era la triste e dura realtà. Io trovavo sempre un modo per vendicarmi.

Un'altra cosa che mise a dura prova la mia pazienza e i miei nervi? Il campanello che suonò in quel momento. Era l'una e un quarto, questo voleva dire che il film non era ancora finito.

Depositai la chiave in tasca, e frugai in esse nella disperata ricerca di tappi per orecchie: ormai era un'abitudine averne a portata di mano dato il rumoroso russare del dottore. Ma proprio quando mi servivano per una questione di vita o di morte (ovviamente quello a rischio era il dottore) ...niente. Zero. Neanche l'ombra di quei fottutissimi tappi.

Marciai spedita verso la porta pronta per mandare a quel bellissimo paese chiunque avesse osato disturbarmi in quel momento di puro stress.

Mi piantai davanti ad essa e la aprii con un solo e fulmineo scatto della mano. Aprii la bocca pronta a far uscire tutte le bestemmie che stavo trattenendo, anche a costo di far saltare la mia copertura da bambina, e... non potei dire nulla.

Non volevo rovinare l'infanzia a dei mocciosi. Strinsi i denti e, sforzandomi terribilmente, mantenni la bocca chiusa.

Ebbene si, i Giovani Detective stavano sorridendo beatamente sullo stipite della porta.

-Qual buon vento vi porta qui, romp... ehm... ragazzi?- dissi a denti così dolorosamente serrati che dubitai mi avessero sentito chiaramente.

Ma a quanto pareva avevo un udito privo di qualunque difetto.

-Ciao, Ai! Che bello vederti ! Come stai?- esclamarono in coro.

Un brivido mi percorse la schiena.

"E' inquietante questa loro sincronizzazione"

-Beh, visto che ci siamo visti ieri a scuola, che non è successo nulla che mi abbia cambiato la vita, e che non mi sia ammalata... bene-

Mi guardarono con dei faccini confusi.

"Troppe parole per i loro piccoli cervelletti, ma devo ancora abituarmi a parlare con gente della loro età. Devo usare parole semplici, che rientrino nel loro vocabolario, e che non oltrepassino le loro conoscenze, per poter comunicare civilmente con loro e non destare sospetti nella gente attorno a noi. Non si sa mai, l'organizzazione è ovunque, quindi meglio non rischiare..." pensai lasciandomi sopraffare dalla mia parte paranoica.

-Sto bene- semplificai il mio monologo -E voi?-

Subito tornarono a sorridere innocentemente e mi spaccarono i timpani urlando:

-Stiamo alla grande!-

Mi sforzai di fare un sorriso decente e quindi chiesi:

-Perché siete qui?-

-Il dottor Agasa è in casa?- domandarono ignorandomi completamente.

-Si. Ma perché siete qui?!- iniziai a spazientirmi.

In tutta risposta entrarono in casa e cominciarono a cercare la causa del mio stress.

Cercando di calmarmi, chiusi la porta ed andai dal dottore, ancora sdraiato sul divano. Appena i bambini lo individuarono, gridarono in coro:

-Dottor Agasa!-

Al diretto interessato venne un colpo e, alzandosi di scatto, scivolò e con un tonfo atterrò sul pavimento lucido. Se non fosse stato per il mio umore pessimo, quella scena sarebbe stata alquanto comica. Lui si rimise in piedi, e iniziò a massaggiarsi il di dietro dolorante, quindi chiese abbastanza irritato:

-Come mai qui, voi tre?-

-Dobbiamo chiederle una cosa importante!- si fecero improvvisamente seri.

Il dottore ed io subito ci incuriosimmo e chiedemmo insieme:

-Di cosa si tratta?- 

Si lanciarono sguardi decisi e annuirono tra loro. Sembravano prepararsi per la terza guerra mondiale.

-Vorremmo andare in campeggio domani!- esclamarono sempre all'unisono.

Il dottor Agasa sospirò sconsolato:

-Ne abbiamo già parlato. Lunedì dovete andare a scuola, e il campeggio vi stancherebbe. In più dovete fare i compiti e studiare. Come se non bastasse dubito fortemente che i vostri genitori vi lascerebbero andare, visto che dovete appunto andare a scuola- spiegò pazientemente.

Ma loro non si scoraggiarono, anzi, tutt'altro: i loro sguardi si fecero ancor più determinati e mi parve di scorgere una scintilla negli occhi di ciascuno di loro.

-Il campeggio non stanca mai! Potremmo tornare verso le cinque del mattino, così avremmo tutto il tempo per prepararci per la scuola!-

-Resta il fatto che non avreste il tempo per fare i compiti e studiare-

-Già fatti!-

-Beh... c'è pur sempre il problema del permesso dei vostri genit...-

-Già chiesto e ottenuto!-

-La mia risposta è sempre no. Non ce la fareste mai a svegliarvi alle cinque del mattino, siete bambini, e in quanto tali avete bisogno di dormire molto per avere forze a sufficienza durante la giornata- ribatté severo il dottore.

Io ero d'accordo con lui, ma i detective ovviamente no.

Infatti a quel punto i giovani guerrieri sfoderarono l'arma più letale al mondo: il faccino da cucciolo bastonato.

Personalmente cedetti subito, erano impossibili da combattere, specie se a farli erano dei bambini tanto teneri.

Il dottor Agasa tentennò davanti a quell'attacco a sorpresa. Mi implorò con lo sguardo di aiutarlo con la situazione, ma io scossi la testa: avevo rinunciato da un pezzo a cercare un modo per controbattere. Il dottore sospirò e scosse a sua volta la testa, rassegnato.

-Solo ad una condizione-

-Qualsiasi cosa!- risposero raggianti i bambini, con gli occhi che luccicavano di soddisfazione e felicita.

-Ora filate nelle vostre case, preparate il necessario per il campeggio, e poi immediatamente a letto-

-Signor si, dottore!- annuirono facendo il saluto militare.

-Potete avvisare anche Conan? Oggi non lo abbiamo incontrato, altrimenti lo avremmo fatto noi-

-Tranquilli, ci pensiamo noi- agitai una mano con noncuranza.

-Dottore, li accompagno io alla porta- dissi rivolgendomi alla scienziato, ancora turbato.

Lui annuì flebilmente e si sdraiò nuovamente sul divano, riprendendo a guardare il film.

Una volta sullo stipite della porta, andai da loro e sussurrai:

-Ehi! Si, dico a voi, avvicinatevi!- 

Sembravo una spacciatrice.

Loro fecero come detto, curiosi della mia richiesta.

-Prendete dei pacchi di marshmallow. Io pensero ai pop-corn. Inoltre non scordatevi di cercare qualche storia horror da raccontare-

-Tranquilla! Tu invece preoccupati di trovare qualcosa di spaventoso, non è facile spaventarci!- ridacchiarono tra loro mentre si allontanavano.

-Oh... potete stare tranquilli. Vi consiglio di prendervi dei pannolini, ve ne serviranno un bel po...- mormorai al vento sfoderando un ghigno malefico.

L'horror era il mio pane quotidiano, e non sarebbe stato semplice battermi su qualcosa così tanto conosciuto da me. Era come giocare in casa.

"Ci sarà da divertirsi..."

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